BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XII • Numero 46 • Giugno 2023
Una montagna, in quanto realtà fenomenica, o piuttosto acquisita per mezzo dell’esperienza, rimarrebbe fuori dalle realtà create dall’uomo, come sarebbero, invece, creazioni quali una religione, una costituzione, una scienza. La montagna esiste indipendentemente dalla volontà umana e, presumibilmente, perfino quando la cognizione umana non la coglie, non l’osserva oppure non la concepisce. Indubbiamente, il concetto di montagna, come qualunque altro concetto, viene considerato una rappresentazione astratta o mentale di qualcosa che, stando alle nostre convenzioni sulla cognizione, avrebbe chiari i suoi caratteri essenziali constanti, conoscibili nell’esperienza e attraverso i sensi. Dal punto di vista concettuale, però, anche l’idea di montagna sarebbe un’elaborazione del linguaggio e del pensiero umano e, di conseguenza, una costruzione culturale. Infatti, tutte le questioni dalle quali noi umani parliamo afferirebbero a semplici rappresentazioni, vale a dire a convinzioni o costruzioni immaginali socialmente sancite o legittimate, oppure, avrebbero attinenza ad individuazioni ritenute socialmente infondate o impossibili. Perciò, qualsiasi sia il caso che si verifichi, molti studiosi sostengono che la realtà sia una costruzione sociale.[1]
Se accettiamo questa premessa logica e concettuale, allora, si potrebbe cogliere subito che anche l’Antropocene costituisca una costruzione sociale. Per di più, una tale condizione di costrutto si deduce celermente quando si legge su uno dei pilastri ufficiali della cultura popolare dell’establishment, come Wikipedia, che l’Antropocene è una proposta epoca geologica, nella quale gli umani, con le loro attività, sarebbero riusciti, con modifiche territoriali, strutturali e climatiche, ad incidere sui processi geologici.
Disquisire di Antropocene, con il rigore che comporta il non identificarsi pedissequamente con il contenuto ideologico ambientalista del concetto, impone tener presente, in partenza, un limite, vale a dire intendere che si tratta di una proposta, cioè di un concetto ancora non sancito dagli enti che certificano ciò che quell’insieme di attività e nozioni, denominato geologia, ci rappresenta riguardo la costituzione, la struttura e l’evoluzione della crosta terrestre. Ed è esattamente di questa proposta che ci occuperemo in questo articolo, seguendo la provocazione di James Westcott che suggerisce, nel suo saggio Written in stone [2], che nella loro fretta per definire un’era geologica, i sostenitori dell’idea dell’Antropocene potrebbero stare a vendere le loro idee allo scoperto, vale a dire, in senso figurato, che starebbero a vendere titoli non direttamente posseduti dal venditore. È questa tonalità di proposta e, quindi, di opportunità di vedere il concetto dell’Antropocene mentre viene modellato nei cantieri della geologia, ciò che lo rendono interessante di fronte agli interessi del progetto editoriale BIO, volto alla decostruzione nozionistica ereditata dalla modernità e della sua paradossale inclinazione a rendere realtà ontologica ciò che altro non sono che semplici rappresentazioni o modelli mentali magicamente reificati nel discorso, istituendo come concreto un mero castello di idee.
Cosa è un’era geologica e che cosa è un’epoca geologica
Per meglio capire la natura di costruzione sociale dell’Antropocene si rende indispensabile fare un po’ di ripetizione di alcune nozioni elementari attinenti all’argomento. Consideriamo in partenza le nozioni di era ed epoca geologiche. Anche se entrambe fanno riferimento al tempo queste nozioni non sono scambiabili. Infatti, si tratta di suddivisioni che nella cosiddetta scala dei tempi geologici non corrispondono. Era ed epoca riguardano unità geocronologiche, vale a dire intervalli di tempo corrispondenti a periodi durante i quali si sarebbero deposti insiemi di rocce corrispondenti ad unità cronostratigrafiche. Queste ultime, invece, riguarderebbero insiemi di rocce che si sarebbero formate in un determinato periodo di tempo o unità geocronologica.
Dunque, quando si fa riferimento ad un’era o ad un’epoca in geologia si sta facendo riferimento al tempo. Questa dimensione temporale costituisce una problematicità di difficile risoluzione nella costruzione delle nozioni della geologia. Infatti, nella fisica d’oggi il tempo viene considerato un’esperienza fenomenica la cui struttura dipenderebbe delle nostre modalità percettive ed interpretative del dinamismo degli oggetti, come sostiene Carlo Rovelli nel suo saggio L’ordine del tempo.[3] Per intenderci e per quanto riguarda il ragionamento delle nozioni della geologia come costruzioni sociali, afferendo al tempo si fa riferimento ad un’esperienza soggettiva umana anziché ad una realtà ontologica oggettiva, cioè una realtà che assumiamo come esistente indipendentemente dall’attività. conoscitiva dell’uomo.
