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20 Dicembre, 2025

Vista dalla termodinamica la vita è una catastrofe morale

Eticamente non possiamo più pensare all'esistenza come a qualcosa di organizzato per il nostro prosperare

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIV • Numero 56 • Dicembre 2025

Il ribrezzo silenzioso che struttura l’esistenza stessa

Se interrogassimo, ponderatamente, l’arsenale euristico1 della termodinamica,2 quale può essere desunta come l’etica oppure la metafisica del cosmo, visto nei termini della termodinamica, forse ci troveremmo di fronte ad un responso irriverente: tutto mangia ed è mangiato, tutto distrugge ed è distrutto! Se le cose stanno, davvero, in questi termini, allora, sarebbe nostro dovere morale contrattaccare l’Universo perché, nel nostro cuore di uomini senzienti, la realtà, naturalmente, risulterebbe malvagia! In effetti, non si tratta di una mia opinione in qualità di curatore dell’argomento, ma questa è la risposta alla nostra domanda avanzata dal filosofo americano Drew M. Dalton e che potete trovare sintetizzata nel suo saggio Reality is evil,3 oltre che, articolatamente documentata, nei sui libri The Ethics of Resistance: Tyranny of the Absolute (2018)4 e The Matter of Evil: From Speculative Realism to Ethical Pessimism (2023).5 In breve, per Dalton, se si porta avanti una speculazione realistica della realtà, a partire dell’euristica accumulata relativa alla termodinamica, oggi quasi l’epiteto di scienza, ciò ci conduce, fatalmente, seguendo il paradigma della termodinamica, ad un ineluttabile pessimismo morale ed etico.

Molta è l’euristica in materia che ci porta a concludere che la realtà non è ciò che pensiamo che sia. Eppure, senz’altro, risulta disturbante asserire che la cosiddetta realtà, a cui tutti ci affidiamo senza criterio né diminuzione di velocità, non sia il fondamento del nostro gioioso prosperare senziente. Semplicemente perché dall’euristica, o conoscenza alquanto fondata, della termodinamica, la nostra realtà non risulta essere una risorsa che si rinnova … eternamente, come tanto ci riassicura pensare la diversificata agenda politica green. Neppure qualcosa che, se non fosse, come ci evangelizzano e ci accusano falsamente i politici cosiddetti verdi, per il nostro eccessivo intervento e il nostro consumo sconsiderato, continuerebbe a espandersi armoniosamente nel futuro. L’apertura seria, stando ai principi della termodinamica, è che la realtà non è affatto così benevola come la fantastichiamo. Come tutto ciò che esiste, stelle, microbi, petrolio, delfini, ombre, polvere e città, dal paradigma della termodinamica, non sono altro che, metaforicamente, tazze destinate a frantumarsi all’infinito nel tempo finché non ci sarà più nulla da rompere. Questo, secondo i termini, documentati dalla ricerca scientifica piuttosto free lance, ma taciuti dal biopotere e dai sui accoliti scienziati degli ultimi due secoli, è l’orrore silenzioso che struttura l’esistenza stessa.

Sia in Reality is evil[efn-note]Drew M. Dalton. Reality is Evil. In AEON, 22 August 2025.[/efn_note] che in The Ethics of Resistance: Tyranny of the Absolute6 eppure in The Matter of Evil: From Speculative Realism to Ethical Pessimism,7 Drew Dalton insiste che possiamo pensare che la vecchia consapevolezza metafisica circa la termodinamica appartenga al passato, cioè un capitolo chiuso della scienza del XIX secolo. Purtroppo, per i cantori della prospera eternità, cioè che la scienza continua ad osservare è che stiamo vivendo le conseguenze della rivoluzione termodinamica senza rendercene conto. Proprio come le implicazioni metafisiche complete della rivoluzione copernicana hanno richiesto secoli per dispiegarsi, dobbiamo ancora comprendere appieno le conseguenze filosofiche ed esistenziali del decadimento entropico.

Dobbiamo ancora concepire la realtà per come è veramente. Invece, gli scienziati e i filosofi del biopotere e della biopolitica e pure noi stessi, semplici cittadini delle diverse geopolitiche in guerra, ci aggrappiamo a un’antica idea dell’Universo in cui tutto continua a crescere e prosperare. Sicuramente, secondo questa visione, segnala Dalton, l’esistenza sarebbe buona. La realtà sarebbe buona.8 Ma Dalton non ci lascia nei nostri sogni copernicani e ci spinge a domandarci come sarebbero la nostra metafisica e la nostra etica se scoprissimo che la realtà è contro di noi.9

In effetti, per i copernicani che ancora non desumono una possibile etica del cosmo termodinamico, a quanto pare, la vita prospera sulla Terra e prospererà politicamente altrove.10 Nell’interpretazione del filosofo Drew Dalton11 di questo fenomeno, attraverso la vasta distesa del tempo evolutivo, gli esseri viventi sembrano aver virato verso una maggiore complessità, diversità e abbondanza. Gli organismi unicellulari diedero origine a dense comunità di batteri. I trilobiti hanno evoluto occhi composti con lenti cristalline di calcite. Il cervello di noi animali si è diviso in due emisferi, aprendo nuove frontiere del pensiero. Anche dopo che cinque estinzioni di massa hanno spazzato il pianeta, la vita è tornata più e più volte, ramificandosi in innumerevoli varianti di forma e funzione, in un incessante dispiegarsi di rinnovamento. Al riguardo, Dalton ci segnala che quando osserviamo, possiamo scorgere questa “creatività” tutt’intorno a noi: nelle erbacce che si fanno strada tra le crepe dei marciapiedi cittadini, nel profumo della terra bagnata quando i funghi sbocciano, perfino, seguendo i suoi esempi, nel suono dei bambini che imparano a parlare.12

