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“Eva, una dottoressa e ricercatrice di Storia della Medicina, scopre un manoscritto di Johan Anmuth, un medico del 18° secolo. Nel suo Book of Vision, Anmuth trascrive i sentimenti, le paure e i sogni di 1800 pazienti, il loro spirito vaga ancora tra le sue pagine. Immergendosi in questi racconti e in queste visioni, Eva mette in discussione la separazione tra passato, presente e futuro, mentre si scontra con le sfide della medicina moderna e i suoi limiti in rapporto al proprio corpo.”
È la sinossi di The Book of Vision, il film di Carlo S. Hintermann prodotto dal grande maestro Terrence Malick e presentato alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Poche righe che dovrebbero suscitare l’interesse di chi, come i nostri lettori, conosce e apprezza l’approccio terapeutico dell’Omeopatia. Perché Hintermann, a cui la sorte ha donato un nome così assonante a quello del fondatore dell’Omeopatia Samuel Hahnemann, ha il coraggio di mettere al centro della sua magistrale rappresentazione visiva il tema principe della nostra branca medica: il rapporto tra medico e paziente. Un legame così profondo da trascendere il mero rapporto meccanicistico tra l’organo e la malattia, che nel ‘900 (negli anni in cui il film è ambientato) con la ribalta della chirurgia, diventerà l’ossessione dei medici di tutto il mondo. Johan Anmuth, l’autore del manoscritto al centro del dipanarsi della trama, è vissuto nel secolo precedente, quando ancora il lato umano era il nucleo del processo di guarigione. Il medico prussiano sapeva come ascoltare i propri pazienti, le fantasie di gente comune, che non avrebbe diritto di comparire nei libri di storia. Attraverso le parole del manoscritto Eva imparerà a scrollarsi di dosso lo sguardo di tutti coloro che vogliono decidere della sua vita: medici, genitori, amanti. Pagina dopo pagina capisce quanto la storia di quel medico del Settecento possa aiutarla a percepire se stessa come qualcosa di unico.
Tutte le volte che il rapporto medico/paziente assume una forma conflittuale, ne segue un fallimento terapeutico. Curare significa instaurare un rapporto e questo Eva lo sa, come medico e come paziente, perchè non c’è cosa più difficile per un medico che essere costretto a divenire paziente. Eppure tutte le volte che lo sguardo si capovolge ne nasce qualcosa di sorprendente. Questo non significa rinunciare al progresso scientifico, ma al contrario inscriverlo in qualcosa di profondo e insondabile: l’animo umano. Una lezione che l’Omeopatia, che cura il malato e non la malattia, ha appreso e tramandato molto tempo fa. The Book of Vision affronta il rapporto medico paziente costruendo un ponte: quello tra il corpo e l’animo. Solo tenendo conto di questo, quel rapporto diventa profondo e rivelatorio.