Come appena confermato, per rendere chiara la nozione di era o di epoca in geologia abbiamo però bisogno di fare riferimento alla cronostratigrafia perchè è all’interno di questa disciplina che viene definita l’idea di un’era o di un’epoca geologica. In effetti, in cronostratigrafia, un’era geologica sarebbe una delle suddivisioni di un altro modello di rappresentazione: la scala dei tempi geologici [4] che rappresenta un modo per suddividere il tempo che sarebbe trascorso dalla formazione della Terra ad oggi, modello in continua evoluzione e condiviso dalla comunità scientifica internazionale. Al riguardo, esiste un organismo internazionale preposto alla formalizzazione geologica e, quindi, alla nomenclatura di questa scala. Si tratterebbe della Commissione Internazionale di Stratigrafia, che presiede alla ratifica dei Global Stratigraphic Section and Point (GSSP), per meglio dire le sezioni e punti stratigrafici globali. Questi sarebbero affioramenti rocciosi nei quali sarebbe fisicamente presente un limite tra due età geologiche e nei quali sarebbe stato rinvenuto il maggior numero di informazioni fisiche, chimiche e paleontologiche su quel limite rispetto ad altri affioramenti contenenti anch’essi il medesimo limite stratigrafico. Concettualmente, ogni suddivisione nella scala dei tempi geologici raggruppa una fase della storia della Terra caratterizzata da determinati organismi viventi spesso estinti al termine dell’era geologica di appartenenza. All’interno di questo modello le epoche geologiche vengono divise in base a eventi e/o elementi più facilmente riscontrabili nella stratificazione, ad esempio, l’era del Mesozoico, sarebbe compresa tra due estinzioni di massa, quella del Permiano-Triassico, e la più nota del Cretaceo-Paleocene.
Il passo successivo che va compiuto in quest’introduzione sarebbe quello di mettere in relazione la nozione di era oppure di epoca geologica, come unità geocronologica, con la nozione di unità cronostratigrafica, vale a dire quell’insieme di rocce che si sarebbero formate in un determinato periodo di tempo o unità geocronologica. Al riguardo va segnalato che l’unità cronostratigrafica fa riferimento ad un oggetto materiale (le rocce), mentre l’unità geocronologica costituirebbe un’entità immateriale (un intervallo di tempo). Per meglio far comprendere la differenza fra i due tipi di unità e la stretta relazione esistente fra queste vale l’analogia degli esperti in materia con la clessidra: l’unità cronostratigrafia sarebbe la sabbia che scorre accumulandosi nell’ampolla inferiore, nel tempo dato dall’unità geocronologica. Da questo intricato excursus sulla questione si palesa che quando si fa riferimento ad un’era o ad un’epoca geologica si fa riferimento ad importanti cambiamenti nelle associazioni fossili e, inevitabilmente, a cambiamenti che sarebbero avvenuti nel corso di milioni di anni alle specie viventi, trasformatesi ad opera del processo irreversibile dell’evoluzione.
La Commissione Internazionale di Stratigrafia classifica l’epoca in cui viviamo come Olocene
La Commissione Internazionale di Stratigrafia ha collocato l’inizio dell’Olocene al termine dell’ultima fase glaciale della Terra circa 11.500 anni fa. Dunque, l’intera storia dell’uomo a partire dell’introduzione dell’agricoltura, si sarebbe svolta fino ad oggi all’interno dell’Olocene. Oggi però esiste un movimento che interpreta l’epoca attuale come una in cui l’uomo sarebbe il protagonista di un processo volto a rimodellare interamente la Terra con un’influenza decisiva sull’ecologia globale. Tale movimento è intento a creare una nuova denominazione a questa unità geocronologica senza che ancora la Commissione Internazionale di Stratigrafia abbia trovato l’unità cronostratigrafica materiale per decretare l’Antropocene. In ogni modo, costituisce un dato di fatto che l’idea dell’Antropocene si accordi talmente bene con la questione ambientalista che, anche se non decretata ufficialmente, siamo convinti di vivere nell’epoca dell’Antropocene.
L’epoca geologica in cui viviamo attualmente, il periodo del tutto recente dall’ultima era glaciale, fu proposta per la prima volta nel 1833 dal geologo Charles Lyell per comprendere il tempo durante il quale la Terra era stata affittata dall’uomo. Il paleontologo Paul Gervais nel 1867 soprannominò questo periodo Olocene, nome che fu formalizzato al Terzo Congresso Geologico Internazionale di Bologna nel 1885. Ma sarebbero passati altri 84 anni prima che il termine fosse approvato dalla Commissione statunitense sulla Nomenclatura Stratigrafica [the US Commission on Stratigraphic Nomenclature] nel 1969, e solo nel 2009 l’Olocene è stato premiato con la propria GSSP, [Geological Stratigraphic Section and Point / Sezioni e Punti Stratigrafici Globali], vale a dire una spike d’oro che segnalerà l’affioramento roccioso nel quale sarebbe fisicamente presente il limite tra le due età geologiche, situato, nel nostro caso, in una carota di ghiaccio a 1.492 metri sotto la superficie della Groenlandia.
Effettivamente, come si evince da questo evento o rinvenimento, la scienza e anche la burocrazia della geologia si occupano della sua materia negli enormi periodi di tempo richiesti, ad esempio, 176 anni per l’Olocene, affinchè le idee si sedimentino nel fondamento concettuale della disciplina e poi si consolidino in fatti universalmente accettati. E quell’indurimento sarebbe rappresentato dal GSSP, sigla per i Global Stratigraphic Section and Point, ossia Sezioni e punti stratigrafici globali, cioè quelle spike d’oro che individuano gli affioramenti rocciosi nei quali sarebbe fisicamente presente un limite tra due età geologiche e nei quali sarebbe stato rinvenuto il maggior numero di informazioni fisiche, chimiche e paleontologiche su quel limite rispetto ad altri affioramenti, contenenti anch’essi il medesimo limite stratigrafico. Questi affioramenti rocciosi o spike d’oro sarebbero stati identificati dalla Commissione internazionale di stratigrafia in località distribuite nei vari continenti.
In uno stile da story telling si direbbe che lo “spike d’oro” dell’Olocene viene assegnato dalla Commissione internazionale di stratigrafia [International Commission of Stratigraphy] e viene, cerimoniosamente, conficcato in una parete rocciosa, nel nostro caso, in una carota di ghiaccio, tra due tipi di strati e, per estrapolazione, due epoche diverse, formalizzando così l’Olocene. Da quando il sistema è stato introdotto negli anni ‘70, lo spike d’oro è diventato il Santo Graal della stratigrafia. Possono volerci decenni per trovare un posto adatto sul pianeta in cui piantarlo, là dove gli esperti certificano che il cambiamento nella roccia sia inconfutabile.