Questi resoconti della vita sulla Terra, a cui aderiamo, senza ombra di dubbio, suggeriscono ci sia una logica in tutto questo cambiamento copernicano: l’Universo non è statico, ma in continuo divenire, in continuo movimento verso nuovi ordini, nuove complessità, nuove forme di vita e di pensiero. Questa nostra diletta visione della realtà come qualcosa di generativo, in perpetua autopoiesi per il bene e la prosperità di tutto ciò che crea, come sostengono le teologie, le teocrazie, perfino le tecnocrazie, ha, senz’altro, dominato la filosofia occidentale fin dal suo inizio e protetto dall’angoscia noi stessi, cittadini di imperi, stati, regni, nazioni, popoli, e, perfino, offerto al potere una consona biopolitica per la gestione della vita e della morte.  In effetti, come sottolinea Dalton,13 questa visione o ideologia circa la realtà è al centro della nostra metafisica, cioè la scienza speculativa di ciò che significano le manifestazioni dell’essere o delle cose, così come delle nostre intuizioni etiche e dei nostri ideali estetici. Nella sua lettura mordace della comica drammaticità in cui viviamo, Dalton ci ricorda che, concretamente, da Platone in poi, i filosofi hanno abitualmente concordato sul fatto che vivere bene significhi allinearsi all’ordine razionale del cosmo. “Vivi secondo natura”, esorta perfino Marco Aurelio nelle sue Meditazioni. Sotto questo aspetto, sottolinea Dalton,14 per questi pensatori, la natura funge da guida etica per le nostre azioni e da calamita per i nostri ideali estetici, perché incarna qualcosa di buono. E in questo senso, come per il Cattolicesimo oppure il Luteranesimo, le nostre azioni più eccessive come specie sono perfettamente in linea con gli obiettivi ultimi dell’Universo.

Perfino oggi, nel XXI secolo, quest’immagine dell’Universo prospero al nostro servizio, influenza il nostro modo di pensare e di ponderare di come dover vivere. Non ci vorrebbe Dalton a puntualizzarcelo. Tale apparenza alimenta il nostro tormento morale per il cosiddetto Antropocene, l’idea che il nostro pianeta sia stato fondamentalmente alterato dall’azione umana.15 Addirittura, tale immagine della base materica buona del cosmo motiva i nostri tentativi di aderire a politiche ambientali “sostenibili” e alimenta le nostre fantasie di evasione di ritorno alla natura campagnola buona. Siamo talmente alienati in tale visione dell’Universo che pensiamo che tutto ciò che è sbagliato potrebbe essere corretto se solo riuscissimo a trovare un modo per vivere all’interno dell’ordine puramente creativo e intrinsecamente benevolo dell’esistenza, come magistralmente ironizza Dalton.16

Purtroppo, ci rivela Dalton,17 questi presupposti e aspirazioni di lunga data non sono più sostenibili se interpretiamo la cosiddetta realtà nei termini della termodinamica. Infatti, le nostre azioni più eccessive come specie, come distruggere le foreste pluviali, causare estinzioni su larga scala, alterare la chimica degli oceani, bombardare il futuro con sostanze chimiche di lunghissima durata e altro ancora, per elencare ciò che lui annovera, sono, al contrario di ciò che vorremmo ammettere, perfettamente in linea con gli obiettivi ultimi dell’Universo termodinamico.18 La realtà, come la comprendiamo oggi, a partire dalla termodinamica stessa, non tende verso la prosperità esistenziale e all’eterno divenire. Al contrario, i sistemi collassano, le cose si guastano e il tempo tende, irreversibilmente, al disordine e all’annientamento finale. Piuttosto che qualcosa con cui allinearci, l’Universo sembra essere fondamentalmente ostile al nostro benessere, puntualizza Dalton.19

La termodinamica e la discesa verso l’obliterazione cosmica

Secondo le leggi della termodinamica, seguendo la sintesi di Dalton,20 tutto ciò che esiste lo fa, esclusivamente, per consumarsi, distruggersi ed estinguersi, accelerando, così, la discesa verso l’obliterazione cosmica. Per queste ragioni, la rivoluzione termodinamica nella nostra comprensione dell’ordine e del funzionamento della realtà è piuttosto uno sviluppo scientifico elitario, anziché un programma di educazione delle popolazioni in termini di masse. Essa è, addirittura, più di una semplice revisione della nostra comprensione del flusso di calore, e fa proprio di più che aiutarci a progettare motori più efficienti. La rivoluzione termodinamica, propone Dalton,21 frantuma le nostre convinzioni comuni sulla natura e il valore dell’esistenza, e richiede una nuova metafisica, nuovi audaci principi etici e modelli estetici alternativi.

