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12 Agosto, 2023

L’esperienza percettiva umana darebbe origine alla convinzione che il tempo passi

Alla ricerca del no-tempo o di un umano verosimilmente sostenibile

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XII • Numero 45 • Marzo 2023

Una divertente annotazione filosofica sul tempo

Il ricercatore Nick Young, coordinatore aggiunto presso il Centre for Philosophy of Time dell’Università degli Studi di Milano, nella sua monografia Agents of Change: temporal flow and feeling oneself act,[1] sostiene che l’esperienza umana dia origine alla convinzione che il tempo passi. Al riguardo, perfino tra i metafisici c’è, senz’altro, un notevole disaccordo sul fatto che il tempo passi davvero, tuttavia la nozione o idea che il tempo scorra viene ordinariamente accettata come un modo predefinito e di buon senso di pensare al mondo.

Stando a Young, un modo semplice di spiegare come nasca una tale credenza sarebbe dire che, in effetti, percettivamente sembra come se il tempo passasse. Nella sua monografia Young delinea alcune delle difficoltà dell’approccio del tempo scorrevole, in primo luogo in ambiti cosiddetti scientifici, come ad esempio la biologia, ma fondamentalmente la sua argomentazione è volta a suggerire che la credenza nel tempo che passa sia suscitata da una particolare caratteristica di ciò che lui chiama l’esperienza agentiva nella nostra neurofisiologia.

Per spiegare in un modo fenomenico, piuttosto che concettuale, la sua interpretazione, Young suggerisce di riflettere sulla nostra esperienza del movimento corporeo e della nostra attività mentale. Ad esempio, quando muoviamo deliberatamente i nostri corpi, portiamo alla mente qualcosa o concentriamo la nostra attenzione, sperimentiamo noi stessi come le fonti di queste azioni. Percepire sé stessi come una fonte, a suo parere, sarebbe un tipo unico di esperienza di cambiamento o movimento che ci porta a credere che il tempo stia effettivamente passando.

Sollevo la questione dell’esperienza agentiva, cioè l’esperienza di esperire noi stessi come le fonti delle azioni, unicamente con l’intenzione di offrire e condividere un’occasione in cui sorridere insieme dinanzi alle nostre convinzioni. Infatti, presenta un risvolto quasi tragicomico realizzare che la nostra esperienza del tempo, considerata dal punto di vista di alcuni studiosi, risulterebbe essere soltanto una credenza fenomenica che potrebbe, però, essere valutata da un punto di vista ambientalista e perciò l’inciso, di rimando letterario, relativo alla ricerca del no-tempo e di un umano verosimilmente sostenibile. Dunque, lungi da questa semplice relazione, e innanzitutto dalle mie competenze, il voler essere un’argomentazione a carattere scientifico.

Se il tempo non scorre come un fiume allora perché ci sentiamo trascinati?

In un suo articolo,[2] lo stesso Young, cercando di divulgare la sua tesi dell’esperienza agentiva nella spiegazione dell’esperienza del tempo, ci pone una domanda, didattica, per farci esperire un chiarimento fenomenico della sua nozione. La domanda è proprio quella che intitola questo paragrafo: Se il tempo non scorre come un fiume, allora perché ci sentiamo trascinati? La sua risposta, per fare spostare la nostra fissazione con la metafora eracliana del tempo come un fiume che scorre, è proprio quella di compiere un esperimento mentale, forse seguendo le tracce di Carlo Rovelli nel suo saggio L’ordine del tempo[3] in cui il fisico italiano, trattando la questione della natura del tempo e della sua percezione umana, propone al lettore di partecipare ad un viaggio verso frontiere inesplorate.

La conclusione di entrambi gli esperimenti sarebbe che ciò che noi siamo abituati a chiamare tempo in realtà sarebbe soltanto un prodotto della mente umana. La questione la si potrebbe chiudere dogmaticamente segnalando che la ricerca che documenta le tesi di Rovelli avrebbe individuato che lo scorrere del tempo, se tale fenomeno esistesse fuori della soggettività umana, non sarebbe uniforme nei diversi punti di osservazione dell’universo e che in molte delle equazioni che starebbero alla base della fisica moderna la variabile tempo non comparirebbe affatto. Sintetizzando tutta l’argomentazione in questo modo però ci perderemmo il vissuto della sorpresa che avviene seguendo i suggerimenti degli stessi studiosi della materia.