Seguendo questa convenzione, il prossimo segno nel tempo della pietra, uno che deve ancora guadagnare il suo spike d’oro, sarebbe l’Antropocene, ovvero noi. Come proposta, l’Antropocene sarebbe avvincente mediaticamente, come si evince delle cover dedicate dal The Economist, The Guardian, Le Monde e Der Spiegel, per citare solo alcune testate. E sarebbe, in apparenza, urgente, come se un termine o una parola potesse salvare il mondo. Quest’urgenza dell’establishment, delegata ai media, starebbe costringendo la gerarchia istituzionale che disciplina la geologia ad accelerare le sue procedure glaciali. Semplicemente, la cultura mainstream e il biopotere che la gestisce non vedono l’ora di dichiarare una nuova epoca.
Concepito nella sua forma attuale dal chimico vincitore del premio Nobel Paul Crutzen [5] e dal biologo Eugene Filmore Stoermer nel 2000 [6] e sviluppato da Crutzen e colleghi in un documento fondamentale del 2007, l’Antropocene costituirebbe un neologismo che tenta di contattare, raccogliere e definire molta dell’ansia fluttuante circa il cambiamento climatico e la miriade di modi in cui l’Homo sapiens starebbe modellando il pianeta a sua immagine e somiglianza.[7] La descrizione dell’Antropocene dovrebbe includere l’individuazione degli umani come una forza geologica potente quanto qualsiasi forza naturale. La documentazione al riguardo sarebbe che spostiamo più materiale di tutti i processi naturali messi insieme, inclusa la sedimentazione di fiumi e oceani. Ugualmente preme per specificare che noi umani abbiamo riprogettato tutti i sistemi terrestri, in particolare i cicli del carbonio biossido e dell’azoto, lasciando una crosta velenosa che le civiltà del lontano futuro potranno scavare e studiare.
Circostanziando la provocazione di James Westcott [8], accennata all’inizio dell’argomentazione, riguardo la fretta della lobby dell’Antropocene nel decretare la nuova era geologica, si potrebbe segnalare che nello stesso momento in cui lo spike d’oro dell’Olocene veniva piantato nel nucleo di ghiaccio della Groenlandia nel 2009, l’Anthropocene Working Group (AWG), gruppo composto da poche decine di geologi e altre parti interessate [9], inizia a cercare lo spike successivo, per identificare il punto in cui gli umani sarebbero diventati una forza geologica globale.[10] In relazione a questa fretta lo stesso Westcott segnala che non importa che i sintomi più acuti dell’Antropocene si siano manifestati solo circa 70 anni fa, vale a dire meno di un battito di ciglia in termini geologici, l’AWG sta facendo tutto il possibile nella sua ricerca globale, dal deserto del New Mexico ai laghi glaciali in Norvegia, per stabilire una base stratigrafica per l’epoca umana, mettendo in atto una corsa folle verso questo simbolo che sancirebbe il carattere istituzionale del concetto. Tale formalizzazione costituirebbe un passaggio importante per l’utilizzo del termine come fondamenta di nuove politiche riguardo le regole volte alla gestione dell’ambiente e, di conseguenza, di noi stessi.
Dal 2009, quando, come accennato, la burocrazia formalizza l’Olocene [11], concedendogli la propria GSSP, al 2015, quando la discussione concettuale popolare nei media aveva uno spazio preminente, poi ridotto con la comparsa della Covid19 e il successivo conflitto geopolitico mondiale, sono state proposte tre date di inizio candidate per l’Antropocene.[12] Originarie di diversi articoli accademici, ma ampiamente pubblicizzati dai media, sono queste: 16 luglio 1945 riguardante la prima esplosione nucleare, proposta dallo stesso AWG; una data molto precedente, quella del 1610 riguardante un calo di CO2 che sarebbe stato rilevato in una carota di ghiaccio in Antartide e che rappresenterebbe il tempo in cui le foreste avrebbero superato i terreni agricoli dopo che 50 milioni di persone nelle Americhe sarebbero morte con l’arrivo degli europei; e ancora anche circa 100.000 anni fa, tempo nel quale uno spesso tappeto di utensili di pietra si sarebbe accumulato su una scarpata in Libia, considerato prova dell’industria libica su vasta scala dei primi ominidi che avrebbe cambiato il paesaggio apparentemente per sempre. Quest’ultimo, stando a Westcott [13], avrebbe avuto difficoltà a conquistare il voto perchè l’evento suggerito costituiva un effetto antropogenico legato a un luogo anzichè un indicatore globale che definisce l’epoca.
Come si evince dagli accenni nozionistici sopra segnalati cercando di definire cosa sia un’era geologica, ciò che costituirebbe un confine stratigrafico sarebbe, innanzitutto, l’apparizione o la scomparsa, improvvisa, di un particolare tipo di fossile. Il periodo carbonifero, ad esempio, sarebbe caratterizzato dalla comparsa del carbone 360 milioni di anni fa. La difficoltà per i geologi consisterebbe nel fatto che ci sarebbe pochissima uniformità negli strati fossili nelle rocce. Ancora meno coerenti sarebbero le prove per stabilire, attraverso la datazione radiometrica, confini temporali uniformi tra gli strati, come puntualizza Westcott.[14] Questo perchè il cambiamento sarebbe, di solito, diacronico, svolgendosi in momenti diversi e a ritmi diversi in luoghi diversi. Con l’Antropocene, la situazione tipica che affrontano i geologi si troverebbe invertita. Avrebbero divisioni temporali chiare per eventi recenti, grazie alla meticolosa documentazione della recente storia umana, ma ancora pochissime prove effettive nella roccia. E le rocce, si potrebbe ripetere con Westcott, avrebbero il loro senso del tempo, diverso dal tempo del calendario umano. La sfida della stratigrafia, o più precisamente, della cronostratigrafia, sarebbe nel coniugare la dimensione materiale delle rocce con la dimensione immateriale del tempo.
