BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno VII • Numero 26 • Giugno 2018
Scritto in collaborazione con Eugenia D’Alterio – biologa
Crisi o smania di autodistruzione
Molti analisti e opinionisti considerano che la civiltà occidentale sia sull’orlo del collasso. Questa considerazione, anche se troppo semplicistica, merita di essere esplorata. A riguardo, la prima domanda potrebbe essere: perché la crisi impatterebbe solo le società occidentali?
Effettivamente, quasi tutti i governi occidentali, di un certo rilievo, sono impegnati in una smania di auto- distruzione. In un’epoca di fenomenale complessità e crisi interconnesse, chi controlla questi governi, dagli anni della deregulation di Donald Reagan & Margaret Thatcher, ha intrapreso una massiccia dequalificazione e semplificazione dello Stato. Qualunque sia la nuance politica, praticamente, tutti coloro che salgono a governare portano e attuano la stessa intenzione: la decostruzione dellostato amministrativo. Essa rimane la centrale o, forse, l’unica politica. Questa è la ragione fondamentale per cui i cittadini delle democrazie occidentali non hanno potuto percepire più una distinzione tra partiti di destra o di sinistra.
Distruggere i dipartimenti, sciogliere le squadre, licenziare gli esperti su cui fanno affidamento, chiudere i programmi di ricerca, screditare i funzionari pubblici che rimangono in servizio, lo Stato che odia sé stesso annienta anche il proprio apparato di governo e, allo stesso tempo, distrugge le istituzioni di protezioni pubbliche deputate a difenderci dalla sciagura del caos sociale.1
Una serie di studi pubblicati, negli ultimi mesi, ha iniziato a esplorare l’impatto più ampio degli inquinanti. Uno, pubblicato nel British Medical Journal,2 suggerisce che l’esposizione dei bambini, ancora non nati ma in grembo, all’inquinamento atmosferico nelle città sta causando “qualcosa che si avvicina a una catastrofe per la salute pubblica”. L’inquinamento nell’utero è ora collegato al basso peso alla nascita, alla riduzione dellosviluppo dei polmoni e del cervel- lo e ad una serie di malattie debilitanti e fatali in età avanzata.3
Un altro rapporto, pubblicato su Lancet,4 suggerisce che il numero di morti causato dall’inquinamento è tre volte più alto da quello causato dall’AIDS, dalla malaria e dalla tubercolosi messe insieme. Un tale inquinamento, segnalano gli autori, rappresenta una “minaccia alla sopravvivenza continua delle società umane”. Una raccolta di articoli sulla rivista PLOS Biology rivela che non ci sono dati di sicurezza affidabili sulla maggior parte degli 85.000 prodotti chimici sintetici ai quali potremmo essere esposti. Mentre centinaia di queste sostanze chimiche “contaminano il sangue e l’urina di quasi tutte le persone testate”5 e il volume dei materiali che li contengono aumenta ogni anno, non abbiamo idea di quali possano essere i possibili impatti, singolarmente o in combinazione.
In risposta a tali constatazioni, i governi, sistematicamente, distruggono l’integrità di agenzie ed organismi di controllo ambientale, strappando piani per l’energia pulita, accettando standard ambientali viziati per i veicoli a motore, invertendo i divieti d’uso di pesticidi (causa accertata di compromissione di funzioni cognitive e comportamentali nei bambini) e annullando un elenco notevole di protezioni pubbliche simili.