Allora, per assimilare velocemente perché ci sentiamo trascinati dal tempo malgrado il tempo non scorra come un fiume possiamo immergerci nel seguente flusso di sollecitazioni fattuali ed iniziare il nostro viaggio verso frontiere inesplorate. Infatti, mentre leggi questo articolo, il tempo sembrerà passare. In questo momento stai leggendo queste parole, ma ora stai leggendo queste. Ciò che era presente solo un istante fa sembra essere già scivolato nel passato. Porterai questa sensazione con te, mentre gli oggetti cambiano e si muovono, mentre i pensieri ti passano per la testa, mentre i sentimenti fluiscono e rifluiscono fino a quando non ti addormenterai stanotte. Dinanzi a quest’esperienza, la cultura popolare vuole che Eraclito pensasse che il tempo fosse come un fiume. Tutti conosciamo l’aforisma attribuito ad Eraclito Tutto scorre e nulla sta fermo oppure come divulgato da Platone Non potresti entrare due volte nello stesso fiume. La nostra esperienza soggettiva del mondo sembra confermarlo. In effetti, sembra che il tempo ci stia trascinando avanti. Eppure, fisici e filosofi vi diranno che Eraclito aveva torto. Il tempo, dicono, in realtà non passa.

Lo stesso Rovelli,[4] immedesimato nella nostra interpretazione profana di una tale esperienza del tempo si chiede cosa potrebbe esserci di più universale e ovvio di questo fluire. Eppure, si appresta a segnalare, le cose sono un po’ più complicate di così. La realtà sarebbe spesso molto diversa da ciò che sembra. Infatti, la Terra sembra piatta ma in realtà è sferica. Il Sole sembra girare nel cielo quando in realtà siamo noi a girare. Stando a Rovelli, nemmeno la struttura del tempo sarebbe quello che sembra essere, sostenendo che la struttura del tempo sia diversa da questo fluire uniforme e presumibilmente universale.[5]

Queste considerazioni, innanzitutto se apprese dall’autorevolezza di Rovelli, ci inducono necessariamente a porci la domanda: – Allora, qual è la vera struttura del tempo? Utilizzando la sintesi divulgativa di Young,[6] potremmo dire che tale struttura sia piuttosto complicata. Al riguardo, e seguendo entrambi gli studiosi, si potrebbe segnalare che alcuni pensano che il tempo sia come lo spazio, cioè che il passato, il presente e il futuro siano momenti e luoghi ugualmente reali. Alcuni, come lo stesso Rovelli, pensano che il tempo emerga direttamente dalle leggi della termodinamica e della meccanica quantistica.[7] Filosofi e fisici possono avere approcci diversi alla struttura del tempo, ma stando a Young,[8] ciò che li unisce sarebbe il rifiuto dell’idea che esista un adesso o momento presente che si muove dal passato verso il futuro. Se questo è vero e, come sostengono fisici e filosofi, il tempo non si muove davvero, a noi umani ci resta una domanda da profani: allora perché sembra passare? Potremmo anche sottolineare che noi non confonderemmo mai un fiume ghiacciato con uno che scorre e, di conseguenza, possiamo insistere nel domandarci che se nulla scorre e tutto rimane, perché sembra allora che il tempo stia scorrendo?

Vedere un’illusione è vedere un modo in cui il mondo potrebbe essere, ma non lo è.