Indipendentemente da questi aspetti teoretici, tecnici e burocratici, che costituiscono le coperture di associazioni di categorie e lobby specifiche, l’andamento della formalizzazione dell’Antropocene lascia trapelare il suo contenuto ideologico. Infatti, mentre ogni scoperta di un nuovo confine fa sembrare, in effetti, insignificante l’esistenza della nostra specie, rispetto ai milioni di anni in cui il carbone si sarebbe depositato durante il periodo carbonifero, per esempio, l’Antropocene rimette l’uomo in primo piano e al centro del Pianeta. E mentre epoche e periodi, come segnala Westcott [15], vengono solitamente definiti con confini approssimativi di migliaia o milioni di anni, con l’Antropocene si pensa di poterlo definire fino al secondo.
La costruzione sociale dell’Antropocene: il presente è la chiave del passato o il futuro è la chiave del presente?
Due secoli fa, nei suoi Principles of geology (1830) Charles Lyell espose il suo detto secondo cui il presente è la chiave del passato [16], un’idea allora controversa secondo cui i processi geologici operano allo stesso modo ora come avrebbero fatto nel tempo profondo. L’implicazione di quest’assioma era che si potevano trarre conclusioni sulle epoche precedenti esaminando quella attuale. Lyell avrebbe così cambiato il modo in cui pensiamo al passato profondo e a noi stessi, creando un legame geologico tra i due.
Ora i sostenitori dell’Antropocene starebbero forzando un’accelerazione del detto di Lyell che, in definitiva, risulta notevolmente antropocenico, vale a dire un nuovo grande aggettivo offerto dall’Antropocene per un comportamento impaziente, infatuato, prepotente e, probabilmente, inconscio. Questa forzatura porta a Westcott ad asserire che ora i sostenitori dell’Antropocene starebbero ricalibrando il detto di Lyell considerando il futuro la chiave di lettura del presente.[17] Al riguardo, ciò che Westcott intenderebbe suggerire sarebbe che l’Antropocene postula, concretamente, una visione del mondo in cui noi umani non saremmo solo rilevanti ma interamente responsabili per il destino del pianeta. Nell’opinione di Westcott, ci sarebbe un senso di impazienza epica per i sostenitori dell’Antropocene che vorrebbero che i potenziali disastri del futuro siano visibili ora. Queste lobby vorrebbero il diritto di dare un nome a quel futuro ora, proprio prima che il relitto della storia umana che si accumula ai nostri piedi si sia fatto strada nella permanenza del fondamento verso la crosta terrestre.
Nel 2016 l’AWG [18] raccomandava una data di inizio per l’Antropocene nei primi anni ‘50, relegando molti dei nostri genitori e nonni in un’epoca completamente diversa. Stando a loro, la raffica di esplosioni di test termonucleari del dopoguerra avrebbe lasciato una firma radionuclide [19] che si sarebbe diffusa in tutto il pianeta sotto forma di carbonio-12 e plutonio-239, che avrebbe un’emivita di 24.110 anni. I primi anni ‘50 coincidono ugualmente con l’inizio della Grande Accelerazione nella seconda metà del 20° secolo, un periodo di crescita economica e demografica senza precedenti con impennate corrispondenti, tracciato da Will Steffen e colleghi in Global Change and the Earth System (2004) [20], in ogni aspetto del dominio planetario, dallo sbarramento dei fiumi [damming] alla produzione di fertilizzanti, all’esaurimento dell’ozono.
I sostenitori dell’Antropocene, se si legge attentamente la relazione annua della International Commission on Stratigraphy [21], avrebbero un enorme vassoio di prove che l’attività umana equivalga ad un dominio, quasi totale, del pianeta. Una delle ultime sarebbero nuove mappe che mostrerebbero fino a che punto gli Stati Uniti sono stati asfaltati. Ma il loro problema in termini di formalizzazione sulla scala temporale geologica sarebbe, stando a Westcott [22], che la Terra ha appena iniziato a digerire questo asfalto attraverso la pedosfera (lo strato più esterno) e nella litosfera (la crosta sottostante). La sfida sarebbe convincere i geologi, abituati a scavare molto più indietro nel tempo, che le prove che si stanno accumulando ora saranno significative, stratigraficamente parlando, nel profondo del futuro. Ai geologi viene chiesto, in pratica, di diventare profeti.
Copernico ci ha dislocato dal centro dell’universo, con l’Antropocene stiamo cercando di ritornarci
Nell’opinione di James Westcott e di coloro che si ritrovano in una simile posizione critica riguardo alla formalizzazione della proposta era geologica dell’Antropocene, l’AWG (Anthropocene Working Group) non avrebbe il potere di scrivere le sue convinzioni nella Scala del Tempo Geologico. Tutto quello che potrebbe fare sarebbe raccomandare. Utilizzando la metafora di Westcott, come la cenere volante, appena dispersa, da una centrale elettrica a carbone, l’AWG e le sue scoperte non sarebbero che un sottile strato cosparso sopra strati accademici seriamente pesanti. Tali strati sarebbero la Sottocommissione sulla Stratigrafia Quaternaria [Subcommission on Quaternary Stratigraphy], la Commissione internazionale di stratigrafia [International Commission on Stratigraphy] e l’Unione internazionale delle scienze geologiche [International Union of Geological Sciences] come fondamento e arbitro finale. Ogni strato della gerarchia accademica sarebbe più tradizionale del precedente e più difficile da convincere che dovrebbe giudicare i processi che si stanno ancora svolgendo.
