Redazione

Una vita sana parte da solide basi

L’esperienza di Aaron Antonovsky
21 Ottobre, 2019
Tempo di lettura: 2 minuti

Il nostro organismo è il frutto di un lavoro di perfezionamento compiuto dalla selezione naturale nel corso di milioni di anni. Un’opera di incredibile complessità e dai risultati straordinari, che ha permesso a noi tutti uno stupefacente adattamento con l’ambiente circostante, in un unico e più grande sistema-organismo naturale. Un quadro così complesso però, anche nella sua meravigliosa perfezione, è per sua natura molto delicato, e per questo motivo può essere stravolto anche dal più piccolo dei cambiamenti. Data la connessione di ogni parte con ogni altra, un’alterazione anche piccolissima può comportare uno scompenso molto più grande. In un famoso racconto di Ray Bradbury, un viaggiatore del tempo tornava indietro fino all’epoca preistorica, e lì per errore calpestava una farfalla. Questa piccola, apparentemente insignificante variazione, faceva sì che il suo presente fosse totalmente stravolto, al punto che la stessa lingua parlata, al suo ritorno, non era più la stessa. Ecco, di certo l’esempio è un po’ forte, ma questo “effetto farfalla” esiste anche per la salute umana.

Per molti anni la medicina ha inteso lo stato di salute come una condizione di equilibrio statico. Per questo motivo si riteneva che qualora insorgesse una malattia ad alterarlo, fosse sufficiente rimuoverla per far tornare la persona alla condizione iniziale. Questo tipo di approccio è stato riconsiderato a partire dal dopoguerra: la prevenzione del malanno ha cominciato ad avere un ruolo sempre più importante nel benessere del paziente. Con questo cambio di paradigma il faro della scienza è stato puntato su quali fossero gli elementi che permettevano all’uomo di conservare il suo stato di salute iniziale. Su come evitare che un problema si presenti, insomma, più che su come risolverlo.

In questo dibattito medico grande rilievo ebbero gli studi del sociologo medico israelo-americano Aaron Antonovsky (1923-1994). Oggetto del suo lavoro furono donne che nella vita avevano vissuto esperienze estremamente traumatiche, in particolare l’esperienza dei campi di concentramento nazisti. Antonovsky fu molto sorpreso dalle grandi capacità di recupero di alcune di loro, tanto dal punto di vista fisico che da quello psichico, e si accorse che i due aspetti erano ben più legati di quanto fino a lì si sospettasse. Giunse da questa via alla conclusione che costoro avevano “qualcosa”, nel loro intimo, che le rendeva ben più resistenti ai traumi rispetto alla media. Identificò questa caratteristica e le diede il nome di  “Soc” (Sence of coherence), una proprietà data dall’equilibrio di tre dimensioni intimamente connesse fra loro: mentale, emotiva e spirituale. Dato che queste tre dimensioni possono variare moltissimo da persona a persona, il paziente deve essere incoraggiato a cercare egli stesso il proprio migliore equilibrio, e attraverso questo il proprio stato di benessere. Non più risolvere il problema, quindi, ma porre solide fondamenta perché il problema non si presenti, o si risolva da solo.

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