L’omeopatia è una Medicina. Come altre Medicine che si richiamano a principi a volte anche molto più antichi, essa si trova oggi in stridente controtendenza rispetto, vuoi alla società quale si va sviluppando, vuoi alla medicina ufficiale, che inevita-bilmente di quella società è specchio. Le principali tendenze della società – o quanto meno quelle che interessano il discorso che stiamo facendo – sono fondamentalmente due: da un lato la sempre maggiore specializzazione, dall’altro un sempre maggiore affiancarsi della macchina all’uomo. La tendenza alla specializzazione porta a guardare e studiare in modo sempre più esatto e tecnicamente preciso aspetti sempre più parcellizzati dello scibile e di conseguenza a creare operatori che, dovendo sapere moltissimo su problemi particolari, tendono a trascurare quelli generali.
Guardare attraveso il protocollo
In medicina essa è la base della medicina d’organo, che ha lo scopo di conoscere in maniera approfondita i singoli organi e il loro specifico funzionamento consentendo di intervenire su ciascuno di essi con sicura competenza. Tale parcellizzazione e la fiducia nella sua efficacia portano a loro volta ad unificare in protocolli statisticamente attendibili le singole terapie per i singoli organi e per le malattie che ciascuno di essi possa presentare. E’ logico che una tale impostazione abbia evidenti vantaggi. Anzitutto essa toglie, agli occhi almeno di chi ne segua la filosofia, l’arbitrio (?) del singolo medico che fosse tentato di deviare dall’ortodossia espressa dalle linee guida e dal protocollo; in secondo luogo essa apre la strada alla macchina, che è meno anarchica e più psicologicamente affidabile: non disubbidisce, non pianta grane e se lo fa viene riportata all’ordine (all’ortodossia) da un semplice tecnico e non da un inaffidabile, potenzialmente eterodosso consesso umano.
L’omeopatia ha una visione diametralmente opposta, per l’omeopata essendo malato non tanto l’organo quanto la persona che lo porta. Per il medico omeopata quindi guardare solo l’organo portatore del sintomo anziché l’intera persona è un controsenso: l’omeopata è filosoficamente un olista e la sua We ltanschauung resta tale anche quando, in concreto, si conceda un uso allopatico dell’omeopatia. (Qualcosa del genere accade nella psicologia relazionale che individua la devianza del singolo componente del gruppo, non in lui come individuo, ma nelle dinamiche sottostanti al gruppo nella sua interezza).
Conseguentemente per un omeopata il protocollo è un’inutile palla al piede che gli impedisce di lavorare in scienza e coscienza; di fronte al protocollo l’omeopata si sente come un pilota da corsa la cui macchina venga posta sui binari del tram. Ma la specializzazione, unita al progresso tecnologico introdotto anche dalla cibernetica, apre altresì la porta alla macchina che, sempre più precisa e raffinata, tende a sostituire l’uomo già oggi in molti campi, in evidente e continua espansione, ma che anche quando non lo sostituisce, ne muta nel tempo, insensibilmente quanto inevitabilmente, il pensiero spostandolo dall’umanistico al tecnologico.
Conservare o recuperare la salute
Tutte queste cose insieme, unite – sarebbe ipocrita il negarlo – ad enormi, determinanti interessi economici, spingono verso una tecnica che pretende di garantire la guarigione a condizione che anche l’individuo sano si sottoponga al sistema generale tecnico e computerizzato. Una vita sana a questo punto diventa assai meno importante, gli errori potendo venire immediata-mente corretti da appositi protocolli medico-tecnologici che, una volta ammalato il singolo organo, lo risanano o addirittura lo sostituiscono: curare è meglio che prevenire e inoltre rende di più, soprattutto se il male viene opportunamente cronicizzato.
Come da più parti è già stato osservato, l’attuale società non tende quindi affatto a preservare la salute mediante la tenuta in efficienza delle forze e degli equilibri naturali, ma prevede un possibile (un probabile) ammalarsi dovuto per l’appunto all’opera inquinante e venefica delle varie tecniche di cui si serve la società stessa (inquinamento, pesticidi, clima e quant’altro); ma questo non preoccupa: la salute secondo tale modello non va conservata, bensì recuperata ad opera della tecnica medica stessa, espressa poi in maniera parcellizzata dai protocolli.
In architettura tale filosofia ha portato, in un recente periodo, a costruire edifici senza finestre, essendo l’aerazione garantita dai climatizzatori e l’illuminazione dalla corrente elettrica. L’impatto di tale metodo sulla psiche di chi li abitava, pur prevedibile prima, è stato capito dopo e il metodo abbandonato. La storia dell’uomo è la storia di un’incessante lotta contro natura; quello descritto fin qui non è oggi pertanto, ci piaccia o no, se non lo stato dell’arte.
L’omeopatia rispetto a tale filosofia si pone in posizione diametralmente opposta: l’unicità dello psicosoma, la peculiarità di ogni individuo, simile ma non eguale ai suoi intraspecifici, l’importanza fondamentale della preservazione della salute mediante le difese immunitarie naturali, la portano oggi su una precisa rotta di collisione con la medicina ufficiale, rispetto alla quale essa tende a divenire sempre più alternativa e sempre meno complementare proprio per la profonda incompatibilità filosofica che da essa la divide: da una parte l’umanesimo, dall’altra la tecnologia. Data perciò l’assoluta incompatibilità delle filosofie che sottendono ciascuna di loro, il conflitto è non probabile, ma certo e del resto già in atto. Incerto ne è solo l’esito.
Non sempre vince Davide
Qua si aprono due ipotesi.Se l’omeopatia non avrà troppo successo, se non si farà troppo notare, se perciò non pesterà piedi importanti, se resterà in un suo consolidato, preciso territorio di nicchia, con un numero elevato ma non troppo di praticanti, essa non toglierà uno spazio sia scientificamente, sia soprattutto economicamente importante alla struttura medica egemone, un po’ come avviene oggi con i buddisti rispetto alle chiese cattoliche e riformate dominanti, che un po’ li deridono un po’ li osservano, ma mai li temono. Se tutto ciò avverrà, essa continuerà come oggi ad avere una sua vita, forse non molto brillante ma solida e autonoma, accontentandosi la medicina ufficiale di definirla, con il noto sorriso ebete di superiorità, “acqua fresca” e dando la colpa all’intera omeopatia tutte le volte che un singolo omeopata compia un errore.
A differenza da quanto accade ovviamente per chi segue l’ortodossia, giusta per definizione in quanto, come tutti sanno e come sostenne un noto personaggio tedesco, Gott mit Uns. Ma se invece, Dio non voglia, l’omeopatia, con i suoi antichi, collaudati valori, ben precedenti lo stesso Hahnemann, dovesse troppo affermarsi e nel tempo occupare anche il vasto spazio terapeutico destinato ad essere lasciato vuoto vuoi da quelle frange statistiche che i protocolli non possono che trascurare, vuoi dalle approssimazioni inevitabili in una medicina troppo basata sulla statistica, c’è da prevedere che, proprio come accadde nove secoli fa agli Albigesi e proprio per lo stesso motivo, la potenza economica della medicina ufficiale la schiaccerebbe sotto il proprio tallone economico e mediatico: Gott…La Storia poi, scritta come sempre dai vincitori, ripeterebbe quanto avvenuto con i Savoia e i Borboni di Napoli, i secondi tutt’altro che inferiori ai primi (oggi ben lo sappiamo) ma definiti “la negazione di Dio” da parte di chi di Dio non si intendeva affatto, ma di potere e di quattrini.
Da Il Medico Omeopata Anno XXV Numero 72
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