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11 Novembre, 2025

Ipecacuana

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Ipeca Coephelis o Radice Emetica.
La sua azione è predominante sul nervo pneumogastrico, motivo dell’irritazione spasmodica che provoca nell’apparato respiratorio e nello stomaco. Ciò provoca disturbi quali difficoltà respiratoria o dispnea e successivamente nausea intensa caratteristica.
La seconda azione prevalente è sulle mucose e anche con maggiore affinità su quelle dell’apparato respiratorio e del tubo digerente.

La caratteristica più evidente sono i movimenti spasmodici che provocano asma o tosse espulsiva violenta di tipo pertosse o laringite, come il vomito. Anche convulsioni con o senza coscienza. Con la caratteristica di avere la tendenza a cadere, specialmente all’indietro. O convulsioni isteriche con urla e nausea.

Provoca e cura emorragie da tutti gli orifizi del corpo con sangue rosso, vivo e caldo.
I disturbi hanno prevalenza sul lato destro. Migliora solo con il riposo e la pressione sulla parte dolorante; una caratteristica è la periodicità dei sintomi.
Dolore alle ossa, come da colpi o come se si rompessero in pezzi. Formicolio e intorpidimento alle articolazioni.

Si può dire che si hanno attacchi di malessere generale, con debolezza improvvisa ed eccessiva e avversione al cibo. Eccessivo dimagrimento. Anemia. Debolezza, soprattutto dopo le mestruazioni o a causa della diarrea.

Il viso è pallido, terroso o giallastro, gonfio, con occhiaie bluastre. Può presentare spasmi ai muscoli del viso e delle labbra. Labbra con eruzioni cutanee e afte.
È evidente il rossore intorno alla bocca e il dolore escoriativo alle labbra.
Generalmente peggiora con il movimento, in inverno o quando il clima è caldo e umido.

Quintessenza: Collerico. Desidera cose senza sapere quali. Nausea violenta e persistente. Vomito che non dà sollievo. Lingua pulita e rossa. Cefalea gastrica. Emorragie generalizzate. Dispnea spastica soffocante. Muco abbondante nelle vie aeree.

Collerico: persona che si mostra furiosa, irascibile, rabbiosa e impulsiva.

Desidera cose senza sapere quali: inquietudine alla ricerca di una soddisfazione che non identifica.

Nausea violenta persistente: desiderio di vomitare, intenso, doloroso e continuo che non si manifesta all’esterno.

Vomito che non dà sollievo: eliminazione dalla bocca del contenuto gastrico che non libera dal fastidio o dalla sensazione di indigestione.

Lingua pulita e rossa: lingua dall’aspetto sano in una situazione di compromissione delle funzioni digestive notevolmente alterate.

Cefalea gastrica: mal di testa che accompagna sempre disturbi gastrici e dell’apparato digerente.

Emorragie generalizzate: fuoriuscita di sangue dai vasi venosi o arteriosi da qualsiasi orifizio o in qualsiasi organo.

Dispnea spastica soffocante: grave difficoltà respiratoria dovuta alla contrazione nervosa dell’apparato polmonare al punto da bloccare completamente l’ingresso dell’aria.

Muco abbondante nelle vie aeree: accumulo di muco nei bronchioli e nei bronchi che non viene eliminato come sarebbe normale dal punto di vista fisiologico.

Caratteristiche predominanti del rimedio Ipecacuana

Vive in uno stato di irritabilità permanente, con tendenza all’ira. È di cattivo umore, acido, portato a sminuire o disprezzare gli altri. Urla e non tollera il minimo rumore. Prova una rabbia repressa ma sproporzionata. Si sente indignato, umiliato.
Si mostra molto impaziente. Desidera molte cose ma non sa esattamente quali.
Dorme con gli occhi semiaperti. Sonno inquieto, con grugniti e scosse degli arti e anche sussulti e terrore, a causa dei sogni.

