Significato biologico e valutazioni metodologiche in medicina omeopatica
La visione biologica del fenomeno vita risulta essere strettamente in accordo con la visione della metodologia della medicina omeopatica.
Il biologo naturalista, infatti, comprende la vita osservandone il dinamismo complessivo che la anima e che consente alla vita stessa di evolvere e affermarsi; evoluzione e affermazione che si raggiungono attraverso meccanismi complessi e dinamici e relazioni tra ambiente e viventi. Anche in termini di evoluzione adattativa.
Attraverso questo modo di procedere nella ricerca biologica, l’osservatore scoprirà un aspetto centrale e fondamentale relativo al piano di indagine; esso risulterà appartenere ad un modello unitario e dinamico (olistico) a cui concorrono individui e sistemi, solo apparentemente eterogenei, in rapporto di scambio di energia e materia.
Tutto ciò risulterà essere in accordo, sul piano concettuale, con la fisica dei sistemi aperti e con i principi della termodinamica classica.
Un esempio è rappresentato dalla funzione centrale della fotosintesi e la conseguente catena alimentare che rappresenta un evento circolare ed evolutivo e che si perpetua proprio attraverso le relazioni di scambio tra sistemi aperti eterogenei ma che hanno la peculiarità di riconoscersi e sostenersi biologicamente; il simile riconosce il simile e concorre alle stesse finalità.
L’indagine del biologo è naturalmente sostenuta da una ricerca analitica che ha consentito alla conoscenza scientifica di ricostruire, partendo dalla struttura unitaria dell’atomo (elettrone, protone, neutrone), le possibili immagini atomiche conosciute (descritte nella tavola periodica degli elementi) e che si complicano in aggregati molecolari sempre più complessi fino alle strutture cellulari capaci di riprodursi e che poi saranno ulteriormente organizzate in tessuti, organi, apparati per giungere infine alla complessità della “forma” aristotelica; ovvero dei metazoi che con l’uomo raggiungeranno la più alta complessità supportata dalla coscienza in grado a sua volta di antropizzare l’ambiente orientandolo alle finalità di conservazione ed evoluzione.
Quindi, il termine “biologico” fin qui usato, vuole sottolineare il modello di visione unitaria che è propria del biologo naturalista.
Il biologo, di fronte ad una cellula, tessuto, organo o apparato, vede, per formazione culturale, l’aspetto complessivo e biofisico, funzionale e relazionale, oltre che strutturale o istologico e quindi unitario nell’ambito dell’individuo immerso nel suo mondo relazionale ed evolutivo.
Nella formazione medica classica, essenzialmente organicistica o specialistica, d’altra parte, la ricerca dei mezzi di cura si limita ad ambiti distrettuali, nosografici e descrittivi, perdendo così, il più delle volte, la visione complessiva della persona malata.
Le conseguenze terapeutiche solo distrettuali possono perciò diventare invasive e quindi dannose perché interferiscono con la direzione naturale della malattia che andrebbe facilitata nella sua naturale evoluzione come insegnato da Ippocrate: attraverso cure “parsimoniose” del malato, ovvero interne e indirette.
In quanto è proprio la vis medicatrix autonoma a dover essere sostenuta “perché agisce senza ragionamenti o insegnamenti” nell’ottica della visione vitalistica e complessa piuttosto che organicista e lineare che non può corrispondere alla natura adattativa ed evolutiva della vita.
La metodologia della medicina omeopatica e la sua visione unitaria appartengono al vitalismo proprio della biologia e della Vis Medicatrix ippocratica
Metodo sperimentale e clinico autonomo
Da questo veloce ma necessario viaggio sulla genesi e sulla dinamica della vita risulta perciò evidente che ogni individuo rappresenta una complessità che travalica i confini del proprio corpo e la cui conoscenza può essere tentata utilizzando una visione quanto più ampia possibile al fine di abbracciare, nel senso di comprendere, gli aspetti unitari della persona umana che sono, allo stesso tempo e in una sintesi inscindibile: psichici, fisici, e relazionali.
