BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIV • Numero 54 • Giugno 2025
La rigenerazione: un approccio diverso nel modo di considerare la salute
L’anno scorso, l’University of Chicago Press, pubblicò What Is Regeneration?, volume in cui Kate MacCord & Jane Maienschein,1 opera nella quale due studiose, una storica e una filosofa della scienza, offrono un’introduzione essenziale sul significato e sui limiti della nozione relativa al ripristino di un organismo malato allo stato prima di una malattia, che in contemporanea, può essere rimaneggiata come un’introduzione alla nozione di rigenerazione di un organismo allo stato in cui si trovava prima della malattia, nozione ampiamente radicata, sia nel pensiero dei biologi, dei medici che nell’immaginario sociale. Tuttavia ripristino e rigenerazione comportano principi diversi nella logica e metodologia della scienza, In effetti, la nozione di rigenerazione ha tanti riscontri sperimentali al punto di costituire un assioma dare per scontato che alcuni organi e tessuti possono rigenerarsi, mentre altri no, e alcuni organismi possono rigenerarsi più completamente e più facilmente di altri. Sarebbe sufficiente ricordare quando da ragazzini tagliavamo a metà un lombrico e ci ritrovavamo a essere affrontati da due vermi serpeggianti. Poi abbiamo ascoltato e letto da fonti autorevoli che quando si taglia la testa di un’idra può crescere una nuova testa. Talmente prolifera quest’immagine nella nostra cultura che ci sembra di essere convinti che sia un esperimento al quale abbiamo partecipato.
Taglia, però, un braccio umano e all’uomo mancherà un braccio. Perché queste differenze? Quali sono i limiti della rigenerazione e come, quando e perché avviene? Quest’argomentazione coinvolge la storica e la filosofa della scienza Jane Maienschein2 e Kate MacCord3 esplorando la nozione di rigenerazione biologica, approfondendo, in questo modo, un argomento di crescente interesse alla luce della cosi chiamata medicina rigenerativa, dei nuovi strumenti in neurobiologia e sviluppo e dell’urgente necessità di comprendere e riparare i danni agli ecosistemi causati dal cambiamento climatico.
Guardando attraverso scale, dalle cellule germinali, nervose e staminali ai singoli organismi e sistemi complessi, questa breve argomentazione, curata da BIO per i suoi lettori, intende divulgare una serie di intuizioni provocatorie ponendo una serie di domande profonde, e forse indisponenti, come quali condizioni consentono ad alcuni microbiomi danneggiati di rigenerarsi mentre altri non esperiscono questo beneficio? Perché si dice che dopo un incendio, a volte, le foreste si rigenerano, ma non sempre? E di fronte al cambiamento climatico nell’era chiamata Antropocene, il pianeta potrebbe rigenerarsi per tornare sano o l’ecosistema globale collasserà?
Vale, però, la pena notare che pensare alla rigenerazione come alla promozione di una gamma di approcci diversi alla salute di un sistema adattivo complesso pone sfide parallele al presupposto secondo cui tutti gli organismi debbano essere uguali per essere considerati completi e sani. E questo porta l’epistemologia4 del pensiero medico, cioè i principi secondo i quali la medicina costruisce sé stessa, ineluttabilmente, a questionarsi ancora su un cambiamento di prospettiva nel modo stesso di considerare la salute: i valori. In effetti, la domanda su cosa costituisca uno stato ideale di salute crea, genuinamente, una domanda che riguarda l’assiologia, cioè le teorie che studiano quali siano i valori (morali) nel mondo sociale, distinguendoli dalle mere realtà di fatto. Nel far questo l’assiologia ci si riferisce, in genere, a una gerarchia ideale, basata metafisicamente, alla quale deve aspirare la scala dei valori umani, radicata nella visione del mondo medico, per avvicinarsi quanto più possibile a essa.