Il sintomo chiave caratteristico dell’Ipeca è che tutti i disturbi, generalmente acuti, per i quali è indicata, sono sempre accompagnati da nausea violenta, costante, persistente e che non porta alcun sollievo, in concomitanza con una lingua pulita.

Nelle situazioni più gravi si verificano emorragie abbondanti di sangue rosso vivo, brillante, attive o passive, da qualsiasi orifizio del corpo, sempre accompagnate da nausea o oppressione. Le emorragie sono quasi sempre a getto, con scarsa tendenza alla coagulazione e pallore facciale. È caratteristico che si aggravino con il movimento o con il calore della stanza.

Vertigini quando si cammina o si gira, con andatura vacillante e dolore soprattutto alle ossa del cranio, come se fossero state colpite, che si estende alla radice della lingua o dei denti. Gli attacchi di cefalea sono accompagnati da nausea e vomito. Può presentare nevralgia orbitale e oculare periodica, peggiore dalle 2 alle 3 del mattino, con dolori lancinanti che si estendono alla fronte, al naso e alla bocca e che lo costringono ad alzarsi dal letto, con fotofobia e lacrimazione abbondante che bagna il cuscino; con nausea, brividi e febbre.

Oltre a spasmi e tremori alle palpebre, può presentare gravi problemi agli occhi, come ad esempio la cornea opaca, non l’ulcera corneale. Vede anelli iridescenti con l’occhio sinistro con compromissione della retina. Muco duro nell’angolo esterno dell’occhio. Occhi arrossati e infiammati. Ha nausea quando guarda oggetti in movimento.

Un sintomo davvero singolare è la sensazione di “freddo alle orecchie durante la febbre”.
Violento catarro nasale, con starnuti continui e ostruzione nasale, con nausea, anche con perdita dell’olfatto. E anche epistassi di sangue rosso vivo, con coaguli che accompagnano la tosse.

La lingua è sempre pulita, rosa e umida, con salivazione abbondante; il paziente è costretto a deglutire continuamente la saliva. La saliva fuoriesce dalla bocca quando è sdraiato, con un sapore dolce e sangue. Ha bruciore ai lati della lingua.
Ha la gola secca e ruvida con dolore alla deglutizione; disfagia come se avesse la lingua paralizzata. È notevole l’assenza di sete e la mancanza di appetito con i ben noti e caratteristici rigurgiti. Nausea costante, persistente, violenta, mortale, con vomito che non migliora né allevia la nausea. La nausea è periodica.

Ha conati di vomito, specialmente dopo aver bevuto bevande fredde o fumato. Il vomito può essere di cibo o di muco, ma anche di bile, verdastro, acido e con sangue. A volte nero come il catrame.
Orribile sensazione di malessere, svenimento e vuoto nell’epigastrio. Si sente come se lo stomaco fosse rilassato e pendesse. Peggiora con il movimento, migliora a riposo. Sonnolenza dopo il vomito. Pressione allo stomaco con vomito. Indigestione, peggiorata dalla vexatio. Dolori lancinanti o taglienti al ventre, o come se una mano afferrasse gli intestini e stringesse con forza. I dolori taglienti attraversano il ventre da sinistra a destra e intorno all’ombelico e in generale sempre peggiorati dal movimento, migliorati dal riposo.

La diarrea è caratterizzata da feci frequenti, molli, fermentate, schiumose, verdastre o simili a erba verde. A volte sono di colore giallo limone, fetide, o mucose e bianche, o sanguinolente, mucose o sierose. Altre volte, nei casi più gravi, sono nere come il catrame. Ma sempre accompagnate da nausea o addirittura vomito.

Urina con sangue (con coaguli e dolore lombare) e con dolori alla vescica o periombelicali, oltre a bruciore uretrale e nausea con gastralgie. L’urina è scarsa e rossa, torbida, con sedimenti simili a polvere di mattoni.