Non c’è da stupirsi che ci sia resistenza da parte della disciplina costretta al centro del dibattito e che i sostenitori del cambiamento geologico si diano da fare. Ad esempio, la storica della scienza Naomi Oreskes segnala che i geologi siano indottrinati a credere che noi umani siamo organismi insignificanti geologicamente parlando [23], richiedendo nelle sue argomentazioni che siamo riportati al centro dell’universo da dove Copernico ci aveva cacciato via.
Al riguardo, alcuni studiosi si chiedono se l’Antropocene non sia diventato piuttosto un tema della cultura pop, insinuando ugualmente che la stratigrafia potrebbe anche avere una reputazione da proteggere. [24] Nell’opinione di Westcott, l’Antropocene mette in discussione le basi della stratigrafia e i professionisti classici cercheranno naturalmente di difenderla quando i media causeranno il caos nel loro sistema crono-stratigrafico accuratamente costruito. Eppure, sostiene, non sarebbe il loro lavoro prevedere i modelli, in quanto cacciatori di record. Il compito di classificare questa epoca dovrebbe spettare in ogni caso ai geologi dell’anno 3000 o 4000.
Jan Zalasiewicz, geologo, paleontologo, stratigrafo, professore di Paleobiologia che ha svolto ricerche sulla geologia e la storia della terra, in particolare sugli ecosistemi e gli ambienti fossili che coprono oltre mezzo miliardo di anni di tempo geologico, nonchè membro dell’AWG, leggermente frustrato dalla necessità di trovare un golden spike per individuare e formalizzare l’inizio dell’Antropocene, ha suggerito che formalizzare l’Antropocene non dovrebbe significare che si sia in grado di rilevare l’influenza umana proprio nella stratigrafia, ma semplicemente rifletterebbe un cambiamento nel sistema terrestre, di cui il più importante e duraturo sarebbe il cambiamento nel sistema biologico. [25] In ogni modo, la decisione dell’AWG di perseguire la formalizzazione significherebbe tuttavia che il gruppo ora deve saltare attraverso i cerchi della gerarchia geologica e ciò impone trovare, necessariamente, un limite di stratigrafia di qualche tipo, piaccia o no.
Un errore logico nella ricerca della formalizzazione geologica
In proposito Zalasiewicz sostiene che la ricerca di un golden spike, indagine sempre difficile, non sarebbe, in ogni caso, sempre necessaria per avere un termine geologico funzionante. Nella sua opinione, ci sarebbero pochissimi confini crono-stratigrafici che siano assolutamente chiari, inequivocabili e ampiamente tracciabili. Infatti, in un documento del 2014, Zalasiewicz ed altri studiosi insieme a lui [26] hanno segnalato che il passaggio dal Precambriano al Cambriano circa 500 milioni di anni fa, ancorché una semplice esplosione, se vista da oggi, comprendeva, in realtà, una successione di innovazioni conservate in circa 40 milioni di anni, di cui solo una, l’inizio della tana di tipo Treptichnus [27], fu selezionata per rappresentare il confine stratigrafico formale benchè non si trattasse propriamente di un fossile vero.
Stando al parere di Westcott [28], una tale caccia ad un golden spike metterebbe gli antropocenisti in una posizione paradossalmente debole in quanto il segno che sembra qualificare, ad oggi, per la formalizzazione dell’Antropocene sarebbe, probabilmente, qualcosa che appare inconsistente, come le tracce invisibili dei radionuclidi, rispetto alla scala degli effetti antropogeni che si svolgono in questo momento, come le super tempeste ed estinzioni causate da specie invasive. Inoltre, seguendo il suo ragionamento, Westcott sostiene che la mancata corrispondenza sarebbe ancora peggio, retoricamente, se la proposta dell’AWG per la formalizzazione di una tale nuova era geologica venisse respinta, alimentando così un nuovo tipo di scettico: il negazionista dell’Antropocene, posizione nata, probabilmente, già prima del 1950 e che promuove la convinzione irremovibile, che ora sembrerebbe apparentemente confermata, che il pianeta sia inesauribile. Nel precipitare per dichiarare una nuova epoca geologica, gli antropocenisti, nell’opinione di Westcott [29], non solo attaccherebbero in modo preventivo e antropocentrico, ma, in un certo senso, non sarebbero abbastanza radicali. Al riguardo Westcott [30] segnala che la geologia non esprime il significato umano, biologico, chimico e morale di un pianeta esausto eppure viene messa dagli antropocenisti su un piedistallo e le viene chiesto di arbitrare per nostro conto.
Gli scettici dell’Antropocene non negano che l’attività umana stia influenzando il pianeta su scala e velocità senza precedenti, a quanto pare secondo i nostri criteri di valutazione. Il problema principale degli antropocenisti o sostenitori della formalizzazione, ad oltranza, della nuova epoca geologica sarebbe, stando a Westcott, un errore logico nella ricerca della formalizzazione geologica. Infatti, i critici della proposta di formalizzare una nuova era geologica denominata Antropocene si chiedono perchè l’AWG vorrebbe utilizzare una scala temporale interpretativa quando si dispone delle osservazioni dirette. Questi geologi scettici sarebbero sconcertati dall’errore di categoria dell’uso della stratigrafia come autorità sulle attività umane negli ultimi 70 anni, oggi e nel futuro. Perchè, si chiedono dubbiosi, l’ossessione per le rocce, perchè stiamo cercando prove a bassa risoluzione, segnali sottili sepolti sotterranei, quando abbiamo già effetti ad alta definizione che si svolgono proprio di fronte ai nostri occhi.