Nel Regno Unito, ad esempio, governi successivi hanno, anche, limitato la loro capacità di rispondere alle crisi. Ad esempio, uno dei primi atti di David Cameron nel prendere il potere è stato quello di chiudere i sistemi di allarme anticipati del governo, (non voleva sentire quello che gli stavano dicendo) e licenziare i consiglieri imparziali e li sostituì con adulatori. Così come ora, mentre si disdegna l’Unione Europea, de- gradiamo la nostra capacità di risolvere i problemi che trascendono i nostri confini.6

Ma queste patologie sociali e di gestione delle popolazioni non sono confinate in “Occidente”. L’ascesa della demagogia (la ricerca di soluzioni semplicistiche a problemi complessi, accompagnata dallo smantellamento dello Stato tutelare) è evidente ovunque. La disgregazione ambientale sta accelerando in tutto il mondo. L’annientamento di popolazioni di vertebrati,7 l’Insectageddon,8 la cancellazione delle foreste pluviali,9 delle mangrovie, l’eliminazione dei micro-organismi dal suolo,10 l’inquinamento delle falde acquifere, il degrado di interi sistemi terrestri, come l’atmosfera e gli oceani, procedono a ritmi sbalorditivi. Queste crisi interconnesse interesseranno tutti, ma le nazioni più povere sono colpite prima e in modo peggiore.11
Anche le forze che minacciano di distruggere il nostro benessere sono, dappertutto, le stesse: in primo luogo, il potere del lobbying delle grandi corporation e dei grandi capitali che percepiscono lo Stato amministrativo come un impedimento ai loro interessi immediati. Amplificati dal potere persuasivo della finanza elettorale, dai Think Tanks,12 finanziati in segreto, dai giornalisti, assoldati o ingaggiati, e dagli accademici addomesticati, queste forze minacciano di sopraffare la democrazia.13
Fino ad un certo punto, la connettività aumenta la resilienza.14 Ad esempio, se le forniture alimentari locali falliscono, i mercati regionali o globali ci consentono di attingere alla produzione altrove. Ma oltre un certo livello, la connettività e la complessità minacciano di diventare ingestibili.15 Le proprietà emergenti del sistema, combinate con l’incapacità del cervello umano di comprenderle, potrebbero diffondere le crisi piuttosto che contenerle. Siamo nell’eventualità di abbatterci l’un l’altro. Perciò la domanda, se le civiltà occidentali siano sull’orlo del collasso, posta all’inizio, dovrebbe essere riformulata in questi termini: “se le società complesse siano sull’orlo del collasso?”.
Società complesse sono crollate molte volte in passato. Viviamo in una sorta di civiltà interglaciale, una breve tregua dall’entropia sociale. Il collasso è sempre stato una questione di quando, non se. Ma “quando” inizia, secondo alcuni, “presto”.16
Per alcuni studiosi, però, il collasso degli stati e la complessità sociale non sono sempre da valutare come eventi negativi. Alriguardo, James C. Scott nel suo libro Against the Grain,17 sottolinea che la dissoluzione dei primi stati, fondati sulla schiavitù e sulla diretta coercizione, come mezzi per avere il controllo sulla riproduzione delle popolazioni, è probabile che sia stata vissuta da molte popolazioni come un’emancipazione. Quando il potere centralizzato cominciò a collassare, attraverso epidemie, fallimenti delle colture, inondazioni, erosione del suolo o perversioni autodistruttive del governo, i sudditi sottomessi avrebbero avuto la possibilità di fuggire. In molti casi si unificarono ai “barbari”.
Questo cosiddetto “primitivismo secondario”, osserva Scott, “potrebbe essere stato sperimentato come un netto miglioramento della sicurezza, della nutrizione e dell’ordine sociale. Diventare un barbaro era, spesso, un tentativo di migliorare la propria sorte.” Le età oscure, che seguirono inesorabilmente la gloria e la grandezza dello stato, potrebbero, in quell’epoca, essere stati i migliori tempi per essere vivi.
Ma oggi non c’è nessun posto di nuova frontiera dove fuggire. Le terre selvagge e i ricchi ecosistemi, che un tempo sostenevano i cacciatori-raccoglitori, i nomadi e i profughi dai primi stati che implodevano e che si univano a loro, non esistono quasi più. Solo una piccola parte della popolazione attuale potrebbe sopravvivere ad un ritorno alla vita barbarica. Si consideri che, secondo una stima, la popolazione massima della Britannia durante il Mesolitico, quando le persone sopravvissero alla caccia e alla raccolta, era di 5000 umani). Nell’era nominalmente democratica, lo stato complesso è ora, malgrado tutti i suoi difetti, tutto ciò che si frappone tra noi e la catastrofe del caos sociale.
