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9 Agosto, 2025

Una teoria critica per l’interpretazione del capitalismo delle piattaforme

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Tempo di lettura: 32 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno VII • Numero 27 • Settembre 2018

 

Scritto in collaborazione con Eugenia D’Alterio – biologa

Foer: Un mondo senza mente e l’angoscia esistenziale generata dalla tecnologia

Il libro di Franklin Foer, “World Without Mind: The Existential Treat of Big Tech”,1 non sembra essere affatto all’altezza del compito di interpretare, criticamente, il capitalismo delle piattaforme, incapace, come si mostra Foer, di rendersi conto dei valori umani assunti, e non esplicitati, in essa. Questo suo libro, ci segnala Leif Weatherby,2 è considerato come The West Wing3 negli attacchi focosi nel dibattito sulla tecnologia, cioè come un discorso che ammalia con la nostalgia di valori umani morti con i quali si pretenderebbe ricreare una nuova realtà [sociale]. L’analisi di Foer sottolinea, con erudizione e giri di frasi avvedute, quanto stiano messe “male” le cose. Il suo titolo promette di più di quanto non dia, dal momento che il libro si concentra sull’amara esperienza dello stesso Foer con il co-fondatore di Facebook, Chris Hughes, e sull’acquisizione di “The New Republic”,4 che portò al licenziamento inusitato di Foer. In breve, la teoria di Foer riconosce che i monopoli ascendenti di oggi aspirano a contenere tutto ciò che riguarda l’esistenza, nel tentativo di preordinare e controllare l’intera catena della produzione culturale, in modo di poter ottenere maggiori profitti. Questi tentativi hanno portato ad una situazione di monopolio, ma di un monopolio di questioni quale la nostra capacità di contemplare e/o di comprendere. Al riguardo, si pensi che Jeff Bezos si inserisce come “custode” nella comunità giornalistica – ovviamente attraverso il suo acquisto del Washington Post – ma snaturando il ruolo stesso dell’editoria e riducendo i giudizi editoriali a due click: mi piace – non mi piace.

Il tentativo di Foer di fornire una teoria critica per l’interpretazione del capitalismo delle piattaforme è, certamente, auto-referenziato verso la propria esperienza nell’editoria, al punto che il modello regolatore dell’utilizzo dell’informazione personale sui cittadini in mani dei proprietarie delle piattaforme a cui lui vorrebbe si tornasse sarebbe, semplicemente, l’impero editoriale di vecchio stampo associato all’élite politica di Washington. Infatti, i monopoli delle piattaforme professano “valori degli anni prima del 68” e vogliono “rifare radicalmente la produzione della cultura”, spostandosi da un “mercato competitivo di idee”, governato da “custodi”, come lo stesso Foer, verso un “conformismo” che fa del consenso la misura della creatività culturale.5

Questi colossi pagano tasse irrisorie, un torto che potrebbe essere corretto – aggiunge Foer, come se un trucco potesse porre fine a tutti i trucchi. Per Leif Weatherby, una tale speranza è “trita”[efn_noteIbidem[/efn_note]. Foer sostiene che la soluzione a lungo termine sia quella di abbracciare la carta e la lettura, di adottare, volontariamente, diete culturali fuori dal formato della piattaforma, denominando una tale pratica “mente organica”, in analogia con la raccomandazione di Michael Pollan6 che ci propone di mangiare “cibo vero”[real food]. Casualità! Amazon possiede la catena di distribuzione di “cibo vero” conosciuta come “Whole Foods”. Quindi, la soluzione volontaristica cade piatta di fronte alle dimensioni delle reti in questione. I concorrenti nella piccola distribuzione e nella piccola editoria non possono permettersi di rinunciare a Amazon. La richiesta di Foer di una “autorità per la protezione dei dati” [General Data Protection Regulation], qualcosa come il regolamento generale sulla protezione dei dati che è entrata in vigore nell’UE a maggio scorso, è troppo vaga per essere convincente. Foer stabilisce una sorta di spazio immaginario in cui i valori del passato sono le regole di base della critica. Si tratta, infatti, di nostalgia per il vecchio ordine di significati. E questa nostalgia fa perdere la morsa della critica, dal momento che le sue categorie di pensiero e analisi sono già superate. Da questo potremmo imparare una lezione: le richieste di regolamentazione basate sulle categorie della critica pre-digitale, rendono tale critica “conservatrice”, “reazionaria”. Mancando gli strumenti concettuali per immaginare un nuovo ordine, i “liberal” ancora occupano lo spazio di conversazione auto-referenziale dei talk show.

Galloway: i quattro colossi o i quattro cavalieri

The Four”, di Scott Galloway,7 che mette a confronto Apple, Amazon, Facebook e Google con i cavalieri dell’Apocalisse, fornisce molte più informazioni su come cambiare il nostro vocabolario e categorie del pensiero per istaurare un’interpretazione critica del capitalismo delle piattaforme. Nel rilevare le funzioni sociali e storiche delle imprese, le piattaforme hanno impoverito tanti, hanno appiattito la crescita e propagato la disoccupazione. La critica di Galloway al capitalismo delle piattaforme è modellata dalla “psicologia pop” e sfumata con la dottrina New Age. In questa prospettiva popolare di interpretazione, Google recita Dio, Apple sollecita i genitali (soprattutto maschili) e così via.

Galloway ha rinfacciato apertamente ai direttori dei consigli di amministrazione delle 4 Big che le loro corporazioni sono la più grande minaccia all’attuale civiltà. Loro non sembrano preoccuparsi di questa accusa in quanto questi “dirigenti” considerano di avere solo “assi” in mano, solo dati. Galloway ci fa notare che il capitalismo delle piattaforme funziona sulla cultura piuttosto che sul profitto tradizionale. Bezos, ad esempio, ha mantenuto un massiccio afflusso di “capitale di rischio” anche se la sua azienda non è riuscita a ottenere un profitto.8 Galloway attribuisce il successo di Bezos alla sua abilità narrativa, che a suo avviso è molto più importante del profitto immediato nell’era della piattaforma social. In definitiva, però, le categorie di Galloway risultano anche esse obsolete senza che egli ne sia consapevole. Lui è molto impressionato, ad esempio, dalla mossa non convenzionale di Apple di ritornare alla vendita al dettaglio in negozi in cui i clienti possono recarsi di persona per vedere e acquistare i prodotti [cioè il brick-and-mortar retail], pratica che Galloway interpreta come un ritorno all’analogico9 e al mondo fuori dalla rete. La prima società ad essere valutata a un trilione di dollari statunitensi, secondo Galloway, sarà verticale fino all’ultimo miglio di consegna del prodotto o del servizio. Dall’uscita del libro“The Four” di Galloway, i tetti del mercato di queste società sono aumentati. Apple, dipendendo dal giorno, è ben oltre gli ambiti 200 milioni di dollari. E il supposto “ritorno all’analogico” ispira, in Galloway, come in tanti altri, un ritorno alla terminologia industriale e spesso pre-moderna. I “cavalieri” [horsemen] stessi, ad esempio, potrebbero essere associati più al periodo medievale che a qualsiasi altro. Allo stesso modo, Galloway raccomanda che le piattaforme costruiscano “piccoli fossati analogici” attorno alle loro attività digitali. Foer, da parte sua, afferma che il modello di Amazon per i pagamenti dei diritti di pubblicazione sarebbe un modello medievale.