Per questo motivo non sono assoggettabili esclusivamente alla semplice “prassi” scientifica.
La cura dell’uomo, umanista innanzitutto, presuppone l’arbitrato di un altro uomo, il “medico“; egli deve essere guidato da una metodologia che gli consenta di osservare l’individuo o persona umana presente in ogni malato e da qui risalire ai mezzi di cura.
Il vero medico omeopatico ha compreso l’unità della vita e dell’ambiente (Paschero) attraverso lo studio della sperimentazione di sostanze naturali sull’uomo sano; tutto ciò è stato raggiunto osservando e catalogando le possibili reazioni specifiche o proprietà delle stesse attraverso la lettura dello sperimentatore che assume la droga in esperimento.
Questo tipo di formazione permette al medico omeopatico di possedere una completa immagine analogica di interpretazione di ogni singolo malato e allo stesso tempo di poter individuare, nei rimedi sperimentati, i mezzi di cura e di guarigione dello stesso portatore di malattia: soggetto storico.
Il concetto di analogia, proprio del metodo omeopatico, consente conseguentemente di avere un potenziale enorme di applicazione per ogni singolo rimedio.
La banca dati o raccolta di sintomi sperimentali e clinici ci permette infatti di associare, secondo il principio della similitudine, malati apparentemente diversi ma in realtà similari fra loro in quel “minimo comune denominatore” che caratterizza ogni rimedio e che ne fa emergere una fisionomia umana peculiare!
La pelle e l’apparato o sistema tegumentario – Ontogenesi e struttura
Da quanto sopra esposto risulta evidente che il concetto di unità della persona umana assume un valore centrale e mai derogabile per il medico che voglia curare il malato e non la malattia.
Il medico omeopatico osserva attentamente e con precisione ippocratica il paziente anche nei danni, oggettivi, visibili e documentabili, relativi a lesioni patologiche della pelle ma cerca comunque un significato unitario nei sintomi evidenti che deve esistere nei fatti, come la biologia ci conferma; ma il medico lo fa spingendosi oltre ed entrando anche nella sfera “umana” del malato.
Tutto ciò lo realizza non solo attraverso l’osservazione e la diagnosi clinica della alterazione funzionale o lesionale evidente (disease) ma il medico omeopatico estende la ricerca al coinvolgimento complessivo (illness-complaints) della persona malata nella sua unità psichica, fisica e relazionale (malady); tutto ciò in virtù del metodo e dei mezzi terapeutici a sua disposizione. Ricordiamo sempre che la scienza studia l’oggetto in modo diretto e lineare (disease) ma male interpreta l’uomo soggetto nella sua complessità unica di reagire e soffrire (malady); anche se la diagnosi ha lo stesso termine nosografico.
Senza una soluzione di continuità
La pelle appartiene al sistema o apparato tegumentario e la si può considerare:
1) in modo specialistico e descrittivo disquisendo separatamente delle sue funzioni e patologie oppure:
2) studiarla secondo la dottrina della medicina omeopatica.
In questo secondo caso il fine è non solo quello di analizzare ma soprattutto di comprendere le funzioni di servizio di questo apparato e di correlarle alla vita unitaria individuale del malato e a valutare quindi il significato delle alterazioni visibili della stessa nell’economia generale della salute di quell’individuo. Solo in questa visione unitaria e nel rispetto del malato andranno applicati i presidi terapeutici individuali del malato storico portatore di lesione o altro.
La conoscenza della genesi della pelle nello sviluppo dell’individuo ci fornisce una visione dinamica ed unitaria degli equilibri della vita ed i criteri di valutazione correlati alle alterazioni oggettive o visibili e percettive di ogni singolo malato in termini diagnostici e terapeutici.