Uno stato ideale di salute rimanda necessariamente all’assiologia, cioè ai valori sociali metafisici
Stando agli studiosi in materia, e facendo un po’ di storia5 circa la definizione di salute, l’antico medico greco Ippocrate avrebbe definito la salute come un corpo in equilibrio. Nella sua teoresi, come riportano gli studiosi, il corpo umano è un sistema di quattro umori coordinati (sangue, bile nera, bile gialla, flemma), ognuno dei quali ha il suo equilibrio di qualità (caldo o freddo, umido o secco) collegato ai cosiddetti quattro elementi (fuoco, aria, terra, acqua). L’equilibrio di queste qualità e umori è, in questo modello interpretativo, inestricabilmente legato alle condizioni ambientali. La flemma, ad esempio, è collegata all’elemento acqua e ha le qualità di freddo e umido. Ippocrate aveva individuato che quando questo sistema corporeo era esposto a condizioni che perturbavano o esacerbavano i suoi umori, come il freddo e l’umido di una tempesta di neve, il sistema diventava sbilanciato, in questo caso producendo troppo catarro. I suoi trattamenti per un’abbondanza di catarro si sarebbero, pertanto, concentrati sulla rimozione dell’umore in eccesso e sull’aumento della bile gialla (calda e secca) per riportare il corpo in equilibrio. Oggi, per farci notare il cambiamento interpretativo, Kate MacCord e Jane Maienschein, ci segnalano che nella medicina istituzionalizzata delle nostre società occidentalizzate, tale condizione catarrale viene identificata come una malattia respiratoria. Ippocrate, però, non aveva identificato la condizione in modo così locale. L’aveva considerata una condizione dell’intero corpo o organismo.
La localizzazione delle malattie e la specializzazione dei trattamenti
Oggi, nel pensiero medico, sostengono Mac Cord & Maienschein,6 si pensa meno al corpo intero o all’organismo, in quanto totalità, come a un sistema complesso e si tengono in maggiore considerazione le sue parti e i suoi sottosistemi. Se una radiografia dei polmoni mostra una congestione, i medici suppongono che il problema sia nei polmoni e curano la polmonite, senza preoccuparsi di altre parti del corpo o dell’organismo a meno che esse non mostrino i propri sintomi. Se una coltura nel laboratorio di patologia mostra un particolare microbo all’opera, i medici prescrivono gli antibiotici pertinenti per com- battere quel microbo piuttosto che tentare di riequilibrare il sistema nel suo complesso (nonostante l’attuale tendenza ad aggiungere “probiotici” all’approccio antibiotico). Questo passaggio verso diagnosi localizzate iniziò nel XVIII secolo con l’ascesa dell’anatomia patologica e la localizzazione dei sintomi in parti. L’invenzione dello stetoscopio da parte del medico francese René Laënnec nel 1816, come riferiscono MacCord e Maienschein,7 gli permise di sentire vari suoni anomali nel torace di un paziente affetto da difficoltà respiratorie. Avendo avuto la possibilità di eseguire un’autopsia dopo la morte del soggetto e correlare le parti visibilmente anomale con i sintomi che aveva rilevato, questo costituì una svolta che portò allo sviluppo di potenti strumenti diagnostici.
Il risultato fu la localizzazione delle anomalie in parti specifiche del corpo, che portò al concetto di malattie localizzate e alla necessità di trattamenti specializzati.8 La medicina moderna celebra la capacità di diagnosticare i problemi in base alla localizzazione dei sintomi. Lo squilibrio sistemico o “disagio” di Ippocrate divenne così un insieme crescente di malattie separate, associate a cause specifiche, dissociate dalla nozione del corpo o dell’organismo come sistema.9
Dopo la localizzazione delle malattie è arrivata la specializzazione dei trattamenti10 Seguendo la narrazione di MacCord e Maienschein,11 questi trattamenti, in genere, si basano sull’identificazione del problema all’interno di una parte o sottosistema particolare e sulla sua risoluzione, con l’obiettivo, come ormai ci aspettiamo tutti, di riportare il paziente alla normalità. Se una parte fisica è danneggiata, il comportamento deontologico sancito è quello di ripararla in modo che funzioni di nuovo il più possibile come prima. Oppure, se non potesse essere riparata, forse perché un arto è stato amputato o un rene ha smesso di funzionare, allora la tradizione vuole sostituirla con qualcosa il più possibile simile nel funzionamento che agisca quasi allo stesso modo: protesi per arti persi, macchine per dialisi per reni in insufficienza, in particolare, come accennano MacCord e Maienschein in What Is Regeneration.12
Nonostante le grandi differenze nella comprensione della malattia e dei trattamenti, i modelli di salute da Ippocrate alla medicina moderna si sono concentrati sul ripristino dello stesso stato che si era verificato prima della malattia. La salute, vista dal punto di vista della filosofia della scienza, è, ovviamente, un concetto intriso di un senso di stabilità e viene, certamente, identificata con un corpo o organismo che ritorna a uno stato che esisteva prima della malattia o dell’infortunio e dal mantenimento di questo stato. La stabilità, come riferiscono MacCord e Maienschein,13 è, di conseguenza, intesa nel pensiero medico come il mantenimento o la rigenerazione di un singolo stato sano del corpo.