A questo punto dell’argomentazione si potrebbe di buon grado accogliere la considerazione di studiosi come Rovelli e Young che postula che il tempo forse sia solo un’illusione. I nostri sensi ci dicono che il tempo sta passando, ma in base a questi studiosi staremmo percependo qualcosa che in realtà non c’è. Vedere un’illusione corrisponde, invero, a vedere in un modo in cui il mondo potrebbe essere, ma non lo è.[9] Ad esempio, la Terra sembra piatta quando in realtà sarebbe rotonda, tenendo conto della documentazione che garantisce quest’interpretazione. Anche le illusioni ottiche possono far sembrare linee identiche come se fossero di lunghezze diverse. Queste illusioni presenterebbero possibilità reali come sostiene Young. È facile trovare posti nel mondo in cui si potrebbe sperimentare qualcosa di piatto che non fosse un’illusione o sperimentare una linea che era davvero più lunga di un’altra. Ma se Rovelli e altri hanno ragione, non c’è nessun posto in cui si possa andare per sperimentare veramente il tempo che scorre di cui parlava Eraclito, come sottolinea anche il filosofo David Egan.[10] In effetti, questa non sarebbe una possibilità reale. Proprio come il mondo non sarebbe predisposto affinché qualcuno possa avere allucinazioni su un cerchio quadrato, il mondo non è predisposto per far sì che qualcuno abbia l’illusione del tempo che passa. Quindi se lo scorrere del tempo è un’illusione che non è generata dal mondo reale, cosa genererebbe una tale esperienza?

Come accennato precedentemente, alcuni filosofi affermano che il tempo sembra passare a causa del modo in cui percepiamo il cambiamento.[11] Sostengono che gli oggetti in movimento appaiono dinamici e che scambiamo questo dinamismo per il passare del tempo.[12] Per discernere con la mente cosa intendono dire, possiamo immaginare, come suggerisce lo stesso Young,[13] di guardare un film in cui ogni fotogramma è mostrato per due secondi interi. Vedremmo una serie di scene statiche con persone e oggetti in posizioni leggermente diverse. Possiamo sbizzarrirci, come Young, e individuare che prima il pugno dell’attore Jackie Chan, noto per il suo stile di combattimento acrobatico, si troverebbe ad un certo punto, poi leggermente più vicino al viso, poi in contatto con il viso di qualcuno. Anche se sarebbe chiaro che ogni immagine mostra l’attore in una posizione leggermente diversa, non lo vedremmo muoversi. Ora, immaginiamo di rivedere quei fotogrammi alla velocità con cui verrebbero riprodotti in un cinema, cioè 24 fotogrammi al secondo. Improvvisamente, la sensazione di guardare una serie di scene statiche scompare e non riusciremmo a vedere dove finisce un fotogramma e inizia quello successivo, come articolatamente sostiene il professore di scienze psicologiche e cerebrali Jeffrey M. Zacks.[14] Il pugno di Chan non sarebbe più semplicemente lì, poi lì, poi lì; ora sembrerebbe che stia effettivamente prendendo a pugni qualcuno. In realtà stiamo osservando la stessa serie di frame statici sia nel caso lento che in quello veloce, ma il dinamismo fluido che vediamo in un cinema sarebbe una qualità aggiunta dal nostro sistema percettivo[15].

Cosa c’entra questo con il tempo che sembra passare, potremmo chiederci ancora? La questione percettiva però sarebbe determinante. Come propone Zacks,[16] i nostri sistemi percettivi non solo aggiungerebbero un aspetto dinamico alle cose che vediamo nei film ma anche alle cose che vediamo nel mondo reale. Nella sua interpretazione, come in quelle di Rovelli, Young ed Egan, il cambiamento nel mondo ci sembra fluire senza intoppi perché i nostri sistemi percettivi trasformano gli oggetti in movimento nello stesso modo in cui fanno i fotogrammi statici di Jackie Chan, vale a dire sovrappongono con la velocità un dinamismo espressivo che non possiedono. Poiché non riusciamo a riconoscere che questo dinamismo sarebbe un prodotto delle nostre menti anziché una caratteristica della realtà, siamo arrivati a credere che il mondo sia dinamico e che il tempo scorra davvero. Questa, come riconoscono gli studiosi accennati, sarebbe però soltanto una teoria.