Quindi cosa facciamo? Opinionisti come George Monbiot & Damian Carrington, considerano che vi è una nuova strada da seguire ma che il percorso che ora seguiamo non è il percorso adatto.

Fare un passo indietro dal precipizio: la destrutturazione delle nostre abitudini cognitive
Per questi opinionisti, un nuovo e sorprendente campo di indagine esplora i profondi cambiamenti che potrebbero scongiurare un disastro planetario. Infatti, sappiamo bene dove stiamo andando. Per molti anni, studiosi di svariate provenienze hanno avvertito che stiamo arrivando ai limiti ecologici della Terra. Quindi sappiamo di essere nel bel mezzo di una crisi climatica e di un collasso ecologico, eppure, sembriamo costituzionalmente incapaci di agire su questa conoscenza. Infatti, nessuna politica è commisurata alla portata delle sfide che ci aspettano.
Quindi, cosa ci impedisce di rispondere? Per anni alcuni studiosi e opinionisti hanno sospettato che la causa sia ancora più profonda della potenza delle grandi corporation e dell’ossessione ufficiale per la crescita economica. Ad esempio, Jeremy Lent,18 ci fa ripensare molto di quanto abbiamo creduto fosse veritiero al riguardo. Mettendo insieme la storia culturale con le neuroscienze, Lent sviluppa una nuova disciplina che chiama storia cognitiva.
L’argomentazione di Lent è che, sin dalla nascita, i nostri processi cognitivi sono plasmati dalla cultura in cui cresciamo, cultura che predispone i sentieri interpretativi che impariamo a seguire, come percorsi attraverso un campo di erba alta. Ad aiutare noi a costruire questi modelli di significato sono le potenti metafore che codificano la visione culturale del mondo incorporate nella nostra lingua. Infatti, questi modelli cognitivi ci guidano senza la nostra conoscenza cosciente. Si potrebbe dire che sono metafore culturali che guidano, autonomamente, le scelte che facciamo. Lent sostiene che il carattere peculiare del pensiero religioso e scientifico occidentale, che è arrivato a dominare il resto del mondo, ha spinto sia la civiltà umana che il resto del mondo vivente sull’orlo del collasso. Ma mostra, anche, come, attraverso la comprensione delle sue metafore e dei suoi schemi cognitivi, possiamo uscire dal nostro sentiero e svilupparne di nuovi attraverso il campo d’erba, portandoci lontano dal precipizio.
Ci sono molti punti da cui potremmo iniziare a decostruire queste metafore che predefiniscono i nostri comportamenti, ma, forse, prima di tutto, si vorrebbe capire l’influenza del pensiero di Platone sulla teologia paleocristiana. Platone propose un mondo ideale percepito da un’”anima” che esisterebbe in una sfera separata dal mondo materiale sperimentato dal corpo. Per arrivare alla pura conoscenza, la quale esisterebbe al di sopra del mondo materiale, tale anima dovrebbe essere distaccata dai sensi e dai desideri del corpo. Platone, infatti, contribuì a stabilire una struttura profonda nella cognizione occidentale, associando la capacità di pensiero astratto con l’esistenza di un’anima, l’anima con una verità e la verità con un’immortalità.
Alcuni pensatori cristiani, in particolare Agostino, portarono queste metafore finché non solo il corpo umano ma l’intero mondo naturale venne visto come un’esecrazione, distraendo e corrompendo l’anima. Da ciò deriva il fatto che anche i giudeo-cristiani occidentali sono stati indottrinati ad esecrare la propria vita in questo mondo, per garantirsi una vita“eterna” nel prossimo.
Il giudaico-cristianesimo, a sua volta, esercitò una potente influenza sulla moderna conoscenza scientifica. Lungi dal rompere con precedenti schemi di pensiero, la famosa convinzione di René Descartes che consisteva in “una sostanza la cui essenza o natura è quella di pensare e il cui essere non richiede spazio e non dipende da alcuna cosa materiale” era un’estensione delle cosmologie platoniche e giudaico-cristiane, con una differenza cruciale: aver sostituito la mente per l’anima.19
Se la nostra identità è stabilita solo nell’anima e nella mente, allora, come hanno insistito i cristiani, il nostro corpo e il resto della natura, essendo incapaci di ragionare, non hanno valore intrinseco. Descartes era esplicito al riguardo: insisteva sul fatto che non c’è differenza “tra le macchine fatte da artigiani e i vari corpi che la natura sola compone”. In una tale interpretazione, la mente o l’anima era sacra, mentre ilmondo naturale non possedeva né valore né significato innato. Esisteva per essere dissecato e sfruttato senza rimorsi.