Come per ogni conoscenza di carattere euristico, bisogna riconoscere che nemmeno la rivoluzione termodinamica sia emersa da un singolo evento o scoperta, come di solito si pensa in ambito non accademico. Essa è cresciuta da una lenta e scrupolosa ricerca sul funzionamento dei motori e del calore nei secoli XVIII e XIX. Per parlare in linguaggio metaforico, tanto amato dal pubblico, i semi furono piantati per la prima volta intorno al 1712, quando il predicatore battista e commerciante di ferramenta Thomas Newcomen costruì un nuovo tipo di macchina: una macchina a vapore sferragliante e sibilante progettata per pompare acqua dalle miniere di carbone allagate.22 Cinquant’anni dopo, l’ingegnere scozzese James Watt rivisitò il progetto di Newcomen, migliorandone notevolmente l’efficienza. Il motore termico di Watt si diffuse rapidamente in tutta Europa e oltre, alimentando fabbriche, navi e locomotive.23 Eppure il suo funzionamento rimaneva inspiegabile: come poteva qualcosa di così intangibile come il calore trasformarsi in movimento meccanico? Ed ancora di più oscuro, perché questa conversione rispettava limiti fissi, indipendentemente da quanto fosse sofisticato il motore?

Nel XIX secolo, il fisico e ingegnere militare Nicolas Léonard Sadi Carnot, il cosiddetto “padre della termodinamica”, avrebbe definito la prima delle leggi fondamentali che governano il flusso di calore24 (oggi considerata la seconda legge della termodinamica). Grazie ai suoi contributi, lo studio dello scambio termico fu formalizzato come area di indagine scientifica. La ricerca fu successivamente sistematizzata da Rudolf Clausius e William Thomson e, infine, completata da James Clerk Maxwell, Ludwig Boltzmann e J. Willard Gibbs. Nella narrativa di Dalton a riguardo, grazie al loro instancabile lavoro, i metodi statistici necessari per misurare lo scambio termico furono chiariti e perfezionati. Nel XX secolo, l’insieme completo delle leggi formali della termodinamica fu finalmente stabilito. Da allora, ogni branca delle scienze naturali ha fatto affidamento su queste leggi per spiegare la trasformazione e il funzionamento dell’energia nelle sue varie forme e tra di esse: meccanica, acustica, termica, chimica, elettrica, nucleare, elettromagnetica e radiante. Oggi, queste leggi, puntualizza Dalton,25 sono alla base della nostra intera spiegazione della realtà e vengono utilizzate per spiegare ogni cosa, dalle origini della vita alla fine dell’Universo nel suo complesso. Questa costante applicazione della termodinamica alle scienze naturali è ciò che ha portato al suo status rivoluzionario nella nostra comprensione contemporanea della realtà.

La prima di queste leggi è nota come legge di conservazione dell’energia.26 Essa afferma che l’energia (sia essa sotto forma di movimento, materia o calore) può solo cambiare stato. In altre parole, non può essere creata né distrutta, come ben siamo abituati a ripetere. Ciò significherebbe, teoreticamente, che la quantità totale di energia all’interno di un sistema sarebbe in definitiva costante, anche quando sembra diminuire a causa della dissipazione di materia, del rallentamento del movimento o del raffreddamento. In questi casi, propone Dalton,27 l’energia avrebbe semplicemente assunto una forma diversa. Fu da questa legge che Albert Einstein derivò la sua equazione che governa la conversione della materia in energia: E = mc². Ed è attraverso l’estensione di questa legge che possiamo prevedere la potenza produttiva di ogni “motore termico” esistente, dai motori relativamente piccoli che sfrigolano all’interno delle nostre auto alle stelle più grandi, che brillano ad anni luce dalla Terra.

Queste osservazioni euristiche, se vogliamo assumerci le loro implicazioni esistenziali etiche ed estetiche, porteranno a postulare, forse suscitando inquietudine e diniego, che il destino remoto del nostro cosmo potrebbe essere uno stato in cui tutta l’energia sarà stata effettivamente esaurita.

La seconda legge afferma che l’energia all’interno di un dato sistema, sia esso complesso e materiale o semplice e radiante, si muove in modo tale da diventare meno organizzata e concentrata nel tempo. Questa tendenza al disordine, nota come entropia, significa che il flusso di energia all’interno di un dato sistema tende costantemente verso uno stato di equilibrio assoluto in cui nessun elemento possiede, teoreticamente, più o meno energia di un altro.28 Questa è la legge che i fisici usano per spiegare perché, usando le parole di William Butler Yeats, “le cose cadono a pezzi”. Viene anche usata per spiegare le differenze materiali tra passato, presente e futuro, il che ci aiuta a capire perché percepiamo il tempo muoversi in una sola direzione: verso la disintegrazione, che è solo un altro modo di dire “distribuzione dell’energia”.

Da qui la nostra ragionevole aspettativa di vedere tazze cadute da un tavolo frantumarsi in pezzi più piccoli, ma non possiamo mai aspettarci di vedere, per usare le parole di Stephen Hawking, “tazze rotte che si raccolgono da terra e saltano di nuovo sul tavolo”. La seconda legge della termodinamica garantisce che, con il passare del tempo, tutto alla fine debba “frantumarsi”, come la tazza di Hawking, in pezzi sempre più piccoli finché non è tutto rotto e non possiamo ragionevolmente sperare che possa mai essere riparato.29

Il terzo principio della termodinamica conclude che, poiché l’entropia aumenta nel tempo, l’unica conclusione logica alla dissipazione perpetua è uno stato in cui ogni cosa esistente possiede la minima quantità totale di energia possibile. Questo stato, noto come “zero assoluto”,30 è definito come una condizione in cui non può più verificarsi alcuno scambio di energia. L’espressione massima dello zero assoluto sarebbe un sistema in cui non esiste alcuna forma complessa di energia, ma solo una distribuzione uniforme di radiazione di fondo di basso livello. In questo vuoto, quasi assoluto, non si può dire che esista alcuna “cosa”, e persino la possibilità di cambiamento verrebbe annullata. È questa legge che consente ai fisici contemporanei di affermare con sicurezza che, sebbene l’energia non possa né essere creata né distrutta (in conformità con il primo principio della termodinamica), può comunque “bruciarsi”. Le cose in questo stato non hanno alcuna potenza meccanica effettiva, non possono dimostrare alcun movimento o cambiamento e non possono mantenere le condizioni minime per l’esistenza di un oggetto tangibile, ovvero, il legame chimico.