Le mestruazioni sono molto anticipate e abbondanti, anche con svenimenti. Il sangue è di colore rosso vivo, con coaguli e denso. Durante le mestruazioni si avvertono dolori all’ombelico che si irradiano all’utero, nausea e vomito. Si presentano anche dolori lancinanti verso il basso, verso gli organi genitali e l’ano.
Quando ci sono metrorragie, queste sono attive e abbondanti. Il flusso di sangue è costante e uniforme, di colore rosso vivo, a volte con coaguli e a volte intermittente. Quando c’è il rischio di aborto, si accompagnano a forti nausee e dolori al ventre da sinistra a destra e fitte dall’ombelico all’utero.

La tosse è spasmodica, violenta, incessante, improvvisa, soffocante, toglie il respiro e ricompare ad ogni inspirazione. Non c’è espettorazione. Durante gli attacchi la persona diventa cianotica e rigida, con numerosi rantoli nei bronchi e nei polmoni e con nausea persistente, conati di vomito e vomito; con cefalea e gastralgia.
La tosse è solitamente accompagnata da freddo o calore alla testa e al viso e dalla sensazione che l’ombelico si rompa o esploda; a volte con sudorazione frontale.
Può verificarsi soffocamento a causa di un grande accumulo di muco nei bronchi, con freddo precordiale, ansia, dispnea e nausea persistente.

L’asma si manifesta con respiro affannoso, sibilante e sospiroso. Sempre peggiore in camera e al minimo sforzo fisico. Sempre migliore all’aria aperta.

Emottisi attiva, abbondante, con sangue rosso vivo, con nausea e vomito.
Dolore simile a una crampo tra le scapole durante il movimento. Opistotono o emprostotono.

Ha tipicamente una mano fredda e l’altra calda. E vari disturbi alle estremità di natura neurogena e circolatoria: scosse convulsive alle gambe e ai piedi. Dolore simile a una lussazione nell’articolazione dell’anca quando è seduto. Crampi notturni nei muscoli delle cosce. Prurito violento alle caviglie. Ulcere di base nera, alla gamba o al piede. Dolori ossei profondi, peggiori durante la febbre, con nausea. Mani e piedi freddi e umidi.

I brividi sono brevi, intensi e seguiti da febbre, sono esterni con calore interno e predominano nella parte superiore del corpo; peggiorano in una stanza calda. I brividi si intensificano con il calore esterno e sono accompagnati da sete. Sempre con nausea, vomito, lingua pulita e oppressione al torace.

La febbre sale tipicamente al tramonto, con grande irrequietezza, bruciore ai palmi delle mani e sudorazione senza sete.

Doña Lupita e la forza guaritrice del perdono

Doña Lupita aveva ormai un’età che non le permetteva più di esercitare il suo potere come aveva sempre fatto a causa di tutte le umiliazioni che sentiva di aver subito negli ultimi 15 anni. Era una vera indigena di Oaxaca e aveva un rango elevato, essendo un misto di Zapoteca da parte di padre e Olmeca. Per il suo aspetto, con la testa grande e il portamento potente, era prevalentemente Olmeca, il che significa che nel suo sangue il matriarcato era predominante rispetto al patriarcato.

Gli Olmechi sono considerati i primi tra le civiltà precolombiane e questo conferisce a tutto il loro popolo uno spessore storico e culturale che li rende orgogliosi, dominanti, naturalmente comandanti, intoccabili per la loro suscettibilità, per l’intolleranza al minimo disprezzo e umiliazione. La loro cultura era teocratica. I governanti erano considerati inviati degli dei e apportarono molte conoscenze: la scultura “delle grandi teste”. La scrittura, i calendari, la costruzione delle piramidi mesoamericane, il gioco della palla, l’artigianato con la giada e altre cose straordinarie all’interno di una civiltà egualitaria composta da gruppi di contadini, agricoltori, artigiani, commercianti, sciamani, guerrieri e capi politici.

E tutto questo, anche senza saperlo e senza aver frequentato la scuola, scorreva nelle vene di Doña Lupita, all’età di 78 anni.