Medievalismo nel mondo digitale: Carlo Vercellone ed altri teorici della cultura

Nella loro enfasi sul medievalismo nel mondo digitale, Foer e Galloway, si uniscono, sorprendentemente e paradossalmente, a un coro di marxisti italiani [Antonella Corsani, Andrea Fumagalli] e teorici della cultura che pensano che l’economia digitale abbia riportato nel capitalismo una forma di economia premoderna. La rendita è tornata ad un ruolo centrale, come sostiene Carlo Vercellone.10 Quando la crescita diminuisce, la proprietà ha la precedenza sull’imprenditorialità. Piuttosto che produrre nuovo valore, le piattaforme coordinano semplicemente proprietà virtuali e si fanno pagare il diritto del loro utilizzo. Male proprietà non sono localizzate unicamente sulla Terra e nel cyberspazio, il che significa che i proprietari possono impostare la rendita a proprio piacimento. Si pensi solo a Uber che sta appena cominciando a creare una forza di “lavoratori” nella funzione di “tassisti”. Uber cerca di mantenere i conducenti alla guida mentre negozia i termini lavorativi con loro. I risultati non sono certamente incoraggianti. Negando un suo status di azienda con dei dipendenti, Uber devolve il rischio di impresa ai propri “appaltatori” e, quindi, sostiene che quegli “appaltatori” [i conducenti a proprio rischio] dovrebbero essere fedeli alla valutazione algoritmica interna della piattaforma riguardo al loro impegno, dal momento che la loro possibilità o probabilità di continuare a guadagnare è basata nella continuità dell’esistenza della piattaforma Uber.

Una tale situazione assomiglia più al feudalesimo, con la libertà aggiunta (leggi: rischio) che i singoli conducenti non hanno nemmeno lo status di servi. Sono “liberi” di scegliere i loro signori, ai quali non appar- tengono nemmeno. La piattaforma è un’avventura, in forme estreme, di espropriazione, sullo sfondo di un’economia in rallentamento, che l’economista marxista Robert Brenner11 definisce “la lunga crisi” dagli anni ’70. Questa espropriazione sta sempre più evocando il vocabolario pre-moderno che ha pensato al capitalismo, come nella forma proposta dal teorico dei media Benjamin Bratton, “cloud feudalism” [feudaliesimo della nuvola informatica]12. L’autore di fantascienza Bruce Sterling ha recentemente sostenuto che l’”Internet delle cose”13 è poco più di una battaglia tra i signori del feudalesimo online. Sebbene ci sono ancora formalmente governi centralizzati, la loro autorità è attenuata dai monopolisti della piattaforma. La piattaforma confonde il flusso di capitali e la forma sociale, riorganizzando il rapporto di profitto con la comunità (e, quindi, con la classe) e dell’intelligenza con l’organizzazione. Per via dell’”incumbency effect”14 che il massiccio accumulo di dati offre a corporazioni come le BIG FOUR (Apple, Amazon, Facebook e Google), ci ritroviamo dinnanzi al consolidarsi di una serie di monopoli intelligenti che mettono in discussione lo stabile vocabolario politico-economico che a lungo abbiamo usato per descrivere la realtà e orientarci in essa. Abbiamo bisogno, dunque, di una nuova teoria per affrontare questa situazione, non di analogie premoderne né di chiamate alla regolamentazione prive di qualsiasi segno di realizzazione nel panorama politico.

Il capitalismo delle piattaforme secondo Nick Srnicek

Platform Capitalism” di Nick Srnicek15 fa un passo nella direzione di questa nuova teoria o interpretazione critica del capitalismo delle piattaforme. Tra le sue virtù c’è una distinzione, particolarmente chiara, dei tipi di piattaforma. Lui segnala che la piattaforma pubblicitaria, come lo sono Google e Facebook, è, indubbiamente, quella dominante anche se pone dei “rischi” non indifferenti. Infatti, questi colossi “si appropriano dei dati delle nostre vite come materia prima”. Ma, loro, di fatto, non stanno espropriando un plusvalore, nel senso tradizionale, prodotto da lavoro “online” o “cognitivo” nella produzione di quei dati. Contro i teorici marxisti italiani, quali Carlo Vercellone, Antonella Corsani e Andrea Fumagalli, sopramenzionati e, in particolare contro la nozione di “lavoro immateriale” di Maurizio Lazzarato,16 Srnicek sostiene che le piattaforme stanno semplicemente riordinando il setting come “bancarelle del capitalismo”, almeno per ora. Nel frattempo, la “piattaforma cloud”, specializzata nel “cloud computing”17, sta virtualizzando i servizi di elaborazione dei dati e suddividendoli su server distanti, lavorando con la crescente velocità delle reti per esternalizzare il lavoro IT dalle singole aziende. Il principale operatore in questo settore è Amazon Web Services. Come i suoi concorrenti Microsoft Azure e altri, Amazon “mette in affitto un mezzo di produzione sempre più basilare per il business contemporaneo”.  A differenza di ciò che si ottiene con un canone di locazione tradizionale, questi colossi, tuttavia, ottengono in cambio dati preziosi. L’economia della piattaforma non è isolata nel digitale, come testimoniato dalla “piattaforma industriale”.  General Electrice Siemens sono due delle aziende in prima linea nel portare la piattaforma nelle viscere del processo industriale, stabilendo loops di feedback18 in cui enormi dati, cioè la raccolta nel processo di produzione, giungono a guidare il processo stesso. Ciòè in linea con l’immagine feudale di Sterling nella sua opera “Internet of things”, con ogni oggetto identificato digitalmente utilizzando I’RFID (Radio Frequency Identification) consentendo ai dati di acquisto e di consumo di rendere la catena diproduzione più flessibile. Ciò che l’ex capo della Baidu,19 Andrew Ng, chiama servizi “O2O” [online-to-offline] è soprannominato da Srnicek “piattaforma di prodotti”. Sono servizi su richiesta e trattano i loro prodotti come beni di consumo. Lavano, ad esempio, la nostra auto con la semplice pressione di un pulsante, ma queste piattaforme stanno anche invadendo gli spazi offline come la vendita di motori jet commerciali, di solito pensati per essere prodotti fermamente offline. Il formato contrattuale indica che stai acquistando il prodotto come servizio anche se il prodotto è tangibile come lo è un motore a reazione. Le piattaforme industriali e di prodotti entreranno probabilmente in una proficua simbiosi nei prossimi anni. La cosiddetta piattaforma snella tratta gli operai e le retribuzioni allo stesso modo, rendendo il mercato del lavoro on-demand [non più un mercato di posti fissi ma di posti all’occorrenza] e sostanzialmente “affittando” la forza lavoro ai prezzi di mercato delle piattaforme. Srnicek definisce questo un “modello iper-esternalizzato” che consente solo un “misero estrattivo minimo” ma un “controllo sulla piattaforma che consente di ottenere una retribuzione della forza lavoro a prezzi di monopolio”. Per Srnicek, questo è il risultato di una generazione di outsourcing iniziata negli anni ’80 e del corrispondente calo della crescita. Crescita nazionale o no, le piattaforme controllano sempre di più la distribuzione della ricchezza.

Srnicek sostiene che, a causa dell’”incumbency effect”, le piattaforme si stanno specializzando e potrebbero concentrarsi sull’ottimizzazione dei processi di estrazione dell’affitto, piuttosto che competere al di fuori delle loro competenze chiave. Non è chiaro come funzioni, ad esempio, nel caso di Google, dove la competenza principale è così ampia da rinominare la società madre Alphabet nel 2015. Questa strategia è quella della “recinzione”, qualcosa simile ai “fossati analogici” suggeriti da Galloway. Srnicek suggerisce, per questo motivo, che “la competizione capitalista sta portando Internet alla frammentazione”. Per Srnicek, “mentre il boom tecnologico degli anni ’90 ci ha lasciato almeno le basi per Internet, il boom tecnologico degli anni dopo il 2010 sembra che, semplicemente, ci lascerà solo con servizi premium per i ricchi”. Ciò spinge Srnicek a proporre che una soluzione a questa esclusione sarebbe la socializzazione delle piattaforme.

Nell’analisi di Srnicek c’è una tendenza a minimizzare la stabilità economica delle piattaforme poiché esse non generano, dinamicamente, il plusvalore necessario per mantenere i profitti diretti alle élite proprietarie. Ma cosa succede se la “lunga crisi” dell’economista marxista Robert Brenner diventa permanente? La versione marxista di Srnicek si aggrappa al modello del capitalismo industriale europeo, suggerendo che un controllo politico assoluto dai Quattro Big sarebbe un risultato improbabile.