Utilizzando questa legge, l’astrofisica contemporanea ha concluso che il destino remoto del nostro cosmo sarà uno stato in cui tutta l’energia sarà stata effettivamente esaurita, dissipata o dispersa in modo troppo sottile per avere una qualsiasi potenza pratica: un periodo noto come “era oscura” cosmologica [the cosmologica dark era].31

Una legge finale, oggi nota come legge “zero”, fu in seguito aggiunta alle prime tre leggi fondamentali. La legge “zero” stabilisce una definizione coerente di temperatura tra sistemi, indipendentemente dalla loro posizione entropica relativa rispetto allo zero assoluto. Ma la potenza sostanziale della rivoluzione termodinamica esisteva già nelle prime tre leggi. È dall’estensione e dall’applicazione di queste scoperte fondamentali che gli scienziati contemporanei hanno completamente rivisto la nostra comprensione dell’origine, dell’ordine, del funzionamento e della fine di ogni cosa. E questo è il punto di quest’articolo.

Nuova comprensione dell’origine, dell’ordine, del funzionamento e della fine di ogni cosa secondo la termodinamica

Per il fisico Carlo Rovelli, l’influenza di queste leggi è stata così pervasiva che la storia dello sviluppo scientifico degli ultimi due secoli può essere raccontata come poco più che l’estensione della termodinamica a quasi ogni branca delle scienze naturali. Di conseguenza, osserva in “Sette brevi lezioni di fisica” (2014),32 le leggi della termodinamica sono ora riconosciute come il fondamento delle altre leggi utilizzate in quelle discipline. E così, le stesse leggi fondamentali che furono inizialmente utilizzate per migliorare l’efficienza delle macchine a vapore sono ora viste come il principio regolatore unico di “tutti i sistemi materiali”, come afferma il biochimico Addy Pross in What is Life? How chemistry becomes biology (2012).33 L’accettazione della termodinamica è così completa che Einstein34 riteneva che essa costituisse l’unica teoria fisica di contenuto universale riguardo alla quale era convinto che, nell’ambito dell’applicabilità dei suoi concetti fondamentali, non sarà mai superata. Credeva che le leggi della termodinamica fossero il “fondamento saldo e definitivo per tutta la fisica, anzi per l’intera scienza naturale”.

Attraverso queste leggi, gli astrofisici contemporanei sono stati in grado di ricostruire, speculativamente, o come proponeva Einstein, metafisicamente, la nascita del nostro cosmo circa 13,7 miliardi di anni fa e di ipotizzare, speculativamente, il collasso finale del nostro universo alla lontana fine del tempo. Su scala molto più ridotta, biochimici e biofisici hanno utilizzato le leggi della termodinamica per spiegare, in termini di congettura euristica, come la vita organica sia emersa per la prima volta dalla materia inorganica e perché tutti gli esseri viventi debbano morire.

Stando alle considerazioni di Dalton, che raccoglie magistralmente l’euristica degli studiosi della materia, mai abbiamo avuto un quadro più completo della realtà di quanto lo abbiamo oggi.35 Ora sappiamo che tutto ciò che siamo e tutto ciò che facciamo, anzi, tutto ciò che qualsiasi cosa possa mai fare, è interamente definito e circoscritto dalla tendenza al decadimento entropico. In effetti, Dalton considera che le leggi della termodinamica abbracciano l’intera realtà, dall’inizio alla fine, dall’alto in basso, nell’origine, nell’ordine e nel funzionamento.36 Esistiamo solo in virtù dello scambio di calore e operiamo interamente al servizio del decadimento entropico della realtà prescritto da quello scambio.37 Questo sapere strumentale e la metafisica che ne deriva, viene sistematicamente obliterato nelle odierne narrative circa l’eternità dei ricchi.

Le implicazioni metafisiche, etiche ed estetiche della rivoluzione termodinamica rimangono in gran parte inesplorate

I filosofi sono stati un po’ lenti ad affrontare la rivoluzione termodinamica. Forse perché la filosofia contemporanea non si accontenta più di essere guidata dai metodi e dalle scoperte delle scienze matematiche e dei materiali. Forse perché essa costituisce una fine radicale del racconto creazionistico con la sua rivelata eternità.

In passato, la metafisica filosofica e le scienze naturali si muovevano l’una attorno all’altra, come partner in una danza elaborata, ciascuna appoggiandosi all’altra e, a volte, spingendo o tirando il proprio partner mentre entrambe cercavano di muoversi con vivacità al ritmo della realtà. A partire da Pitagora, tradizionalmente riconosciuto come il primo a coniare il termine filosofia, le scienze naturali e matematiche furono considerate la guida e l’accompagnatrice appropriate di questa complicata danza. Da qui l’esortazione di Platone secondo cui coloro che cercavano di studiare la vera forma dell’essere nella sua Accademia dovevano prima familiarizzare con la matematica e la sua applicazione pratica nelle scienze naturali.

