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Fast fashion: minaccia globale alla moda sostenibile

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20 Giugno, 2024
Tempo di lettura: 5 minuti

Negli ultimi decenni, il fenomeno del fast fashion ha rivoluzionato il mondo della moda, influenzando pesantemente i comportamenti di consumo e le dinamiche di produzione. Capi d’abbigliamento a prezzi stracciati, collezioni che si rinnovano a ritmo impressionante e un modello di business basato sull’acquisto compulsivo sono solo alcune delle caratteristiche distintive di questa tendenza. Tuttavia, dietro la facciata attraente di abiti alla moda a basso costo si nasconde un sistema insostenibile che ha gravi ripercussioni ambientali, sociali ed economiche.

Il termine “fast fashion” descrive un modello di produzione e consumo caratterizzato da una velocità elevata e prezzi contenuti. Aziende come Zara, H&M e Forever 21 sono state pioniere in questo settore, creando un ciclo incessante di nuove collezioni che passano rapidamente dalla passerella ai negozi. Questo modello ha permesso ai consumatori di acquistare abiti alla moda a prezzi accessibili, ma ha anche incoraggiato una mentalità di consumo usa e getta.


L’innovazione tecnologica ha giocato un ruolo cruciale nell’ascesa del fast fashion, grazie a software avanzati di progettazione, sistemi logistici efficienti e catene di approvvigionamento globali, le aziende possono ora produrre e distribuire nuove collezioni in poche settimane. Tuttavia, questa velocità ha un costo significativo per l’ambiente e per le persone coinvolte nella produzione.
Uno dei principali problemi del fast fashion è il suo impatto devastante sull’ambiente. La produzione di abiti a ritmo così veloce comporta un consumo enorme di risorse naturali e la generazione di quantità significative di rifiuti, infatti la produzione tessile richiede grandi quantità di acqua, energia e sostanze chimiche. Ad esempio, per produrre una singola maglietta in cotone sono necessari circa 2.700 litri d’acqua, l’equivalente di ciò che una persona beve in due anni e mezzo. Inoltre, il cotone coltivato in modo convenzionale utilizza enormi quantità di pesticidi e fertilizzanti, che possono contaminare le riserve idriche locali e danneggiare gli ecosistemi.


Basta guardare le statistiche per capire che l’industria della moda è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra, più di tutti i voli internazionali e il trasporto marittimo combinati. La produzione tessile e la tintura dei tessuti sono processi ad alta intensità energetica che spesso utilizzano combustibili fossili, contribuendo ulteriormente al cambiamento climatico, senza contare che la questione rifiuti tessili sta diventando un problema crescente. Ogni anno, nell’Unione Europea vengono gettate via circa 5 milioni di tonnellate di vestiti e calzature, di cui l’80% finisce in discariche o inceneritori. La maggior parte dei tessuti sintetici, come il poliestere, non è biodegradabile e può impiegare fino a 200 anni per decomporsi. Inoltre, il lavaggio di capi in poliestere rilascia microplastiche che finiscono nei fiumi e negli oceani, contribuendo all’inquinamento marino.


Oltre agli effetti ambientali, il fast fashion ha gravi conseguenze sociali, soprattutto nei paesi in via di sviluppo dove avviene la maggior parte della produzione. I lavoratori dell’industria tessile, spesso situati in paesi come Bangladesh, India e Vietnam, sono sottoposti a condizioni di lavoro estremamente difficili: lunghi orari di lavoro, salari bassi, mancanza di sicurezza e sfruttamento sono all’ordine del giorno. Basta guardare la cronaca per ricordare la  tragedia del crollo del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013, che causò la morte di oltre 1.100 lavoratori, mettendo in luce le terribili condizioni in cui molti di questi lavoratori sono costretti a operare.
Il lavoro minorile è un’altra questione critica nell’industria del fast fashion. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, milioni di bambini sono coinvolti nella produzione tessile e dell’abbigliamento, costretti a lavorare in condizioni pericolose, privati dell’istruzione e dei diritti all’infanzia, costretti a subire disuguaglianze economiche sempre più profonde. Mentre le grandi aziende di moda realizzano enormi profitti, i lavoratori che producono capi d’abbigliamento ricevono una frazione minima del valore finale del prodotto. Questa disparità economica contribuisce a mantenere i paesi produttori in uno stato di povertà e sottosviluppo.