In un articolo del 2013 su Earth-Science Reviews, Alexander Wolfe [31] e colleghi descrivono l’estrazione di sedimenti contaminati dai letti di laghi glaciali in luoghi così ampi e apparentemente incontaminati come Beartooth Wilderness nel Montana, Baffin Island in Canada, in Groenlandia occidentale e Svalbard in Norvegia. Uno di questi laghi glaciali potrebbe essere il punto in cui si potrebbe, definitivamente, affermare che l’Antropocene stia lasciando le sue impronte, sporche, se vogliamo, per sempre.
Nei sedimenti delle carote di ghiaccio, Wolfe riporta che siano stati trovati cambiamenti distinti nella composizione dei depositi insieme ad aumenti dei livelli di azoto (dalla produzione globale di fertilizzanti artificiali) e aumenti di diatomee fossilizzate (plancton microscopico che prospera a temperature più calde). Questi cambiamenti sarebbero apparsi o sarebbero stati accelerati dopo il 1950. Così Wolfe e colleghi [32] affermano di aver trovato un Santo Graal, una golden spike che segnerebbe il confine inferiore tra l’Olocene e l’Antropocene. Sebbene rivelino, in modo inquietante, l’impatto globale dell’umanità, le conclusioni di Wolfe sarebbero ancora, in gran parte, un’affermazione sul significato futuro, la resistenza e la leggibilità di prove estremamente recenti e fragili che potrebbero essere facilmente cancellate o sostituite da qualcos’altro. L’Antropocene, in questo senso e stando a Westcott, sarebbe, ancora, disciplinarmente scorretto. La formalizzazione non rientra negli attuali criteri della Scala dei Tempi Geologici nè nei tradizionali meccanismi della stratigrafia. Qualcosa di importante dovrebbe cambiare nella disciplina affinchè l’Antropocene venga formalizzato.
Qualunque cosa accada dopo che l’AWG ha presentato la sua raccomandazione nel 2016, gli antropocenisti starebbero, ironia della sorte, svendendo la loro teoria, cercando un posto in qualcosa di cosìnesoterico come la scala temporale geologica. L’Antropocene, in tutto il suo sfaccettato ribrezzo che altera il sistema terrestre, sarebbe, effettivamente, più serio di così. La speranza di questi sostenitori dell’Antropocene come epoca geologica, naturalmente, sarebbe che si possa dare il nome a una nuova epoca. In tal modo sarebbe, finalmente, una verità universalmente riconosciuta che noi umani avremmo più potere di quello che sapremmo gestire, e con questa premessa, noi umani, saremmo in grado di iniziare a raccogliere i pezzi.
Ma sappiamo già che conoscere non sia sufficiente per affrontare, ad esempio, il cambiamento climatico, che costituisce, almeno, un singolo problema, mentre l’Antropocene consiste in un’idea che racchiude, potenzialmente, tutto ciò che è onnipresente negli umani oggi. Perché limitarlo allora alle rocce, ad una evidenza stratigrafica? L’antropocene, in minuscola, è, in effetti, uno stato profondamente materiale sebbene sia altresì immateriale, persino esistenziale. Mentre la crosta terrestre viene perforata e la superficie viene levigata, il Pianeta è contemporaneamente ammantato da un nuovo strato digitale di tecnologia di rilevamento e raccolta di dati. Non è rimasto alcun evento inspiegabile. Tutto è noto o conoscibile nell’Antropocene, tranne gli impulsi che ci hanno portato qui e dove andare dopo come specie e questo è il punto di arrivo di quest’argomentazione per una riflessione tutta lasciata in mano di chi legge.
Dietro la ricerca del golden spike per formalizzare la proposta dell’Antropocene come epoca geologica ci sarebbe una ricerca linguistica più fondamentale. In Ecology Without Nature (2007), Timothy Morton [33] osserva: “L’idea che una visione possa cambiare il mondo è profondamente radicata nel periodo romantico, così come la nozione stessa di visione del mondo (Weltanschauung).” Mi auguro, come Morton, che ancora una parola possa salvare il mondo anche se oggi rifiuto, come lui, l’idea di nutrire inclinazioni romantiche, perchè come suggerisce Morton stesso, per paradosso, per avere una visione propriamente ecologica, dobbiamo abbandonare l’idea di natura una volta per tutte, accettando una forma radicale, vale a dire l’ecologia oscura che accoglie la complessitè e l’orrore, dal punto di vista umano, della natura stessa. [34] Sarebbe poco serio parlare di proposte di salvezza quando si arriva a comprendere che anche le più comuni azioni quotidiane di noi umani, animali biologici, esibiscono un livello di complessità metafisica stupefacente ed è perciò che si rende difficile riconoscere gli impulsi che ci hanno portato qui e dove andare dopo come specie.
__________ Note__________
1. Peter L. Berger e Thomas Luckmann. La realtà come costruzione sociale. Il Mulino, 1997 / Berger, P. L. and T. Luckmann. The Social Construction of Reality: A Treatise in the Sociology of Knowledge. Anchor Books, Garden City, NY, 1966 & John R. Searle. La costruzione della realtà sociale. Einaudi, 2006 / John R. Searle. The construction of social reality. Free Press Edition, 1995
2. James Westcott. Written in stone. AEON, 30 April 2015
3. Carlo Rovelli. L’ordine del tempo. Adelphi, 2017
4. La scala dei tempi geologici rappresenta un modo per suddividere il tempo trascorso dalla formazione della Terra ad oggi, condiviso dalla comunità scientifica internazionale e in continua evoluzione. Esiste un organismo internazionale delegato alla formalizzazione geologica (quindi alla nomenclatura) di questa scala, la Commissione Internazionale di Stratigrafia, che presiede alla ratifica dei GSSP. I Global Stratigraphic Section and Point, ossia le Sezioni e punti stratigrafici globali, sarebbero affioramenti rocciosi nei quali . fisicamente presente un limite tra due età geologiche e nei quali è stato rinvenuto il maggior numero di informazioni fisiche, chimiche e paleontologiche su quel limite rispetto ad altri affioramenti contenenti anch’essi il medesimo limite stratigrafico. Concettualmente ogni suddivisione raggruppa una fase della storia della Terra caratterizzata da determinati organismi viventi spesso estinti al termine dell’Era geologica di appartenenza.