L’idea che la speculazione filosofica dovesse essere guidata dall’indagine matematica e scientifica della realtà materiale governò la metafisica per i successivi 2000 anni, con poche eccezioni.38 Tuttavia, negli ultimi due secoli, si è delineata una frattura tra lo studio matematico e scientifico del mondo naturale e la metafisica filosofica. Ci sono alcune eccezioni degne di nota a questa tendenza generale: filosofi che si sono impegnati con responsabilità a tenere il passo con il lavoro delle scienze naturali e a trarre nuove affermazioni metafisiche da questa collaborazione. In breve, le implicazioni metafisiche, etiche ed estetiche della rivoluzione termodinamica rimangono in gran parte inesplorate.

Si pensi a Friedrich Nietzsche, uno dei primi pensatori del XIX secolo a vedere nell’emergente rivoluzione termodinamica la via verso una nuova visione del cosmo. Ciò che vedeva non era né il bene né il male, ma semplicemente un mostro di energia, senza inizio né fine, una ferrea e salda entità di forza che non cresce né diminuisce, che non si esaurisce, ma si trasforma. Al riguardo, Dalton sostiene che, tuttavia, Nietzsche sembra aver trascurato la seconda e la terza legge della termodinamica, il che complica (o annulla) il suo ottimismo nell’infinita potenza creativa della realtà. Lo stesso non si poteva dire del suo contemporaneo Philipp Mainländer, che attinse a tutte e tre le leggi della termodinamica per stabilire un fondamento metafisico per una nuova filosofia pessimistica.39 Nell’inevitabile decadenza e distruzione, Mainländer vide una nuova base per la rassegnazione morale e il quietismo che dominavano i circoli intellettuali tedeschi dell’epoca.40 Nel XX secolo, pensatori come Isabelle Stengers e Bernard Stiegler hanno attinto alle intuizioni della rivoluzione termodinamica per sostenere quella che la prima considera la fondamentale indeterminatezza della realtà e che il secondo sostiene essere la forza trainante degli sviluppi sociali e politici a partire dalla Rivoluzione Industriale.41 Più recentemente, nel XXI secolo, Shannon Mussett si è rivolta alle leggi della termodinamica per invocare una nuova “etica della cura” per il nostro pianeta e per gli altri, che, sostiene in Entropic Philosophy: Chaos, Breakdown, and Creation (2022),42 è giustificata alla luce della necessaria “fragilità” e “finitezza” della nostra realtà entropica.

Sebbene tali tentativi di fare i conti con le implicazioni esistenziali della rivoluzione termodinamica siano significativi, acconsente Dalton,43 ognuno di essi non è riuscito a coglierne il pieno significato filosofico o ha trascurato di sviluppare una spiegazione sistematica della realtà fondata su questa comprensione. Il compito filosofico di fare i conti con il pieno significato della rivoluzione termodinamica rimane quindi incompiuto. Ma questo non è insolito. Simili ritardi seguirono le precedenti rivoluzioni scientifiche. Si pensi a come la scoperta di Copernico secondo cui la Terra orbita attorno al Sole, pubblicata a metà del XVI secolo, rimase in gran parte inascoltata dalla filosofia finché Immanuel Kant non la riformulò come modello per il pensiero metafisico alla fine del XVIII secolo. Allo stesso modo, sebbene il contenuto empirico della rivoluzione termodinamica sia stato assorbito dalle scienze, le sue implicazioni metafisiche, etiche ed estetiche rimangono in gran parte inesplorate. Il compito ora, insiste Dalton,44 è continuare questo lavoro.

Per quasi un decennio Dalton rifletté su questa disattenzione, cercando di fare i conti con la immagine, socialmente sgradita e spaventosa, della realtà che ci è stata offerta dalla rivoluzione termodinamica.

Sotto l’aspetto di questa disattenzione oppure aperta resistenza alle implicazioni esistenziali della rivoluzione termodinamica dovremmo, contro tutto il creazionismo che ci ha elevato a centro dell’Universo, iniziare ammettendo che l’Universo è finito e che prima o poi finirà. Inoltre, dovremmo perfino accettare che la funzione dell’Universo sia quella di accelerare questa estinzione. Le leggi della termodinamica riferiscono, in altre parole, che ciò che possiamo considerare il potere generativo dell’Universo sta invece provocando addirittura l’annientamento di ogni cosa: il fiorire della vita contribuisce, costantemente, al collasso finale del cosmo. È, definitivamente, un problema etico ed estetico che trova le masse abbastanza impreparate.

Persino il nostro Sole si consuma nel perseguimento di questo annientamento. E come accostare tale metafisica spietatamente disumana, derivata dell’euristica della termodinamica, alla gioiosa eternità del creazionismo? Vaticineremo apertamente nei dibattiti politici umani quando il sole morirà.? Con i modelli di simulazione possiamo stimare che tra circa 5 miliardi di anni, il Sole si espanderà a tal punto che la Terra verrà incenerita e il sistema solare come lo conosciamo giungerà alla fine. Fino ad allora, l’energia radiante del Sole verrà raccolta e aggregata dalle piante che la useranno per scomporre ulteriormente l’energia chimica e materiale latente del nostro pianeta. Il risultato di questo processo fotosintetico, cioè la crescita delle foglie, non è altro che un piccolo contributo alla distruzione del nostro pianeta. In parole povere, ciò significa che cavolo riccio, spinaci e lattuga stanno accelerando, pur se in minima parte, la dissoluzione della Terra. E quando raccogliamo, puliamo, mangiamo e digeriamo questi agenti entropici nella speranza di sostenerci, non facciamo altro che contribuire ulteriormente alla degradazione e alla dissipazione di energia nel nostro ambiente locale. Il fisico teorico Sean Carroll ha quindi concluso che lo scopo della vita, da una prospettiva termodinamica, potrebbe essere riassunto in una sola parola: metabolismo, che definisce in The Big Picture: On the Origins of Life, Meaning, and the Universe Itself,45 come essenzialmente, bruciare carburante. E a tal fine, come afferma il biochimico Nick Lane in The Vital Question (2016)46 la vita non è tanto come una candela; è più come un lanciarazzi.47

