Nell’etica della catastrofe, “tenere gli altri a distanza è l’ultima speranza” (Elias Canetti, in Massa e potere; citato da Marco Revelli nel Prologo del suo Umano Inumano Postumano). Il digitale ha occupato questo spazio non più propriamente umano. Uno spazio inumano, in cui l’uomo non si riconosce più nell’altro; uno spazio vuoto, vacuo, postumano, in cui le cose e le persone si guardano a specchio. In cui oggetti progettati dall’uomo per le sue finalità, potrebbero in parte sostituirlo e al limite farne a meno. O comunque togliere spazio alle relazioni degli uomini tra di loro.
Un po’ fantascienza e distopia, un po’ presa di coscienza di una direzione possibile ed insostenibile. Quella in cui a comandare sia la voce non umana del dominio economico e tecnologico.
Dopo l’era Gutenberg della stampa e della riproduzione tecnica della scrittura, dopo l’era del medium elettrico e della riproduzione analogica delle immagini e dei suoni, siamo nell’epoca del digitale. Che aumenta la distanza, ma ci da anche la misura di quel pathos della distanza che è il rispetto reciproco. Il digitale è discreto, meno invasivo della presenza continua.
Il digitale non è solo una copia dell’originale, è una copia originale della realtà, può sostituirsi ad essa e modificarla. Nel formato digitale non c’è più la continuità di una tradizione, ogni cosa viene frammentata e ricomposta. Può esser visto come un azzeramento dell’esperienza vissuta, ma ci si può trovare la sobrietà, la discontinuità, l’alterità della distanza. L’altera lucida strategia della Regina degli scacchi, ma anche la sua anima tormentata.
Il digitale ha qualcosa di quell’aura, che Walter Benjamin pensava potesse essere sottratta all’opera d’arte dalla sua riproducibilità: “l’apparizione unica di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina”.
Nel digitale tutto è possibile, niente è reale. Tutto è connesso, niente è in contatto. Tutto appare vicino, niente è intimamente vissuto. L’accesso è quasi universale, i messaggi ne diventano anonimi ed impersonali.
Il nostro tempo ci impone una educazione al digitale, ad una comunicazione meno virale che intelligente. Perché la distanza abbia anche la dimensione umana del rispetto, bisogna mantenere vivo il valore umano della vicinanza. Un margine di distacco può essere prezioso, se non rinunciamo alla nostra generosità. Senza anche lo choc della presenza, l’aura della distanza è spettrale. Abbiamo bisogno di pudore nella vicinanza, di partecipazione nella distanza.
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1 commento
Paola Ricca Mariani
È davvero il grande tema del momento. Ci troviamo improvvisamente immersi per tempi prolungati in un medium che non è quello che la specie umana ha esplorato per centinaia di migliaia di anni. E pochi ne sono davvero consapevoli. Osservare la differenza tra il proprio e altrui vissuto in presenza e a distanza può aiutarci in questa transizione verso l’ignoto