Poiché è largamente condivisa l’idea che quest’approccio abbia salvato un numero enorme di vite, la medicina applaude l’invenzione di nuovi strumenti analitici, le procedure e i trattamenti che promuovono una comprensione della salute come un ritorno a uno stato precedente. Il senso di stabilità, implicito nel pensare alla salute in questi termini, porta a un’immagine della salute come risultato della rigenerazione: un corpo danneggiato da un infortunio o una malattia, o viene riportato o rigenera, uno stato sano precedente, pur se sia piuttosto arduo il più delle volte stabilire, con precisione, quale sia quello stato sano precedente.
A questo punto dell’argomentazione emerge una preoccupante domanda riguardo la posizione della medicina istituzionalizzata:
ma cosa succederebbe se la salute non fosse
concettualizzata, semplicemente, come
un ritorno ad uno stato precedente?
Sotto questo aspetto, MacCord e Maienschein,14 invitano a riflettere, sia i medici che la società, sempre in termini metaforici, aggiungo io, sostenendo che se pensiamo alla salute come parte di un quadro più ampio di considerazione degli organismi come sistemi complessi, non c’è alcun “ritorno”. La loro irreverente asserzione segue semplici costatazioni: i sistemi complessi cambiano in risposta alle sfide ambientali, si adattano alle loro condizioni per sopravvivere e l’adattamento genera ulteriore cambiamento. Inoltre, aggiungono15 che inquadrare la salute in termini di rigenerazione e poi chiedersi cosa significhi rigenerare, consente loro di stimolare le loro ipotesi sulla salute come un risultato singolare e di ripensare ai nostri valori nel sostenere sistemi complessi alla luce del danno. Ipotizzare o postulare la salute come un risultato singolare solleva, però, ancora un’altra domanda in attesa di risposta: cosa significa rigenerazione?
Ma, cosa significa rigenerazione su più scale della vita?
Alla ricerca di intuizioni o risposte a queste domande MacCord e Maienschein hanno formato nel 2017, la McDonnell Initiative presso il Marine Biological Laboratory a Woods Hole, Massachusetts, che ha riunito storici, filosofi e scienziati per indagare cosa significhi rigenerazione su più scale della vita.16 La rigenerazione è, in genere, pensata come rinnovamento, rivitalizzazione, ringiovanimento, riparazione, recupero e molte altre parole. La rigenerazione suggerisce il ritorno alle condizioni precedenti. Insieme, il gruppo di studiosi della McDonnell Initiative, avrebbe esplorato il concetto nella storia della biologia, chiedendosi cosa significasse la rigenerazione quando applicata a singoli organismi, specialmente nel corso del XX secolo. Altri nella McDonnell Initiative si sono dedicati ad esaminare cosa significhi la rigenerazione per le comunità microbiche, come Andrew Inkpen & Ford Doolittle,17 o casa significhino la linea germinale, come si interroga la stessa Kate MacCord,18 e i sistemi nervosi e gli ecosistemi.