Una metafisica che risponda alla piena portata della rivoluzione termodinamica deve, per onestà etica, riconoscere la funzione dissipativa e distruttiva che si cela dietro la forza generativa, apparentemente all’opera nella realtà. Per fare ciò si rende necessario passare dalla classica metafisica ottimistica del divenire a una metafisica molto più pessimistica di assoluta finitezza e ineluttabile disfacimento: una metafisica che riconcepisce esseri o organismi come nient’altro che ingranaggi dissipativi in ​​una macchina annientatrice.

Dalla nostra prospettiva umana, e del biopotere che ci disegna una biopolitica all’insegna di un Puer aeternus,  cioè dell’eterna giovinezza, creatività e libertà, ma che in un contesto nevrotico può indicare un adulto bloccato a uno stadio di sviluppo adolescenziale, con difficoltà nell’assumere responsabilità, esseri o comportarsi in questo modo, potrebbe sembrarci proliferare e crescere in complessità, apparentemente contrastando il flusso dell’entropia attraverso i processi di nascita, crescita e rigenerazione. Ma nel pieno del tempo, questa apparente generazione e crescita appare molto diversa. In effetti, con la metafisica della termodinamica non possiamo più permetterci di pensare all’esistenza come a qualcosa di organizzato per il nostro prosperare.

Penso che per un ominide umano costituisca un’esperienza simile a quella di un Prometeo postmoderno per cui la vita si dispiega come la conseguenza e l’agente più efficace, sebbene meno ovvio, del decadimento termodinamico nel nostro sistema immediato, come ha dimostrato il biofisico Jeremy England nel suo laboratorio e come ha confermato la biologa Lynn Margulis nella ricerca sul campo con suo figlio, Dorion Sagan. Tutto ciò che esiste, inclusa la nostra specie, nasce e opera al servizio dell’ordine distruttivo della realtà. Il decadimento, a quanto pare, costituirebbe l’essenza ultima dell’esistenza, il che significa che il nostro essere deve essere inteso come una modalità di disfacimento. È solo un ulteriore modo in cui si compie l’annientamento definitivo dell’Universo.

Una metafisica del disfacimento basata sulla termodinamica richiede che riconsideriamo altresì il valore morale dell’Universo. Dopotutto, se l’essere è esclusivamente e interamente al servizio di questo disfacimento, non possiamo più pensare all’esistenza come qualcosa di organizzato per il nostro prosperare. La realtà non è un bene per noi, come sostengono le religioni, le chiese, eppure altri filosofi. Al contrario, l’esistenza sarebbe fondamentalmente antagonista e lavora attivamente contro sé stessa alla ricerca dell’estinzione totale. Questo non è affatto ciò che siamo abituati a pensare come un bene.

Tutto mangia ed è mangiato. Tutto distrugge ed è distrutto. Questo sarebbe l’ordine inestricabile dell’Universo. Per sostenerci, dobbiamo consumare e, così facendo, assorbire, scomporre e dissipare l’ambiente circostante in un processo che contribuisce, necessariamente, alla sua e alla nostra fine. Questo sarebbe brutalmente lo scopo, la funzione metabolica, delle nostre vite da una prospettiva termodinamica.

Se si possa ricavare un significato etico da ciò che ora sappiamo sulla natura della realtà, questo deve essere tratto dal fatto che siamo complici del disfacimento universale del nostro cosmo ed esistiamo solo per distruggere il nostro ambiente e noi stessi in questo processo. Si deve, ugualmente, riconoscere il fatto che, nella misura in cui un essere ha la netta sfortuna di essere in grado di percepire e rispondere al proprio destino termodinamico, è destinato a sperimentare marciume, rovina, malattia e morte: in una parola, sofferenza!

Non possiamo più concepire l’esistenza come qualcosa di indubbiamente buono. Né possiamo concepirla come qualcosa di moralmente neutro, come altri potrebbero sostenere e, in effetti, sostengono. Dobbiamo invece riconoscere che la realtà, che è organizzata in modo antagonistico contro tutto ciò che crea ed è la causa diretta della sofferenza di ogni entità che sia dotata di coscienza, potrebbe essere moralmente malvagia. Se la nostra esistenza significa essere perennemente in guerra con noi stessi e con l’ambiente circostante, e contribuire attivamente alla sofferenza di tutto ciò che incontriamo lungo il cammino, allora non è decisamente un bene. La vita è una catastrofe morale. Esistere significa essere inevitabilmente complici di un ordine che è interamente malvagio.

Ancora una postilla sulle implicazioni esistenziali della rivoluzione termodinamica

Cosa dobbiamo fare di fronte a questo fatto morale? Dovremmo ritirarci dall’esistenza il più rapidamente e pacificamente possibile in una foresta mistica con i soldi dei genitori o dei nonni? O c’è un altro modo? Potremmo, ad esempio, iniziare a pensare al bene non come a qualcosa che esiste di per sé, ma che esiste in relazione all’ordine morale dell’Universo ed è definito, negativamente, controcorrente rispetto al cosmo? La bontà sarebbe, dunque, un tentativo di resistere all’ordine, al funzionamento e alla fine della realtà?