A Oaxaca de Juárez, dove viveva da quando aveva avuto il suo unico figlio, frutto di una seduzione e dell’abbandono di un creolo che l’aveva ingannata promettendole un amore che non avrebbe mai mantenuto. Ma lei ebbe il figlio e per lui visse attingendo forza dalla propria tradizione, nonostante l’umiliazione subita. Lasciò il suo paese vicino a Montealbán e si stabilì a Oaxaca, il luogo in cui, trafficando in artigianato, vendendo semi e patate al mercato e lavando e cucendo a cottimo per le signorine bianche, riuscì a procurarsi una modesta casetta che le servì da sostegno per crescere il figlio.

Quando il ragazzo aveva circa 5 anni, le fu offerto il lavoro di guardiana della casa del parroco di una delle zone più importanti della città e lei accettò. Da quel momento in poi salì di grado perché, anche se non capiva molto delle differenze religiose, grazie alla sua conoscenza ancestrale, per Doña Lupita era come essere la “governante del Tempio”. Era come se lavorasse al servizio di uno sciamano bianco e quindi eletto dagli dei.

Doña Lupita si sentiva “al posto che le spettava”. Inoltre godeva del rispetto e della riverenza della gente del mercato e della sua gente. La sua sfortuna era diventata un segno di “essere stata guardata dagli dei” e come evidente benedizione c’era il fatto che non soffrivano la fame né il bisogno. Avevano vestiti e scarpe puliti.

Il ragazzo cresceva come accolito, tra confessionali e sacrestie. E infatti entrò nel Seminario Minore appena compiuti i 12 anni.
Doña Lupita considerava l’assenza di suo figlio un onore e tratteneva le lacrime che tutte le madri versano quando si separano dai propri figli, anche se era potente, severa e olmeca. Come è sempre stato in tutte le culture, “il meglio viene sempre offerto al creatore”, che si chiami Quetzalcóatl, Huitzilopochtli o Gesù Cristo.

Quando suo figlio crebbe e divenne prete, Doña Lupita si sentì la sacerdotessa della casa del parroco. Non avrebbe mai immaginato un tale ruolo e una tale posizione. Profondamente olmeca e severa com’era, si muoveva per la città con la serietà e lo sguardo ieratico di un autentico totem.

Suo figlio, tuttavia, cominciò a darle del filo da torcere perché era un prete combattivo, favorevole agli indigeni, in lotta contro il potere ecclesiastico terreno e in posizione quasi militante con la teologia della liberazione. Le sue omelie erano incandescenti. Erano fuoco a favore dei poveri e dei contadini schiacciati dai mille poteri incomprensibili per una cultura indigena già soggiogata, svuotata e privata di tutto ciò che era genuinamente suo e che era stato suo più di chiunque altro.

Il popolo di Oaxaca, mixteco (misto), era selvaggio. Donne e uomini di natura agguerrita, anche se poveri e persino indigenti. I richiami all’ordine delle gerarchie ecclesiastiche benestanti cominciavano a stridere nelle orecchie di Doña Lupita. Per le strade iniziava una violenza silenziosa che le aveva tolto la pace, la serenità, il potere e a volte quasi il rispetto.

La battaglia si acuirono per anni e Doña Lupita non era più la stessa. Verso i 55 anni iniziò a provare rifiuto per tutto ciò e cominciò ad avere problemi di emorragie legate alla menopausa. La vita le stava sfuggendo per lo stesso canale in cui era arrivata quando era giovane. Con resistenza indigena, cioè con una forza della sua natura veramente potente, Doña Lupita incassava gli alti e bassi della vita e gli scossoni che stava ricevendo da tempo. Ma lei, il suo essere, il suo orgoglio e la sua ragione, la sua dignità e la sua riservatezza erano più potenti del suo stesso corpo, che iniziò a piangere e urlare in modo evidente e incontrollabile.

Una cisti maligna all’ovaio sinistro che rappresentava il conflitto della perdita di tutto ciò che aveva avuto per tanti anni e dove aleggiavano i suoi sogni migliori per il futuro, quello di suo figlio e la sua tranquillità per morire. La perdita di tutto ciò che aveva amato in silenzio esplodeva in emorragie che la dissanguavano. Alternava la depressione all’agitazione. Cosa che non le era mai successa prima, le veniva voglia di ingiuriare, maledire e persino ridere a crepapelle quando qualcuno voleva dirle qualcosa di buono, di stimolante.