In effetti, analizzando una semplice domanda, un filosofo della scienza, Andrew Inkpen, e un biologo molecolare, Ford Doolittle, offrono una comprensione accessibile delle comunità microbiche e una teoria motivante per la ricerca futura nell’ecologia della comunità. Stando al loro pensiero i microrganismi, come i batteri, sono importanti determinanti della salute a livello individuale, di ecosistema e a livello globale. Eppure, molti aspetti della vita moderna, sottolineano, dall’uso eccessivo di antibiotici alle fuoriuscite di sostanze chimiche e al cambiamento climatico, possono avere impatti devastanti e duraturi sulle comunità formate dai microrganismi. Basandosi sulle più recenti ricerche scientifiche ed esempi di vita reale come i tentativi di riprogettare queste comunità attraverso il trapianto microbico, la costruzione di comunità sintetiche di microrganismi e l’uso di probiotici, Andrew Inkpen & Ford Doolittle esplorano come e perché le comunità di microrganismi rispondono ai disturbi e cosa potrebbe portare al fallimento. Inoltre, analizzano questioni filosofiche di rilievo correlate e interconnesse, come – cos’è, propriamente un organismo? Oppure, come una comunità può evolversi per selezione naturale? Ed ancora più incisivi, ci chiedono – come possia- mo dare un senso alla funzione e allo scopo nel mondo naturale? – come dovremmo pensare alla rigenerazione come un fenomeno che si verifica a più scale biologiche? Queste provocazioni spingono verso una comprensione concettuale e teorica accessibile della rigenerazione e dell’evoluzione a livello di comunità, nozione che è anche essenziale in diverse discipline, tra cui filosofia della biologia, biologia della conservazione, microbiomica, medicina, biologia evolutiva ed ecologia.
Allo scopo di, successivamente, tornare all’idea di stabilità MacCord,19 storica della scienza, espone le idee di rigenerazione emerse nel XVIII secolo e esamina i contributi dei biologi dell’inizio del XX secolo. Un lavoro conciso che complica una comoda verità in biologia, la divisione tra cellule germinali e somatiche, con ramificazioni etiche e di politica pubblica di vasta portata.20 Come sottolinea questa studiosa, gli scienziati hanno a lungo sostenuto che abbiamo due tipi di cellule: germinali e somatiche. Stando alla loro visione convenzionale, se si apporta una modifica alle cellule germinali, ad esempio tramite editing del genoma, tale modifica apparirà, seguendo le convenzioni, nelle cellule delle generazioni future. Le cellule somatiche sono “sicure” dopo tale manomissione. In effetti, per aprire il dubbio, se ancora si proponesse di modificare le tue cellule della pelle, forse le cellule della pelle dei tuoi futuri figli non lo sapranno mai. E, mentre le cellule germinali possono dare origine a nuove generazioni (incluse tutte le cellule somatiche in un corpo), le cellule somatiche non possono mai diventare cellule germinali. Perciò la domanda di MacCord, su come abbiano fatto gli scienziati a scoprire questa relazione e distinzione tra cellule somatiche e germinali, la cosiddetta barriera di Weissmann, e se esista davvero. Oppure propone un’altra domanda, ancora più irreverente, riguardo se le cellule somatiche possono diventare cellule germinali nello stesso modo in cui le cellule germinali diventano cellule somatiche. Cioè, le cellule germinali possono rigenerarsi dalle cellule somatiche anche se la saggezza convenzionale nega questa possibilità? Coprendo la ricerca dalla fine del diciannovesimo secolo fino agli anni 2020, la storica e filosofa della scienza Kate MacCord22 esplora il modo in cui gli scienziati soro arrivati a comprendere e accettare il dubbio-concetto di barriera di Weissmann e le profonde implicazioni che questa comoda ipotesi ha per la ricerca e la politica, dall’editing del genomaalla, alla ricerca sulle cellule staminali e molto altro ancora.
Sotto questo aspetto, MacCord sostiene che guidati da René-Antoine Ferch i medici suppongono che il problema sia nei polmoni. Réaumur e Abraham Trembley, i naturalisti del XVIII secolo avevano effettuato osservazioni meticolose e dettagliate sugli organismi che rispondevano alle lesioni. Nei primi decenni del XVIII secolo, Réaumur osservò la lenta rigenerazione degli arti dei gamberi, documentando diverse fasi di ricrescita che portavano alla sostituzione completa dell’arto perso. Qualche decennio dopo, Trembley tagliò l’idra in vari pezzi e scoprì che rigeneravano tutte le parti perse. Scrivendo nel 1989, Howard e Sylvia Lenhoff23 sostennero, in modo convincente, che Trembley vedeva gli organismi con cui aveva lavorato come sistemi viventi: osservava l’insieme interattivo, la sua struttura, funzione e comportamento. Réaumur e Trembley, e altri, all’epoca, interpretavano la rigenerazione come un processo di riparazione e sostituzione, che riportava gli organismi ai loro stati precedenti, simile alla nozione di stabilità che impera in medicina.
