“Cosa c’è di più bello che vedere un bambino crescere e diventare adulto, poi magari genitore e che ti porta i suoi figli?”
Ho pronunciato queste parole all’inaugurazione del Giardino Ubaldo Gallerani, dedicato a mio padre, pediatra del secolo scorso.
Ed è proprio così: è lo scorrere della vita con tutti i suoi misteri e miracoli, dalla gravidanza alla nascita, alle acquisizioni psichiche e motorie del bambino fino all’età adulta.
Il pediatra (uso questo genere neutro, ma intendo ovviamente anche tutte le pediatre!) entra così, il più delle volte da sconosciuto, nelle case, nelle famiglie come persona di riferimento oltre che di cura, sia nel benessere che nella malattia.
Spesso fa amicizia e alleanza col bambino stesso anche per il futuro; diventa un intermezzo, dopo i genitori e dopo i nonni, col mondo esterno.
Certo che deve avere capacità, conoscenza, autorevolezza comunicativa, empatia e disponibilità all’ascolto.
Ma in tutte le cose c’è sempre un “ma”… Mi spiego meglio… Dall’altra parte, da parte dei genitori, occorre che richieste e sollecitazioni non siano eccessivamente frequenti e fatte spesso per evitare o delegare delle scelte; che ci sia il rispetto per il professionista e per le regole di studio; che la vera necessità sia la guida a interpellare il medico e non la facilità a spingere il tasto di chiamata del telefono; che ci sia la capacità di sopportare un diniego alla richiesta di certificazioni e prescrizioni, se non ritenute necessarie e che si alleni la pazienza in sala d’attesa o al telefono occupato…
Sapete che il pediatra è un vero specialista, ma non in verità riconosciuto come tale al 100% e posto tra gli specialisti è il medico generico?
Che quasi tutti i sabati mattina sono impegnati in corsi di aggiornamento obbligatorio e non nello shopping o in cose di famiglia?
Che il redigere e firmare un “semplice” (come alcuni genitori lo definiscono “un pezzo di carta”!) certificato per lo sport non agonistico implica conoscere il paziente e assumersi le responsabilità del caso?
Avete mai pensato che a volte la distanza che mantiene il pediatra, in certi casi, è solo per salvarsi dalle troppe emozioni e dalle sofferenze dei suoi pazienti?
E ancora, che, dopo aver fatto una visita e soprattutto una diagnosi importante, il pensiero al bambino malato è presente e accompagna il medico? Magari si potesse dimenticare il caso uscendo di casa o chiudendo la porta dello studio. Invece bisogna mantenere un equilibrio sempre per potere supportare i genitori e il bambino stesso. Emozioni tante insieme ai dubbi di aver proceduto per il bene di tutti. Pensieri che restano anche tra le mura domestiche e che si riflettono nella vita personale e famigliare.
Che la burocrazia ha tolto intimità e fluidità al rapporto tra medico e paziente, di questo purtroppo tutti se ne saranno accorti, e anche dell’appiattimento delle menti.
Che a volte non si è liberi di pensare e agire perché ci sono protocolli da seguire?
Questo fa parte del gioco. C’è chi accetta “passivamente”, c’è chi trova un modus vivendi, c’è chi si ribella.
Dopo aver passato un pomeriggio, in corso di epidemia influenzale, a prescrivere a un numero infinito di bambini, sempre le stesse cose (antipiretico, broncodilatatore, cortisonico, e più o meno antibiotico) mi chiesi come fosse possibile questo standard. “Ma a tutti fa bene questo schema? Si può mai globalizzare una tosse o una febbre e ridurre tutto a una ricetta?”.
La risposta fu: “Sicuramente NO”.
E allora che si fa?
Per salvare questa meravigliosa e autentica relazione che esiste tra la pediatria e il rapporto di fiducia con la famiglia, occorre forse aprire gli occhi, guardare oltre e cercare una soluzione più personalizzata.
Ed ecco che spunta il “PEDIATRA OMEOPATA”che, da medico esperto ovviamente e non improvvisato in materia, utilizza qualcosa di più “naturale”, di più pensato per il bambino e di più personale.
Usiamo pure l’omotossicologia che va verso questa direzione, usiamo pure il complesso (medicinali con più rimedi omeopatici) che sicuramente è già un grande passo verso l’altro, ma la scelta di un rimedio solo o anche di due, in un acuto, sulla base di poche modalità con cui appaiono i sintomi nel bambino, si può fare anche in uno studio pediatrico, migliorando così la situazione personale del piccolo paziente. Resta comunque fermo il fatto che il pediatra sia esperto in materia omeopatica. Poi in un secondo tempo, si penserà a un rimedio più profondo, ad hoc.
In questo modo si potrebbe dire che si sono salvati “capra e cavoli”. Infatti somministriamo medicine che spesso il bambino accetta di buon grado, non invasive, non tossiche, efficaci, soprattutto più simili alla costituzione del piccolo paziente o al momento attuale che sta vivendo e molto rispettose della sua essenza.
Anche qui però c’è un ma… Occorre che i genitori siano d’accordo, sempre e comunque, che seguano la prescrizione e non il fai da te, che si armino di un po’ di pazienza se il bambino trascorre qualche giorno in più prima di una riammissione scolastica o di ripresa della quotidianità. La cura omeopatica non è soppressiva come l’allopatica che abbatte il sintomo ma, mentre cura, stimola l’energia del paziente per rimettere in moto le sue difese.
Pensiamo a qualche giorno in più che, però, servirà a rendere meno frequenti gli episodi di malattia o le ricadute e aiuterà a crescere più sano e capace di reagire, attraverso le sue difese naturali, il nostro delicato e amato paziente.