Doña Lupita era sempre stata riservata, seria, ieratica, ermetica, ma ora voleva parlare, raccontare, criticare e censurare senza stancarsi, anche se ripeteva le cose e quasi senza sapere cosa dire in modo coerente. Temeva di essere avvelenata. Non si fidava di nessuno e lei stessa diceva “sono avvelenata”.

Tutto precipitò in modo tale che, mentre assumeva ripetutamente Lachesis 6LM e la violenza del quadro clinico si attenuava, si organizzò l’esportazione della cisti e questa si “svuotò”, come si dice in gergo popolare, con tutta la forza che racchiude questa parola. All’apertura fu trovato anche un mioma. Il simbolo di quel figlio che sentiva di aver perso e che aveva amato e amava più della sua stessa vita. Ma tutto era al di sopra della sua comprensione e dei suoi sentimenti.

Suo figlio intanto correva da una parte all’altra per assisterla e sostenere la sua battaglia apostolica. La capiva. La sopportava! Ma non poteva evitare nulla di ciò che aveva fatto e continuava a fare.

Doña Lupita, forte come un castagno delle Indie, si riprese rapidamente e riuscì a gestire con dignità la situazione, per lei dolorosa di fronte agli altri.

Passarono circa 5 anni. Continuò sempre a curarsi con noi. Rimedi come Natrum muriaticum e Staphysagria furono compagni inestimabili.Ma anche rimedi come Lachesis e Mercurius solubilis.

Doña Lupita era silenziosamente posseduta dall’odio. Ma l’odio indigeno olmeco è diverso dall’odio occidentale. È un odio primordiale che chiede sangue, punizione, giustizia e sacrificio in silenzio. È un odio puro, pulito, senza tutti gli espedienti e gli stratagemmi razionali occidentali per mascherare uno dei sentimenti più terribili dell’essere umano. È semplicemente odio. Un sentimento che cerca la morte di ciò che si odia senza pietà.

Ma la vita continua. E ciò che è storto continua a storcere tutto se non viene raddrizzato. E un altro colpo mortale inaspettato arrivò violentemente. Una donna meticcia bianca ingannò e sedusse suo figlio, lo sedusse e rimase incinta. Il figlio, al di là del suo pentimento, non la ripudiò per non ripudiare il figlio stesso e questo portò allo scandalo massimo per tutti. Il parroco! Il sacerdote super devoto e liberale, modello per tutti, apostolo attivo e evangelizzatore radicale e convinto, aveva messo incinta una donna!

Da quel momento in poi, furono solo minacce, disprezzo, umiliazioni, vessazioni e recriminazioni nei confronti del figlio e, naturalmente, di lei, Doña Lupita, che dovette stare al fianco della donna per rispetto verso suo figlio. Il parroco, suo figlio, fu riportato alla sua condizione di laico e smise di esercitare il ministero sacerdotale per diventare padre di famiglia, anche contro la propria vocazione. Tuttavia, tutto continuò ad essere apostolico, evangelizzatore e rivoluzionario a favore del popolo, dei “dimenticati”, solo che non celebrava più la Messa, non saliva più sull’altare degli eletti e Doña Lupita smise improvvisamente di essere ciò che era stata, la padrona di casa del Tempio, per diventare, senza alcuna colpa, la disonorata, la madre del traditore. Qualcosa di troppo forte per qualsiasi essere umano, sia esso olmeco, spagnolo, africano o giapponese.

La creatura nacque. Una bambina che ricevette il nome di Momo. Il diminutivo di Momoztli che significa “altare” nella sua lingua madre. Molto significativo, senza dubbio. Come si può immaginare, suocera e nuora non potevano andare d’accordo perché l’odio è una barriera insormontabile per l’unione di due persone.

