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13 Gennaio, 2022

Medicina Narrativa: la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato

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Durante il periodo delle festività Natalizie, ricevo più mail da parte di una persona, Giuseppe, mai visto prima, il quale chiede un appuntamento in studio. Mi scrive educatamente ma con una certa insistenza. Penso quindi al concetto di presenza, per me fondamentale, e concordiamo un incontro. Arrivato il giorno, poco dopo essersi accomodato, Giuseppe, con difficoltà, mi spiega il motivo di questa premura. E’ giovane,ha bisogno di parlare, di confrontarsi, e forse anche di sfogarsi, rispetto ad una situazione molto pesante e pressante che sta vivendo dentro e fuori di sé.

Racconta essere un sanitario, trasferitosi da Napoli, per un posto di lavoro in un ospedale della zona, e di abitare solo, lontano da amici e famiglia da qualche tempo. Aggiunge che l’ambiente di lavoro lo sfinisce, definendolo ‘esasperante’, e di cominciare ad accusare disturbi fisiologici ed emotivi. Propongo di non soffermarci inizialmente sulla sintomatologia che mi riporta, fornendo lui qualche input per approfondire, e proseguo nell’ascolto. La narrazione di un paziente ha un ruolo importante, unico.

La narrazione di un paziente ha un ruolo importante, insostituibile.

Alla Consensus Conference del 2014, sono state scritte delle linee guida per l’utilizzo della Medicina Narrativa. ‘Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) si intende una metodologia di intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare diversi punti di vista quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura)
La Medicina Narrativa (NBM) si integra con la Medicina Basata sulle Evidenze (EBM) e, tenendo conto della pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico-assistenziali più complete e personalizzate, efficaci e appropriate. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura.’ La narrazione di sé stessi, del come ci si senta, aiuta la persona ad elaborare nell’immediato il malessere, a realizzarlo mentre ne parla, mentre ascolta la propria voce ed i suoi toni cambiare, ma anche le emozioni provate in quel raccontarsi. Momento già di per sé terapeutico.

Giuseppe, oltre al disagio per la balbuzie, riferisce di non riuscire più a riposare bene né a trovare concentrazione e lucidità, causa uno stato ansioso che lo tormenta e gli impedisce peraltro di prepararsi  per un esame che dovrà sostenere a breve ed al quale tiene tantissimo. Gli chiedo di dare priorità ad una sofferenza e provare a descriverla.

Mi risponde che il tipo di lavoro, che comunque corrisponde alla sua vocazione, lo soddisferebbe, ma di non tollerare determinate richieste e pretese da parte di alcuni colleghi, ricevere dagli stessi invadenti telefonate per sincerarsi si trovi a casa nei suoi momenti di riposo e non faccia vita sociale.

Limiti per i quali, oltre ad aver peggiorato la balbuzie, prova un senso di oppressione, non riesce a dormire, a studiare né a vivere serenamente le sue giornate e i momenti ‘liberi’.

Noto che, più gli permetto di aprirsi, elaborare, parlare, dandogli attenzione, più migliora nell’esprimersi (con maggior calma e chiarezza), cominciando a rilassarsi e a cambiare quella postura, inizialmente inarcata in avanti, che segnalava un ripiegamento su sé stesso, una chiusura, per il ‘carico’ troppo pesante, e che con molta probabilità aveva innescato il desiderio di alleggerirsi per poter nuovamente… volare.

Coinvolgendolo, inizio a scomporre il suo racconto, considerando la frequenza di espressioni utilizzate, sintomi e quadro d’insieme, una sorta di finestre con luci accese che fanno parte di un’unica casa ed un unico terreno. Definisco ‘perturbazioni’ gli avvenimenti esterni con ripercussioni interne ed interiori.

Non è corretto dare priorità solo al corpo, esistono le emozioni, i sentimenti.

E i sentimenti sono per l’anima ciò che gli alimenti sono per il corpo.

Considerare i sintomi a carico di un distretto corporeo, fine a sé stessi, a comportamenti stagni, impedirebbe di capire da dove origini il malessere, lo stato psico-fisico sociale dell’individuo. Perché è di in individuo che si sta parlando, non di un sintomo. La sintomatologia si riferisce alle luci accese, una sorta di alert, ma sono i motivi per i quali si accendono la causa. Il racconto del paziente, attraverso l’empatia, permette una costruzione condivisa, dove si ascolta, in un atteggiamento di completa accoglienza e assenza di giudizio, la storia del protagonista, il ‘malato,’  insieme ad una serie di diversi altri elementi che intervengono nel processo riaccendendo esperienze, sensazioni, vissuti.