Lo sviluppo embrionale o embriogenesi
Esso racconta come avviene il passaggio da ciò che è apparentemente omogeneo, perché formato da cellule morfologicamente simili durante le prime fasi dello sviluppo di ogni singolo individuo, a strutture complesse che si specializzano per vivere e adattarsi all’ambiente e a concorrere alla dinamica della vita interna e di relazione.
Alla terza settimana dello sviluppo dell’embrione si inizia a caratterizzare o differenziare una struttura di cellule: quelle all’esterno della morula e in senso spazio-temporale, formeranno l’ectoderma, ovvero una delle tre strutture fondamentali, meso ed endo, da cui si origineranno tessuti organi ed apparati.
In particolare, dall’ectoderma, che rappresenta il foglietto più esterno, si formeranno il sistema nervoso, la cute con gli annessi cutanei come ghiandole sebacee, sudoripare, follicoli piliferi, unghie, capelli, corpuscoli nervosi e i melanociti.
Il termine apparato o sistema (tegumentario) sta proprio ad indicare il complesso biologico, tissutale e dinamico, che presiede ad innumerevoli funzioni soprattutto a quelle che si svolgono sulla linea di confine che relaziona il corpo al mondo esterno.
In realtà non esiste una vera soluzione di continuità tra il tegumento e il resto del corpo ma come illustrò Hahnemann la pelle è l’esteriorizzazione di infinite terminazioni nervose e quindi la diretta rappresentazione di ciò che avviene nella intimità del corpo in termini di tutte le funzioni vitali.
Le localizzazioni delle manifestazioni geografiche sulla pelle e la loro qualità non sono casuali e neanche la qualità delle manifestazioni; esse rappresentano l’aspetto miasmatico e sono la lettura della salute complessiva di quel soggetto storico: un singolo nevo, un eczema & co., con la loro localizzazione sono espressione di cause più interne.
Tutto ciò è analogico alla lettura dell’esperimento omeopatico che fa emergere nelle proprietà della droga qualità e localizzazioni specifiche assieme a percezioni e reazioni caratteristiche!
Le funzioni della pelle: l’osservazione biologica
La pelle, come abbiamo detto, rappresenta un confine dinamico di scambio e di relazione tra l’ambiente esterno e quello interno del corpo.
Il termine tegumento ne indica la funzione di rivestimento e di protezione che la pelle stessa svolge in modo attivo e quindi vitale rispetto al mondo esterno.
Questa funzione la definiamo vitale in quanto è capace di autoregolazione; ciò consente ad ogni organismo di creare un equilibrio interno adattato alle proprie circostanze ambientali.
Il valore plastico e di protezione attiva è ciò che immediatamente ed istintivamente si percepisce osservando la pelle che per le sue caratteristiche proprio di elasticità e plasticità sembra avvolgere il corpo come un rivestimento protettivo estremamente adattabile.
L’organismo viene così difeso, in modo selettivo o vitale e nell’ambito delle capacità della specie, da agenti esterni di varia natura; difesa da agenti microbiologici, attraverso l’attivazione di processi immunitari propri di cellule competenti del tegumento, e biochimici.
Inoltre, la pelle o, meglio, tegumento come organo svolge un ruolo di protezione agli stimoli fisici, come i raggi ultravioletti, attraverso le cellule melanofore che creano il pigmento adatto che agisce da filtro sotto lo stimolo dei raggi solari.
Il ruolo di termoregolazione rappresenta anch’esso una funzione attiva e costante che consente all’organismo, attraverso i sistemi complessi che regolano la traspirazione e che impegnano anche il letto circolatorio superficiale, di conservare la temperatura ottimale per la vita dell’individuo.
La funzione emuntoriale o escretiva attraverso l’eliminazione di metaboliti si avvale anche della pelle che diventa un canale di eliminazione di sostanze che per l’organismo risultano tossiche; spesso questa funzione coadiuva quella renale nella escrezione di sostanze azotate e ciò avviene attraverso il sudore.