Ma cosa succederebbe se l’età della piattaforma risultasse essere stabile o portasse ad un capitalismo post-piattaforma ancora peggiore? Srnicek sostiene, invece, che il castello della piattaforma sia fatto di sabbia, argomentando che la logica del capitale stesso – quella del profitto – vincerà. Ma mentre questo potrebbe essere vero per aziende specifiche, perché il capitalismo dovrebbe tornare alla sua forma approssimativa che aveva dal 1800 fino agli anni ’70? Lo stesso feudalesimo non era così instabile e potremmo stare per assistere non a qualche epiciclo nell’economia capitalista generale, ma all’emergere, su larga scala, di un nuovo equilibrio tra sociale e profitto. Ciò che impedisce la stabilizzazione di un modello post-industriale di capitalismo, che mantiene tutte le caratteristiche della piattaforma, rimane, tuttavia, altrettanto doloroso e più ingiusto che mai – o ancor più. Le richieste di collettivizzazione, che presuppongono l’inevitabile collasso del ordine attuale, non sono molto più convincenti delle richieste di regolamentazione. Entrambi i tipi di chiamate sono spesso costruiti su qualcosa di più del desiderio senza alcuna base istituzionale – attivista, militante o altro – per sostenerli. Anche se il resoconto di Srnicek rimane il miglior resoconto politico della situazione attuale, l’ipotizzato percorso verso la collettivizzazione richiederà un resoconto più pervasivo della natura del capitalismo delle piattaforme e delle forze sociali che l’opporsi ad un tale capitalismo richiederebbe. Pezzi di quella teoria critica circa il capitalismo delle piattaforme potrebbero provenire, però, da fonti inaspettate.

Brynjolfsson e McAfee: Machine, Platform, Crowd

Brynjolfsson e McAfee, con le loro argomentazioni sconnesse e ardite, sono i “Pindaro” del ciclo di pro- duzione guidato dall’Intelligenza Artificiale. Il loro ultimo libro “Machine, Platform, Crowd20 apre con una sezione sulla “triple revolution”, un riferimento all’influente lettera aperta del 1964 a Lyndon B. Johnson, inviatagli da attivisti, professori e tecnologi, che descrive una nuova normalità per la società globale basata su cambiamenti fondamentali nella cibernetica, negli armamenti e nei diritti umani.21 Per Brynjolfsson e McAfee, le nuove rivoluzioni sono comprese nel loro titolo, ognuna delle quali fornisce un “obiettivo” per l’economia e la cultura contemporanea. Macchine e menti sono oggi alla ricerca di un nuovo equilibrio, così come lo sono piattaforme e prodotti e, anche, “crowd” [cioè, il popolo o mondo della rete e delle piazze] e “core” [cioè l’élite manageriali e della ricerca che costituiscono ancora il cuore operativo decisionale dell’azienda]. Il loro precedente sforzo interpretativo, “The Second Machine Age”22 descrive una produttività alterata dalle tecnologie computazionali. “Machine, Platform, Crowd” è una riflessione per questo nostro tempo in cui le “tecnologie della fantascienza” – materiale di film e libri e ambiente dell’élite della ricerca – hanno iniziato adapparire nel mondo (reale) di tutti i giorni. La loro analisi riguardo il capitalismo delle piattaforme è organizzata su un “gradiente fantascientifico” o, se si preferisce, in un “ordine ascendente di stranezze”. Il suo materiale descrittivo va dall’ingresso del “machine learning”23 nel processo della presa di decisione manageriale fino al destino della “Decentralized Autonomous Organi- zation” [Organizzazione autonoma decentrata], collettivo di investitori basato su una blockchain24 che sostiene che non si può automatizzare del tutto la pianificazione economica e la fiducia sociale.25

Brynjolfsson e McAfee sostengono che sono necessarie molte discipline diverse dall’economia per cogliere la situazione attuale. In effetti, la condizione delineata dall’esistenza della piattaforma richiede più di quanto l’attuale divisione delle facoltà umane possa concepire nell’analisi della realtà. Questo è dovuto al fatto che la nostra attuale situazione altera la natura dei giudizi, dei valori e della società in quanto tale. Questo punto è valido e dovrebbe informare la sensibilità del lavoro di critica culturale in corso. È chiaro però che la loro analisi accenna a queste altre discipline al solo scopo di formulare raccomandazioni ai dirigenti o, meglio, ai proprietari.

Secondo Brynjolfsson & McAfee, le decisioni prese dai dirigenti aziendali assorbiscono più impegno e fatica di quelle prese mediante i metodi del “machine learning” per cui, per rendere più “snello” il processo decisionale, i dirigenti dovrebbero sostituire il modello standard che le aziende hanno utilizzato dagli anni ’90 ad oggi, modello in cui gli umani ancora emettono giudizi basati su dati. Nella loro visione, che confonde la realtà con i modelli elaborati dal soggetto conoscente, loro propongano ai manager di valersi dall’euristica offerta dal modello di Daniel Kahneman, lasciando le prese di decisioni ad un’elaborazione 100% automatizzata dei dati, effettuata dal “sistema 2”, cognitivo razionale e logico, di evoluzione recente nella mente umana, piuttosto che al vecchio “sistema 1”, veloce ma intuitivo. Questo significa rovesciare il modello standard: invece di avere macchine che forniscono dati come input per giudizi umani, le aziende dovrebbero avere “giudizi” come input per l’algoritmo. Si vorrebbe che le “reti neuronali” prendessero il comando. Gli umani possono svolgere la funzione di convincere gli altri ad andare avanti. La logica sarebbe attributo dei computer, la retorica degli umani. E mentre i singoli manager dovrebbero rimandare le loro decisioni agli algoritmi, il consiglio dei direttori delle aziende deve incorporare i dati istantanei da fonte diverse [crowdsourcing]26 forniti dalle piattaforme. Questi dati [forniti dalle reti] sono “conoscenze rilevanti”decentralizzate che bypasseranno del tutto i “conoscitori” umani. Rendendosene conto della risonanza del loro argomento con quella del lavoro del neoliberale austriaco Friedrich Hayek, considerato il “santo patrono del reddito di base caro al populismo [crowd]”, Brynjolfsson e McAfee sostengono che l’azienda sia di per sé un blocco contro le forze del mercato, in quanto essa centralizza i processi di valutazione di dati e cerca di sopravvivere, anche a costo della sua efficienza del mercato. Ma evitano il sogno di una società senza mercati [senza aziende], mostrando come la mano umana ritorni in gioco anche nei processi più automatizzati del mercato.

Il loro consiglio agli imprenditori è: incorporate più meccanismi di mercato nell’azienda stessa [facendo riferimento all’anarco-capitalismo], eliminando i “processi decisionali interni e di allocazione delle risorse di molte organizzazioni” che “ancora assomigliano a quelli delle economie pianificate centralmente”. Quindi, gli umani entrano di nuovo nel quadro, costretti a decidere cosa conta come guidato dal mercato e cosa è programmato. Questa linea di pensiero respinge, per quanto lievemente, le versioni più estreme dell’ortodossia neoliberista. Piuttosto che lasciare che la monetizzazione possa distruggere le istituzioni, Brynjolsson e McAfee fanno appello a favore dell’isola, minima ma socialmente cruciale, della sopravvivenza del più economicamente adatto: l’azienda stessa, la corporazione. Questo è un umanesimo del tipo più strano che salverebbe il mercato da se stesso. Per lo più questo finisce col comportare più off-shoring, cioè con il trasferimento di un’attività economica o di alcune fasi di essa in un luogo in cui i costi di produzione o di gestione sono più bassi o la fiscalità è meno rigorosa [delocalizzazione], come avrebbe potuto prevedere Srnicek.  Da questa prospettiva, l’ultima linea umana di difesa contro l’idea di un totale decentramento di tutto risulta essere l’azienda stessa. La società, in questa narrativa, può essere difesa solo dalle corporazioni, dalle aziende. Ma la corporazione, l’azienda [se si preferisce] sopravvivrà solo se essa continuerà l’esternalizzazione dei dati delle sue risorse e dei processi decisionali, cioè solo se continuerà lo sviluppo del capitalismo delle piattaforme.