5. Vincitore, insieme a Frank Sherwood Rowland e Mario Molina, del Premio Nobel per la chimica nel 1995 per “gli studi sulla chimica dell’atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e la decomposizione dell’ozono”.
6. Più tardi, nel 2002, Crutzen pubblicò un commento su Nature intitolato “Geology of Mankind” in cui ulteriormente sottolinea l’idea “di assegnare il termine ‘Antropocene’ all’epoca geologica attuale, per molti versi dominata dall’uomo, che integra l’Olocene, ”con data di inizio alla fine del XVIII secolo* (all’inizio della rivoluzione industriale). [Crutzen, Paul. “Geology of Mankind”. Nature. 415 (6867): 23, January 3, 2002]
7. James Westcott, op. cit. 30 April 2015
8. Ibidem
9. L’Anthropocene Working Group (AWG) è un gruppo di ricerca interdisciplinare dedicato allo studio dell’Antropocene come unità di tempo geologica. È stato istituito nel 2009 come parte della Sottocommissione sulla Stratigrafia Quaternaria (SQS), organo costitutivo della Commissione Internazionale sulla Stratigrafia (ICS). A partire dal 2021, il gruppo di ricerca comprende 37 membri, con il geografo fisico Simon Turner come segretario e il geologo Colin Neil Waters come presidente del gruppo. L’obiettivo principale dell’AWG è fornire prove scientifiche sufficientemente solide perché l’Antropocene possa essere formalmente ratificato dall’Unione internazionale delle scienze geologiche (IUGS) come epoca all’interno della scala temporale geologica. Zalasiewicz, Jan; Waters, Colin N.; Williams, Mark; Summerhayes, Colin P., eds. The Anthropocene as a Geological Time Unit: A Guide to the Scientific Evidence and Current Debate. Cambridge University Press, UK, 2019
10. Nel 2009, la sottocommissione sulla stratigrafia quaternaria ha istituito un gruppo di lavoro sull’Antropocene per “esaminare lo stato, il livello gerarchico e la definizione dell’Antropocene come una potenziale nuova divisione formale della scala temporale geologica”. Alcuni autori hanno etichettato questo momento come “svolta stratigrafica’ [Lewis, Simon; Maslin, Mark. The Human Planet: How We Created the Anthropocene. Penguin, London, June 2018] o ‘svolta geologica’ [Bonneuil, Christophe. The Geological Turn: Narratives of the Anthropocene, in “The anthropocene and the global environmental crisis: rethinking modernity in a new epoch” by Clive Hamilton. Routledge, London, 2015] in quanto l’istituzione dell’AWG ha riconosciuto l’Antropocene come oggetto di interesse geologico per la comunit. scientifica. L’AWG ha pubblicato attivamente da allora.
11. Prima dell’istituzione dell’Anthropocene Working Group nel 2009, non esisteva alcun programma di ricerca dedicato alla formalizzazione dell’Antropocene nella scala dei tempi geologici. L’idea di nominare l’attuale epoca “Antropocene” piuttosto che utilizzare la sua unità di tempo formale, l’Olocene, è diventata popolare dopo che Paul Crutzen ed Eugene Stoermer pubblicarono nel maggio 2000 un articolo sulla newsletter dell’IGBP Global Change intitolato “The ‘Anthropocene’.” Crutzen, Paul; Stoermer, Eugene (May 2000). “The “Anthropocene”” (PDF). IGBP Global Change Newsletter (41): 17–18. Retrieved October 17, 2019.
12. Subito dopo che Paul Crutzen pubblicò i suoi influenti articoli nel 2000 e 2002, ebbe luogo un dibattito sull’inizio dell’Antropocene tra i sostenitori dell’Ipotesi dell’Antropocene inferiore, una tesi originariamente promossa nel 2003 dal paleoclimatologo William Ruddiman che fa risalire l’inizio dell’Antropocene al neolitico rivoluzione, [Ruddiman, William. “The Anthropogenic Greenhouse Era Began Thousands of Years Ago” (PDF). Climatic Change. 61 (3): 261–293, December 2003] e sostenitori di date di inizio pi. recenti, dalla colonizzazione europea delle Americhe, [Lewis, Simon; Maslin, Mark. “Defining the Anthropocene”. Nature. 519 (7542): 171–180, 2015] alla fine del XVIII secolo, alla Grande Accelerazione del secondo dopoguerra. [Crutzen, Paul; Steffen, Will. “How Long Have We Been in the Anthropocene Era?”. Climatic Change. 61 (3): 251–257, December 2003]. La discussione sull’inizio dell’Antropocene fu cruciale per la ‘svolta stratigrafica’ che il dibattito sull’Antropocene assunse negli anni successivi. Nel febbraio 2008, Jan Zalasiewicz e altri membri della Stratigraphy Commission della Geological Society of London pubblicarono un documento in cui si considerava la possibilità di “ampliare ed estendere la discussione sugli effetti cui fa riferimento Crutzen e, quindi, applicare gli stessi criteri utilizzati per impostare nuove epoche per chiedersi se esista davvero una giustificazione o la necessità di un nuovo termine e, in tal caso, dove e come potrebbe essere posto il suo confine”. Questi dibattiti portarono in seguito alla costituzione dell’AWG.