Nel 1901, il biologo Thomas Hunt Morgan, Nobel della medicina del 1933, riassunse ciò che si sapeva sulla rigenerazione degli organismi, sia dai suoi studi che dalle esplorazioni precedenti. Morgan sperimentò su un’ampia gamma di organismi, accumulando prove per le sue argomentazioni secondo le quali le affermazioni scientifiche dovrebbero essere basate sulla sperimentazione e prive di speculazioni teoriche. Forse le sue intuizioni più sorprendenti provenivano dai vermi planari. Dopo averli tagliati in vari pezzi, scoprì che potevano rigenerarsi, producendo una nuova coda, parte centrale o persino una testa fresca, se necessario. Alcuni esperimenti mostrarono persino che le planarie rigeneravano una seconda testa sulla parte posteriore della vecchia testa dopo che il corpo era stato rimosso, un netto distacco dallo stato precedente della planaria.
E cosa dire riguardo all’idra? Morgan le rivoltò, ritagliò e incollò insieme varie parti, e queste continuarono a crescere e a rimanere in vita. Queste non sono, sicuramente, nelle stesse condizioni in cui si trovavano prima dei suoi esperimenti: i loro corpi, attraverso il processo rigenerativo, si trasformarono in nuovi e curiosi sistemi. O, come disse Morgan, un cambiamento in una parte avviene in relazione a tutte le altre parti, e sarebbe questa interconnessione delle parti e a costituire una delle principali peculiarità dell’organismo. Thomas Hunt Morgan si unì successivamente ad altri ricercatori del Marine Biological Laboratory nello stupirsi della varietà di risposte che questi organismi potevano dare quando rispondevano a contesti e condizioni mutevoli.
Uno di questi biologi del primo ‘900 era Jacques Loeb,24 che vide il potenziale per andare oltre la semplice sperimentazione e descrizione di ciò che facevano gli organismi. Immaginò di poter progettare i risultati, di usare la conoscenza scientifica su ciò che fanno gli organismi durante la rigenerazione per controllare i risultati di questo processo e migliorare ciò che accadeva normalmente. Il risultato delle sue congetture fu un sistema stabile che potrebbe in un certo senso essere persino più sano di quello che c’era prima.
Le opere di Morgan e Loeb stando alla valutazione degli esperti, offrirono, decisamente, cambiamenti definitivi rispetto alle precedenti visioni della rigenerazione e ci mostrano due cose importanti. In primo luogo, portarono a compimento le prime visioni del naturalista del XVIII come Abraham Trembley secondo cui la rigenerazione era un processo che avveniva all’interno di un sistema vivente ed un sistema sarebbe un gruppo di parti che interagiscono in modo coordinato. L’insieme risultante seguirebbe regole e principi, che consentirebbero una sorta di comunicazione e integrazione delle parti in modo che l’intero sistema sia reattivo e regolato, oltre che stabile.
La malattia influenza l’intero organismo – La rigenerazione non significa un ritorno alla normalità ma un processo adattivo
Dunque, già nell’euristica accumulatasi tra il XVIII e il XIX secolo, stabilità, di conseguenza, non significherebbe un ritorno a uno stato precedente, ma la capacità di un sistema di mantenere il suo coordinamento e la sua comunicazione tra le parti. Morgan e Loeb capirono, all’inizio del ‘900, che un intervento su una parte avrebbe, in qualche modo, influenzato l’intero organismo, più o meno nello stesso modo in cui Ippocrate aveva capito che la malattia influenzava l’intero corpo.
In secondo luogo, Morgan e Loeb mostrarono che la rigenerazione non significa semplicemente un ritorno alla “normalità”, come credevano i naturalisti del XVIII secolo. Piuttosto, vedevano la rigenerazione come un processo adattativo. Questi uomini non erano biologi evoluzionisti e non pensavano all’adattamento in termini evolutivi di specie che si adattano a un ambiente mutevole nel corso di periodi geologici. Invece, enfatizzavano le risposte adattative dei singoli sistemi agli stimoli che colpiscono gli individui, un senso più prossimale di adattamento. Non pensavano in termini di sostituzione di particolari cellule o tessuti o organi localizzati, ma piuttosto in termini di stimolazione dell’organismo a rispondere riparando i danni per l’insie- me. Vedevano l’organismo individuale come un sistema complesso, e uno che si adatta al suo ambiente mutevole avviando la riparazione.
