Perché invecchiamo? L’uomo convive con l’invecchiamento da sempre, ed è per questo abituato a considerarlo un fenomeno ineluttabile. Ciò nonostante, ha sempre continuato a fantasticare della possibilità di essere immortale, conferendo questa proprietà a figure mitologiche come semidei e non-morti. Questo perché, così come siamo programmati dalla Natura, non possiamo proprio accettare di appassire lentamente, come un fiore, e poi morire. In fondo, poi, a cercare proprio a fondo, fino ai meccanismi di proliferazione cellulare, la ragione per la quale invecchiamo è molto meno chiara di quanto sembri. In fondo noi non siamo un palazzo o un ponte, destinati alla consunzione. Noi, a differenza del palazzo, consumiamo continuamente energia per contrastare l’entropia, e non si capisce cosa ci impedisca di continuare a farlo per sempre, come del resto fanno altri animali in natura (è il caso della Turritopsis nutricula).
Perché invecchiamo? La risposta da uno studio italiano
Oggi uno studio italiano pare aver acceso un faro nelle tenebre della nostra conoscenza delle leggi della biologia, mostrandoci ciò che cercavamo da secoli, se non da millenni. Il prof. Emilio Hirsch, Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, assieme alla sue equipe ha da poco pubblicato uno studio sostenuto dalla Fondazione Airc sull’autorevole rivista Science. Secondo quanto emerso nel corso della ricerca, ad avviare il processo di senescenza delle cellule sarebbe un alterazione del processo di proliferazione cellulare.
Il ruolo di due proteine nella replicazione cellulare
La colpa ricadrebbe su PI3K-C2alpha e VPS36. No, non si tratta dei due simpatici robot di Star Wars, ma di due proteine necessarie alla divisione della cellula in due cellule figlie. Andando avanti con gli anni la concentrazione di queste proteine diminuisce, e di conseguenza la divisione cellulare rallenta. Sarebbe proprio questa difficoltà di replicazione a dare il via all’invecchiamento. Questo fenomeno è più evidente in alcune parti del corpo che in altre. Nel cristallino oculare, ad esempio, la diminuzione di PI3K-C2alpha e VPS36 è più evidente che altrove. Ciò fa sì che alcune patologie del cristallino, come la cataratta, siano particolarmente frequenti nelle persone anziane.
La strada per arrivare a una grande scoperta
Ma come hanno fatto i ricercatori a capire il collegamento tra queste due proteine e l’invecchiamento? Il primo indizio è arrivato da una famiglia i cui bambini ne avevano un tasso particolarmente basso per motivi genetici, e allo stesso tempo mostravano segni di invecchiamento precoce. In questo modo, ipotizzando che le due cose fossero collegate, gli autori dello studio hanno cercato lo stesso tipo di nesso in un particolare pesce chiamato Danio zebrato. Una volta verificato che anche in un organismo così lontano dall’essere umano era possibile riscontrare lo stesso parallelismo, gli autori dello studio hanno trovato la pista che stavano aspettando.
Un aiuto per la ricerca su cancro e Covid
Se la scoperta venisse confermata, potrebbe trovare applicazione anche in ambiti molto lontani da quello della cura della cataratta. La ricerca sul cancro, ad esempio, ma non solo. Le risultanze potrebbero essere utili anche nella ricerca di una cura per il nuovo coronavirus. Queste due proteine, infatti, sono le stesse che il virus usa per entrare nelle cellule umane. Il professor Hirsch in proposito ha dichiarato che “è evidente che la ricerca sull’invecchiamento non può che essere multidisciplinare. Come questo studio dimostra pienamente, i risultati della ricerca di base hanno ricadute imprevedibili e per questo finanziare la ricerca di eccellenza in questo settore è fortemente necessario. Le malattie dell’invecchiamento hanno sempre alla base i meccanismi di invecchiamento cellulare. Per questa ragione la Fondazione Airc ha focalizzato la propria mission proprio su queste malattie, promuovendo un bando per favorire lo sviluppo di ricerca traslazionale di eccellenza a Città della salute e della scienza”.
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