Ve le ricordate le favole? Quelle che vi raccontava la nonna quando andavate a dormire la sera. O la mamma, perché non riuscivate a prendere sonno, magari quando avevate la febbre. E voi lì ad ascoltarle una, due, cento volte, come fosse la prima. La stessa favola non era mai come la volta precedente. Poteva essere più ricca e lunga o essere più breve. Ma mai la stessa.
I racconti della nonna
Perché la nonna a volte era più stanca o il fratellino piangeva. E allora veniva abbreviata. Ma i ricordi e le sensazioni che lasciavano erano comunque per sempre. Dentro rimaneva un’impronta. Aprivano un mondo, una finestra in noi stessi. Che spettacolo! Ecco. Impoverirsi di favole equivale ad impoverirsi di sè stessi. Sì perché le favole ci avvicinano alla vita, raccontano delle nostre risorse, dei sogni che possono diventare realtà se ci si crede davvero.
Raccontano della forza, della magia. Dello spirito. Non bisognerebbe privare i bambini delle favole. È scambiarsi il tempo, tenersi la mano, stringersi. Perché i bimbi vengono toccati, e conoscono così l’emozione, e poi si spaventano e conoscono così la paura, ma poi si travestono di quelle storie e le fanno proprie, le vivono, le risolvono, le superano. Da soli.
L’io si forma
Raccontare una favola è rinnovare la culla della gestazione. “Ti racconto una favola. C’eri, ci sei sempre stata, ci sarò sempre”. La favola di cui sono innamorata. Quella che le raccoglie tutte. Le favole ‘esistono’. Non sono solo frutto della fantasia di qualcuno. Sono metafore bellissime, piene di significato. Nascono da dentro, dal cuore, da Dio. Noi siamo la favola di Dio. Della creazione. Abbiamo tutte le favole in noi. La storia di Pinocchio, Alice, Biancaneve, Hansel e Gretel, La regina delle nevi… Babbo Natale.
Costruiscono, un pezzo per volta, il nostro mondo interiore, ci aiutano a conoscerci e a credere in noi stessi, a ciò che vediamo ma anche a ciò che non vediamo… che percepiamo. Ci raccontano che i momenti bui si affrontano, e che c’è una Luce sempre pronta ad assisterci. Che viviamo in un mondo di pericoli, da riconoscere, perché siamo forti ma anche fragili. Che non dobbiamo credere a chi tenta di ingannarci raccontandoci che studiare non serve, che il denaro cresce sotto l’albero, o a chi ci illude si possa vivere nel paese dei balocchi, che in realtà è una gabbia.
Cosa ci insegnano le favole
Cadere in mare con ‘addosso’ pesi che non ci appartengono, significa rischiare di non tornare più a galla, fagocitati da qualcosa di più grande, e che solo l’amore, con la sua luce ed il suo calore, potrà salvarci. Che un occhio che vede in modo distorto porta odio, rabbia, non il bene. Che allontanarsi da sé stessi è perdere la via di casa, ma il perdono la fa ritrovare. Che è la bellezza interiore quella più preziosa, non quella che ci fa vedere lo specchio. Che il viaggio dentro sé stessi, è il più bello del mondo, dal quale non vorremmo mai risvegliarci.
Che l’essere autentici è liberatorio. Il tempo fugge ci ricorda il Bianconiglio, ma il tempo è senza tempo ci dice il Cappellaio matto, la sola Luce di una candela è sufficiente a far riabbracciare la madre interiore che ci dimostra l’amore di Geppetto, il calore del sentimento dell’amicizia scioglie il gelo e ci permette di ‘vedere’, ci insegna Gerda.
Con il perdono Hansel e Gretel riportano a casa il più grande valore. Oggi si ha sempre più fretta di far crescere i bambini. ‘Babbo Natale non esiste”. ‘Succede solo nelle favole.’ No. Non succede solo nelle favole. E tutto esiste, nella misura in cui è dentro di noi. Le favole sono il primo strumento che aiuta ad identificarsi, ad accettare il diverso, ad immaginare, a dare dimensione ai sentimenti, a definire situazioni, a costruirle, a realizzarle.
“Uccidere” le favole è “uccidere” noi stessi
Ed i bambini ne hanno bisogno. Si nutrono di esse. Babbo Natale è lo Spirito che porta il dono. E lo porta. Non si vede, ma quello in cui abbiamo fortemente creduto e che abbiamo desiderato con amore e cuore arriva.
Dal cielo. Sì, dal cielo. E non importa se saremo cresciuti, ci sarà. Sempre. Perché lo Spirito ci appartiene. Non c’è niente di più vero.
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