E ciò che occupava continuamente il linguaggio inconscio e silenzioso di Doña Lupita era LA NAUSEA.

Nonostante i rimedi che potevano attenuare e risolvere gran parte della difficile situazione, lo stimolo era costante. Se la nuora aveva dei difetti, aveva anche delle virtù. Ma con Doña Lupita in mezzo non poteva esprimere nulla se non provare un continuo senso di vergogna e colpa. Ma non c’erano soldi per andarsene o risolvere la situazione mentre il marito guerrigliero affrontava il mondo.

Doña Lupita alternava il bisogno di rimedi profondi con il classico quadro dell’Ipecacuana, proprio come descritto nella sperimentazione: persone che si arrabbiano molto facilmente e violentemente, urlando o brontolando. Tristi e mai contente di nulla. Vivono in un autentico malumore.
E fisicamente l’evidente e forte nausea persistente e violenta con vomito che non le dava sollievo. Nausea penosa con eruttazioni vuote, salivazione profusa e continuo desiderio di vomitare e conati di vomito che non cedono né danno sollievo.

Il suo volto era cambiato, era pallida e con le occhiaie, nonostante il colorito bronzeo tipico della sua razza. Con spasmi ai muscoli del viso e delle labbra, tratteneva tutto ciò che non poteva dire ma che diceva con il corpo. Nonostante il grave problema digestivo, la lingua era pulita e rossa.
L’utero non sanguinava più, perché quello che era stato suo figlio e la sua maternità erano “svuotati”, ma il fegato e l’intestino cominciarono a soffrire intensamente e continuamente, causando emorragie. Coliche intestinali, crampi “intorno all’ombelico” (come ricordo del cordone ombelicale materno) terminavano in feci dissenteria e viscose con sangue.

Senza parole, la continua sensazione di angoscia allo stomaco che le sembrava appeso. Tutti i cibi le provocavano disgusto. E infatti nulla nella vita poteva nutrirla, tanto era piena di veleno la sua anima.

Doña Lupita soffocava. Sentiva una costrizione continua ai polmoni con attacchi di grande difficoltà respiratoria. I rantoli si sentivano da una stanza all’altra. La tosse violenta non le dava tregua quasi ad ogni inspirazione, secca e soffocante e con cianosi momentanea. In sintesi, lo spasmo era la sua condizione vitale totale.

In quei momenti in cui, grazie a Dio e all’Ipecacuana, passavano anche con una certa rapidità, altrimenti sarebbe morta, Doña Lupita “se ne rendeva conto”, anche se non sapeva come fare per perdonare.

Come sempre, la malattia era una spirale di dolore e luce allo stesso tempo. Vedere, inoltre, e soprattutto, la sofferenza di suo figlio, in tutti i sensi, mise in piedi l’immensa maternità reale e arcana di Doña Lupita, e con la stessa forza con cui odiava, grazie alle preghiere di suo figlio, alla vita in fiore che era la sua nipotina Momo e al ricordo profondo della sua sacralità e della “sacerdotessa, governante del Tempio” che era stata e che ancora abitava nel suo cuore, si compì un miracolo.

Dopo circa tre giorni e tre notti davvero mortali, in cui le veniva somministrato Ipecacuana 6LM ogni tre ore, rispettando la reazione e mantenendo le distanze, e rendendo onore alla forza ancestrale dei nostri indios mesoamericani, si verificò, come si dice, “la svolta”. E senza che nessuno se lo aspettasse, il terzo giorno Doña Lupita si alzò sorridendo e, cosa che nessuno avrebbe potuto immaginare, gentile e senza abbracciare perché non sapeva cosa fosse, ma tendendo le mani a tutti, compresa la nuora, in segno di perdono e accoglienza.

Quando dico “santa Omeopatia”, sembra che lo dica per scherzo o come il ritornello di una canzone per bambini. Dopo quanto descritto, si capisce che lo dico sul serio, perché l’ho visto, vissuto e confermato molte volte. Lo dico con il cuore.

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