C’è un continente che si scalda due volte più in fretta del resto del mondo. Un continente che brucia, che si allaga, che perde foreste, raccolti, certezze. Si chiama Europa, e secondo il nuovo rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente il suo equilibrio naturale — e con esso la salute dei suoi abitanti — è oggi in bilico come mai prima d’ora.
Secondo le analisi dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, l’Italia figura tra i Paesi più colpiti, in termini di danni economici per chilometro quadrato, dagli effetti del cambiamento climatico: alluvioni, siccità, incendi costano ogni anno cifre impressionanti per territorio e vite umane. Sul fronte delle politiche ambientali, il Paese ha ottenuto alcuni risultati di rilievo: la riduzione delle emissioni di gas serra, una crescita significativa delle fonti rinnovabili, e un buon posizionamento nel campo dell’economia circolare. Tuttavia, queste vittorie non bastano se restano compartimentate e se non diventano sistema.
L’Europa sotto pressione: un intreccio di crisi
L’Agenzia Europea per l’Ambiente descrive una “policrisi” che unisce instabilità geopolitica, emergenza climatica, inflazione e disuguaglianze sociali. L’aumento dei prezzi dell’energia e del cibo, innescato anche dalla guerra in Ucraina, si somma a un quadro ambientale sempre più fragile. Dalla metà degli anni ’80 a oggi, eventi meteorologici estremi hanno causato oltre 240.000 vittime e 730 miliardi di euro di danni economici nell’Unione. Le alluvioni in Slovenia, gli incendi in Grecia, la siccità record in Spagna e in Italia non sono più “eccezioni”: sono la nuova normalità di un continente che paga il prezzo di decenni di sviluppo lineare e di dipendenza dai combustibili fossili.
La sfida non è solo ecologica. È strategica. Senza ecosistemi sani, non esiste sicurezza alimentare, né energetica, né economica. Ecco perché, come sottolinea il rapporto, la sostenibilità non è un lusso da tempi di pace ma una condizione necessaria per la sopravvivenza stessa dell’Europa.
Biodiversità in caduta libera, economia in bilico
Più dell’80% degli habitat protetti europei è in cattivo stato di conservazione, e oltre il 60% dei suoli risulta degradato. L’agricoltura intensiva, il consumo di suolo e l’inquinamento da pesticidi continuano a compromettere i cicli naturali. Un ecosistema impoverito significa anche un’economia vulnerabile: il 75% delle aziende europee dipende direttamente dai servizi ecosistemici — acqua pulita, impollinazione, stabilità climatica — che oggi sono in crisi.
A rischio non c’è solo la biodiversità, ma la stessa competitività industriale del continente. L’Unione Europea parla di “prosperità sostenibile”: un modello capace di ridurre le importazioni di materie prime, spingere sull’energia rinnovabile e rafforzare l’autonomia strategica. Un obiettivo ambizioso, ma ancora lontano: il tasso di economia circolare è salito solo dall’11% al 12% in tredici anni. Troppo poco per invertire una rotta che ci sta portando fuori dai limiti del pianeta.
L’inquinamento che ci ammala
C’è poi la minaccia più silenziosa, ma più letale: l’inquinamento. Secondo il report, almeno un decimo delle morti premature in Europa è legato a fattori ambientali. L’aria che respiriamo uccide ancora 239.000 persone ogni anno, mentre il rumore cronico provoca oltre 60.000 decessi. L’esposizione a sostanze tossiche è ormai universale: nelle analisi biologiche, gran parte degli europei mostra livelli pericolosi di composti chimici nel sangue. L’impatto economico di questa crisi sanitaria “invisibile” è immenso — 600 miliardi di euro l’anno — ma i costi reali, quelli sulla qualità della vita, sono impossibili da quantificare.
Il paradosso è evidente: viviamo in una delle regioni più ricche e regolamentate del mondo, eppure l’ambiente che ci circonda resta fonte di malattia. L’Omeopatia e più in generale gli approcci naturali alla cura hanno sempre posto l’accento sull’equilibrio tra organismo e ambiente: un principio che oggi torna attuale non solo come filosofia terapeutica, ma come necessità collettiva.
La corsa verso la transizione
Nonostante il quadro allarmante, l’Europa resta il laboratorio più avanzato del mondo nella lotta al cambiamento climatico. Le emissioni di gas serra sono scese del 37% rispetto al 1990, la quota di rinnovabili ha superato il 24% del consumo totale e il piano “Fit for 55” punta a ridurle di almeno il 55% entro il 2030. Tuttavia, i progressi non sono uniformi: il settore dei trasporti e quello agricolo restano in larga parte ancorati ai combustibili fossili.
La chiave, secondo l’Agenzia, è passare dalle promesse ai fatti. Sviluppare città resilienti, tutelare le acque, rendere gli edifici autosufficienti, investire nella formazione di “green jobs”. È un cambio di paradigma che non riguarda solo l’ambiente, ma anche la salute mentale, la coesione sociale e la giustizia intergenerazionale. Perché, come ricorda il report, “non si può vivere bene se si vive contro il pianeta”.
Vivere bene entro i limiti del pianeta
Nel linguaggio asciutto dei tecnici, la visione dell’Unione per il 2050 è sintetizzata in una formula semplice: living well, within the limits of our planet. Vivere bene, entro i limiti del pianeta. Dietro queste parole c’è un intero modello di civiltà da reinventare: un’economia più sobria, un consumo più consapevole, un modo diverso di intendere la salute, che parta dal rispetto del corpo e della Terra come un unico ecosistema.


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