Le funzioni di sintesi da parte di cellule specializzate del tegumento avvengono attraverso lo stimolo dei raggi ultravioletti con la produzione di vit. D indispensabile per l’osteogenesi e con la sintesi ed il deposito di tessuto grasso sottocutaneo vera e propria riserva energetica.
Ogni alterazione di queste funzioni, come la termoregolazione, non devono passare inosservate nell’anamnesi in quanto vanno valutate sempre unitariamente a tutti i sintomi soggettivi ed oggettivi del malato.
La funzione neurosensoriale coinvolge le funzioni nobili dell’intelletto
Questa funzione rappresenta nell’uomo, ultima tappa evolutiva della scala zoologica, il livello più elevato di sensibilità neurosensoriale.
Infatti, la pelle umana è visibilmente, se paragonata a quella delle altre specie animali, la più percettiva perché più “esposta” ovvero senza involucri cornei (esoscheletro) e sistema pilifero (meno sviluppato).
Di conseguenza, l’uomo ha avuto la necessità antropologica di essere protetto dagli indumenti.
D’altra parte, la potenziale sensibilità della pelle dell’uomo è notevole ma soprattutto implica collegamenti e suggestioni nelle alte sfere dell’intelletto proprie della natura umana.
Infatti, non solo le strutture neurosensoriali dell’uomo gli consentono una precisa percezione della propria collocazione nello spazio ma gli permettono soprattutto una serie di movimenti fini elaborati dal potenziale intellettivo e guidati da quello percettivo neurosensoriale come non avviene nelle altre specie animali.
Ne sono esempi: la scrittura, la pittura, l’uso di strumenti musicali come la chitarra o dove la modulazione del suono implica una finezza percettiva di grado elevato dei polpastrelli e naturalmente in presenza di un alto sviluppo cognitivo.
Infine, la funzione neurosensoriale propriocettiva fornisce alla persona umana non solo la propria percezione spaziale, come abbiamo detto, ma anche quella dell’immagine ambientale (nei non vedenti si completa anche attraverso gli altri sensi speciali come l’udito e l’olfatto) ma soprattutto diventa un mezzo di implicazione, affettivo-emotivo, che si può esemplificare con il messaggio tattile di una carezza o di un bacio o semplicemente sentendo il contatto del corpo del vicino!
La fisiopatologia della pelle – Valutazioni mediche omeopatiche
Le funzioni dell’apparato tegumentario che abbiamo appena descritto vanno comprese, come più volte sottolineato in questa esposizione, in modo unitario.
Quindi anche le patologie della pelle vanno interpretate come localizzazioni non casuali che concorrono all’omeostasi della persona ovvero vanno interpretate come una ricerca del migliore equilibrio possibile per il potenziale biologico e per le circostanze ambientali di quella persona.
Ciò avviene soprattutto quando hanno natura infettiva come lebbra, scabbia, tigna o si presentano storicamente su tanti individui nella fase di accrescimento come crosta lattea o eczemi reattivi. Quasi che la natura abbia surrogato attraverso un rapporto di complicità biologica con gli agenti storici degli eczemi, gli acari, e altri, a impegnare la pelle nella fase di accrescimento secondo una economia di alleggerimento del sistema aperto del bambino concentrando le manifestazioni lontane dagli organi vitali.
Clinicamente è tanto più vero quando si osserva che la soppressione delle manifestazioni esterne evidenzia l’emergere di sofferenze interne sia sul piano mentale che su quello fisico,
Su questo argomento di valore fondamentale sulla conoscenza eziologica della malattia Hahnemann, nella sua prima dottrina medica omeopatica, riporta una serie di casi clinici afferenti a diversi ospedali dove vengono riportate tutte le complicazioni secondarie a trattamenti palliativi locali di infezione della pelle.
