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30 Gennaio, 2021

Elizabeth Wright Hubbard. Una grande donna dell’Omeopatia

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Elizabeth Wright (1896-!967) nasce a New York nella casa parrocchiale adiacente alla Chiesa Unitaria di Harlem. Il padre (rev. dr. Merle) è il pastore di questa piccola comunità protestante americana frequentata perlopiù da fedeli di colore che cercano nella religione un riscatto sociale. Fra un gospel e l’altro e assistita dall’omeopata di famiglia dr. B. G. Clark, la mamma partorisce Elizabeth. Il dr. Clark torna quando la bambina prende un’adenite tubercolare e poi il morbillo e poi la malaria, che cura con una dose unica di Natrum muriaticum MK.

A fine Ottocento l’Omeopatia è ancora di casa in tante famiglie americane. Si è capillarmente diffusa con cliniche, scuole, dispensari, da quando sono arrivati gli omeopati tedeschi, Gram nel 1825, poi Hering, Finke, Well e molti altri. Il reverendo ci tiene che anche la figlia impari a curare la gente, fa parte del suo stile di vita, dell’impegno sociale, ma preferisce investire nella più solida istruzione ufficiale piuttosto che in quella omeopatica e insiste con la ragazza perché frequenti la facoltà di medicina. Sfidando ogni stereotipo di genere e di classe, lei riesce a iscriversi alla Columbia College University of Physicians and Surgeons e si laurea nel 1921. É una delle prime sei donne medico degli Stati Uniti. Inizia qui il mito della “perseveranza” e della “capacità” che accompagna Wright per tutta la vita, insieme al forte senso di appartenenza alla classe medica, anche se sceglierà un sistema terapeutico diverso.

Mentre fa l’internato ad anatomia patologica al Bellevue College Hospital di New York si ammala di una grave forma di scarlattina. Naturalmente si rivolge a un omeopata, il dr. Rudolf Rabe, che le prescrive un’unica dose di Ammonium carbonicum XMK. La guarigione è immediata.

Il primo lavoro che trova è vicino a Boston, al Framingham Center, clinica per malattie mentali diretta dall’omeopata swedenborghiano Frank Wallace Patch, figura affascinante, letterato appartenente alla corrente del trascendentalismo di Concord, amico di Emerson e Thoreau, romantico, visionario, gestisce un manicomio in cui i pazienti sono liberi di entrare e uscire, promuove le terapie occupazionali e l’Omeopatia. Patch ha delle conoscenze altolocate in Europa e vede nella giovane medico una passione e una grinta fuori dal comune; le propone di andare ad approfondire oltreoceano lo studio dell’Omeopatia. Lei parte immediatamente per Stoccarda, un viaggio al contrario di quello Hering e Margaret Tyler a metà Ottocento. Prima studia con Adolf Stiegele, poi va in Svizzera, a Ginevra dal brillante Pierre Schmidt, allievo di Kent di seconda generazione, e infine a Tubinga dal gran- de studioso di Paracelso Emil Schlegel.

Quando torna negli Stati Uniti, a metà anni Venti, trova un mondo medico spaccato a metà. Da una parte ci sono i “regulars”, i laureati in medicina, dall’altra gli “irregulars”, gli omeopati, una “setta” che sta perdendo consenso a causa soprattutto delle lotte intestine e della chiusura verso le terapie convenzionali; aggiungerei, al loro scavalcamento da parte dei sempre maggiori successi della medicina convenzionale. Bisogna fare una scelta e Wright non ha dubbi: Essendo una donna e quindi un’anima pratica, aspiro a trovare i mezzi per curare. La sua esperienza le dice che i mezzi migliori sono quelli che forni- sce l’omeopatia, senza nulla togliere alla medicina “allopatica”. Antesignana dell’omeopatia come “atto medico”, per tutta la vita promuoverà scambi di idee e di terapie con i colleghi. Non con i pazienti: Wright non è una divulgatrice, e nemmeno una femminista, almeno di quelle dell’Ottocento. Appartiene alla nuova generazione di donne che si sono fatte da sole, sicure di sé, organizzate al punto di riuscire a conci- liare perfettamente la vita domestica e la carriera, sostenitrici della parità dei sessi grazie alla tenacia e al merito.

