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1 Agosto, 2020

L’omeopatia in Italia: dalle origini ad oggi- Prima parte

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Riedizione ampliata dell’articolo originale “Die Homöopathie In Italien – Von den Ursprüngen bis heute” pubblicato su Spektrum der Hoömopathie – 2017 n° 3 – ISSN 1869-3091

Le origini

L’Omeopatia sbarca in Italia a Napoli nel 1821. La portano i medici dell’esercito austriaco, chiamato dai regnanti borbonici per sedare i moti rivoluzionari che stanno imperversando. Uno di questi medici, il boemo Necker di Melnik, dopo la partenza dell’armata, si stabilisce nella città partenopea e apre un dispensario, per visitare i poveri. I suoi successi in campo terapeutico attraggono l’attenzione dei medici napoletani, in particolare di Cosmo Maria de Horatiis e Francesco Romani che diventeranno suoi allievi. Il particolare humus culturale della città, caratterizzato in quei secoli dalla libera circolazione di un pensiero aperto e senza pregiudizi, infatti a Napoli non c’è mai stata una sola condanna a morte per eresia, né un Tribunale dell’Inquisizione, favorisce l’attecchire della nuova arte del guarire, soprattutto nei salotti buoni della classe medica, tra le classi dirigenti. Lo stesso Cosmo Maria de Horatiis, colui che ne sarà il vessillo annunciatore in Spagna, era il medico del Re, Francesco I di Borbone. La città partenopea è quindi culturalmente preparata, a essere un eccellente incubatore della “rivoluzione in medicina”. L’Italia tutta in generale, ha il merito, attraverso il Monachesimo prima e il Rinascimento poi, di strappare l’Europa dai secoli bui del Medioevo, riportando al centro del pensiero lo studio dell’uomo, nella filosofia, nell’arte e nella scienza. Napoli accende la scintilla perché meno subisce i contraccolpi della Controriforma e precocemente si apre al secolo dei lumi, diventando in Italia e non solo, la capitale della cultura e soprattutto della cultura scientifica. Già quindi nel 1821 il barone, generale von Köller, affezionato paziente omeopatico, dona all’Accademia Reale delle Scienze l’Organon e la Materia Medica Pura, di Hahnemann e la stessa Accademia incarica il dott. Alberto de Schoemberg, anch’egli medico dell’armata austriaca, di rivolgersi allo stesso Hahnemann, per approfondire la nuova dottrina. Di ritorno da Köthen, de Schoemberg esporrà i risultati delle sue ricerche davanti agli scienziati napoletani, che ne faranno pubblicare la relazione nel 1822 con il titolo Il sistema medico del dott. Samuel Hahnemann esposto alla Reale Accademia delle Scienze di Napoli. È questo il primo scritto di Omeopatia pubblicato in Italia. Nel 1824, con la traduzione del prof. Bernardo Quaranta, è la volta dell’Organon, in lingua italiana, dalla seconda edizione dell’opera. Questa è in assoluto la prima stampa del testo fondamentale dell’Omeopatia, in una lingua diversa dal tedesco.

Cosmo Maria De-Horatiis

Dopo Napoli, le altre zone d’Italia raggiunte dalla nuova metodologia del medico sassone Hahnemann, sono la Sicilia, legata a Napoli dalla identità statuale, Roma e gli Stati Pontifici, con particolare fermento nelle Marche e in Abruzzo, la Lombardia e il Piemonte. Il primo medico omeopata a stabilirsi a Roma è, con tutta probabilità, il dott. Settimio Cantamori, amico personale di Hahnemann e imparentato con Napoleone Bonaparte. Un discorso a parte per la rilevanza e la precocità dei contatti con la nascente Omeopatia, lo merita il Teramano. Qui, un gruppo di medici e intellettuali, guidati dal filosofo e grande uomo di cultura Melchiorre Delfico, riporteranno addirittura gli studi di chimica di un

Francesco Romani

Hahnemann pre-omeopatia, seguendo i suoi lavori successivi con interesse, tanto che lo stesso Delfico definirà il genio tedesco “il gran fondatore del medico sapere”. I personaggi più rilevanti di questa autentica avanguardia abruzzese, operanti a Napoli, saranno Francesco Romani, considerato il principe dei clinici omeopati della sua epoca e Rocco Rubini, che qualche anno più tardi avrà un ruolo di primo piano, coronato da inimmaginabili successi, nel contrasto alle epidemie di colera, come possiamo dedurre dal prezioso saggio di Sandro Galantini. Se la Germania è stata la culla dell’Omeopatia, là dove tutto è nato, l’Italia e in particolare Napoli, sono stati l’epicentro da dove si è diffusa come un incendio d’estate, in tutto il mondo.