Vanno escluse dalle manifestazioni esonerative semplici, quelle malattie interne complicate che per questo hanno perso la capacità esonerativa e in qualche modo fanno già parte dell’organismo a causa di una azione miasmatica su piani diversi.
Quindi non si tratta di affezioni primarie dell’ectoderma ma emergono sulla pelle per deficit di altre funzioni collegate: AIDS e immunodeficienze, dermografismi vari, sclerodermia, epidermolisi bollosa, tubercolosi ed erisipela, sifilide, granuloma anulare, malattie genetiche tipo enzima-prive o come, ad esempio, alcuni melanomi che possono esistere già internamente in termini di predisposizione (genetica?)…(vedi note conclusive)
Clinicamente ciò vuol dire che il medico omeopatico non deve assolutamente semplificare e ridurre ogni manifestazione sulla pelle ad una alterazione primaria o a un tentativo semplice di esonerazione che impegna l’ectoderma con un agente infettivo: come un eczema o una psoriasi o una tigna capitis o tutto ciò che dall’anamnesi indica un movimento periodico o solo occasionale tra pelle e sintomi interni la cui dinamica è effettivamente in accordo con la legge di Hering.
Pensare ad esempio che un ispessimento della pelle di natura sclerodermica sia un’occasione di eliminazione semplice dell’ectoderma e trattarlo con un rimedio omeo-psorico ad azione centrifuga significa non avere compreso o di non conoscere la natura della malattia che affetta primariamente il connettivo e quindi coinvolge indipendentemente tutti gli organi, ma solo secondariamente, a causa della sua funzione trofica specifica.
Per comprendere basta osservare che nei casi complicati i rimedi omeo-psorici di base che funzionano nei bambini, che hanno manifestazioni esterne non complicate, in questi casi non solo non funzionano ma interferiscono sull’equilibrio naturale generale del malato,
Quindi nella metodologia della medicina omeopatica, medicina del malato e non della malattia, la visione unitaria assieme alla conoscenza della patologia rappresentano una necessità irrinunciabile per la scelta dei mezzi di cura e di prognosi.
In questa ottica la semeiotica della pelle rappresenta uno degli aspetti più delicati della indagine del malato.
Le osservazioni di Hahnemann – Il ruolo delle malattie della pelle nella storia dell’umanità
La grandezza del genio Hahnemniano consiste nel fatto che il fondatore della medicina omeopatica per comprendere, al fine di curare, le patologie che affliggono gli uomini e che egli chiamava “i suoi fratelli” studiò la storia delle malattie umane attingendo da tutte le fonti disponibili (conosceva 12 lingue) e risalendo a documentazioni fino all’epoca di Mosè (3400 anni indietro).
Contemporaneamente studiò la storia biopatografica dei malati descritta dai libri di patologia della propria epoca.
Hahnemann comprese che le malattie naturali dell’uomo, quindi non solo quelle dovute ad errate terapie, fossero una manifestazione solo apparentemente eterogenea di un’unica grande malattia che predispone il genere umano ad ammalare e che egli chiamò: Psora.
Osservò che le prime manifestazioni della malattia in termini evolutivi erano essenzialmente localizzate sulla pelle sotto forma semplice di: eruzione secca pruriginosa sparsa in tutto il corpo, scabbia, herpes, lichen, lebbra, eruzione psorica, ed eruzioni pustolose di vario tipo etc.
Osservò anche che in questi casi le manifestazioni interne di malattia, in presenza dei sintomi esterni, rappresentavano un interesse trascurabile per le patologie ascrivibili a quell’epoca.
Nel Medioevo in uno studio risalente al 1226 nella sola Francia esistevano 200 lebbrosari.
In seguito all’introduzione di terapie palliative delle lesioni della pelle soprattutto nelle classi medie ed alte, con bagni, lavande e unguenti di zolfo e piombo, con preparati di rame, zinco e mercurio, le manifestazioni esteriori della “psora” ovvero quelle localizzate sulla pelle diventarono meno visibili e apparentemente sparirono.