Se essere complici del flusso distruttivo dell’Universo è male, allora la bontà potrebbe essere ridefinita come ciò che resiste alla natura e alla struttura della realtà, per quanto futilmente. La bontà potrebbe consistere in qualsiasi atto che cerchi, anche solo per un breve periodo, di ripiegare su sé stessa la spinta entropica dell’esistenza, tenendola a bada, addirittura solo momentaneamente.

Intravediamo, ad esempio, questa resistenza in atti di cura compassionevole per chi soffre e negli sforzi per minimizzare il danno che infliggiamo al mondo che ci circonda. Tali sforzi includono l’adozione di stili di vita che riducono il nostro consumo delle risorse del pianeta o, quantomeno, alleviano la sofferenza legata a tale consumo, attraverso il veganismo, il vegetarianismo o la scelta di mangiare solo animali allevati in condizioni più umane e sane.

Ci sono molti modi in cui possiamo ulteriormente immaginare una simile etica di resistenza, sia a livello personale che politico. Alcuni di questi potremmo già praticarli inconsapevolmente. Si consideri, ad esempio, la pratica della medicina che, pur riconoscendo pienamente il destino ultimo della vita, cioè la morte, si sforza tuttavia con instancabile passione di ritardare l’arrivo di tale destino il più a lungo possibile e di prescrivere stili di vita che ne migliorino nel frattempo la qualità. Questo è un bene pragmatico piuttosto ovvio. Ciò che è meno intuitivo è che tali sforzi non operano in armonia con la natura. La medicina non è un modo per affermare la direzione desiderata della vita e dell’esistenza, eppure pensiamo al lavoro dei medici come “buono”. Ciò che lo rende buono è proprio il tentativo di prevenire, ritardare, rallentare o rinviare ciò che la natura ha destinato. Allo stesso modo, ogni sforzo per contrastare e resistere al flusso entropico della realtà deve essere considerato buono. Non dovremmo mai sforzarci di vivere in armonia con la natura. Farlo ci renderebbe complici di un sistema completamente malvagio.

Naturalmente, tutti questi sforzi, in ultima analisi, contribuiscono al collasso entropico della realtà. Semmai, prolungando la vita, la medicina aumenta in ultima analisi il potenziale entropico complessivo del nostro pianeta: più persone significano più corpi che “bruciano carburante”. Ma è nei nostri sforzi, non nei nostri successi, che dobbiamo ricercare la bontà morale; allo stesso modo in cui è nei nostri sforzi per crescere figli sani e felici che deve essere giudicato il nostro successo come genitori, non la nostra capacità di raggiungere questi obiettivi. Allo stesso modo, solo attraverso i nostri tentativi di resistere alla natura, di resistere al collasso entropico della realtà, possiamo stabilire i nostri standard di bontà, anche se non siano, effettivamente, raggiungibili.

Una volta che comprendiamo la bontà come qualcosa che può essere raggiunto solo resistendo all’ordine e al funzionamento del cosmo in questo modo, possiamo iniziare ad articolare un sistema etico che prenda sul serio le intuizioni della rivoluzione termodinamica. Fare del bene non significa lavorare in armonia con la realtà, né dovremmo mai sforzarci di vivere in armonia con la natura. Questo ci renderebbe complici di un sistema completamente disumano. Fare del bene significa rompere con questa complicità, cercare modi per smantellare, resistere e riconfigurare la struttura della realtà per neutralizzarne, alleviarne o destabilizzarne la spinta entropica. Solo perseguendo il bene negativamente, attraverso atti di rifiuto e resistenza, possiamo sperare di animare una nuova etica all’interno della metafisica del decadimento.

In definitiva, tali ricerche etiche sono destinate al fallimento. In un universo governato dalle leggi della termodinamica, tutti gli sforzi per preservare la vita o proteggere gli esseri senzienti dalla deriva distruttiva della natura sono destinati a fallire. Questo, tuttavia, non dovrebbe impedirci di resistere.

Se, stando all’euristica della termodinamica, la nostra dovrebbe essere intesa come una modalità di disfacimento, cosa dobbiamo fare, allora? L’unico dovere che possiamo ricavare provvisoriamente dalla visione della realtà rivelata dalla rivoluzione termodinamica è questo: contrattaccare l’Universo. Perché è proprio nella possibilità di vendicarci dell’orrore morale dell’esistenza che potrebbero essere forgiati nuovi imperativi etici e intuizioni estetiche. Solo sforzandoci di liberarci dalla morsa maligna della realtà possiamo dare forma a un’etica e a un’estetica partendo dalla cupa metafisica del decadimento entropico messa a nudo dalla scienza contemporanea.