Infatti, il capitalismo delle piattaforme si espande in aree non sospette, come quella della medicina. Brynjolfsson e McAfee celebrano, infatti, la fine dell’assistenza sanitaria guidata dal medico, favorendo la diagnostica fornita dal “machine learning” e si congratulano con l’università online UDACITY44 per aver dato in outsourcing la classificazione dei progetti di sviluppo di codici nei loro corsi di informatica. Stipendi e posti di lavoro ricevono solo una menzione superficiale nelle pagine finali della loro opera. “E vero,questo è un brutto momento per essere un lavoratore, [ci dicono], ma dopotutto, comunque, non ci sono più ‘lavoratori’ ma solo ‘imprenditori’”. Tali “imprenditori” sono una sorta di “meta-lavoratori” specializzati nell’inventare nuove“mansioni lavorative”, qualcosa in cui le macchine ancora non sono molto brave”. Questa loro analisi laudatoria del capitalismo delle piattaforme conclude che “questo è il motivo per cui essere un imprenditore è uno dei lavori più gratificanti sia per gli individui che per la società”. Le imprese, le aziende o le corporazioni sono solo specchi algoritmici delle popolazioni in rete, organizzazioni formali che facilitano la monetizzazione delle attività sociali, cioè specchi delle piattaforme. Le piattaforme sono un’interfaccia computazionale tra società e capitale, ospitano le prestazioni di quell’interazione. E in questo modo, sono anche una sorta di mente in outsourcing e persino di crowdsourcing, in cui segni e concetti sono in comunicazione diretta e sfruttabile con produzione e valutazione. Mente e materia collassano ma la metafisica che ne risulta beneficia la piattaforma. Sebbene l’opera di Brynjolfsson e McAfee si possa considerare essere di un entusiasmo macabro, brivido che ormai si intravede con lo sviluppo del capitalismo delle piattaforme, essa è una delle descrizioni più convincente del presente a disposizione in materia.

Il [capitalismo] digitale è incredibilmente economico (quasi gratuito), perfetto (la copia dei dati è un’ope- razione precisa), e istantaneo (o tanto veloce come sia capace di esserlo la tecnologia digitale). Secondo Brynjolfsson e McAfee, sono questi vantaggi della tecnologia digitale a permeare l’intero ciclo di produzione. Le piattaforme sono la forma istituzionale di questo nuovo modo di generare plusvalore. Sono “ambienti online che sfruttano l’economia di un ambiente digitale libero, perfetto e istantaneo”, un “ambiente digitale caratterizzato da costi marginali di accesso, riproduzione e distribuzione quasi pari allo zero”. Internet è la piattaforma delle piattaforme, il facilitatore di tutta questa nuova facilitazione. Brynjolfsson e McAfee non si preoccupano mai di chi azzera il margine né dei creatori dei contenuti o prodotti né di chi possiede l’infrastruttura da distribuzione o altro. Le piattaforme, infatti, appartengono a qualcuno ed esse possono catturare molto, la maggior parte o anche tutto il valore mentre si diffondono in un settore. Apple, riferiscono, mantiene il 30% degli acquisti di app a pagamento, parte dei sei miliardi di dollari statunitensi in entrate dell’app-store dell’azienda nel 2015. La parola chiave è “accesso”, una linea diretta tra impresa e consumatore che emargina tutti gli altri elementi, con stipendi e rendite fluttuando nel mercato “libero” adesso condeterminato dall’algoritmo e dal comportamento dei consumatori in piattaforma. Tutti possono partecipare, naturalmente, e di conseguenza l’intero ciclo diventa più efficiente. Le piattaforme, viene sostenuto, “migliorano la nostra qualità di vita e allo stesso tempo ci aiutano a ‘spostarci’ velocemente nei mercati del pianeta” giacché in futuro si produrranno meno beni, in termini totali, man mano che vengono prodotti meno beni eccedenti. Brynjolfsson e McAfee immaginano ciò che loro chiamano un “comunismo di lusso completamente automatizzato per pochissimi”. Proprio come i suggerimenti per regolare e collettivizzare le piattaforme, “Machine, Platform, Crowd” è scritta come una serie di suggerimenti che nessuno potrebbe seguire realmente se non ha già il controllo delle piattaforme “incumbent” 27L’analisi è realistica in modo terrificante riguardo il passaggio alle categorie in cui stiamo vivendo. Così è pure “The Stack: On Software and Sovereignity” di Benjamin Bratton,28 anche se in una chiave diversa.

Benjamin Bratton: The Stack: On Software and Sovereignty

Bratton inizia la sua analisi del capitalismo delle piattaforme con un richiamo alla necessità di utilizzare nuove categorie e termini, segnalando che mancano i termini critici per descrivere e analizzare una situazione planetaria che opera sul calcolo computazionale, una “mega-struttura computazionale occidentale” [The Stack] che abbiamo costruito e che, a sua volta, “ci sta a costruire a immagine sua”. In tutto il suo studio, Bratton riserva un tono derisorio ma analitico per coloro che non accettano ciò egli chiama “la nuova normalità”. Secondo Bartton, poiché abbiamo progettato “The Stack”29 – la somma delle parti della mega-struttura – non abbiamo altra scelta che trattarla come una questione di “platform design”. Di conseguenza, seguendo il suo ragionamento, l’unico modo per cogliere e intervenire nella situazione è incontrarla, concettualmente e pragmaticamente, su larga scala. Ciò che ne deriva è la visione più sinottica di questo argomento che fin’ora ci sia in circolazione.

È stato Bruce Sterling a suggerire il termine “stack”, in un forum online del 2013, segnalando che piuttosto che parlare di “Internet”, “Silicom Valley” o “The Media”, bisognava studiare Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, questi grandi cinque “SILI”, verticalmente organizzati, che stavano “rifondando il mondo a loro immagine”.30 In quest’interpretazione gli Stacks sarebbero l’incombente realizzazione della promessa di emancipazione del cyberspazio. Dinnanzi allo extrapotere di questi “SILI”, chiunque si potrebbe chiedere perché queste Corporations o Piattaforme non “comprano semplicemente i partiti”.  Bratton avrebbe, tuttavia, una risposta: le piattaforme non sono né imprese né governi ma piuttosto una “terza forza istituzionale, insieme a stati e mercati”. In ogni modo, la cyber-politica non può essere rintracciata nelle vecchie formule di promulgare leggi e tracciare le linee dei confini degli stati. Per Bratton, denominare l’intera questione “The Stack” [la mega-struttura computazionale occidentale] è un modo di cogliere la totalità, nonostante la frammentazione. Da questa prospettiva, The Stack è da essere intesa come una“cosmologia” del capitalismo nella sua forma piattaforma.

Secondo Bratton questa metaforica cosmologia si articola in sei livelli: i livelli delle formazioni più grandi, come Terra e Cloud [Nuvola], i livelli dei concetti geografici più familiari, come “Città” e “Indirizzo”, e i livelli più immediati come Interfaccia e Utente. I sei strati o livelli si fondono l’un l’altro progressivamente, descrivendo il mondo delle piattaforme globali. Lo strato della Terra tratta la scala planetaria in cui oggi si realizza l’elaborazione dell’informazione e si organizza l’utilizzo delle risorse naturali. Le informazioni e l’energia collegano la Terra in rete con il CLOUD DIGITALE.  Bratton accenna, di passaggio, che la computazione sta minacciando di destabilizzare le risorse energetiche a livelli senza precedenti. Infatti, i principali analisti di Information technology da tempo denunciano la costante crescita dei consumi energetici per il raffreddamento dei dispositivi informatici in generale e dei data center [Cloud] in particolare.31 L’asimmetria tra informazione e consumo di energia consente alla CLOUD di esistere, minacciando, allo stesso tempo, di disperderla, distruggendo la sua infrastruttura terrestre. Analizzando la sesta versione del Proto- collo Internet (IPv6) e RFID32, Bratton tratta l’indirizzabilità [identificazione e localizzazione universa- le]33 che si diffonde nel mondo delle cose. L’indirizzo profondo [deep address], come lo chiama, coincide con l’internet industriale in quello che prima vedevamo come “offline”.  L’analisi di Bratton è qui al suo meglio. Il suo studio di cosa siano le cose (ontologia) si sposta con l’aumento della categorizzazione su scala planetaria. Gli “indirizzi” [persone, e cose identificate ed elettronicamente reperibili] penetrano attraverso la CLUOD verso la terra.