Ma che dire di quei momenti in cui non percepiamo il cambiamento nello spazio fisico attorno a noi. Ad esempio, la stanza in cui mi trovo al momento a scrivere queste righe che ora leggete è completamente immobile, eppure il tempo mi sembra scorra continuamente. In tali casi, potremmo essere inclini a pensare che il tempo passi ancora, che il mondo sembra dinamico, perché continuiamo a sperimentare i nostri pensieri che cambiano proprio come sperimentiamo gli oggetti che effettivamente cambiano nel mondo. Tuttavia, stando a Zacks,[17] anche se i pensieri ci passano per la testa dal momento in cui ci svegliamo al momento in cui dormiamo, non sperimenteremmo i singoli pensieri che cambiano nello stesso modo in cui percepiamo i cambiamenti negli oggetti. Parafrasando Young, si potrebbe dire che fare un pensiero non è come guardare un gelato sciogliersi o un camaleonte cambiare colore.[18]

Per cercare di capire ciò che Young intende comunicare si potrebbe, come lui stesso suggerisce, provare a fissare l’attenzione in un solo pensiero, assicurandoci di non pensare accidentalmente a due pensieri simultaneamente. Dunque, una volta individuato il pensiero, focalizziamo la nostra attenzione su di esso, osservando in contemporanea se per caso il nostro pensiero cambia. Sarebbe molto improvabile che chiunque intenda compiere un tale sperimento non trovi forte difficoltà nell’affrontare questo esercizio.  Effettivamente, i pensieri saltellano ed è difficile sapere dove finisce uno e inizia il successivo. L’esperienza del pensare non sarebbe come l’esperienza di vedere gli oggetti cambiare. Stando a Young,[19] i nostri pensieri interiori non spiegherebbero perché il tempo sembra passare ancora anche quando non percepiamo differenze nel mondo. A parer suo, fare appello alle nostre percezioni di cambiamento per spiegare la nostra sensazione del tempo che scorre potrebbe non essere un approccio promettente perché in verità ciò che al riguardo sta succedendo sarebbe qualcos’altro.[20]

In effetti, nell’interpretazione di Young,[21] gli argomenti di cui sopra, vale a dire che il tempo che scorre sia un’illusione o il risultato di come sperimentiamo gli oggetti che cambiano, farebbero appello alla nostra percezione del mondo per spiegare perché il tempo sembra passare. In tale modalità percettiva, ad esempio, vediamo, annusiamo, ascoltiamo o sentiamo le cose che si muovono e cambiano, ma forse la sensazione del tempo che passa non sarebbe, effettivamente, correlata alla nostra esperienza di percepire il mondo e i suoi oggetti che cambiano. Sentiamo dolore nei nostri corpi, sentiamo emozioni, intuizioni e desideri. Il verbo importante qui è sentire. In questi casi, non percepiamo il mondo esterno ma lo sentiamo. Queste esperienze percettive molto particolari includono la sensazione di fare cose, di apportare cambiamenti nel mondo, come direbbe Young.[22] Ci sentiamo camminare e correre, aprire porte e toccare schermi, parlare e ascoltare e in questo modo si finirebbe per pensare che la sensazione del tempo che passa sia il risultato di come sperimentiamo i cambiamenti che facciamo nella nostra vita quotidiana.

La possibilità di non compiere alcuna azione fisica o mentale non sarebbe mai un’opzione

Seguendo quest’ordine di esperimenti, quando si prende la propria tazza di caffè o ci si alza dalla scrivania, si ha la sensazione che si sta movendo il proprio corpo. In modo simile, ci sperimentiamo come gli autori della maggior parte dei movimenti corporei che si fanno. Possiamo addirittura sperimentare noi stessi mentre compiamo azioni mentali. Ad esempio, si può spostare deliberatamente la propria attenzione da queste parole al rumore del traffico all’esterno, nel caso stiate a leggere all’interno di un edificio, oppure si può cercare consapevolmente di ricordare l’ultimo posto in cui avremmo visto le chiavi di casa. In ogni modo, stando a Young,[23] la sensazione che stiamo causando le nostre azioni fisiche o mentali potrebbe essere considerata come un tipo unico di esperienza di cambiamento. Tuttavia, e questo è il punto, questo tipo di cambiamento non è quello che percepiamo là fuori nel mondo (come guardare Jackie Chan prendere a pugni qualcuno o sentire un aereo volare ad alta quota). In questi casi si tratta di una specie di cambiamento che sentiamo di provocare noi stessi, come quando ci alziamo a prendere un bicchiere d’acqua.

