Il tempo stringe ma continuiamo ad attardarci su questioni solo apparentemente cruciali! Non neghiamo certamente l’importanza della strategia economica per la decarbonizzazione delle attività produttive, lo sono altrettanto i risvolti sociali derivanti da un possibile cambio radicale del sistema economico… ma quanto lo sono realmente davanti all’ipotesi di uno stravolgimento totale dell’ecosistema che porterebbe l’uomo a vivere in un ambiente sempre meno ospitale?
Di Antonio Lumicisi per “Il Cambiamento” l’articolo: “Clima e futuro: ci riguarda tutti”
Un po’ ci avevamo creduto, dopo la vistosa diminuzione delle emissioni globali di anidride carbonica (CO2) durante i duri lockdown della prima ondata Covid, giunte fino ad un -6,4% nell’insieme del 2020 rispetto all’anno precedente. Ma, con la ripresa di gran parte delle attività economiche, le emissioni sono già tornate ai livelli pre-pandemia. Anzi, a livelli anche superiori: secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), si registra un +2% nel dicembre 2020 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. La ripartenza sembra quindi avvenire sotto il segno del “business as usual”, come ci ricorda anche il climatologo Luca Mercalli (link al sito) e ciò dimostra quanta strada resti ancora da fare per trasformare la nostra economia e la nostra intera società a bassa intensità fossile.
Il prossimo novembre si svolgerà la COP26 a Glasgow, in Scozia (Regno Unito), un paese uscito dall’Unione Europea che certamente vorrà dimostrare di aver fatto la scelta giusta. Non ci interessa, in questo momento, valutare la scelta politica di quel Paese, ma capire meglio se ci sono veramente le condizioni per una drastica correzione della rotta. Ricordiamo subito che COP26 indica la 26esima sessione della Conferenza delle Parti, cioè dei paesi aderenti alla Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (UNFCCC); sono quindi 26 anni (dal 1995) che delegati di tutti i Paesi si incontrano per affrontare il tema dei cambiamenti climatici e, nello specifico, la riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Uno specifico Protocollo (di Kyoto) avrebbe dovuto indirizzare e gestire gli impegni di riduzione delle emissioni dei paesi, ma la realtà è stata diversa: di fatto, a parte la parentesi lockdown, la ripresa delle attività sta portando le economie mondiali ad una consistente emissione di CO2 oltre che finanziare l’industria dei combustibili fossili. I dati dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) sono chiarissimi ed evidenziano l’inarrestabile intensificazione del cambiamento climatico, l’aumento nella frequenza e nell’intensità degli eventi climatici estremi e le gravissime conseguenze che ricadono sulle persone, sulle società e sulle economie mondiali.
Secondo i dati pubblicati, le emissioni di gas serra hanno continuato la loro crescita nel 2019 e nel 2020, e le temperature sono salite ai livelli più alti mai registrati dal 1850. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, insieme al Segretario Generale del WMO, Petteri Taalas, hanno esortato i leader mondiali all’azione, chiedendo impegni radicali per la riduzione delle emissioni di CO2 al fine di impedire un ulteriore aumento delle temperature. Non c’è più molto tempo per agire e prima della COP26 i Paesi dovranno presentare i propri piani per ridurre le emissioni globali di almeno il 45% entro il 2030. Per molti, l’appuntamento a Glasgow è l’ultima possibilità per trovare un accordo che porti alla realizzazione degli obiettivi posti negli accordi di Parigi sul clima del 2015. Osservato speciale saranno gli Stati Uniti, dopo la ritirata di Donald Trump e il ritorno in campo con Joe Biden.
E il tempo per agire è sempre più ristretto: secondo le previsioni dell’IEA, le emissioni di gas serra sono in crescita dall’inizio del 2021 e saliranno a livelli ancora più alti del record raggiunto nel 2010, quando le emissioni aumentarono del 6% a causa della corsa alla ripresa della crisi finanziaria del 2008. Secondo l’IEA, la situazione attuale è simile a quella di allora. Le economie globali stanno premendo l’acceleratore sulla ripresa, ma per farlo continuano a basarsi sull’utilizzo di combustibili fossili per produrre energia e questo non aiuterà. Al contrario, potrebbe sancire la fine di ogni speranza di ripresa sostenibile. Bisogna agire, in fretta e nella giusta direzione. Secondo una prima valutazione condotta dall’ONU sugli aggiornamenti dei Piani nazionali di decarbonizzazione finora pervenuti nel quadro degli Accordi di Parigi, le ambizioni sono nel complesso ampiamente insufficienti a centrare l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C a fine secolo: applicandoli – e già questa è una scommessa! – si arriverebbe ad una riduzione di appena lo 0,5% delle emissioni nel 2030 rispetto al 2010, a fronte di quel -45% richiesto dall’emergenza in corso e invocato dalle organizzazioni internazionali. Quindi, al momento, siamo proprio fuori strada, come messo in evidenza da diversi studi ed analisi sulla situazione climatica del nostro pianeta e urge sempre più una ferma presa di posizione per evitare quel collasso che ad oggi sembra inevitabile.