Bratton considera che ciò che è strano e nuovo è la disomogeneità infrastrutturale. Bratton ci fa notare che lo STACK “Città” [strato o livello “Città”] raccoglie gli STACKS computazionali dei livelli precedenti [Terra e Cloud] e li centralizza geograficamente. Ma questa geografia è, almeno per metà, digitale, come mostra l’aumento delle presunte “città intelligenti”, che adeguano il disordine delle metropoli alla liscia facilitazione della piattaforma. Questo spazio urbano ibrido è reso possibile dallo STACK [livello] “Interfaccia”.  Bratton espande “l’Interfaccia” oltre lo schermo, presentandola come un regime di immagini che coordina gli “agenti” in The STACK complessivo o mega-struttura computazionale occidentale.

Lo strato “Interfaccia” consente al livello “Indirizzo” di governare il livello finale: “l’Utente”. Ma l’utente non è necessariamente umano. Invece, l’utente è qualsiasi agente che può avviare uno “stack” [colonna] di computazione nello Stack complessivo [The Stack]. Queste colonne pullulanti di dati connettono i livelli, poiché il loro contenuto semantico è completato da metadati e “meta-metadati”, consentendo di isolare e visualizzare una colonna a livello di ciascun strato. Bratton ha descritto con successo una totalità del calcolo, dal click al globo. The Stack, nei termini dell’articolazione descritta, può essere considerata una sorta di meta-piattaforma composta da altre piattaforme. Queste piattaforme, conclude Bratton, sintetizzano gli scambi di ogni tipo e li impacchettano come dati ricercati. È questa sintesi che forma un terzo Stato (digitale) con lo Stato e il Mercato. L’algoritmo PageRank34 di Google è tutt’altro che uno strumento o una fonte di informazione: è invece il suo insieme di colonne in The Stack a produrre una forma che altera il mercato e il governo allo stesso tempo. L’irresponsabilità politica di Facebook si adatta perfettamente a questo modello. Cambridge Analytica potrebbe essere un progetto di alt-right ma non dovremmo ridurla a categorie vecchie, perché non è chiaro, anche se i nostri sistemi legali puniscono gli autori, come potremmo fermare un’altra violazione, che potrebbe non venire nella stessa forma. Non ci è chiaro come possiamo tirarci fuori del “The Stack” e per Bratton è chiaro che non possiamo.

La minaccia di diventare Feudalism Cloud, scrive Bratton, si rende palese individuando lo stato post-guasto di città come Detroit e Fresno. Il Partito Repubblicano [degli USA] che gli Stacks [strati] non hanno ancora acquistato sta spingendo in questa direzione, sostiene Bratton. Lasciando il cambiamento climatico fuori dalle sue politiche, per esempio, i Repubblicani stanno attivamente creando condizioni in cui il neo-feudalismo può stabilizzarsi. Per combattere i vari “medievalismi senili” attualmente in ascensione, Bratton suggerisce che la sinistra dovrebbe evitare la “sfortunata politica reattiva anti-tecnologia digitale”. Il progetto di pianificazione planetaria che Bratton immagina (senza fornire praticamente dettagli) deve accettare che l’informazione non è solo “circa” il mondo ma è [costruisce e costituisce] il mondo. La critica che cerca di ripristinare due generazioni di strisciamento digitale è sempre già obsoleta. Bratton è tra i pochi che stanno tentando di ridisegnare, teoricamente, la “nuova normalità”.

Poiché The Stack è “incipiente, come Bratton stesso asserisce, la sua forma non è ancora cristallizzata, il che significa che questa teoria è semi-romanzata – una forma di fantascienza o di teoria della fiction. Questo tende a lasciare l’ambizione dell’analisi del capitalismo delle piattaforme in uno strano spazio intermedio, tentando una descrizione di qualcosa che non rivendica come reale, qualcosa che il libro vuole riprogettare dall’esistenza prima che possa diventare reale. È come se l’ambizione di progettare su scala planetaria impedisse a Bratton di impegnarsi pienamente nella sua ambizione parallela di scrivere la teoria del futuro emergente. Ciò che ne risulta è un cosmo affascinante ma incerto, pieno di spirali computazionali e nodi stratificati, ma privo di un principio che guidi la visione. La cosmologia di The Stack presenta un’immagine senza una legge, un fisica pre-newtoniana del digitale. Ma rimane singolare come un tentativo di scrivere una teoria per il presente lasci il lettore, intenzionalmente, in una terra di nessuno tra il presente e il futuro, costringendolo a confrontarsi con i risultati concreti della lotta planetaria tra computazione e categorie ataviche come (non-Stack) “terra” oppure “umano”. L’approccio di Bratton evita di lamentarsi o di celebrare la scomparsa delle vecchie categorie. La visione dell’insieme che risulta aleggia tra una teoria e una raccomandazione politica. La sua virtù è quella di suggerire che queste categorie devono essere allineate ma che nessuna raccomandazione, per regolamentare o collettivizzare o tornare a uno stile precedente di identità e governance dei media, potrà farlo. Bratton ci lascia un compito impossibile ma necessario.

Conclusione

La piattaforma è passata da un sistema operativo e di gioco a un fattore economico globale, da una metafora al meccanismo della produzione culturale e della ricchezza privatizzata. Ma supponiamo di regolare Amazon, suddividere Google, migrare interamente da Facebook a qualche altro set di piattaforme, risulta, comunque, difficile immaginare un futuro prossimo senza uno scambio sociale ed economico su larga scala facilitato dalle piattaforme digitali. Il sociale e le attività orientate al profitto ora si ritrovano legate in un contesto in cui lo Stato e il Mercato sembrano frammentati. L’equilibrio tra mente, natura e macchina è stato interrotto. E non si individua alcun segnale che queste trasformazioni tornino al loro stato precedente, come sperano Foer, Galloway e Srnicek, anche se per ragioni diverse. Il capitalismo delle piattaforme non è vapore sovrapposto a una struttura socio-economica solida che rimarrà quando questo vapore si disperderà. La cosmologia di Bratton pone la domanda di cosa si deve fare e di cosa offre, anche, delle linee guide generali, mentre Brynjolfsson e McAfee celebrano il potenziale per un comunismo di lusso automatizzato per un’élite sempre più piccola. Il compito teorico e il compito politico non sono solitamente così interlacciati eppure la loro risoluzione comune era raramente apparsa così lontana. Cosa viene dopo un cyberpunk che livella la fiction e la realtà, il cyberspazio e il meat-space [mondo reale], la teoria e la politica? Bratton suggerisce che ciò che è già avvenuto un disegno planetario che abbandona le distinzioni tra informazione e materia, pensato e non-pensato, il virtuale e il reale. Quelle distinzioni sono già abbandonate da The Stack. Questo è il motivo per cui le raccomandazioni di Brynjolfsson e McAfee per i gestori delle piattaforme sono più sincere – e più fosche – di tutti i suggerimenti in questi libri. Per lo più inciampiamo da una catastrofe all’altra, evitando le conseguenze dirette e ignorando l’infinito compito di quadrare la teoria e la politica nell’era del capitalismo delle piattaforme.

Amazon, Google, Facebook sono imprese globali che hanno il loro business su Internet. Sono cioè piattaforme digitali preposte a una serie di attività produttive che si svolgono sul Web. Ma sono piattaforme digitali anche quelle usate dalle società che organizzano le infrastrutture della logistica. Sono espressione di un modello di capitalismo che si sta affermando su scala mondiale e che ha nella finanza non solo un polmone monetario, ma un dispositivo di governance dei flussi di informazioni, di dati e di merci. Come ogni modello di business, prevede modalità specifiche di governo del lavoro, dove la massima precarietà convive con lo sfruttamento delle competenze più diverse che si riflette nella proliferazione delle forme contrattuali.