 

Da Napoli, come abbiamo già ricordato, passa in Spagna; il primo medico omeopata inglese, il dr. Quinn, l’apprenderà a Napoli dal Melnik, durante il suo Grand Tour; arriva in Francia, prima che Hahnemann si stabilisca a Parigi, tramite il Conte Sebastiano de Guidi, che al di là della lettura francesizzata del cognome, era campano e l’aveva appresa a Napoli dal dr. Romani, che gli aveva guarito la moglie. De Guidi sarà portatore del Similia cum Similibus anche in Svizzera. Dalla Sicilia, il grande apostolo Benôit Mure, anche lui guarito dai granuli, dalla tubercolosi, la traghetterà in Brasile e in Egitto. Questa grande affermazione fa sì che tra il 1830 e il 1840 i medici omeopati sfiorino il ragguardevole numero di un migliaio (se ne contavano quasi 200 solo in Sicilia).

Un altro terreno dove l’Omeopatia vince molte sfide è quello epidemiologico. A partire dal 1801, anno in cui l’Osservatore Medico di Napoli, riferisce l’uso della Belladonna, nella profilassi della scarlattina, alle epidemie di colera che si ripresentano con triste regolarità nella penisola. Dal 1830 in poi queste vengono affrontate con rimarchevoli successi dagli omeopati, Rocco Rubini e Tommaso Cigliano su tutti, contribuendo

Tommaso Cigliano

alla diffusione della nuova terapia. L’Omeopatia vive in Italia, tra il 1830 e il 1870, quattro decenni di grandi successi e popolarità. Quando il XIX secolo sta volgendo al termine, la spinta propulsiva iniziale si esaurisce e si trasforma presto in declino. Le ragioni sono molteplici e difficili da sintetizzare, probabilmente incidono da una parte litigi e invidie tra gli stessi omeopati, la rafforzata ostilità del mondo accademico ufficiale che vuole trattenere sotto il suo controllo il potere di dispensare salute e malvolentieri lo divide con altri, dall’altra la scoperta della teoria
microbica e gli studi di Pasteur e Koch, che spostano la causa delle malattie dall’interno all’esterno, cozzando con l’impostazione omeopatica e anche la difficoltà intrinseca del metodo omeopatico, che presuppone uno studio lungo, serio e approfondito. Tutto questo lascia molte macerie nel campo omeopatico.

Nel 1900, secondo quanto riferisce il dott. Bonino, presidente dell’Istituto Omiopatico Italiano e tra i fondatori nel 1890 dell’Ospedale omeopatico di Torino, rimangono solo 37 omeopati in Italia, quasi tutti legati a tradizioni famigliari come Cigliano a Napoli e Mattoli in Umbria. Questo manipolo di coraggiosi, mantiene viva la brace sotto la cenere, passando la loro conoscenza a discepoli, scelti con cura, che la accompagnano con amore e dedizione fino alla metà degli anni ’50 del secolo scorso, anni in cui, in Italia, la fenice risorge dalle sue ceneri e si sviluppa in pochi decenni fino ad arrivare ad oggi in cui il 17% degli italiani utilizza abitualmente rimedi omeopatici (EMG Aqua, ottobre 2018).
Ma procediamo con ordine. Nel corso dei primi cinquant’anni del ‘900, come abbiamo detto, l’Omeopatia vive un lungo sonno letargico. Il grande progresso scientifico che rivoluziona la pratica della medicina, sembra non consentirgli speranze.

Dalla sintetizzazione della penicillina e degli altri antibiotici, fino alla geniale scoperta del genoma umano, che una volta interamente mappato, si crede, permetterà di ottenere una cura infallibile per ogni malattia (abbiamo poi visto che era una vana speranza), il determinismo in medicina, è autore di una inarrestabile marcia che sembra escludere qualsiasi rivale. Ma già dai tempi di Pasteur, il fronte così apparentemente compatto, mostra qualche crepa, lo stesso scienziato francese affermerà, si dice sul letto di morte, ossia, una delle poche situazioni in cui gli uomini difficilmente mentono: “il microbo è nulla, il terreno è tutto”. Le scoperte dell’endocrinologia sui micro-dosaggi, le scoperte della fisica e della chimica portano a rivalutare l’azione dell’infinitesimale. In questo contesto in forte dialettica evolutiva si staglia una personalità forte, decisa, colui che ancora oggi è percepito come il padre dei medici omeopati italiani.

[continua]

Bibliografia

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