Greenwashing nell’industria del fast fashion: una verità nascosta dietro le etichette”

Negli ultimi anni, molte aziende di fast fashion hanno iniziato a promuovere iniziative di “moda sostenibile” come risposta alle critiche crescenti. Tuttavia, queste iniziative spesso rappresentano esempi di greenwashing, dove le aziende fanno dichiarazioni ingannevoli sulle caratteristiche ecologiche dei loro prodotti.
Basta guardare le etichette posizionate all’interno dei capi d’abbigliamento per notare la definizione collezioni “riciclate” o “riciclabili”, ma la realtà è che meno dell’1% dei vecchi abiti viene effettivamente riciclato in nuovi capi. Inoltre, il processo di riciclo dei tessuti sintetici è spesso complicato e inefficiente e richiede ulteriori risorse, producendo inquinanti.


Per i consumatori è davvero difficile sapere se le affermazioni di sostenibilità sono accurate, certificazioni come GOTS (Global Organic Textile Standard) e Fair Trade sono esempi di standard che garantiscono una maggiore trasparenza, ma la loro adozione è ancora limitata.
Affrontare le problematiche del fast fashion richiede un cambiamento radicale nel modo in cui produciamo e consumiamo abbigliamento. Questo cambiamento deve coinvolgere tutti gli attori della filiera: dai produttori ai consumatori, passando per i legislatori. Le aziende della moda devono adottare pratiche di produzione più sostenibili, includendo l’uso di materiali ecologici, come il cotone biologico e le fibre riciclate, la riduzione delle emissioni di carbonio e del consumo di acqua ma soprattutto è fondamentale garantire condizioni di lavoro dignitose e salari equi per tutti i lavoratori lungo tutta la filiera produttiva.


Per cercare di arginare questo pericoloso fenomeno sarebbe opportuno valutare soluzioni più sostenibili e più green. Un esempio potrebbe essere il modello di economia circolare che può aiutare a ridurre l’impatto ambientale della moda. Questo modello prevede che i prodotti siano progettati per durare più a lungo, essere riparabili e riciclabili alla fine del loro ciclo di vita, è sempre importante promuovere il riutilizzo e il riciclo dei materiali, riducendo così la quantità di rifiuti prodotti.

Anche i consumatori hanno un ruolo cruciale nel cambiamento verso una moda sostenibile:
è importante educarli sui veri costi ambientali e sociali del fast fashion e incoraggiarli a fare scelte più consapevoli, questo include acquistare meno, scegliere prodotti di qualità e preferire marchi che adottano pratiche sostenibili. I governi devono introdurre regolamentazioni rigorose per controllare l’impatto ambientale e sociale dell’industria della moda. Questo potrebbe includere incentivi per le aziende che adottano pratiche sostenibili, tasse sulle emissioni di carbonio e normative più severe sui diritti dei lavoratori.

Casi di aziende virtuose che puntano al cambiamento

Alcune aziende però stanno già facendo passi significativi verso una moda più sostenibile, basti pensare a Stella McCartney stilista e designer che ha posto la sostenibilità al centro del suo brand, utilizzando materiali eco-friendly come il cotone biologico, che ha tra le sue caratteristiche la freschezza e proprietà antibatteriche, la lana rigenerata e il poliestere riciclato. Inoltre, l’azienda è trasparente riguardo alle sue pratiche di produzione e si impegna a ridurre l’impatto ambientale lungo tutta la filiera produttiva.
Un altro case study è il marchio Patagonia noto per il suo impegno verso la sostenibilità ambientale. L’azienda utilizza materiali riciclati e biologici per la produzione dei suoi capi e ha introdotto il programma Worn Wear, che incoraggia i clienti a riparare e riutilizzare i loro indumenti anziché comprarne di nuovi.

Preservare l’ambiente richiede un impegno collettivo e continuo da parte di consumatori, aziende e governi. Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte adottando comportamenti responsabili e sostenibili nelle nostre attività quotidiane. Solo attraverso un impegno comune possiamo sperare di proteggere il nostro pianeta per le generazioni future.

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