Dott. Catello Manfuso

Da Manzoni al Covid-19 (seconda parte)

5 Febbraio, 2022
Tempo di lettura: 11 minuti

È necessario fare un passo indietro per illustrare la temperie filosofica e scientifica nella quale ci muoviamo, argomento di grande complessità: qui ne faremo una presentazione necessariamente breve.

La cornice scientifica-filosofica-metodologica nella quale ci stiamo addentrando fu in larga parte determinata dal pensiero del filosofo e matematico Cartesio (Descartes 1596-Stoccolma 1650). Egli individuò un metodo che gli avrebbe consentito di costruire una scienza completa della natura su cui fosse possibile avere una certezza assoluta; una scienza fondata, come la matematica, su primi principi di per sé evidenti.

La sua opera principale, già nel titolo, evidenzia l’orientamento del suo pensiero: Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienze.

Il metodo cartesiano è analitico e consiste nello scomporre pensieri e problemi in frammenti, e nel disporre poi questi frammenti nel loro ordine logico. L’eccessiva insistenza su questo aspetto, da un lato, si è rivelata molto utile nello sviluppo di teorie scientifiche, soprattutto nella realizzazione di progetti tecnologici complessi, come quelli che hanno portato l’uomo sulla luna, sia, dall’altro, ha prodotto il diffuso e pervasivo atteggiamento riduzionista nella scienza, ossia alla convinzione che tutti gli aspetti dei fenomeni complessi possano essere compresi, semplicemente, riducendoli alle loro parti costituenti.

Cartesio

René Descartes (Descartes 1596-Stoccolma 1650)

In medicina e biologia Cartesio non ebbe esitazioni a considerare la materia vivente una macchina, un orologio con i suoi ingranaggi, e, addirittura, ad affermare che un artigiano capace avrebbe potuto costruire un essere vivente con le sue leve e i suoi organi. La natura funzionava secondo leggi meccaniche e, ogni cosa, nel mondo materiale, poteva essere spiegata in funzione della disposizione e del movimento delle sue parti; paragonò addirittura gli animali e l’uomo ad un orologio composto da ruote e molle e arrivò alla conclusione semplicistica che un uomo malato era simile ad un orologio mal costruito.

In sintesi, Cartesio aprì alla medicina la strada verso i grandi successi della chirurgia e, fino ad un certo punto, ai successi nelle conoscenze biologiche.

Gli sviluppi del pensiero cartesiano portarono ad un costume scientifico (secondo la definizione di Benedetto Croce), tutt’ora imperante e acquisito stabilmente in una mentalità diffusa fino agli strati meno acculturati della popolazione. Per mentalità intendiamo un sistema condiviso nella massa di criterio e di metodo operativo di cui ormai si ignora completamente il punto di partenza e i presupposti filosofici: un dato di fatto che esclude la possibilità stessa di una messa in discussione.

All’epoca il tutto trovò il suo apogeo nel trattato poetico L’uomo macchina di Julien Offray de La Mettrie (Saint Malo 1709 – Berlino 1751) che suscitò polemiche e discussioni fino al secolo ventesimo inoltrato; fu un duello, attualmente estinto, tra una concezione energetico/vitalista e una biochimica della biologia: ha trionfato la visione biochimica.

La scienza, secondo La Mettrie, doveva essere identificata con l’approccio meccanicistico cartesiano; egli scrisse: “Il meccanicismo e il materialismo sono a fondamento del pensiero scientifico […] io non accetto affatto l’opinione che i fenomeni della mente non siano suscettibili di una descrizione chimico-fisica […] Tutto ciò che noi sapremo mai scientificamente di loro sarà meccanico […] nella scienza l’uomo è una macchina o, se non lo è, non è niente”.

Siamo in maniera evidente di fronte ad un materialismo estremo, di valore squisitamente polemico: si dovranno attendere le acquisizioni della fisica all’inizio del secolo scorso per smentire questo impianto.

Una delle conseguenze, in biologia, dell’impostazione cartesiana è che si cercò, e, fino ad un certo punto, si trovò, la spiegazione dei fenomeni in un rapporto diretto causa-effetto di 1:1: una causa un effetto, un batterio = una malattia, un virus = una malattia.

