Cosa vedi quando ti guardi allo specchio? E cosa vedi, invece, quando ti osservi in una storia Instagram? Se la risposta è “due persone diverse”, non sei solo. Sempre più giovani — soprattutto ragazze — percepiscono il proprio aspetto fisico come inadeguato, imperfetto, addirittura intollerabile. Non parliamo solo di semplice insoddisfazione estetica: il fenomeno ha un nome preciso, e si chiama dismorfismo corporeo. Ed è in allarmante crescita, alimentato da un ecosistema digitale fatto di filtri leviganti, comparazioni continue e idealizzazioni irraggiungibili. Ma cosa sta succedendo davvero alle nuove generazioni? E qual è il ruolo della pandemia e della conseguente iperconnessione in questa crisi identitaria?
Che cos’è il dismorfismo corporeo e perché sta aumentando
Il dismorfismo corporeo è un disturbo psicologico in cui una persona sviluppa una preoccupazione eccessiva, spesso ossessiva, per uno o più aspetti del proprio aspetto fisico. Questa preoccupazione diventa così invalidante da interferire con la vita quotidiana, i rapporti sociali e perfino le scelte di vita.
Sebbene il disturbo non sia nuovo, negli ultimi anni stiamo assistendo a un vero e proprio boom tra adolescenti e giovani adulti. L’incidenza stimata si aggira intorno al 2-3% nella popolazione generale, ma sale vertiginosamente fino al 15% nei frequentatori abituali di centri estetici e cliniche di medicina estetica. E secondo uno studio pubblicato nel 2021 sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, chi confronta frequentemente il proprio aspetto con quello di influencer e celebrità ha una probabilità molto più alta di sviluppare insoddisfazione corporea.
Il ruolo dei social media nella distorsione dell’immagine di sé
I social media non si limitano a trasmettere immagini: impongono modelli. Ogni filtro di bellezza, ogni selfie post-prodotto, ogni corpo tonico sotto la luce perfetta crea uno standard implicito a cui confrontarsi. E i giovani, costantemente immersi in queste immagini, interiorizzano tali ideali estetici come norma.
Uno studio pubblicato su New Media & Society ha dimostrato che l’uso frequente di Instagram è direttamente correlato all’aumento della cosiddetta auto-oggettivazione, ovvero la tendenza a percepirsi e valutarsi in base al proprio aspetto fisico, piuttosto che alla propria interiorità, intelligenza o personalità.
Il paradosso? Più ci si espone a immagini di bellezza “perfetta”, più ci si sente inadeguati. E più ci si sente inadeguati, più si tende a modificare — virtualmente o realmente — il proprio corpo.
Pandemia e videocamere: lo specchio distorto dello smart working
La pandemia da Covid-19 ha accentuato un fenomeno già in corso. Durante i lockdown, l’aumento dell’uso dei social media è stato esponenziale, così come il ricorso a videochiamate per scuola, lavoro o socializzazione. Per la prima volta, molte persone si sono trovate a guardare il proprio volto per ore ogni giorno su uno schermo. È nato così il fenomeno del cosiddetto Zoom Dysmorphia, ovvero l’insoddisfazione crescente causata dalla propria immagine riflessa nello schermo.
Uno studio tedesco pubblicato su Frontiers in Psychology ha rilevato un incremento significativo dei sintomi del dismorfismo corporeo proprio in concomitanza con la pandemia, insieme a disturbi d’ansia e depressione. Il malessere, insomma, non è stato solo sanitario: ha colpito in profondità anche l’identità.
Adolescenti e identità a rischio
L’adolescenza è già di per sé una fase critica della vita, segnata da profondi cambiamenti fisici, emotivi e relazionali. In un’epoca in cui la costruzione dell’identità passa attraverso il numero di like e follower, il corpo diventa il primo biglietto da visita. Se non corrisponde ai canoni estetici dominanti, è fonte di disagio, vergogna e isolamento.
Eppure non si tratta solo di una questione di vanità o apparenza: per molti giovani, la percezione negativa del proprio corpo si traduce in ritiro sociale, ansia, disturbi alimentari e perfino idee autolesionistiche. Il dismorfismo corporeo è una ferita invisibile che colpisce in silenzio.
Serve un cambiamento culturale che comporti un’educazione all’immagine che non sia solo estetica ma anche empatica. Serve — forse — tornare a guardarsi con gli occhi di chi vede la persona, e non solo il filtro.
Anche per queste problematiche l’Omeopatia può risultare un approccio efficace e vincente con la sua tendenza a riportare l’equilibrio psico-fisico-emotivo nelle persone che la utilizzano.