Comincia quindi l’inconsueta carriera di medico omeopata. La collega Alice Basset la chiama a Boston per condividere il suo ambulatorio. Entrambe appartengonoall’American Foundation of Homeopathy, associazione fondata (damuna donna) per contrastare l’abbandono degli studenti di Omeopatia, con un chiaro programma: istituire un corso di specializzazione universitario, divulgare la medicina omeopatica presso la popolazione che se ne sta allontanando e infine promuovere la collaborazione fra medici e non-medici. È da qui che nasce l’apertura moderna a osteopati, chiropratici e infermiere con “licenza”, che ha permesso di arrivare al 2020 con sei milioni di americani che si curano con l’Omeopatia, un po’ pochini, ma meglio che niente…

Nel vuoto degli ambulatori omeopatici, monopolizzati da due grandi (Wesselhoefer a Boston e Houghton a New York), le due riescono a farsi una vasta clientela. Poi la Basset va a insegnare alla Boston University Medical School e la Wright a dirigere la clinica omeopatica del Massachussetts Memorial Hospital.

Dopo un anno apre un suo ambulatorio e fonda la rivista Homeopathic recorder in cui vengono pubblicati abstract di articoli omeopatici in cinque lingue. Fra tante attività, c’è tempo anche per pensare alla famiglia: nel 1930 sposa Benjamin A. Hubbard, direttore delle attività atletiche extracurriculari della Columbia University di New York, con due figli a carico. Lei si trasferisce a New York e inizia a lavorare alla clinica universitaria della Columbia University. Da Hubbard avrà tre figli. Il suo ambulatorio di New York è affollato, l’energica omeopata diventa una “moda” specialmente negli ambienti dell’arte d’avanguardia. È evidente che questa giovane signora un po’ shabby, con occhi profondi e aria determinata, ha una grande empatia per ogni tipo di genio e sregolatezza, dà fiducia. Gli artisti si passano parola: Marlene Dietrich, il compositore francese Darius Milhaud, lo scultore Alexander Calder, la soprano Lily Pons, e il suo paziente più seguito, Jackson Pollock, pupillo di Peggy Guggenheim e rappresentante dell’action painting, personaggio intrattabilecon qualche problemino di alcolismo.

Quando, negli anni 40-50, a cavallo della guerra, i confini fra la medicina convenzionale e quella omeopatica si fanno più netti, lei diventa un’icona dell’Omeopatia aperta alla medicina e si dedica alla “politica”.

Dal 1945 al 1946 è la prima donna a essere eletta presidentessa della International Hahnemannian Association, e dal 1959 al 1961 dell’American Institute of Homeopathy.

Sono periodi brevi, ma ci sono tante altre cose da fare: dirigere la rivista Journal of the American Institute of Homeopathy, lavorare al New England Hospital for Women and Children e frequentare il primo corso di specializzazione in omeopatia organizzato dalla AFH a New York. Ci sono i tre figli, che bazzicano anche loro l’ambiente artistico: Elizabeth jr. diventa una popolare attrice di cinema e televisione e Merle talent manager. C’è poi un libro: Homoeopathy as Art and Science, e tanti articoli, casi clinici, note, anche dietetiche, che verranno raccolti postumi da Alain Nande nel libro A Brief Study Course in Homoeopathy.

Il suo stile ricorda quello di Margaret Tyler, spontaneo, suggestivo, con mano leggera è capace di far rivivere i casi come se stessimo a sedere dietro la sua scrivania.

La sua ultima passione è l’antroposofia, che cerca di divulgare negli Stati Uniti partecipando attivamente alla Anthroposophical Society of America.

Lavora tutta la vita, con la convinzione che la malattia sia una cosa positiva, anche se dolorosa, una “protective explosion”, segno che la forza vitale è attiva e va guidata e non soppressa per arrivare alla guarigione. Lavora fino all’ultimo giorno, quando è colpita da un ictus mentre visita un paziente nella sua casa di New York. Ha 71 anni, un’espressione austera, lacca abbondante sulla piega che non tiene e gioielli pressoché invisibili, non lascia avventure né pensieri originali, ma una grande solidità in un mondo che si sta disfacendo.

 

Tratto da Il Medico Omeopata – Anno XXV – numero 73 – aprile 2020

 

 

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