Effettivamente, quando si muove il proprio corpo, si sente che si stanno apportando cambiamenti nel mondo che ci circonda. Quando riorientiamo i nostri pensieri, sperimentiamo noi stessi, cambiando il panorama della nostra mente. Utilizzando il termine e la concettualizzazione di Young,[24] potremmo chiamare tale fenomeno cambiamento agente, vale a dire un cambiamento che un agente (come te o me, per esempio) sperimenta come causa. Nell’interpretazione di Young,[25] tale esperienza di cambiamento agente sarebbe pervasiva in un modo che le esperienze percettive di cambiamento nel nostro ambiente esterno non lo sarebbero. A questo riguardo, lo scrittore M. M. Owen sostiene in modo disinvolto che finché si è svegli non si smette di pensare, il che significa che la sensazione di apportare cambiamenti mentali persiste, perfino immersi in una vasca di deprivazione sensoriale.[26]

In base alla teoria di Young circa l’esperienza agentiva si desume uno sconcertante corollario. In effetti, legata alla nostra naturale sensazione di essere la causa dei cambiamenti che le nostre azioni corporee procurano, ci si esperirebbe ugualmente la sensazione che possiamo smettere di fare qualunque cosa stiamo facendo e iniziare a fare qualcosa di diverso. Ad esempio, se lo si desidera, si potrebbe chiudere questa scheda del browser in questo momento e alzarsi da dove si è seduti. Ma, benché possiamo cambiare il nostro comportamento, la possibilità di non compiere alcuna azione fisica o mentale non è mai un’opzione. Per tutto il tempo che si è svegli, sottolinea Young,[27]non si avrà mai la sensazione di poter smettere di causare cambiamenti. Sebbene Jean-Paul Sartre abbia dichiarato che l’umanità era “condannata a essere libera”, allo stesso modo, stando a Young, ci troveremo, in ogni momento di veglia condannati ad agire. Certo, smettiamo di recitare quando ci addormentiamo ma, come sa bene qualsiasi insonne, il sonno è qualcosa che si deve aspettare che accada, non qualcosa che si fa. Si può accelerare l’arrivo del sonno, ma, come realisticamente puntualizza Robert Epstein in The empty brain, non possiamo spegnerci come un laptop.[28]

Alla ricerca del no-tempo o di un animale umano verosimilmente sostenibile

In definitiva, l’esperienza agentiva, conclude Young,[29] ci porterebbe a scambiare la sensazione del fare, cioè muoverci, pensare, concentrarci, per la sensazione del tempo che passa. In questo senso, sperimentiamo noi stessi come perennemente e, in modo paradossale, impotentemente attivi. Questa condanna ad agire, nella visione di Young, sarebbe probabilmente un prodotto della nostra neurofisiologia. I cervelli non si fermano. Le informazioni vengono continuamente ricevute, richiamate, elaborate e risposte, quindi non sorprende che ci troviamo sempre a fare qualcosa. Ma non siamo consapevoli di questo fatto. In effetti, la coscienza non fornisce alcuna spiegazione sul motivo per cui ci troviamo in tale stato di perenne attività. Siamo spinti a continuare a fare cambiamenti. Ed è qui che, stando agli studiosi come Rovelli e Young, noi umani commettiamo un errore. Piuttosto che incolpare la nostra neurofisiologia per la sensazione che dobbiamo costantemente agire, diamo la colpa ad un tempo esterno che ci trascina. Pensiamo erroneamente che qualche forza esterna, come un fiume che scorre nel tempo, sia responsabile della sensazione sempre presente di essere spinti avanti.

