“La medicina è una professione che incorpora la scienza e il metodo scientifico con l’arte di essere un medico. L’arte di prendersi cura dei malati è antica quanto l’umanità stessa. Anche nei tempi moderni, l’arte di prendersi cura e confortare, guidata da millenni di buon senso e da un approccio sistematico più recente all’etica medica, rimane la pietra angolare della medicina. Senza queste qualità umanistiche, l’applicazione della moderna scienza della medicina è subottimale, inefficace o addirittura dannosa.
I guaritori dei tempi antichi e delle culture premoderne hanno tentato una varietà di interventi per aiutare gli afflitti. Alcune delle loro pozioni contenevano quelli che oggi sono noti per essere ingredienti attivi che formano la base per farmaci comprovati. Altri sono persistiti nell’era attuale nonostante la mancanza di prove convincenti.
La medicina moderna non dovrebbe escludere la possibilità che questi approcci non dimostrati possano essere utili; dovrebbe invece adottare un principio guida secondo cui tutti gli interventi, sia tradizionali che di recente sviluppo, possono essere testati rigorosamente, con l’aspettativa che qualsiasi effetto benefico possa essere ulteriormente esplorato per determinarne le basi scientifiche.”
Questo brano non è stato estratto da qualche pubblicazione di medicina complementare o naturale.
E’ l’incipit del più longevo e diffuso testo americano di medicina interna, pubblicato per la prima volta nel 1927 e giunto alla sua ventiseiesima edizione, il Goldman-Cecil, i cui autori sono insigni professori delle maggiori università americane.
Contrariamente ad altri famosi testi di medicina, in cui è celebrato l’aspetto tecnico scientifico della medicina, il Goldman-Cecil decide di accompagnare il lettore con un approccio di umanesimo scientifico in cui sopravvive l’arte medica di prendersi cura dei malati, affiancata da una vera scienza che è, per sua implicita natura, costantemente protesa ad ampliare il sapere investigando qualunque aspetto della realtà conoscibile, non disdegnando l’investigazione delle pratiche di cura tradizionali se, con analisi rigorosa, possono offrire opportunità di sollievo delle sofferenze umane.
La conoscenza scientifica non è un fatto definitivo, ma un processo continuo di acquisizioni, non estraneo alle interpretazioni soggettive dello scienziato.
Nonostante le migliori intenzioni degli scienziati, la concettualizzazione medica di un oggetto presumibilmente coeso di conoscenza può subire una trasformazione del tutto indipendente dall’evidenza sperimentale scientifica ed essere espressa, nelle edizioni del Goldman-Cecil che si sono succedute dal 1927 al 2000, con una dialettica persistente tra diverse ipotesi eziologiche e attribuzioni di colpevolezza sociale e riparazione, come dimostrano Virginia W. Chang e Nicholas A. Christakis in un’approfondita analisi dal titolo Medical modelling of obesity: a transition from action to experience in a 20th century American medical textbook.
Cosa sottolinea questo breve esempio?
Che le conoscenze scientifiche sono sempre provvisorie e continuamente riformulate in base alle nuove acquisizioni ricavate dalle scienze di base e dalle evidenze cliniche.
Non solo. La scienza è un’attività umana non scevra dalle possibili contaminazioni degli aspetti interpretativi dello scienziato e della sua personale visione della realtà.
Se il metodo scientifico fondato da Galileo è un faro che illumina il percorso della conoscenza, la scienza è il bagaglio di conoscenze acquisite tramite la corretta applicazione del metodo scientifico. Conoscenze mai definitive.
Come affermava il grande clinico Augusto Murri: “Tutte le nostre verità sono concetti relativi allo stato delle nostre cognizioni di fatto … Si potrebbe anche dire che la maggiore dote dello spirito scientifico è la sua permanente mutabilità … Ai “veri eterni” noi preferiamo i nostri errori di oggi; a noi basta sapere che questi contengono un po’ più di vero degli errori di ieri”
Come hanno osservato molti epistemologi come Peirce, Popper, Lakatos e Putnam, le verità scientifiche sono sempre rivedibili e correggibili.
Il fisico Roger G. Newton ci sospinge oltre, al confine del reale: “Le teorie (scientifiche) sono di solito costruzioni mentali immaginative, avvalorate dall’accordo tra le loro implicite previsioni ed i fatti che si possono osservare; ma poiché sono sempre semplificazioni ed astrazioni delle relazioni tra fatti ed eventi, fino a che punto possiamo considerarle vere?”
Ancora Roger Newton ci presenta la soluzione che i costruttivisti propongono per affermare la veridicità della conoscenza scientifica: “Il consenso tra i membri di una cultura non è soltanto un modo valido per arrivare alla verità, ma addirittura ne definisce il significato; il altre parole, il consenso (tra i membri di quella comunità) è l’unico criterio di validità”.
Scrive Giovanni Federspil (già Professore di medicina interna all’Università di Padova): “Per i costruttivisti la scienza è un edificio eretto su niente altro che un accordo tra i membri di un gruppo ristretto, considerando la Natura “la fuori” (la realtà) irrilevante per la determinazione finale della verità scientifica; mentre il modo di dire le cose è più importante del possesso della verità”
Questa visione relativistica, e quasi decadente, della conoscenza scientifica, soggiogata al consenso interno ad una comunità, può trovare risoluzione nel recupero della scienza come percorso di acquisizione progressivo della conoscenza di una realtà che non è comunque mai separabile completamente dall’osservatore, come le esperienze della fisica quantistica dimostrano. Le conoscenze scientifiche sono perciò provvisorie e parziali, costantemente suscettibili di ampliamento, revisione e miglioramento.
Conseguentemente la vera scienza non impone le sue acquisizioni, come se fossero verità definitive, ma è costantemente aperta al confronto e allo studio della realtà secondo le regole del metodo scientifico che meglio si addice all’osservazione dei fenomeni oggetto di studio.