‘Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata.
Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni.’
Frida Kahlo

La narrativa consente alla persona di capire come si veda, come si percepisca, si consideri, si desideri. Quali siano i suoi talenti, le predisposizioni, i ritmi. Aiuta ad elaborare nell’immediato il malessere, realizzandolo mentre ne parla, mentre ascolta la propria voce ed i suoi toni cambiare, ma anche le emozioni provate in quel raccontarsi. Momento già di per sé terapeutico. Questo racconto-lettura diventa così un dono, un’opportunità per sé stessi e per chi pratica l’ascolto ma, ancora più importante, innesca un metodo di cura nella consapevolezza che permette al soggetto di guardare dall’esterno e da più prospettive la propria narrazione, resposabilizzandosi rispetto al percorso terapeutico, non delegando ad altre figure la propria salute. Molto utile, per chi ne fosse predisposto, sarebbe anche scrivere i propri pensieri, esperienze, dolori, ciò che si provi o si è provato, un’opportunità per riorganizzarsi.

‘Siamo sempre una scrittura potenziale in attesa che l’autore, che non sappiamo ancora di essere, decida ad avvalersene.’
Duccio Demetrio.

La scrittura aiuta a prendere le giuste distanze dagli eventi, perdonare le parti buie di sé e degli altri, trovare la propria centratura, il contatto con il proprio Io, o Sè interiore, andando oltre, per il proprio benessere e l’evoluzione personale.

Tornando a Giuseppe, capiamo quali proporzioni e significato assumano quindi, un qualsiasi disturbo o stato psicoemotivo, se contestualizzati nella realtà  dove si trova oggi, lontano dalla propria terra, con i suoi profumi, la sua energia ambientale, in un luogo con un altro clima, aria, temperatura, distante dal mare, con cultura ed abitudini differenti, anche alimentari, nell’impossibilità di stringere nuove amicizie, fare esperienze, poiché ‘controllato’ affinché rimanga a debita distanza da qualsiasi contatto diretto in ambito sociale. Tutto ciò non gli appartiene.

Giuseppe non è più lo stesso Giuseppe.

Se avesse scritto qualcosa di sé, prima di trasferirsi ed aprire un nuovo capitolo della vita, nel rileggerlo, si sarebbe probabilmente reso conto di chi fosse, a cosa ambisse e le differenze nella reale esperienza. Chiedo: ‘Sente di desiderare e poter cambiare qualcosa di tutto questo?’

La narrazione avrebbe già in parte risposto, ma Giuseppe, come sollevato dalla chiacchierata, con tono sicuro, risponde:

‘Lo sto realizzando mentre parliamo. Penso che nel mio presente dovrei canalizzare le energie nello studio. Lo vedo ora un mezzo, una sorta di salvagente, l’impegno-distrazione che potrebbe permettermi di superare questo momento ed arrivare ad altro. Per cui le chiederei di aiutarmi a riconquistare il sonno, a superare quell’esame, a non perdere il contatto con il mio vero io, come lo definisce lei, ritrovare i miei equilibri affinché possa percorrere nuove strade.
Il resto, ne sono certo, verrà da sé.’

Questo è ciò che significa presenza. Riconoscere il valore del relazionarsi in empatia e gentilezza, affinchè aumenti la forza interiore, l’amore verso sé stessi e gli altri e del quale subito va a beneficiarne anche il corpo, il tempio dove “agisce” la preghiera alla nostra parte spirituale, l’autoguarigione. Anche lo sguardo è un elemento importante della presenza, perché può trasferire la luce raccolta dal sole, dal cielo, vitali per l’anima.

Riporto le parole di un caro insegnante:

‘Il corpo è fatto di luce.
Non è solo materia.
Se curi solo la materia, spegni la luce del corpo.
E se spegni la luce entro il corpo, spegni l’uomo.
Uccidi ogni sua aspirazione, ogni desiderio, ogni sogno.
Ogni uomo deve sentirsi vivo nella sua luce.’

Una volta usciti da un incontro, siamo persone nuove, perché l’essere spirituale che è in noi ne riceve un impulso, rigenerandosi. Aspetti che oggi solitamente non vengono considerati, ma che nella loro semplicità sono invece naturali, indispensabili fonti di cura.

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