Redazione

Madre e figlio: un rapporto unico

La relazione col proprio bambino, meravigliosa, può nascondere delle insidie nel caso non si sappia come comportarsi
9 Febbraio, 2020
Tempo di lettura: 3 minuti

In Natura qualsiasi cosa col tempo può cedere o spezzarsi, anche l’acciaio più resistente o il nodo più complesso. Tutto, tranne l’affetto di una madre verso i propri figli. E di certo nessuna madre ammetterà mai di avere delle preferenze tra la prole. Eppure, a scavare a fondo oltre il lato lucido dell’essere genitore, lì nell’ingarbugliato mondo dell’inconscio, c’è un inconfessabile legame ancora più stretto degli altri: quello tra una madre e il suo figlio maschio.

L’eccezionalità di questa relazione familiare affonda le sue radici nella complessa scoperta del proprio e dell’altro sesso da parte del piccolo. Il seno materno è la prima cosa viva, altra da sé, con cui verrà a contatto, e in base al rapporto che col seno instaurerà, il rapporto tra lui e la mamma potrà prendere pieghe anche molto diverse. Nella scoperta della sua sessualità il maschio si renderà presto conto della diversa natura della madre, e verso di lei svilupperà un amore profondo, insondabile e incommensurabile. In ciò non c’è nulla di morboso, è un fenomeno biologico. Certo, anche l’amore da e per la figlia femmina è immenso, ma raggiungerà il suo apogeo negli anni a venire, quando la bambina potrà cominciare a vedere la madre come un modello da imitare nella formazione della sua personalità.

Questo meraviglioso rapporto può però, in alcuni casi, avere anche dei rischi. Può cioè sfociare nella morbosità, qualora non venga ben ponderato, tanto in eccesso che in difetto. In eccesso, ad esempio, può intralciare il naturale susseguirsi le tappe evolutive del piccolo. Perché lo sviluppo possa avvenire regolarmente, è importante che il bambino attraversi la fase della socializzazione da 0 a 2 anni, seguita da quella della fantasia nei 2 anni successivi, poi quella in cui dovrà cominciare a vedere il padre come figura da prendere a modello. Infine il periodo più delicato, quello che segue i 12 anni, quando il ragazzino, non più bambino, dovrà trovare il suo ruolo del mondo e abbandonare la stretta dipendenza dai genitori, trovando da sé nuovi modelli a cui ispirarsi nella formazione della sua personalità.

Se la madre si mostra troppo protettiva, non stimola il desiderio del figlio di relazionarsi coi suoi coetanei anche in età pre-scolare, non gli permette di sviluppare la sua autonomia lasciandogli gli spazi per provare e sbagliare da solo, è facile che il figlio negli anni successivi sviluppi sentimenti di rabbia verso di lei. In questi casi, quando l’amore della madre è di ostacolo allo sviluppo della personalità, il bambino può reagire in modi opposti: potrà sviluppare un rigetto per una madre troppo ingombrante, manifestato col desiderio di allontanarsene più di quanto l’età lo richiederebbe, o al contrario le si avvinghierà diventandone dipendente. In quest’ultimo caso, fra l’altro, è facile che si crei una spirale di dipendenza reciproca che non farà che peggiorare la salute mentale di entrambi. L’adolescenza, poi, comporta spesso una fase di ribellione, che può peggiorare questo tipo di problemi. La ribellione è normale e fisiologica, fa parte del processo di naturale distacco dai genitori. Per questo motivo la madre non deve rispondere con una gabbia costruita attorno al figlio per trattenerlo a sé, ma piuttosto offrendosi come figura di supporto anche quando lui manifesta pulsioni negative.

Infine, la fase più dura per una madre: lasciare andare il figlio quando è giunto il momento. Questo distacco non ha una fascia d’età d’elezione: può avvenire intorno ai 18 anni, ma anche più tardi. Questo è forse il gesto d’amore più doloroso e più grande che viene richiesto a una madre. Non colpevolizzarlo per la sua scelta di distaccarsi, ma anzi incitarlo a prendere la sua strada e camminare sulle sue gambe. Il vero cordone ombelicale da tagliare è questo, non quello del neonato.

 

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