I fornitori di contenuti online, come YouTube, continuano a posizionarsi verso utenti, clienti, inserzionisti e responsabili delle politiche, avanzando affermazioni strategiche su ciò che fanno e non fanno e su come deve essere compreso il loro posto nel panorama delle informazioni. Un termine in particolare, “piattaforma”, rivela i contorni di questo lavoro discorsivo. La “piattaforma” è stata implementata sia nei loro appelli populisti sia nelle loro strategie di marketing – a volte come piattaforme tecniche, a volte come piattaforme da cui parlare, a volte come piattaforme di opportunità. Qualunque tensione sociale possa esistere nel servire tutti questi diversi fruitori vengono attentamente eliminate. Il termine si adatta anche ai loro sforzi per modellare la politica dell’informazione, dove cercano protezione per facilitare l’espressione dell’utente, ma cercano anche responsabilità limitata per ciò che dicono gli utenti. Poiché questi fornitori di contenuti online, cioè fornitori di ciò a cui crediamo e pensiamo di volere, diventano i curatori del discorso pubblico, dobbiamo esaminare i ruoli che intendono svolgere e i termini con cui sperano di essere giudicati, cioè la politica delle piattaforme. Perciò vi abbiamo invitati ad addentrarvi con noi in queste nostre prime considerazioni sul capitalismo delle piattaforme.

Proprio perché nel capitalismo delle piattaforme convivono la massima precarietà con lo sfruttamento delle competenze più diverse riflesse nella proliferazione delle forme contrattuali dobbiamo conoscere come si configura il lavoro nel tempo del capitalismo delle piattaforme e quali siano le possibili forme di resistenza negli spazi digitali35 È un’esigenza di salute sociale porre uno sguardo critico ai processi di produzione del valore [denaro, ricchezza] mediati dalla digitalizzazione e a come i suoi confini siano socialmente costruiti. Se negli anni ‘90 proliferavano descrizioni entusiastiche della rete, caratterizzate dai tratti libertari della Californian Ideology, oggi, le metafore usate per descrivere gli spazi digitali sono significativamente mutate. Si può parlare infatti di “walled garden”, giardini recintati in cui accesso e circolazione dei contenuti non sono affatto liberi, ma soggetti a molteplici e mutevoli forme di controllo.

Infatti, per non perdere di vista la salute sociale e individuale dobbiamo aspirare ad una nuova interpretazione della moltiplicazione di spazi chiusi [le piattaforme] fondati sull’espropriazione di beni comuni.36 In una tale prospettiva, i confini del lavoro – e le pratiche sociali che lo caratterizzano – verrebbero radicalmente ridefiniti. Assistiamo ad un rafforzamento della mercificazione dei testi, composizioni e immagini presenti nella rete e di uso comune e ad una spregiudicata messa a valore delle interazioni sociali e delle esperienze umane condivise. Ma dobbiamo confrontarci circa la possibilità di sottrarvisi attraverso modalità di organizzazione collaborativa all’interno di importanti ambiti dei processi sociali ed economici.

In definitiva, cosa unisce Google e Facebook, Apple e Microsoft, Siemens e GE, Uber e Airbnb? In una vasta gamma di settori, queste corporations si stanno trasformando in piattaforme: le corporations che forniscono le basi hardware e software per le altre su cui operare. Questa trasformazione segna un cambiamento importante nel modo in cui le imprese capitaliste operano e in che modo interagiscono con il resto dell’economia. Infatti, queste trasformazioni stanno configurando una nuova tappa del capitalismo: il “capitalismo delle piattaforme”. Dalla crisi degli anni ’70 al boom e alla fine degli anni ’90 e alle scosse della crisi del 2008, le basi fondamentali dell’economia stano rapidamente spartendosi tra un numero limitato di piattaforme monopolistiche. Queste piattaforme introducono nuove tendenze all’interno del capitalismo che pongono sfide significative a qualsiasi visione di un futuro post-capitalista e, certamente, alle nostre esistenze.