Contemporaneamente e proporzionalmente alla diminuzione delle manifestazioni esterne la storia delle malattie del genere umano acquisiva nuove malattie sempre più profonde!
Filogenesi e ontogenesi seguono una stessa direzione
Hahnemann comparò queste sue osservazioni sulla evoluzione delle malattie del genere umano, filogenesi, con l’evoluzione biopatografica delle malattie dei singoli malati, ontogenesi.
È interessante notare che sin dalla nascita dell’individuo la Psora, ripercorre velocemente le tappe che ha percorso nella evoluzione del genere umano, filogenesi, passando da malattia esterna ed evidente sulla pelle a malattia interna sempre più profonda e grave, ontogenesi.
Infatti, nel bambino notiamo il tentativo maggiore di implicazioni dermatologiche dalla crosta lattea agli eczemi atopici sino alle malattie esantematiche che rappresentano un processo reattivo e un tentativo di omeostasi proprio della psora.
Hahnemann aveva anche osservato e tratto insegnamento dal fatto che persone a cui era stata soppressa una eruzione cutanea presentassero dopo qualche tempo sintomi ed affezioni simili localizzate in altri organi.
L’importanza del rispetto della manifestazione dermatologica e la pericolosità dei trattamenti palliativi della pelle
L’esperienza sperimentale e la verifica clinica secondo il metodo induttivo omeopatico hanno confermato la natura unitaria della malattia e quindi la relazione fisiopatologica tra i singoli organi ed apparati e hanno conferito al medico omeopatico la capacità di valutazione della direzione di movimento della sintomatologia così da consentirgli di osservare il malato in una visione unitaria e prognostica.
La malattia appare diversificarsi nel passaggio sui vari organi di cui la pelle rappresenta di solito la prima tappa
In pratica nulla è causa di sé stesso (Hahnemann) e una malattia sopraggiunta a cui si attribuisce un nuovo nome in termini nosografici in realtà rappresenta un risultato della progressione di una tendenza o direzione miasmatica.
Ciò dimostra che ogni malattia ha una unica origine alla nascita e si diversifica passando da organi meno nobili a quelli più vitali in risposta agli adattamenti ambientali, chimici, fisici, biologici e psicologici, seguendo il secondo principio della termodinamica dei sistemi aperti che corrisponde di fatto alla legge di guarigione omeopatica di Hering vista nel percorso retrogrado verso la genesi della malattia.
D’altra parte, l’esperienza clinica ha confermato la universalità della osservazione di Hahnemann ed ha verificato la relazione tra i sintomi della pelle e quelli di organi più interni.
L’esperienza conferma sempre che in ogni individuo l’equilibrio biologico verso la guarigione omeopatica segue una via centrifuga dall’interno verso l’esterno; mentre la malattia procede in senso inverso.
Di solito un rimedio omeopatico ben prescritto riporta alla luce una manifestazione eczematosa o altro in seguito alla scomparsa di una patologia più invasiva.
Notoriamente la soppressione della psoriasi attraverso applicazioni esterne soppressive porta alla artrite, asma, o ad alterazioni dell’umore fino alla depressione e altro.
Con la ricomparsa della eruzione stessa, anche in modo ciclico e autonomo, il paziente osserva la sparizione dei sintomi più interni ma ritorna il disagio sulla pelle.
D’altra parte, questo dinamismo, nell’ottica della medicina organicistica e specialistica, non può essere valutato, in quanto l’impalcatura scientifica convenzionale risulta carente metodologicamente nell’osservazione clinica unitaria o ippocratica del malato: anche se spesso tutto ciò viene osservato empiricamente dal sanitario attento.
