Sapere ed Essere

30 Agosto, 2020
Tempo di lettura: 4 minuti

Lo studio ed il sapere mi hanno sempre affascinato: sono come una sete ardente che nessun acqua può dissetare. A volte un sorso dell’acqua della Conoscenza mi dona un sollievo temporaneo, ma poi riprende l’arsura ed il bisogno di altre fonti…e allora l’allievo della vita che è in me continua a cercare, a studiare, ad apprendere.

Ed è strano che qualunque cosa faccia sia accompagnata da una voce interna che mi chiede, turbando la mia temporanea sicurezza e la mia placida quiete: “perchè la stai facendo?” o ancora: “sei sicuro che non ci sia un altro modo per farla”? E ancora: “hai validato l’informazione? Corrisponde a verità o è un’ interpretazione soggettiva ed altrui della realtà?”. È una voce che non mi lascia mai, ed è un bene..

Capisco che le scelte che compiamo sono basate sulle informazioni che raccogliamo dai vari canali della conoscenza e da ciò la considerazione che le corrette informazioni sono la base fondamentale per costruire le nostre scelte, ma più vado avanti nella ricerca e nello studio, più mi è chiaro che in un certo senso la verità ultima non esiste come tale:  le informazioni cadono nel nostro vissuto, frutto di educazione e condizionamenti, di altrui idee e modalità interpretative ed una sola peculiare possibilità che abbiamo è quella di rielaborarle in funzione della nostra evoluzione e della nostra capacità critica, unica ed individuale. La genialità, ovvero la produzione di idee nuove o innovative, è di pochi, ma invece di molti può essere la capacità della rielaborazione per creare degli echi preziosi nei vari campi dello scibile umano e delle sue applicazioni.

Come accettare allora le informazioni?

Come far si che possano trovare il giusto spazio all’interno della nostra mente? Perchè alcuni si orientano in una direzione ed altri, di fronte agli stessi stimoli intellettivi, si orientano nella direzione opposta? Perchè alcuni credono a quella versione dei fatti ed altri pensano che invece sia una menzogna?

Non ho una spiegazione plausibile per tutti. È come uno stimolo morboso: alcuni si ammalano e fanno malattia, altri producono solo lievi sintomi, altri ancora non si accorgono di nulla e restano portatori sani. Tutto dipende dal terreno in cui si manifesta.

La risposta è individuale e implica uno specifico modello “immunologico ed ereditario” in questo caso di tipo evolutivo, culturale, sociale, spirituale, del tutto personale. E qui un’affermazione discriminante che può certamente aiutare: conoscere non è sempre comprendere. La conoscenza è fondamentalmente intellettiva, la comprensione è un’esperienza più profonda.

Dante Alighieri: “..chè non fa scienza, sanza lo ritenere avere inteso…”.

Forse le mie sono solo parole limitate per cercare di esprimere la necessità continua di interrogarsi, di cercare, di mettersi in gioco, di non credere in modo assoluto alle proprie opinioni, ma di essere anche capace di andare al di là delle parole stesse, in quel mondo dove “il sentire interiore” può essere capace di scegliere al di là delle ragioni.

Quando abbiamo una convinzione, che è stata frutto di tempo, di ricerca, di fiducia negli altri, a volte di crisi personale, intellettuale o spirituale, difficilmente la molliamo; è come se avessimo un meccanismo di protezione energetica: più tempo ed energie abbiamo impiegato per arrivare a quella conclusione, più siamo restii a modificarla. Ogni cambio necessiterebbe di un nuovo sforzo di ricerca, di aggiustamento in un nuovo piano di consapevolezza.. e questo passaggio ha un costo in termini di energia e di  adattamento che comporta inevitabilmente la rottura del vecchio schema, con la crisi necessaria che lo accompagna, per la creazione di uno nuovo…

Pertanto la mente oppone un’innata resistenza ed i meccanismi di controllo informatico del nostro sistema di credenze e di  interpretazione della vita cerca di restare chiuso il più possibile, a protezione delle sicurezze acquisite. Per questo il modello geometrico perfetto che esprime questa condizione è il cerchio, il cerchio chiuso, massima espressione di spazio in un area limitata..

Ho visto, attraverso l’osservazione attenta ed empatica dei pazienti e, lo confesso, anche di me stesso in alcune fasi della vita, che il cambiamento, proprio perchè costa crisi e fatica, è quasi sempre demandato alla malattia (ovvero crisi di cambiamento) o a nuove situazioni emotive, affettive o lavorative, personali e sociali, che la vita o il destino individuale, propongono.

Quasi tutte le persone albergano o sono autodelimitate nella loro “comfort zone”, arroccati nella loro storia, finchè un evento, ordinario o straordinario, in qualunque campo dell’esistenza, stravolge le proprie sicurezze per prospettare un nuovo livello di comprensione. Il tutto spesso accompagnato dal dolore e soprattutto dalla “paura di perdere” qualcosa. Eppure la vita è cambiamento ed il nostro destino sottostà a ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra evoluzione, che è alla fine, la “comprensione ultima del senso della vita”. È necessario perdere qualcosa (o investire se parliamo in senso lato) per poter acquisirne un’altra migliore o differente. In questo contesto bisogna perdere per guadagnare… sembra un assurdo ma è così. Il cerchio allora si apre per lasciare andare il suo contenuto…

A questo punto il sapere e la ricerca, lo studio e la riflessione critica, possono quindi diventare, a mio avviso, un modo alternativo non di sottrarsi all’ineluttabile cambiamento nelle fasi dell’esistenza, ma per lo meno addolcirne le crisi relative che le accompagnano.  Leggere o arricchirsi delle altrui esperienze, approfondire la genialità e la cultura di coloro che hanno speso la loro vita ad esplorarne i misteri, sapere come altri hanno affrontato le loro crisi, conoscere i meccanismi biologici e pscicologici (e perchè no, anche quelli spirituali) connessi ai cambiamenti, non potranno sottrarci ad essi, ma per lo meno ci daranno il conforto di non essere soli  e ci potranno mostrare delle possibili vie alternative per adattarci alla metamorfosi. O smussarne il dolore, o lenirne la paura.

E questo può avvenire solo se l’informazione, cercata volontariamente o ricevuta attraverso le esperienze, è da noi rielaborata profondamente perchè  acquisti dei toni e dei colori personali e sia riverberata nell’assoluta unicità del nostro “Io” consapevole.

Solo nella realizzazione di questo importante passagio il “Sapere” diventa “Essere” e la ricchezza preziosa della informazione diventa un importante e fondamentale strumento evolutivo di adattamento… finchè un giorno si possa arrivare individualmente nell’empireo del “Sapere di Essere”.

“Non c’è nulla di nuovo sotto il sole”, dichiara il Qohelet (1,9), ma quello che è nuovo siamo noi, esseri unici e inimitabili, divina rappresentazione di quella Idea evolutiva che sottende tutte le cose e che spinge inesorabilmente, conoscenza dopo conoscenza, esperienza dopo esperienza, verso il traguardo della Sapienza Ultima che è Amore.

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