Saltando in avanti verso il XXI secolo, si trovano molti studiosi delle cosiddette scienze della vita che abbracciano questa nozione di rigenerazione come un processo nei sistemi adattivi. La ricerca sulle comunità microbiche gastrointestinali ha documentato che quando la comunità è perturbata dagli antibiotici, si riforma, ma i microbi saranno diversi, e così saranno le loro interazioni con la comunità. Gli esperimenti sulle lamprede indicano26 gli studiosi in questione, postulano che ciò che sembra dare forma ai risultati della rigenerazione sia il contesto. Che sitratti del microambiente di una cellula, di un tessuto, dell’intero corpo, del corpo nel suo ambiente o di tutti questi, il contesto è parte essenziale della rigenerazione all’interno del sistema complesso perché fornisce il foraggio per la risposta adattiva. Come hanno sottolineato il biologo Michael Levin e il filosofo Daniel Dennett nel loro saggio su Aeon:27 “I grandi progressi sono stati principalmente nell’approfondire il livello molecolare, ma i livelli superiori, in realtà, non sono molto abbienti… Sappiamo come specificare i destini delle singole cellule dalle cellule staminali, ma siamo ancora lontani dall’essere in grado di creare organi complessi su richiesta”. Nonostante decenni di entusiasmo per la biologia molecolare e la genetica, non possiamo fare affidamento solo sulla conoscenza molecolare: dobbiamo anche essere in grado di comprendere come interagiscono molecole, cellule, tessuti e il corpo all’interno di un ambiente per procedere verso la riparazione dei singoli organismi. E non sono solo i livelli superiori della struttura e della funzione degli individui a dare forma alle risposte adattive ai cambiamenti ambientali, ma anche il contesto in cui esistono, come sostengono Levin & Dennett.28 Sotto quest’aspetto indicano che la ricerca all’intersezione tra sistemi complessi e risultati di salute ha avvalorato l’idea che stati di cattiva salute siano strettamente collegati alla perdita di risposte adattive all’interno di sistemi complessi.30 insistono che estrapolare dalle lezioni di biologia della rigenerazione alle concezioni di salute ha molte conseguenze, ma, loro propongono di esplorare due cambiamenti interconnessi: come questa visione adattiva della rigenerazione altera il nostro pensiero sugli obiettivi e sui risultati della salute e cosa ciò significa per i nostri valori correlati alla salute.
Allora, in conclusione, riprendendo ora il discorso di Kate MacCord e Jane Maienschein,31 se gli studiosi delle scienze della vita sono tuttora più vincolati alla posizione secondo cui i sistemi devono tornare a uno stato precedente, allora i ricercatori potrebbero esplorare delle alternative. Dopo tutto, come suggeriscono McCord e Maienschein, se non prendono lo stato precedente del sistema come il loro risultato target, debbono selezionare quale vogliano che sia il risultato, o la gamma di possibili risultati accettabili.32 Se gli studiosi chiamati in causa vogliono intervenire in un sistema, ad esempio tagliando l’arto della salamandra, recidendo le sinapsi della lampreda o manipolando i geni della planaria, l’aspettativa degli studiosi e ricercatori non può essere la fedeltà a uno stato pre-malato o pre-ferito. McCord e Maienschein sostengono, invece, di concentrarsi sulla sostituzione e la riparazione per ristabilire lo stato prima della malattia. In tal modo gli studiosi potrebbero concentrarsi su quale sarebbe lo stato ideale per quell’obiettivo. È necessario che la salamandra rigeneri un arto delle stesse dimensioni, o potrebbe funzionare altrettanto bene avere un arto più piccolo che richiede meno energia per ricrescere? Forse le nuove sinapsi che bypassano il sito danneggiato nella lampreda possono essere più efficienti perché “sanno” quale percorso seguire?Oppure l’eliminazione dei geni nelle planarie potrebbe consentire ad altri percorsi regolatori di funzionare e rivelare connessioni tra geni, cellule e organismo risultante? In realtà, si tratta di un’euristica, una possibilità per continuare la ricerca.