Immagini create con AI

  1. Franklin Foer. World Without Mind: The Existential Treat of Big Tech. Penguin Press, New York, 2017.
  2. Leif Weatherby. Delete your Account: On the Theory of Platform Capitalism. Los Angeles Riview of Books, April, 2018.
  3. In riferimento al lato Ovest della Casa Bianca dove lavora il Presidente degli Stati Uniti d’America e il suo staff e dove è ubicato il famoso Studio Ovale.
  4. The New Republic è una rivista statunitense “liberal” di politica e cultura pubblicata ininterrottamente a partire dal 1914. Settimanale per la maggior parte della sua storia, la rivista è attualmente pubblicata una ventina di volte all’anno, con una tiratura approssimata di 50.000 copie. Nel 2012 il New Republic è stato acquisito da Chris Hughes (cofondatore di Facebook). Il nuovo proprietario ha cambiato sia il direttore che il responsabile della sezione Cultura e ha avviato un piano di rilancio. Prevede la transizione verso un nuovo mezzo d’informazione integrato verticalmente, tra versione cartacea e edizione online. Nel 2016, dopo alcune difficoltà nella ristrutturazione della testata, Hughes decide di mettere in vendita la sua quota del «New Republic», cedendola, nello stesso 2016, all’editore Win McCormack.
  5. Leif Weatherby. Delete your Account: On the Theory of Platform Capitalism. Los Angeles Review of Books, April, 2018.
  6. Michael Pollan. In difesa del cibo. Traduzione di Giovanni Luciani. Adelphi, 2009.
  7. Scott Galloway The Four: The Hidden DNA of Amazon, Apple, Facebook, and Google. Penguin Random House, New York, 2017. In italiano: The four. I padroni. Il DNA segreto di Amazon, Apple, Facebook e Google. Hoepli, Milano, 2020
  8. Questo però era cambiato nell’ultimo trimestre del 2017, ma metà del nuovo profitto derivava dalla revisione fiscale attuata dalla nuova amministrazione.
  9. Ad esempio, le fotografie a sviluppo istantaneo stanno letteralmente spopolando sui profili Instagram delle celebrities che si fotografano, e poifotografano la fotografia in un’opera di meta-fotografia che ha del clamoroso. E così assistiamo alle foto delle foto delle vacanze di Bella Hadid, le foto dei collage delle foto di Kendall Jenner, le foto delle foto di Gigi Hadid e via così.
  10. Carlo Vercellone. Capitalismo cognitivo e reddito sociale garantito come reddito primario. In “Effimera. Critica e Sovversione del Presente”,Sinistrainrete, Maggio 2016.
  11. Robert Brenner. The Economics of Global Turbulence. Verso Books, 2006.
  12. In informatica con il termine inglese cloud computing (in italiano nuvola informatica) si indica un paradigma di erogazione di risorse informatiche, come l’archiviazione, l’elaborazione o la trasmissione di dati, caratterizzato dalla disponibilità on demand attraverso Internet a partire da un insieme di risorse preesistenti e configurabili. Le risorse non vengono pienamente configurate e messe in opera dal fornitore apposta per l’utente, ma gli sono assegnate, rapidamente e convenientemente, grazie a procedure automatizzate, a partire da un insieme di risorse condivise conaltri utenti lasciando all’utente parte dell’onere della configurazione. Quando l’utente rilascia la risorsa, essa viene similmente riconfigurata nello stato iniziale e rimessa a disposizione nel pool condiviso delle risorse, con altrettanta velocità ed economia per il fornitore. La correttezza nell’uso del termine è contestata da molti esperti: se queste tecnologie sono viste da Rob van der Meulen e Christy Pettey di Gartner come una maggiore evoluzione tecnologica offerta dalla rete Internet, da altri, come Richard Stallman, sono invece considerate come una parola ingannevole ideata dal marketing per far cadere gli utenti nel tranello dei software offerti come servizio, che spesso li privano del controllo delle loro attività informatiche.
  13. Nelle telecomunicazioni Internet delle cose (o, più propriamente, Internet degli oggetti o IoT, acronimo dell’inglese Internet of things) è un neologismo riferito all’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti. Introdotto da Kevin Ashton, cofondatore e direttore esecutivo di Auto-ID Center (consorzio di ricerca con sede al MIT), durante una presentazione presso Procter & Gamble nel Il concetto fu in seguito sviluppatodall’agenzia di ricerca Gartner. L’Internet delle cose è una possibile evoluzione dell’uso della Rete: gli oggetti (le “cose”) si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su se stessi e accedere ad informazioni aggregate da parte di altri. Le sveglie suonano prima in caso di traffico, le scarpe da ginnastica trasmettono tempi, velocità e distanza per gareggiare in tempo reale con persone dall’altra parte del globo, i vasetti delle medicine avvisano i familiari se si dimentica di prendere il farmaco. Tutti gli oggetti possono acquisire un ruolo attivo grazie al collegamento alla Rete.
    Per “cosa” o “oggetto” si può intendere più precisamente categorie quali: dispositivi, apparecchiature, impianti e sistemi, materiali e prodotti tangibili, opere e beni, macchine e attrezzature. L’obiettivo dell’internet delle cose è far sì che il mondo elettronico tracci una mappa di quello reale, dando un’identità elettronica alle cose e ai luoghi dell’ambiente fisico. Gli oggetti e i luoghi muniti di etichette Identificazione a radio frequenza (Rfid) o Codici QR comunicano informazioni in rete o a dispositivi mobili come i telefoni cellulari. I campi di applicabilità sono molteplici: dalle applicazioni industriali (processi produttivi), alla logistica e all’infomobilità, fino all’efficienza energetica, all’assistenza remota e alla tutela ambientale. L’internet delle cose tende ad evolversi in modo parallelo e reciproco al web semantico. Nel 2017 l’Università degli Studi di Udine, prima in Italia, crea un corso di laurea triennale ad hoc in “Internet of things, big data and web”.
  14. Per ”incumbency effect” si intende la tendenza di chi è già in carica [l’incombente] per vincere una rielezione.
  15. Nick Srnicek. Platform Capitalism. Polity Press, Cambridge, UK, 2017.
  16. Maurizio Lazzarato. Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività. Ombre Corte, 1997.
  17. In informatica con il termine inglese cloud computing (in italiano nuvola informatica) si indica un paradigma di erogazione di risorse informatiche, come l’archiviazione, l’elaborazione o la trasmissione di dati, caratterizzato dalla disponibilità on demand attraverso Internet a partire da un insieme di risorse preesistenti e configurabili. Le risorse non vengono pienamente configurate e messe in opera dal fornitore apposta per l’utente, ma gli sono assegnate, rapidamente e convenientemente, grazie a procedure automatizzate, a partire da un insieme di risorse condivise con altri utenti lasciando all’utente parte dell’onere della configurazione. Quando l’utente rilascia la risorsa, essa viene similmente riconfigurata nello stato iniziale e rimessa a disposizione nel pool condiviso delle risorse, con altrettanta velocità ed economia per il fornitore.
  18. Nel linguaggio scientifico e tecnologico, termine con cui si designano oggetti, strutture, programmi schematizzabili come linee chiuse o anelli; in elettrotecnica, l. di corrente, lo stesso che circuito chiuso. In informatica, successione di operazioni che vengono eseguite ripetutamente dal calcolatore nello stesso ordine, ogni volta con modifiche degli operandi, finché non sia soddisfatta qualche condizione prefissata.
  19. Baidu è il principale motore di ricerca in lingua cinese in grado di ricercare siti web, file audio e immagini e secondo il sito Netmarketshare.com a novembre 2016 è il 3° motore di ricerca al mondo con un 7,54% di share dopo Bing che deteneva nello stesso periodo l’8,28%. Ha anche una enciclopedia online scritta collaborativamente (Baidu Baike), e forum di discussione con ricerche basate su parole chiave. Il sito viene classificato quinto nelle statistiche di Alexa. Nel dicembre 2007 Baidu è stata la prima compagnia cinese ad essere inclusa nell’indice NASDAQ-100. Baidu indicizza oltre 740 milioni di pagine web, 80 milioni di immagini e 10 milioni di file multimediali.
  20. Erik Brynjolfsson & Andrew McAfee. Machine, Platform, Crowd: Harnessing our Digital Future. W. W. Norton & Company, New York, 2017.
  21. La triplice rivoluzione è una lettera aperta inviata al presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson e ad altri esponenti del governo il 22 marzo 1964. Il documento fu firmato da attivisti, professori e tecnologi che si identificarono nel Comitato Ad Hoc sulla Tripla Rivoluzione. L’ideatore della proposta, basata sulle idee di Robert Theobald, fu l’allora vicepresidente del Center for the Study of Democratic Institutions, Wilbur H. Ferry. Il documento elenca tre rivoluzioni che si svolgevano all’epoca. La rivoluzione della cibernazione: l’introduzione dei computer e dell’automazione nelle attività produttive sta riducendo l’occupazione nel settore secondario portando a un sistema di “quasi illimitata capacità produttiva” che richiederà sempre meno forza lavoro per funzionare. La rivoluzione degli armamenti: la dotazione da parte delle potenze mondiali delle armi di distruzione di massa porta alla necessità di un mondo senza guerra il cui percorso sarà “lungo e frustrante”. La rivoluzione dei diritti umani: la richiesta universale di pieni diritti emersa nel Movimento per i diritti civili degli afroamericani che comprendano il diritto a un lavoro ben retribuito in base all’Employment Act del 1964. I firmatari proposero di far fronte a queste rivoluzioni in corso tramite l’intervento dello stato. La prima proposta era assicurare un reddito a ogni individuo e a ogni famiglia, in sostituzione agli altri tipi di sussidi, fra cui il sussidio di disoccupazione. Nell’ipotizzata economia dell’abbondanza andavano anche premiate le attività che mettevano in relazione le persone fra loro piuttosto che relazionare le persone con gli oggetti come stava accadendo in un’economia in cui dominava il profitto e in cui attività come l’insegnamento venivano bollate come “non economiche”. La terapia shock proposta dai firmatari doveva basarsi su forti investimenti federali nel sistema scolastico per formare 100.000 insegnanti l’anno. All’istruzione dovevano affiancarsi lavori pubblici per due miliardi di dollari l’anno al fine di creare da 300.000 a 400.000 posti di lavoro. In ambito urbanistico, si chiedeva la costruzione di oltre 700.000 unità abitative l’anno, affiancato dall’investimento nel trasporto pubblico per ovviare ai problemi delle grandi metropoli. I firmatari esprimevano preoccupazione sull’effetto che i tagli alla difesa statunitense attuati da Robert McNamara avrebbero avuto sull’economia e proponevano di riutilizzare, riconvertendole a un “uso comunitario ed educativo”, le basi militari in via di chiusura, e di usare con più ragionevolezza le risorse comuni. Una maggiore redistribuzione del reddito accompagnata da forme di credito d’imposta e sussidi per “alleviare le sofferenze umane implicite nella transizione di molte industrie dalla forza umana alla forza delle macchine” coinvolgendo anche i sindacati che avrebbero dovuto rappresentare anche i disoccupati che ne erano esclusi. L’obiettivo che i firmatari proponevano al presidente democratico Johnson era “la cosciente e razionale direzione della vita economica da parte di istituzioni di pianificazione sotto controllo democratico”.