La mancanza dei riferimenti metodologici è dovuta all’assenza di una sperimentazione sull’uomo sano di droghe infinitesimali e alla osservazione della direzione clinica unitaria del processo di guarigione.
Nella visione specialistica e riduzionista la diagnosi diventa quindi solo distrettuale e circoscritta.
Come abbiamo già avuto occasione di dire le conseguenze di questa impostazione localistica sono rappresentate da una terapia mirata alla malattia specifica della pelle che il più delle volte diventa invasiva in quanto sopprime una tappa esonerativa che l’organismo aveva seguito autonomamente e naturalmente nello sforzo di mantenere il proprio equilibrio o omeostasi di sistema aperto.
Considerazioni – Imparare ad osservare le manifestazioni della pelle e ad essere attori della propria salute – Stato cronico ed evento acuto
Stato cronico:
Da quanto è stato esposto, in estrema sintesi, risulta fondamentale per l’uomo recuperare la misura della sua salute e riappropriarsi del personale discernimento e sensibilità.
Il medico omeopatico, nel percorso di vita in cui guida il malato, stimola il paziente ad osservarsi ed a percepire i cambi e le relazioni intese come concomitanze, modalità ed eventi peculiari della propria salute che lo rendono unico ed inedito.
Lo aiuta ad essere l’attore della propria guarigione o del percorso terapeutico attraverso la consapevolezza del significato del movimento sintomatologico del proprio stato di malattia ed a valutare la direzione dei sintomi.
Il processo di guarigione si esprimerà sempre attraverso un movimento centrifugo dall’interno verso l’esterno mentre quello di malattia percorre la direzione opposta o centripeta; dove la pelle rappresenta l’ultimo confine e quindi una spia del dinamismo della malattia e del tentativo autonomo di guarigione.
D’altra parte, in assenza di una visione complessiva della natura delle malattie ogni manifestazione che affiori sulla pelle viene in generale intesa come una manifestazione patologica localizzata e non come l’espressione di una modalità reattiva del tentativo di guarigione del movimento autonomo dell’organismo in direzione centrifuga.
In questi casi si comprende quanto possa essere pericolosa e dannosa per l’economia generale dell’organismo ogni terapia localistica ed ogni tentativo di cura palliativa mirata solo alla soppressione del sintomo, nonostante la sparizione dello stesso, nell’economia dell’unità dell’organismo.
Naturalmente facciamo riferimento a malattie croniche che si caratterizzano con manifestazioni periodiche o concomitanti a certi stimoli esterni (dall’alimentazione al contatto con agenti biologici o semplicemente chimici).
Il malato acuto:
Nelle manifestazioni acute dovute a lesioni per cause esterne, sia traumatiche come ritenzione di schegge, terra od altro, che relative ad eventi fisici come ustioni oppure conseguenti a morsi ed a punture di animali o piante l’azione deve essere combinata al fine di rimuovere e neutralizzare le cause esterne sia in termini medici che chirurgici locali sia intervenendo dall’interno con il rimedio analogico per coadiuvare e sollecitare l’azione curativa autonoma.
Naturalmente nell’azione medica l’omeopata farà riferimento ai propri presidi terapeutici che sono l’espressione di una sperimentazione e che agiscono attraverso il “principio di similitudine” ovvero nella direzione richiesta dai sintomi di quel malato e quindi nel pieno rispetto delle richieste dell’organismo.
Igiene e prevenzione
Riappropriarsi del proprio discernimento significa avere compreso l’enorme importanza dell’argomento di cui abbiamo parlato.
Spesso il sistema pelle, nella nostra società essenzialmente esteriore e di immagine, viene utilizzato come un semplice vestito da apparecchiare e mostrare come una sorta di rappresentazione del proprio essere e quindi come l’espressione della propria interiorità.
Questo comportamento è tipico delle società tribali che sono di solito povere e trovano una espressione individuale nell’apparecchiare o modificare la pelle e particolari anatomici.