A questo punto riprendiamo l’excursus storico-scientifico aggiungendo questi tasselli:

  •  Robert Hooke (Freshwater 1635- 1703 Londra) aveva scoperto la cellula.
  •  Alessandro Volta (Como 1745- Camnago 1827) e Luigi Galvani (1737 Bologna- Stato Pontificio 1798) avevano creato le basi per il futuro sviluppo della neurologia e dell’elettrodinamica. 
  •  Antoine Lavoiser (Parigi 1743- Parigi 1794) con gli studi sull’ossigeno aveva formulato la teoria della combustione aprendo la strada alla conoscenza delle reazioni ossidative cellulari e della respirazione cellulare.
  •  Ad inizio Ottocento si perfezionò uno strumento essenziale nella ricerca biologica, il microscopio, che di per sé rivelò un nuovo mondo di organismi viventi: i batteri.
Thomas-S.-Kuhn

Thomas S Kuhn

Negli anni Sessanta l’epistemologo Thomas S. Kuhn (Cincinnati 1922- Cambridge 1996) [6] ha sorpreso la comunità intellettuale mostrando che le scienze non avanzano secondo un processo di accumulazione ma mediante crisi, discontinuità e rottura. La sua teoria sui cambiamenti di paradigma mostrava che la conoscenza non progredisce o avanza in modo lineare ma con una successione di cicli. Nel suo stato normale, la scienza non scopre nessuna novità pratica o teorica ma, gradualmente, cominciano ad apparire anomalie, le quali mostrano che la natura ha violato le aspettative con cui veniva osservata.

Quando appaiono fenomeni nuovi la reazione ordinaria del mondo scientifico è quella di ignorarli, ma, col tempo, essi si impongono all’attenzione e si rende necessario cambiare il metodo di osservazione e di studio che conduce alla loro conoscenza. Quindi si instaura un flusso diretto dal fatto concreto, ineludibile per qualunque ideologia, per cui se la parte teorica resiste e si oppone alla novità – per la tendenza all’omeostasi di tutte le funzioni umane- prima o poi deve apparire una nuova teoria scientifica che sia in grado di integrare questa nuova singolarità, il fatto sopravvenuto, in un sistema concettuale più ampio che possa spiegare il tutto. Ciò comporta, a lungo andare, un cambiamento di paradigma: una teoria scientifica viene dichiarata non valida, decade, soltanto quando viene sostituita da un’altra. [7]

Colui che, nel settore microbiologico, rese necessario il cambio di paradigma fu il chimico francese Louis Pasteur (Dole 1822- Villeneuve l’Ètang 1895) [8], le cui penetranti intuizioni esercitarono un ruolo notevole sulla chimica e decisivo in biologia e medicina.

Pasteur

Pasteur nei suoi primi e lunghi studi di chimica si occupa di cristallografia; si impegna per anni nello studio dei fenomeni dei cristalli approdando infine alla scoperta della loro dissimmetria molecolare (1848), studi che oppose con successo alle teorie del tedesco Eilhard Mitscherlich, e che mostrarono in seguito tutto il loro potenziale nel sorgere della stereochimica. Nel 1854 Pasteur fu nominato docente nella facoltà di scienze di Lilla; ivi incominciò ad occuparsi del problema delle fermentazioni, spinto anche dalle pressanti richieste di alcuni produttori di birra preoccupati per le sorti del loro prodotto. Sull’argomento al tempo dominavano le tesi del chimico tedesco Justus von Liebig che riteneva la fermentazione un fenomeno puramente chimico; Pasteur con chiari esperimenti sostenne che “la fermentazione si mostra correlata alla vita” e proprio nella fermentazione alcolica vide, al microscopio, la presenza di globuli il cui comportamento era quello di esseri viventi: siamo giunti

Félix Archimède Pouchet

Félix Archimède Pouchet

ad un passo dalla scoperta dei batteri. Fu così che si trovò ad affrontare lo studio della “generazione spontanea“, antica teoria esplicativa dell’origine della vita e risalente almeno ad Aristotele; dal 1858 Pasteur ebbe una lunga disputa con il francese A. Pouket che si concluse con il trionfo di Pasteur: riuscì a dimostrare con evidenti esperimenti che i liquidi utilizzati per le prove stesse, se precedentemente sterilizzati, non presentavano alcuna produzione vitale possibile. Nella disputa tra i due si erano inseriti motivi ideologici che fecero sì che Félix Archimède Pouchet risultò come un materialista convinto e, di contro, Pasteur un difensore dello spiritualismo e della religione ufficiale, ma un’attenta ricostruzione storica ha dimostrato che i termini reali della questione stanno ad indicare l’erroneità di tale semplificazione. Da qui fu breve il passo per Pasteur che lo condusse alla Teoria generale dei germi patogeni tramite la quale la medicina acquisì i capisaldi fondamentali dei concetti di sepsi e asepsi.