  1. L’euristica è una parte dell’epistemologia e del metodo scientifico che si occupa di favorire la ricerca di nuovi sviluppi teorici, nuove scoperte empiriche e nuove tecnologie, con un approccio alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma che si affida all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze al fine di generare nuova conoscenza. In particolare, l’euristica di una teoria indica le strade e le possibilità da approfondire nel tentativo di renderla “progressiva”, in grado cioè di prevedere fatti nuovi non noti al momento della sua elaborazione.
  2. La termodinamica è la branca della fisica classica e della chimica che studia e descrive le trasformazioni termodinamiche indotte da calore e lavoro in un sistema termodinamico, in seguito a processi che coinvolgono cambiamenti delle variabili di stato temperatura ed energia.
  3. Drew M. Dalton. Reality is Evil. In AEON, 22 August 2025.
  4. Drew M. Dalton. The Ethics of Resistance: Tyranny of the Absolute. Bloomsbury Publishing, 23 August 2018. Questo libro ridefinisce il ragionamento etico come ciò che rifiuta gli assoluti e resiste a quella che il diavolo di Milton nel Paradiso Perduto chiamava la “tirannia del cielo”. Contrariamente al ragionamento etico tradizionale, Dalton vede il male non come un fallimento morale, ma come il risultato di un assenso fin troppo facile all’assoluto; un assenso che può essere contrastato solo attraverso una resistenza attiva. Per Dalton, la resistenza all’assoluto è l’unico canale attraverso cui il bene può essere definito.
  5. Drew M. Dalton. The Matter of Evil: From Speculative Realism to Ethical Pessimism. Northwestern University Press, 2023. In questa radicale riconsiderazione del ragionamento etico nella filosofia europea contemporanea, Drew M. Dalton sostiene una spiegazione assolutamente fondata della normatività etica, sviluppata a partire da una metafisica scientificamente fondata e puramente materialistica. Approfondendo argomenti del realismo speculativo, Dalton sostiene che i limiti imposti alla natura dei giudizi etici dalla critica kantiana possono essere superati attraverso una valutazione morale delle leggi di natura, in particolare del principio entropico che è alla base delle leggi della fisica, della chimica e della biologia. Per estrarre un significato morale da questo semplice fatto materiale, Dalton esamina attentamente i presupposti delle teorie classiche e delle interpretazioni tradizionali del bene e del male nella storia della filosofia occidentale e, in ultima analisi, afferma che la normatività etica può essere ristabilita in modo assoluto senza ricadere nel dogmatismo. Ribaltando le nostre convinzioni sulla natura e il valore della realtà, “The Matter of Evil: From Speculative Realism to Ethical Pessimism” presenta un nuovo modello provocatorio di responsabilità etica, logicamente giustificabile e scientificamente valido. Dalton sostiene il “pessimismo etico”, una posizione precedentemente marginalizzata in Occidente, come mezzo per coltivare una concezione della responsabilità etica e dell’attivismo politico che prenda sul serio l’indecorosità dell’essere e l’orrore morale dell’esistenza.
  6. Drew Dalton. The Ethics of Resistance: Tyranny of the Absolute. Bloomsbury Publishing, 23 August 2018.
  7. Drew Dalton. The Matter of Evil: From Speculative Realism to Ethical Pessimism. Northwestern University Press, 2023.
  8. Drew Dalton. The Ethics of Resistance: Tyranny of the Absolute. Bloomsbury Publishing, 23 August 2018.
  9. Drew Dalton. The Matter of Evil: From Speculative Realism to Ethical Pessimism. Northwestern University Press, 2023.
  10. Drew Dalton. op. cit. 23 August 2018.
  11. Ibidem
  12. Ibidem
  13. Ibidem
  14. Drew Dalton. op. cit. 2023.
  15. Drew Dalton. op. cit. 23 August 2018.
  16. Drew Dalton. op. cit. 2023.
  17. Ibidem
  18. Ibidem
  19. Ibidem
  20. Drew Dalton. op. cit. 2023.
  21. Drew Dalton. op. cit. 23 August 2018.
  22. Drew Dalton. op. cit., 22 August 2025.
  23. Ibidem
  24. Primo Principio della Termodinamica: Questo principio è una formulazione del principio di conservazione dell’energia. In sostanza, la variazione di energia interna di un sistema è uguale alla differenza tra il calore assorbito e il lavoro compiuto (o viceversa). Secondo Principio della Termodinamica: Questo principio, tra i vari enunciati, afferma che il calore non può passare spontaneamente da un corpo più freddo a uno più caldo, stabilendo così la direzione dei processi termodinamici e il concetto di entropia.
  25. Drew Dalton. op. cit., 22 August 2025.
  26. Drew Dalton. op. cit. 23 August 2018.
  27. Drew Dalton. op. cit., 22 August 2025.
  28. Ibidem
  29. Ibidem
  30. Ibidem
  31. Drew Dalton. op. cit. 23 August 2018.
  32. Carlo Rovelli. Sette brevi lezioni di fisica, Milano, Adelphi, 2014.
  33. Addy Pross. What is Life? How chemistry becomes biology. Oxford University Press, 09, 2012.
  34. Nel suo lavoro del 1915, Einstein dimostrò che i concetti fondamentali dell’equilibrio termico e dell’entropia potevano essere ottenuti applicando la teoria cinetica del calore, fornendo una base più rigorosa alla termodinamica. Einstein non considerava il secondo principio della termodinamica unicamente una legge fisica, ma piuttosto una legge “metafisica” o logico-matematica, che determina la direzione dei processi naturali da stati di ordine a disordine.
  35. Drew Dalton. op. cit., 22 August 2025.
  36. Ibidem
  37. Ibidem
  38. Drew Dalton. op. cit. 23 August 2018.
  39. Ibidem
  40. Drew Dalton. op. cit., 22 August 2025.
  41. Ibidem
  42. Shannon M. Mussett. Entropic Philosophy: Chaos, Breakdown, and Creation. Bloomsbury Publishing. 31 Jan. 2022.
  43. Drew Dalton. op. cit., 22 August 2025.
  44. Ibidem
  45. Sean Carroll. The Big Picture: On the Origins of Life, Meaning, and the Universe Itself. Dutton, May 16, 2017.
  46. Lane, Nick. The Vital Question: Why is Life the Way it is? Profile Books. 2016.
  47. Drew Dalton. op. cit. 23 August 2018.

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