La questione di “cosa costituisce uno stato ideale” è una questione di valori
Ora si consideri quest’attenzione sulla scelta dei risultati nell’ambito della salute umana. Nonostante oltre 3.00033 anni di progettazione di protesi per sostituire parti mancanti, oggi circa il 20 percento, stando ai lavori di Biddiss & Chau,34 delle persone dotate di protesi di arti, finirebbe per abbandonare il proprio dispositivo, spesso, perché non lo percepisce o perché non funzionano “correttamente”. Sono state condotte molte ricerche per migliorare la funzionalità dei dispositivi protesici, meno per migliorare il comfort e molto meno per comprendere i fattori psico-sociali, come documentato da Bekrater-Bodmann35 che contribuiscono all’abbandono del dispositivo, come concludono anche Smail, Neal, Wilkins & Packham.36 Dalla prospettiva di Kate MacCord & Jane Maienschein circa la salute come risultato della rigenerazione adattiva, loro oggi possono iniziare a porsi obiettivi che, come individui, medicina e società, vorrebbero raggiungere. Ma questo, certamente, li conduce a porsi tante domande come se i dispositivi protesici debbano imitare la forma della struttura persa, se la funzionalità sia la preoccupazione principale della maggior parte dei portatori di protesi, E inoltre, se le protesi sono sempre la soluzione migliore. Sebbene questa non sia la sede adatta per affrontare la vasta e ricca letteratura, proposta da Dan Goodley,37 informativa sull’abilismo e sull’accettazione di abilità diverse, vale la pena notare che pensare alla rigenerazione come alla promozione di una gamma di approcci diversi alla salute di un sistema adattivo complesso pone sfide parallele al presupposto secondo cui tutti gli organismi debbano essere uguali per essere considerati completi e sani.
Questo ci porta al secondo cambiamento di prospettiva sulla salute: i valori. La domanda su “cosa costituisca uno stato ideale”, indubbiamente, è una domanda di valori. Dopo tutto, se la salute è possibile all’interno di una serie di risultati, si dovrà selezionare quale risultato si vorrebbe che sia il risultato. Qualunque cosa si selezioni sarà basata su ciò che i gruppi di interessi ritengono sia più importante, ovvero ciò a cui si dà valore come società, medicina e individui. Ippocrate se ne rese conto quando sottolineò la salute come un equilibrio di elementi all’interno dell’intero sistema.Se gli avessero chiesto “riequilibrare per cosa?”, avrebbe risposto “salute”. Se coloro coinvolti nel settore della salute si immedesimassero, potrebbero porre una versione aggiornata della domanda di Ippocrate sulla rigenerazione: rigenerazione per cosa? Quando si interviene in un sistema per promuovere la salute, si può assumere che si intenda privilegiare la funzione migliorata. In tal caso, quali funzioni gli esperti coinvolti vorrebbero ottimizzare?
Immaginare la salute (e la rigenerazione) attraverso questa lente di riequilibrio della salute avrebbe un impatto sul movimento del transumanesimo,38 che pone domande simili. In entrambi i casi, dobbiamo anche riconoscere chi pone e risponde alla domanda: il paziente? Il medico? Il ricercatore biomedico? Ognuno di questi stakeholder può avere un senso diverso di cosa sia la salute. Essere chiari sui tali obiettivi è un punto di partenza. Ugualmente, riflettere sui termini che utilizziamo costituirebbe un altro passo importante verso l’apertura delle nostre menti a modi diversi, e forse migliori, di pensare alla salute, alla salute degli organismi, compresi gli esseri umani. Non abbiamo le risposte, ma abbiamo disseminato intuizioni per pensare in termini di sistemi complessi che si adattano al cambiamento e, di conseguenza, cambiano nel tempo. In effetti, quali sarebbero i nostri obiettivi di salute se abbracciassimo l’idea che non è sempre meglio tornare soltanto a ciò che avevamo prima. La salute continua a palesarsi sempre più complicata del rispristino allo stato precedente
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- Kate MacCord & Jane Maienschein. What Is Regeneration? University of Chicago Press, 2024.
- Dirige il Center for Biology and Society presso l’Arizona State University, USA. È anche una fellow e direttrice dell’History and Philosophy of Science Project e del McDonnell Project on Regeneration presso il Marine Biological Laboratory di Woods Hole, Massachusetts. Come professoressa universitaria è specializzata nella storia e filosofia della biologia e nel modo in cui biologia, bioetica e biopolitica si svolgono nella società.
- Professore associato presso la School of Life Sciences dell’Arizona State University, USA. Appartiene al programma McDonnell Fellow presso il Marine Biological Laboratory di Woods Hole, Massachusetts, dove dirige la McDonnell Initiative.