Pasteur mise in luce la varietà immensa del mondo organico al livello microscopico ponendo così le basi della nuova scienza della biochimica. Abbandonato lo studio sui batteri al quale rivolse circa un ventennio della sua ricerca, egli condusse la sua attenzione allo studio delle malattie in animali superiori, dimostrando l’esistenza di una correlazione tra germi e malattie. A questo punto Pasteur fu cooptato nella schiera sempre più trionfante dei meccanicisti-riduzionisti cartesiani. Ogni evidenza rendeva logica l’equazione un batterio = una malattia e tutt’ora si continua erroneamente e semplicisticamente a considerare i batteri in sé come l’unica causa di malattia.

Da allora la ricerca medica e farmacologica hanno avuto un solo scopo, un unico obiettivo: identificare il microbo e la pallottola magica in grado di ucciderlo, cioè l’antibiotico. Grande è la crisi della medicina di fronte al virus che, notoriamente, non è ucciso dall’antibiotico e per il quale, ad onta delle forti ricerche che hanno prodotto tanti farmaci antivirali, non esiste ancora una pallottola equivalente all’antibiotico per il batterio. 

Le teorie riduzionistiche di Pasteur, oltretutto abile promoter di sé stesso, misero nell’ombra una teoria alternativa, che era stata insegnata qualche decennio prima da un famoso medico francese, Claude Bernard (Saint Julien 1813- Parigi 1878), che è generalmente ritenuto il fondatore della fisiologia moderna ed estimatore dello stesso Pasteur. Egli sosteneva l’esistenza di una correlazione intima tra organismo e ambiente, e fu il primo a mettere in rilievo l’importanza del melieu interieur, ossia l’ambiente interno in cui vivono gli organi e i tessuti dell’organismo. In particolare, egli osservò che, in un organismo sano, questo ambiente interno rimane essenzialmente costante, anche quando l’ambiente esterno presenta fluttuazioni considerevoli; da qui la sua famosa massima: “la costanza dell’ambiente interno è la condizione essenziale di una vita indipendente”.

Claude Bernard

Claude Bernard nel suo laboratorio

Nonostante questo ricercatore illuminato abbia insistito tanto sul concetto di terreno e di costituzione, le sue teorie, per un certo periodo, furono eclissate dall’imperante riduzionismo di Pasteur, e, solo nel ventesimo secolo, furono riportate alla luce quando i ricercatori si resero maggiormente conto del ruolo fondamentale che esercitava l’ambiente sui fenomeni biologici contemperando in più le acquisizioni di inizio ventesimo secolo sul sistema immunitario. Le teorie di Claude Bernard furono portate avanti con coraggio e, ulteriormente elaborate, condussero all’importante concetto di omeostasi, termine introdotto dal neurologo Walter Cannon (Praire du Chiein 1871- Franklin 1945) per denotare la tendenza degli organismi viventi a mantenere uno stato di equilibrio interno che corrisponde in ultima analisi a ciò che intendiamo per stato di salute. Tra Bernard e Pasteur si era svolto un carteggio nel quale, sostanzialmente, Claude Bernard metteva l’accento, insieme alle lodi per le scoperte di Pasteur, sul terreno che accoglieva i batteri più che sul batterio stesso. Sosteneva in sintesi che se il terreno non era adatto, il batterio non avrebbe potuto attecchire; solo così si può spiegare il fatto che, per esempio, in un’epidemia, alcuni non contraggono la malattia.

Robert Koch

Robert Koch

Tuttavia Pasteur e i suoi seguaci si imposero trionfalmente e di conseguenza la teoria dei germi come agenti patogeni fu rapidamente accettata nella professione medica. Il concetto di etiologia specifica fu formulato con precisione dal medico Robert Koch (1843 Clausthal-Zellerfeld- 1910 Baden-Baden) il quale postulò un insieme di criteri per dimostrare, in modo conclusivo, che doveva essere un particolare microbo a causare una malattia specifica. Koch ebbe il grande merito di scoprire il Mycobacterium Tubercolosis (1882; nel 1905 venne insignito del premio Nobel per la medicina): da allora, in medicina, per definire la tubercolosi si usa anche l’espressione fatto specifico tale fu il successo del suo pensiero e delle sue ricerche. I criteri noti come postulati di Koch sono sempre stati insegnati nei corsi di medicina.