D’altra parte nell’appiattimento e nella perdita di ideali e motivazioni proprie della nostra attualità, si osserva sempre di più un comportamento proprio di suddette società tribali dove si cerca la distinzione modificando il corpo nella ricerca di un elemento di identità.
Pochi decenni fa le società evolute delegavano ciò essenzialmente all’abbigliamento ed all’acconciatura di barba e capelli.
Oggi, in presenza anche di una offerta di mercato vastissima ed incontrollata, vediamo soprattutto le giovani generazioni fare uso di piercing che alterano l’apparato neuro sensoriale ed inoltre sono posizionati in regioni come l’orecchio che, come ci insegna l’agopuntura cinese, rappresenta la terminazione di punti relativi a diverse funzioni in particolare quella intestinale.
Inoltre, estese regioni dell’apparato tegumentario vengono coperte di tatuaggi.
Ci si sottopone in modo incontrollato all’esposizione di raggi UV.
Si usa ogni tipo di colorante per capelli.
Si usano prodotti locali per la pelle che spesso provocano reazioni allergiche e così via.
D’altra parte, per le funzioni e le implicazioni biologiche estremamente importanti della pelle essa necessita di attenzione di rispetto e di un amore costante soprattutto mirato a sostenere le sue funzioni; sia quelle essenzialmente vitali in termini biologici sia quelle che preservano ed esaltano anche in termini relazionali la propria sensibilità neurosensoriale.
Le grandi civiltà come quella Egiziana, Etrusca e Romana ci hanno lasciato una enorme testimonianza di quanto il culto dell’igiene della pelle non fosse semplicemente una libera scelta ma una esigenza sociale essenzialmente igienica nei termini della salvaguardia della salute.
Tipiche di queste società erano i luoghi in cui la gente si ritrovava per fare abluzioni, usare detergenti naturali e non invasivi con lo scopo di liberare i pori, tonificare la pelle riattivandone la circolazione ed infine con la pratica di massaggi opportuni ed oli specifici frutto di esperienza tradizionale.
Nel nostro tempo e nella nostra società accelerata l’attenzione alla nostra igiene resta affidata essenzialmente al tempo che le dedichiamo, all’attenzione e ad una conoscenza informata e credibile degli strumenti da utilizzare; in definitiva questa attenzione deve risultare proporzionale al ruolo ed all’importanza vitale che la pelle rappresenta nell’economia unitaria della salute della persona umana!
Conclusioni con un avvertimento clinico: “il solo vero medico”
Questa esposizione ha voluto esemplificare la visione metodologica della medicina omeopatica che agisce nella sola visione vitalista del malato, facendo riferimento a condizioni cliniche della pelle che seguono la direzione spazio-temporale ontogenetica del singolo malato e i suoi riflessi unitari; quindi, dalla nascita in poi.
Naturalmente il clinico vero dovrà discriminare sul carattere emuntoriale e naturale di una eruzione dell’infanzia e dell’adolescenza, nella visione della legge di Hering, dalla lesione che può affiorare o determinarsi sulla pelle come riflesso di un risultato patologico interno, non più trattabile nei termini vitalistici del metodo omeopatico perché vede già implicato tutto l’organismo in termini vitali e dove la direzione della patologia può perdere di significato in un processo biologicamente disordinato e non lineare.
Non si tratta in questo caso di un tentativo di guarigione ma di un riflesso della profondità della malattia che è già di per sé diffusa in tutto l’organismo.
In conclusione, esiste un solo vero medico, non è né omeopata o allopata, ma è solo e innanzitutto medico
Egli deve saper ri-conoscere la “natura del caso” in termini di patologia unitaria e distinguere un piano reattivo naturale da quello complicato anche da precedenti interventi.
Solo così il sanitario potrà arrivare alla giusta decisione terapeutica fosse anche chirurgica, la migliore possibile, in scienza e coscienza, per quel soggetto storico!