  22. Erik Brynjolfsson & Andrew McAfee. The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies. W. W. Norton &Company, New York, 2014 [La rivoluzione industriale ha dato luogo alla più rapida e ripida crescita (di popolazione, di reddito, di produttività)della storia. In due secoli ha cambiato il volto del pianeta e la vita degli uomini, portando ricchezza e nuove possibilità, ma anche sfruttamento, inquinamento, impoverimento e distruzione di molti stili di vita tradizionali. In questo libro, gli economisti del MIT Brynjolfsson e McAfee sostengono che è arrivato il momento per una nuova rivoluzione, che questa volta non meccanizzerà il lavoro manuale, ma quello mentale. Mentre le macchine che si guidano da sole di Google macinano migliaia di chilometri per le strade della California e in ogni tasca c’è quello che dieci anni fa sarebbe stato un supercomputer, si comincia a intravedere dove può portare la convergenza digitale di hardware sempre più veloci e meno costosi e software sempre più sofisticati e adattabili: a un mondo in cui, semplicemente, molti lavori di concetto non esisteranno più,perché saranno svolti dai computer; in cui avremo accesso a un’abbondanza mai vista prima di tecnologie che ci aiuteranno in ogni ambito della nostra vita; in cui molto del nostro modello economico, e modo di vivere, sarà antico, superato, distrutto. Lavorando a partire da decenni di ricerca originale, Brynjolfsson e McAfee mostrano come siamo ormai arrivati al punto di svolta, e soprattutto offrono molte idee per affrontare questo cambiamento epocale, senza rimanere schiacciati dalla sua velocità e ampiezza].
  23. L’apprendimento automatico, noto anche come machine learning, rappresenta un insieme di metodi sviluppati a partire dagli ultimi decenni del1900 in varie comunità scientifiche con diversi nomi come: statistica computazionale, riconoscimento di pattern, reti neurali artificiali, filtraggio adattivo, teoria dei sistemi dinamici, elaborazione delle immagini, data-mining, algoritmi adattivi, ecc; che “fornisce ai computer l’abilità di apprendere senza essere stati esplicitamente programmati”.
  24. Blockchain [catena di blocchi]: processo in cui un insieme di soggetti condivide risorse informatiche (memoria, CPU, banda) per rendere disponibile alla comunità di utenti un database virtuale generalmente di tipo pubblico (ma esistono anche esempi di implementazioni private) ed in cui ogni partecipante ha una copia dei dati. L’utilizzo di un protocollo di aggiornamento ritenuto sicuro dalla comunità degli utenti e di tecniche di validazione crittografiche genera la reciproca fiducia dei partecipanti nei dati conservati dalla blockchain, che la rende comparabile ai “registri” gestiti in maniera accentrata da autorità riconosciute e regolamentate (banche, assicurazioni ecc.).
  25. P Vigna & MJ Casey, The Age of Cryptocurrency: How Bitcoin and the Blockchain Are Challenging the Global Economic Order, St. Martin’s Press, January 27 2015 & N. Popper, A Venture Fund With Plenty of Virtual Capital, but No Capitalist, New York Times, May 21 2016.
  26. In economia, il crowdsourcing è lo sviluppo collettivo di un progetto – in genere su base volontaria, o su invito – da parte di una moltitudine di persone esterne all’azienda ideatrice. Questo modello operativo, in genere reso possibile grazie a Internet, non riguarda necessariamente la scrittura di codice in linguaggi di programmazione: per la varietà di progetti, basti pensare a Wikipedia stessa (le cui voci sono redatte e rifinite dai propri lettori). In ambito economico può essere definito come l’”esternalizzazione di una parte delle proprie attività” è un modello di business nel quale un’azienda o un’istituzione affida la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto, oggetto o idea a un insieme indefinito di persone non organizzate precedentemente. Questo processo viene favorito dagli strumenti che mette a disposizione il web. Solitamente il meccanismo delle open call viene reso disponibile attraverso dei portali presenti sulla rete internet. Ad esempio, al pubblico può essere richiesto di sviluppare nuove tecnologie, portare avanti un’attività di progettazione, definire o sviluppare un algoritmo, o aiutare a registrare,sistematizzare o analizzare grandi quantità di dati. Il crowdsourcing inizialmente si basava sul lavoro di volontari ed appassionati, che dedicavano il loro tempo libero a creare contenuti e risolvere problemi. La community open source è stata la prima a trarne beneficio. L’enciclopedia Wikipedia viene considerata da molti un esempio di crowdsourcing volontario. Oggi il crowdsourcing è per le aziende un nuovo modello di open enterprise, per i freelance diventa la possibilità di offrire i propri servizi su un mercato globale e per i ricercatori universitari un modo per raccogliere dati importanti e fare nuove scoperte o rivelazioni, come nel caso della ricerca linguistica. Questo termine è usato spesso da aziende, giornalisti e altre categorie per riferirsi alla tendenza a strutturare la collaborazione di massa, resa possibile dalle nuove tecnologie del Web 2.0, per raggiungere determinati obiettivi. Ciononostante, sia il termine che i modelli di business che sottintende sono oggetto di controversie e critiche.
  27. In economia, il termine incumbent (letteralmente ‘che sovrasta’, dal latino incumbere) viene usato generalmente per riferirsi all’azienda di maggiori dimensioni (dominante) di uno specifico mercato (o semplicemente per delineare aziende di esperienza di settore da anni). Nel settore dei media e delle telecomunicazioni, vengono dette incumbent soprattutto le imprese ex-monopoliste in mercati recentemente liberalizzati; queste aziende traggono in genere beneficio da una posizione di ampio vantaggio iniziale, privilegi e/o altre condizioni che ostacolano l’affermazione deiloro concorrenti. Esempi tipici di incumbent sono le compagnie telefoniche come Telecom Italia, France Télécom, British Telecom e Deutsche Telekom. In politica l’incumbency tende sempre più a diventare di per sé una strategia di propaganda politica, che ridimensiona il significato e l’incisività della campagna elettorale vera e propria, soprattutto di quella che si svolge a ridosso delle elezioni. Il vantaggio dell’incumbent (come categoria particolare del voto ad personam) si costruisce nelle pieghe delle diverse scadenze elettorali attraverso l’utilizzo di puntuali strategie e modalità di comunicazione e la messa in campo di un rapporto più diretto tra rappresentante politico ed elettori.
  28. Benjamin Bratton. The Stack: On Software and Sovereignty. MIT Press, 2016.
  29. Nome dell’architettura hardware flessibile disposta come un cumulo su un’asse verticale, cioè la pila. Nella teoria di Bratton sarebbero unità parallele che operano simultaneamente.
  30. https://www.theatlantic.com/technology/archive/2012/12/bruce-sterling-on-why-it-stopped-making-sense-to-talk-about-the-internet-in-2012/266674/
  31. http://www.thundersystems.it/it/news/ridurre-i-consumi-dei-datacenter-agendo-si-rete-cloud-e-raffreddamento/
  32. In telecomunicazioni ed elettronica con l’acronimo RFID (dall’inglese Radio-Frequency IDentification, in italiano identificazione a radiofrequenza) siintende una tecno- logia per l’identificazione e/o memorizzazione automatica di informazioni inerenti ad oggetti, animali o persone (automatic identifyingand data capture, AIDC) basata sulla capacità di memorizzazione di dati da parte di particolari etichette elettroniche, chiamate tag (o anche transpondero chiavi elettroniche e di prossimità), e sulla capacità di queste di rispondere all’interrogazione a distanza da parte di appositi apparati fissi o portatili, chiamati reader (o anche interrogatori). Questa identificazione avviene mediante radiofrequenza, grazie alla quale un reader è in grado di comunicaree/o aggiornare le informazioni contenute nei tag che sta interrogando; infatti, nonostante il suo nome, un reader (ovvero: “lettore”) non è solo in grado dileggere, ma anche di scrivere In un certo senso, i dispositivi RFID possono essere quindi assimilabili a sistemi di lettura e/o scrittura senza fili con svariate applicazioni.
  33. “Indirizzabilità”: capacità di un microprocessore, ecc di trattare con valori di una certa dimensione utilizzando una singola istruzione. Ad esempio, “64-bit indirizzabilità” significa che una singola istruzione macchina può operare su un valore memorizzato in otto byte. Essa può anche essere intesa come la capacità di una superficie di visualizzazione o dispositivo di archiviazione per accogliere un determinato numero di puntiunivocamente identificabili oppure come la capacità di un telaio campo specificato di contenere un numero specifico di punti univocamente identificabili.
  34. Il PageRank è un algoritmo di analisi che assegna un peso numerico ad ogni elemento di un collegamento ipertestuale di un insieme di documenti, come ad esempio il World Wide Web, con lo scopo di quantificare la sua importanza relativa all’interno della serie.
  35. E. Armano, A. Murgia e M. Teli. Platform capitalism e confini del lavoro negli spazi digitali. Mimesis, Milano, 2017.
  36. Ibidem

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