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Un’infanzia disagiata avrà ripercussioni sulla salute

L'incidenza epigenetica dimostrata da una ricerca della Duke University

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8 Ottobre, 2020
Tempo di lettura: 3 minuti

La sensibilità di un bambino è molto diversa da quella di un adulto. Se per certi aspetti i più piccoli si dimostrano estremamente resilienti alle sollecitazioni, dall’altra capita spesso che un trauma avuto durante l’infanzia proietti la propria ombra per tutta la vita. Se ciò è noto da tempo, al punto da poter rientrare tra le nozioni di saggezza popolare, quello che invece si ignorava fino ad oggi è che le influenze negative di una vita disagiata non siano solo materiale per psicologi. Ma, piuttosto, mostrino segni preoccupanti anche sul piano strettamente biologico. Secondo uno studio recente, infatti, chi ha trascorso l’infanzia in condizioni disagiate, in ristrettezze economiche o in un ambiente socialmente degradato, godrà di uno stato di salute peggiore rispetto a chi è cresciuto in condizioni favorevoli.

La ricerca in questione, condotta dai ricercatori della Duke University (Durham, Stati Uniti) e pubblicata sulla rivista Jama Network Open, sorprende per la quantità di materiale analizzato. Estesa per un periodo di ben 18 anni, ha analizzato 2mila bambini nati in Inghilterra e in Galles, e li ha seguiti dalla nascita alla maggiore età. Gli aspetti vagliati per valutare le condizioni di vita sono davvero molti: caratteristiche sociali ed economiche delle famiglie, condizioni sanitarie e di sicurezza dei quartieri di residenza, dati ricavati dalle amministrazioni locali, dai database della giustizia criminale e perfino dell’aspetto esteriore di case e strade del circondario. Infine, i diciottenni sono stati sottoposti a un prelievo di sangue. Posto che i geni non sono modificabili dalle condizioni di vita, ciò che interessava verificare ai ricercatori era se ci fosse qualche variazione nell’epigenoma, ossia l’insieme dei meccanismi di regolazione che consentono l’espressione di alcuni geni.

E come si ipotizzava, così è stato. L’epigenoma, in pratica, regola l’attività di un gene, modificando il modo in cui le sue “istruzioni” vengono lette dall’organismo, anche (ed è questo il caso) al variare degli stimoli esterni. «Questa ricerca ci ricorda che la geografia e i geni agiscono insieme per delineare la nostra salute – commenta Avshalom Caspi, docente di psicologia dello sviluppo alla Duke University e coordinatore dello studio «L’ambiente in cui un bambino cresce può influenzarne la salute negli anni a venire.  I nostri risultati possono aiutare a spiegare come delle disparità a lungo termine possano emergere in certe comunità – aggiunge Aaron Reuben, psicologo clinico e prima firma dell’indagine – Quello che ancora non sappiamo è se questi segni siano durevoli o possano essere modificati. Per appurarlo, serviranno altri studi». Il tipo e la gravità dei danni possono essere molto vari, dai disturbi mentali al cancro, dall’obesità ai disturbi metabolici.

Giovanni Migliarese, primario del reparto di psichiatria all’ospedale di Vigevano, commentando la ricerca dei colleghi tiene a metterne in luce l’importanza: «Questa ricerca si inserisce in un filone di studi interessati a capire come l’ambiente impatta sul benessere delle persone attraverso i meccanismi epigenetici. La questione è molto dibattuta. Finora, considerando soprattutto i vissuti traumatici, gli abbandoni precoci e la trascuratezza da parte dei genitori, si è visto che questi fattori impattano sul benessere psicofisico dei più piccoli. E i segni sono tanto più evidenti quanto questi avvenimenti sono precoci. Oggi ci sono dati che ci portano a dire che se una donna fuma, beve alcol o subisce stress prolungati in gravidanza, gli effetti si ripercuotono anche sul nascituro. È come se i geni si interfacciassero con la vita, con le esperienze che ci cambiano».

Tuttavia, sempre secondo Migliarese, c’è un aspetto positivo che può essere preso in considerazione: «Questi studi offrono alla psichiatria l’opportunità di fare prevenzione. L’obiettivo è arrivare prima che la malattia sia conclamata e che, a quel punto, detti la strada per le terapie. Si tratta di una questione sociale di non poco conto. Il 20 per cento della popolazione è chiamato a fare i conti con un disturbo mentale. Ciò vuol dire 1 su 5 di noi dovrà prima o poi assumere farmaci per l’ansia, la depressione, i disturbi ossessivi: giusto per fare qualche esempio».

 

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