Se come sostiene Rovelli nel suo saggio L’ordine del tempo,[30] in molte delle equazioni che stanno alla base della fisica moderna la variabile tempo non compare affatto, allora ciò che noi siamo abituati a chiamare tempo sarebbe in realtà, come lui stesso sostiene, un prodotto della mente umana. In questa prospettiva e spinti dall’esperienza agentiva postulata da Young, noi umani siamo condannati ad agire. In base agli studiosi presi in considerazione in questa breve relazione sulla filosofia delle percezioni e del tempo, la narrazione circa il tempo a noi abituale, che ci inculca la metafora del fiume che scorre, sarebbe superata nel nostro tentativo sociale di sapere chi siamo. Tale sensazione di essere trascinati sarebbe semplicemente il risultato del costante rimescolamento del nostro cervello. Come sottolinea Young, noi umani confondiamo il nostro slancio con quello del mondo. Oppure, parafrasando il pensiero di Rovelli, potremmo postulare che mentre il tempo non scorre, noi facciamo. O addirittura citandolo direttamente: “L’emozione del tempo è precisamente ciò che per noi è il tempo. Il tempo siamo noi.”

Se il tempo siamo noi, non mi resta che immaginare che, riportando quest’intuizione alla narrativa in cui abitiamo ed esistiamo, narrativa che racchiude tutte le nostre convenzioni e istituzioni sociali, comprese lo stato e la medicina, e che custodisce in modo diligente e perfino magico le nostre presumibili personali convinzioni e credenze, si possa innescare un sereno desiderio di modestia e di realistico ridimensionamento del nostro agire, aprendo così l’esperienza di un animale umano verosimilmente sostenibile.

______________Note _________________

[1] Nick Young. Agents of Change: temporal flow and feeling oneself act. In Philosophical Studies 179 (8): 2619-2637, 2022

[2] Nick Young. Time doesn’t flow like a river. So why do we feel swept along? In Psyche, 21 Sept. 2022

[3] Carlo Rovelli. L’ordine del tempo. Adelphi, 2017

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] Nick Young. Time doesn’t flow like a river. So why do we feel swept along? In Psyche, 21 Sept. 2022

[7] Nick Young. Agents of Change: temporal flow and feeling oneself act. In Philosophical Studies 179 (8): 2619-2637, 2022

[8] Ibidem

[9] Nick Young. Time doesn’t flow like a river. So why do we feel swept along? In Psyche, 21 Sept. 2022

[10] David Egan. The Pursuit of an Authentic Philosophy. Wittgenstein, Heidegger, and the Everyday. Oxford University Press, 28 March 2019

[11] Nick Young. Agents of Change: temporal flow and feeling oneself act. In Philosophical Studies 179 (8): 2619-2637, 2022

[12] Nick Young. Time doesn’t flow like a river. So why do we feel swept along? In Psyche, 21 Sept. 2022

[13] Ibidem

[14] Jeffrey M. Zacks. Flicker: Your Brain on Movies. Washington University of St. Louis, 2015

[15] Ibidem

[16] Ibidem

[17] Ibidem

[18] Nick Young. Time doesn’t flow like a river. So why do we feel swept along? In Psyche, 21 Sept. 2022

[19] Ibidem

[20] Ibidem

[21] Ibidem

[22] Ibidem

[23] Ibidem

[24] Nick Young. Agents of Change: temporal flow and feeling oneself act. In Philosophical Studies 179 (8): 2619-2637, 2022

[25] Ibidem

[26] M. M. Owen. Into the deep. In AEON, 21 July 2015

[27] Nick Young. Agents of Change: temporal flow and feeling oneself act. In Philosophical Studies 179 (8): 2619-2637, 2022

[28] Robert Epstein. The empty brain. In AEON, 18 May 2016

[29] Nick Young. Agents of Change: temporal flow and feeling oneself act. In Philosophical Studies 179 (8): 2619-2637, 2022

[30] Carlo Rovelli. L’ordine del tempo. Adelphi, 2017