- Lo studio critico della natura e dei limiti della conoscenza scientifica, con particolare riferimento alle strutture logiche e alla metodologia delle scienze; negli ultimi decenni, in breve, principi secondo i quali la scienza costruisce sé stessa.
- Kate MacCord & Jane Maienschein. op. cit. 2024.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Kate MacCord & Jane Maienschein. op. cit. 2024.
- Andrew Inkpen and Ford Doolittle. Can Microbial Communities Regenerate? Uniting Ecology and Evolutionary Biology. The University of Chicago Press, July 2022.
- Kate How Does Germline Regenerate? The University of Chicago Press, January 2024.
- Ibidem
- Ibidem
- 21Ibidem
- Howard M. Lenhoff, Sylvia G. Lenhoff, Challenge to the Specialist: Abraham Trembley’s Approach to Research on the Organism—1744 and Today, American Zoologist, Volume 29, Issue 3, August 1989, pagg. 1105–1117.
- Morto nel 1924 fu un forte sostenitore del meccanicismo, la sua attività di ricerca si rivolse prevalentemente al tropismo, alla partenogenesi, alla fecondazione e alla rigenerazione.
- Oliphint PA, Alieva N, Flores AE, Tytell ED, Lau BY, Pariseau JS, Cohen AH, Morgan JR. Regenerated synapses in lamprey spinal cord are sparse and small even after functional recovery from injury. The Journal of Comparative Neurology, 518(14):2854-72. Jul 15, 2010.[(efn_note] che, quando le sinapsi spinali si rigenerano dopo una lesione, la sinapsi rigenerata è morfologicamente distinta dal suo stato pre-rigenerativo, anche se continua a svolgere più o meno la stessa funzione.
Tutta questa ricerca fornisce un’euristica indicante che la rigenerazione è, in senso lato, il processo adattativo mediante il quale un sistema vivente risponde a uno stimolo e mantiene la sua stabilità. Adattativo, in questo contesto, significa che i sistemi cambiano attraverso il processo di rigenerazione in risposta a condizioni sia interne che esterne. Stabilità significa che il sistema rimane in grado di coordinare le sue parti. Un sistema prima della rigenerazione non sarà mai identico a un sistema dopo la rigenerazione; ci saranno sempre cambiamenti nelle parti o nelle relazioni tra di esse, anche se sembrano uguali o funzionano allo stesso modo.
Data quest’euristica,25Si ricorda ancora che utilizzo il concetto di euristica come quella parte dell’epistemologia e del metodo scientifico che si occupa di favorire la ricerca di nuovi sviluppi teorici, nuove scoperte empiriche e nuove tecnologie, con un approccio alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma che si affida all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze al fine di generare nuova conoscenza. In particolare, l’euristica di una teoria dovrebbe indicare le strade e le possibilità da approfondire nel tentativo di renderla “progressiva”, in grado cioè di prevedere fatti nuovi non noti al momento della sua elaborazione.
- Michael Levin & Daniel Dennett. Cognition all the way down. AEON, 13 October 2020.
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Poiché, stando alla documentazione disponibile agli studiosi della materia citati lungo quest’argomentazione, i sistemi viventi si rigenerano cambiando e adattandosi, sia agli stimoli interni che esterni, non avrebbe alcun senso intendere la salute, semplicemente, come stabilità, nel senso di essere fissi, come comporterebbe la nozione del ripristino di un sistema alle sue condizioni precedenti a uno stimolo. Il concetto di rigenerazione incarna il famoso detto di Eraclito: “Non puoi entrare due volte nello stesso fiume”. Se consideriamo la salute come un risultato della rigenerazione e la rigenerazione un processo adattivo, dovremmo orientarci verso rigenerazione e adattamento quando consideriamo la salute, come puntualizzano Levin e Dennett.[efn_noteÎbidem
- Questi studiosi sostengono che bisogna concentrarsi sul quadro concettuale più ampio e non lasciarsi travolgere dai dettagli del pensiero sulle dinamiche dei sistemi complessi. In effetti, il biologo Michael Levin e il filosofo Daniel Dennett29Ibidem
- Kate MacCord & Jane Maienschein. op. cit. 2024.
- Ibidem
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