Un’altra ragione del successo della visione di Pasteur e Koch va vista nel dilagare, nell’Europa del tempo, di varie epidemie (Tbc, colera) le quali fornirono modelli ideali per dimostrare il concetto del meccanismo causale specifico di una malattia; inoltre, ribadiamo ancora, il tutto si innestava perfettamente con lo schema biologico dell’800 in accordo con la concezione cartesiana degli organismi viventi come macchine. Nonostante questo trionfante incastro scientifico-ideologico, Pasteur, clamorosamente, a tre mesi dalla morte, in una celebre lettera, darà ragione a Bernard asserendo che il batterio è poco, il terreno che lo accoglie è tutto.

Questo aspetto dello straordinario pensiero critico e autocritico di Pasteur è stato ben poco valorizzato, sia nella storia della medicina sia dal punto di vista pratico: il fascino riduzionista-meccanicistico di una causa (il batterio) = una malattia è stato irresistibile sia per la mente umana sia per la pratica farmacologica; e lo è tutt’ora, pur mostrando, chiaramente, la sua grossolanità, vuoi nella crisi dell’antibiotico, vuoi nelle patologie autoimmunitarie, vuoi nella lotta ai virus. Ma quella concezione di terreno costituzionale, privilegiato da Bernard, non si era ancora arricchita dalla conoscenza del sistema immunitario; ci siamo vicini.

Pasteur passò poi a occuparsi, con successo, delle malattie del baco da seta e poi, negli anni 80′(del XIX secolo), allo studio di numerose malattie infettive come il colera dei polli e il carbonchio; con queste ricerche egli riuscì a mettere a punto un metodo di attenuazione degli agenti patogeni mediante l’azione dell’ossigeno nell’aria.

Riprendendo il concetto della variolizzazione di Jenner, attraverso l’inoculazione nei polli di germi attenuati, egli riusciva a prevenire la malattia nella sua forma più virulenta e mortale: nasce così la tecnica della vaccinazione preventiva delle malattie infettive per gli animali.

Se tutto ciò non fosse sufficiente alla sua fama, si deve aggiungere quello che forse fu, per la sua drammaticità e spettacolarità, il successo più importante di Pasteur: gli studi sulla rabbia; essi segnarono il passaggio per Pasteur dalla sperimentazione animale a quella sull’uomo.

Émile Roux

Émile Roux

Contrariamente a quanto avveniva per le altre malattie infettive, Pasteur non riuscì mai ad isolare l’agente patogeno della rabbia; riuscì, col contributo fondamentale di Émile Roux, a mettere a punto un metodo di attenuazione del patogeno della rabbia (si scoprirà poi trattarsi di un virus): nasce così la tecnica della vaccinazione preventiva delle malattie infettive per gli umani. 

Quindi, all’età di 64 anni, acclamato dalla scienza riduzionista meccanicista cartesiana mondiale, idolatrato in patria per i successi contro gli odiati tedeschi (Mitscherlich e Liebig), ricolmo della gratitudine per i risultati pratici e i suoi studi e, con un istituto di biologia a lui intitolato e da lui diretto assegnatogli dal Governo francese, la sua fama subisce una battuta d’arresto: un bambino, Jules, venne morso da un cane rabbioso, il padre non aveva dubbi, e come i 349 precedenti venne portato a Parigi da Pasteur che, su quel caso, invece, di dubbi ne aveva tanti. Infatti dalla relazione del padre non era chiaro da quanto tempo fosse avvenuto l’incidente, forse da molto, e non era certo che il cane fosse rabbioso; il vaccino quindi poteva non essere più efficace o fargli correre rischi inutili. Il padre del bimbo ne implora comunque la sua somministrazione; si inizia così il ciclo di iniezioni. Intanto Pasteur partì per l’Italia per la villa di Bordighera di un magnate francese che si era offerto di ospitarlo. Un mese dopo la fine del ciclo iniettivo il bambino venne ricoverato con forti dolori lombari e, in seguito, morì. Il caso 350, l’unico, morì mentre Pasteur era in vacanza. Napoleon, il padre del bambino, lo denunciò; si avvia un percorso giudiziario complesso e un’accanita campagna di stampa contro un uomo dall’eccessivo successo. Pasteur fu accusato dai giornalisti di tutto: imprudenza, faciloneria, superbia, “di non essere un medico” e di “volersi occupare di bambini e di esseri umani”. Ovviamente tra i medici aveva numerosi, invidiosi e accaniti nemici. Insomma Pasteur ripercorse, molto amplificato, il cammino di Jenner.