13. James Westcott, op. cit. 30 April 2015
14. Ibidem
15. Ibidem
16. Nel testo l’autore sostiene che la Terra non fosse stata creata così come la vediamo, in forma definitiva, ma era costantemente soggetta a cambiamenti. L’obiettivo di Lyell era di rendere note le tesi di James Hutton, e cioé che i lenti fenomeni naturali, possono adeguatamente spiegare i fenomeni geologici. Egli descrisse un modello nel quale “non c’erano prove di un inizio, né indizi di una fine” e immaginava la Terra in un ciclo continuo. Il pregio di Lyell fu di saper divulgare quelle teorie: fu il primo a diffondere il concetto, sintetizzato da A. Geikie nella celebre espressione: “il presente è la chiave del passato” secondo cui i processi geologici osservabili nel presente potevano spiegare benissimo le enormi trasformazioni avvenute sulla Terra, attraverso l’azione di forze che avevano agito in tempi lunghissimi. Attualmente la celebre affermazione di Lyell è da integrarsi col suo opposto: “il passato è la chiave del presente” dal momento che non si possono escludere, per il passato, dei fenomeni diversi che hanno contribuito a modellare il pianeta Terra. Non vengono più accolte né l’uniformità della velocità dei processi, né l’uniformità delle condizioni (dinamismo statico). Si accoglie invece il cosiddetto uniformismo metodologico (S.J. Gould, 1965), che accetta l’uniformità (non dimostrabile) delle leggi della natura nel tempo e nello spazio e l’uniformità dei processi geologici. Lyell riteneva che i processi agivano nel passato come nel presente, rifiutando le tesi del catastrofismo, diventando il principale sostenitore della teoria dell’attualismo. Nei suoi scritti geologici Lyell sostenne che: il passato geologico poteva essere capito meglio attraverso processi naturali come la sedimentazione, l’erosione e l’avanzamento o ritiro dei ghiacciai; il gradualismo filetico che consiste nei cambiamenti lenti e costanti; le leggi naturali operano oggi come nel passato.
17. James Westcott, op. cit. 30 April 2015
18. https://stratigraphy.org/files/ICS_AnnReport2016.pdf
19. Un radionuclide è un nuclide instabile che decade in un altro nuclide più stabile emettendo energia sotto forma di particelle subatomiche dotate di notevole energia cinetica e/o radiazioni elettromagnetiche ad alta energia; in tutti i casi si tratta di radiazioni ionizzanti, da qui il suo nome.
20. Global Change and the Earth System: A Planet under Pressure. Steffen W., Sanderson, R.A., Tyson, P.D.; J.ger, J., Matson, P.A., Moore III, B., Oldfield, F., Richarson, K., Schellnhuber, H.J., Turner, B.L., Wasso, R.J. Serie: Global Change – The IGBT Series, 1st ed. 2004
21. https://stratigraphy.org/annual-reports
22. James Westcott, op. cit. 30 April 2015
23. Oreskes, Naomi. “The Scientific Consensus on Climate Change”. Science. 306 (5702): 1686, December 2004
24. Whitney Autin & John Holbrook. Is the Anthropocene an Issue of Stratigraphy or Pop Culture? GSA Today, 22 (7): 60-6, July 2012
25. Jan Zalasiewicz, Colin N. Waters, e al. The Anthropocene as a Geological Time Unit: A Guide to the Scientific Evidence and Current Debate. Cambridge University Press; 1° edizione, 7 marzo 2019
26. Zalasiewicz, J., Williams, M., Waters, C. N., Barnosky, A. D., & Haff, P. The technofossil record of humans. The Anthropocene Review, 1(1), 34–43, 2014
27. Treptichnus pedum: lo stampo fossile o impronta di un animale piuttosto che un fossile vero e proprio di quell’animale. In quanto tale, è considerato come la prima complessa traccia fossile. La sua forma pi. antica, circa 542 milioni di anni, è stata un contemporaneo con l’ultimo biota di Ediacarano, è usato per contribuire a definire la linea di divisione, considerata geologicamente a 541 mia, tra i due periodi, Ediacarano e Cambriano.
28. James Westcott, op. cit. 30 April 2015
29. Ibidem
30. Ibidem
31. Wolfe, Alexander & Hobbs, William & Birks, Hilary & Briner, Jason & Holmgren, Sofia & Ing.lfsson, .lafur & Kaushal, Sujay & Pagani, Mark & Saros, Jasmine & Vinebrooke, Rolf. Stratigraphic expressions of the Holocene–Anthropocene transition revealed in sediments from remote lakes. Earth-Science Reviews. 116. 17-34., 2013
32. Ibidem
33. Timothy Morton. Ecology without Nature. Rethinking Environmental Aesthetics. Harvard University Press. 2007
34. In Ecology without Nature, Timothy Morton sostiene che il principale ostacolo al pensiero ambientale è l’immagine della natura stessa. Gli scrittori ecologisti propongono una nuova visione del mondo, ma il loro stesso zelo per preservare il mondo naturale li allontana dalla “natura” che venerano. Morton espone un apparente paradosso: per avere una visione propriamente ecologica, dobbiamo abbandonare l’idea di natura una volta per tutte. Morton sviluppa un nuovo vocabolario per leggere “l’ambiente” e traccia i contesti dei costrutti ecologici attraverso la storia del capitalismo. Ecology without Nature amplia la nostra visione della critica ecologica e approfondisce la nostra comprensione dell’ecologia stessa. Invece di cercare di usare un’idea della natura per curare ciò che la società ha danneggiato, Morton propone una nuova forma radicale di critica ecologica: “l’ecologia oscura”, un concetto capace di accogliere la complessità e l’orrore, dal punto di vista umano, della natura stessa.