Questa visione del mondo ha sostenuto la rivoluzione scientifica, che ci ha portato stupefacenti meraviglie e benefici che hanno trasformato le nostre vite ma ha, anche, incorporato nella nostra mente alcune metafore di radice catastrofica, che aiutano a spiegare la nostra attuale relazione con il mondo vivente. Tra loro ci sono le nozioni di distacco umano dalla natura, del nostro dominio sulla natura, della natura come macchina e, più recentemente, della mente come software e il corpo come hardware.
Queste metafore fondanti continuano a informare il discorso pubblico. Perciò si può sostenere che un pipistrello è una macchina, i cui componenti “elettronici interni” sono talmente cablati che i suoi muscoli alari la rendono paragonabile agli insetti”.
In un mondo che ci si presenta come mancante di valore intrinseco, in cui non si esercita più una coercizione di vita o morte diretta sulle popolazioni spinte a credere nell’anima immortale o nella santità della ragione pura, assistiamo ad un vuoto di significato. Cerchiamo, dunque, di riempire questo vuoto con una frenesia di consumismo. Per cambiare il nostro comportamento, sostiene Lent, necessitiamo di cambiare le nostre metafore fondanti.
Questo, sicuramente, non significa che dovremmo abbandonare la scienza: tutt’altro. Lo studio di sistemi complessi20 rivela la natura come una serie di sistemi auto-organizzati e auto-rigeneranti i cui componenti sono collegati tra loro in modi che fino a poco tempo fa erano poco immaginabili.21 Ciò dimostra che, come suggeriva l’ambientalista John Muir, “quando cerchiamo di scegliere qualcosa a sé stante, lo troviamo legato a qualsiasi altra cosa nell’universo.” Lontani dal rimanere in disparte dalla natura o essere in grado di dominarla, noi umani siamo “incorporati” in essa, intimamente connessi a processi che non possiamo mai controllare completamente. Questo ci consente, potenzialmente, di vedere l’universo stesso come una rete di significato: una nuova e potente metafora radicante che potrebbe, forse, cambiare il modo in cui viviamo.
Ci sarebbe molto lavoro da fare, per tradurre queste intuizioni in una politica pratica. Ma ci sembra che Lent spieghi perché, nonostante le nostre conoscenze e persino le nostre intenzioni, continuiamo a seguire il nostro sentiero verso il precipizio. Per risolvere un problema, dobbiamo prima capirlo: questo è ciò che appare come “un buon inizio”. Non possiamo cambiare la destinazione finale finché non cambiamo il percorso.
A monte, però, rimane, come unico inizio possibile, un incessante e radicale percorso di destrutturazione delle nostre abitudini cognitive. In una nuova visione dell’universo, aggiornata con la conoscenza che oggi possediamo, necessariamente, la stessa espansione accelerata e accelerante dell’universo, metterebbe in crisi, anche, molte delle interpretazioni del clima in circolazione, in cui noi umani veniamo collocati come unici protagonisti del nostro futuro, senza nemmeno porsi la questione che il pianeta Terra esiste a sua volta all’interno di un sistema solare del quale non abbiamo alcun controllo, sistema che poco ci è dato di conoscere perché l’agenda mediatica ci propone ben altre metafore a cui interessarci. In ogni modo, è importante realizzare che in questa battaglia per garantirci un futuro una buona parte dipende dal ruolo che ciascuno di noi gioca attraverso il senso che scegliamo per condurre le nostre esistenze.