A poco servirono le spiegazioni di Pasteur e di altri scienziati, anche se chiare, ma molto ostiche per l’opinione pubblica. Già colpito da un ictus e molto provato dalla vicenda, meditò di ritirarsi ma, l’unanime sostegno di allievi, collaboratori e della parte illuminata dell’opinione pubblica, lo convinsero a restare alla guida dell’ormai già celebre Istituto.

Pasteur aveva capito tutto delle infezioni tranne il perché del non ritorno; aveva trovato una teoria metabolica: i microbi, dopo il contagio naturale o con un vaccino, si moltiplicavano nutrendosi di varie sostanze del corpo. Tra queste alcune si esaurivano e, quando il microbo ritornava, non trovando più le sostanze adatte, non riusciva a sopravvivere.

Il'ja Il'ič Meknicov

Il’ja Il’ič Meknicov

Di mentalità aperta e da vero studioso dotato di onestà intellettuale, pronto a mettere in dubbio le proprie teorie, quando in un congresso a Vienna incontrò lo zoologo Il’ja Il’ič Meknicov (lvanovka 1845 – Parigi 1916) che gli illustrò una plausibile spiegazione basata su una funzione specifica del corpo umano gli offrì subito un intero laboratorio di ricerca nel suo Istituto. In fuga da Odessa per motivi politici, nel 1882, a Messina, Meknicov trovò embrioni di animali acquatici in abbondanza dove rintracciare i passaggi comuni dello sviluppo della vita e un clima per raccogliere il materiale tutto l’anno; negli embrioni di stella marina, trasparenti e che poteva osservare vivi al microscopio, notò cellule che, a differenza di tutte le altre saldate tra di loro, erano libere di muoversi: già aveva compiuto studi sull’infiammazione e le cellule attivate in questo processo. Ipotizzò correttamente una sorta di reazione difensiva dell’organismo e attribuì alle cellule mobili nell’embrione della stella marina la stessa funzione. Cercò una conferma in un nemico visibile, un corpo estraneo, trovandolo in una spina di mandarino portato in casa come albero di Natale per i figli; staccò una spina, la infilò nella stella marina e, dopo ore, osservò la reazione dell’organismo al corpo estraneo. Il risultato non lasciò dubbi: gli organismi viventi, dai più semplici fino all’essere umano, riconoscono e aggrediscono gli organismi estranei compresi i batteri. Le cellule mobili, che poi si capirà essere i globuli bianchi, sono le protagoniste di un sistema di difesa molto complesso, ancora da svelare, ma che già diede una spiegazione ai principali misteri: la guarigione delle infezioni e il loro non ritorno nei guariti e nei vaccinati umani o animali. Sul finire del secolo si scoprì che anche il siero, la parte liquida del sangue, privata di ogni cellula uccideva i microbi: erano gli anticorpi (vedi sieroterapia per il Covid).

Si completa così l’architrave con i due pilastri, malattia al centro, microrganismi da un lato e sistema immunitario dall’altro.

Le complessità di tutto ciò le affronteremo nella terza parte.

[6] Autore del trattato “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” Torino, Einaudi; 1999

[7] Quando Aristarco nel terzo secolo a.C. propose la teoria eliocentrica questa non fu accolta perché la teoria geocentrica di Tolomeo godeva di grande prestigio e soddisfaceva le osservazioni fattuali possibili all’epoca quindi non c’era motivo per sostituir/a. Gli studi di Copernico, Galileo e Newton apportarono fatti e conoscenze che consentirono il cambiamento del paradigma.

[8] Va precisato che la medicina non ha uno statuto epistemologico proprio; essa attinge ad altre discipline come la chimica, la fisica, la biologia, la psicologia, le scienze statistiche ecc. Questo ha portato qualche autore a definire la medicina una “ladra del sapere altrui”. Questo è ben confermato dal fatto che gli autori finora citati quasi mai erano strettamente medici: la medicina e il medico sono coloro che fanno una sintesi di vari saperi per arrivare ad un operare utile, sintetico al capezzale della persona malata.

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


NEWSLETTER

Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere tutti gli aggiornamenti.

Share This