- Jon Constitutional Coup: Privatization’s Threat to the American Republic. Harvard University Press. 2017
- Rachel B Smith, Daniela Fecht, John Gulliver, Sean D Beevers, David Dajnak, Marta Blangiardo, Rebecca E Ghosh, Anna L Hansell, Frank J Kelly, H Ross Anderson, Mireille B Toledano. Impact of London’s road traffic air and noise pollution on birth weight: retrospective population-based cohortstudy. British Medical Journal, Dec. 2017
- Sarah J Stock, Tom Traffic pollution is linked to poor pregnancy outcomes. British Medical Journal, Dec. 2017
- The Lancet Commission on pollution and health. The Lancet. Vol. 391, No. 10119, Oct. 2017
- Liza Gross & Linda S. Bimbaum. Regulating toxic chemicals for public and environmental health. PLOS Biology, Dec. 18, 2017
- Damian Global pollution kills 9m a year and threatens ‘survival of human societies’. The Guardian, Fri. 20 Oct 2017
- Gerardo Ceballos, Paul R. Ehrlich, and Rodolfo Dirzo. Biological annihilation via the ongoing sixth mass extinction signaled by vertebratepopulation losses and declines. Insti- tuto de Ecología, Universidad Nacional Autónoma de México, Mexico City 04510, Mexico; and Department ofBiology, Stanford University, Stanford, CA 94305. July 2017
- George Monbiot. Insectageddon: farming is more catastrophic than climate breakdown. The Guardian, 20 Oct 2017
- John We are destroying rainforests so quickly they may be gone in 100 years. The Guardian, 23 Jan 2017
- George We’re treating soil like dirt. It’s a fatal mistake, as our lives depend on it. The Guardian, 25 Mar 2015
- Damian Global pollution kills 9m a year and threatens ‘survival of human societies’. The Guardian, Fri. 20 Oct 2017
- Un think tank (letteralmente serbatoio di pensiero in inglese) è un organismo, un istituto, una società o un gruppo, tendenzialmente indipendente dalle forze politiche (anche se non mancano think tank governativi), che si occupa di analisi delle politiche pubbliche e quindi nei settori che vanno dalla politica sociale alla strategia politica, dall’economia alla scienza e la tecnologia, dalle politiche industriali o commerciali alle consulenze militari.
- Jane Dark Money: The Hidden History of the Billionaires Behind the Rise of the Radical Right. Anchor Books, New York, 2017
- La resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento:
In ecologia e biologia, la resilienza è la capacità di una materia vivente di autoripararsi dopo un danno, o quella di una comunità o di un sistema ecologico di ritornare al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che ha modificato quello stato
- Joseph The collapse of complex societies. Cambridge University Press, 1998
- Damian Global pollution kills 9m a year and threatens ‘survival of human societies’. The Guardian, Fri. 20 Oct 2017
- James C Scott. Against the Grain: A Deep History of the Earliest States. Yale University, 2017.
- Jeremy Lent. The Patterning Instinct: A Cultural History of Humanity’s Search for Meaning. Prometheus Books New York 2017.
- Daniel Dennett. Consciousness Explained. Penguin Adult, 1993
- In fisica un sistema complesso è un sistema fisico a molte componenti o sottosistemi in interazione tra loro, studiato/analizzato tipicamente attraverso rigorose metodologie di indagine di tipo “olistico” anziché “riduzionistiche” ovvero come computazione “in toto” dei comportamenti dei singoli sottosistemi assieme alle loro reciproche interazioni, supposte descrivibili analiticamente tramite modelli matematici. Quest’approccio si rende necessario perché non è possibile risolvere analiticamente tutti i componenti con le loro interazioni, ma è necessario affidarsi a simulazioni al Il comportamento dinamico di ciascun componente, così come le interazioni, può essere descritto in maniera lineare oppure non lineare. Tipici dei sistemi complessi sono i concetti di autorganizzazione e comportamento emergente. L’assunzione di sistema complesso abbraccia dunque la maggior parte dei sistemi fisici reali a molte componenti, rispetto ai sistemi ritenuti “semplici” propri invece della fisica classica. Tali sistemi sono studiati nell’ambito della teoria della complessità.
- George Monbiot – Why whale poo matters. The Guardian, 12 Dec 2014.