Ai congressi succedeva sempre. Alma era così. O meglio, era anche così. Non guardava. Cioè, non è proprio vero che non guardasse. Girava la testa a destra e a sinistra stupita e curiosa. Seguiva, con attenzione, le parole e i gesti del suo interlocutore, la guida di turno. Dalla sua espressione estatica sembrava sempre l’altro le raccontasse una storia meravigliosa. A volte socchiudeva la bocca sobbalzando lievemente, come per trattenere un’esclamazione di lieta sorpresa di fronte al mondo nuovo che le si schiudeva davanti.
Chiunque, viaggiando come lei continuamente e per diversi anni, di quelle esperienze e avventure, alcune volte davvero uniche, ne avrebbe conservato, per lungo tempo, il ricordo. Lei, invece, non ricordava nulla. Da subito. A stento, quando le chiedevi cosa avesse visto, era capace di risponderti le piramidi. O le montagne. O il mare. In ognuna delle occasioni in cui l’ho accompagnata, il suo comportamento era simile. Inseriva una specie di pilota automatico. Una faccia da visita turistica con tanto di ha, ho, bello, stupendo, delizioso, che la lasciava libera di pensare ai fatti suoi.
Il suo interesse vero, e lo capivi perché d’un tratto mollava quell’aria da alice nel paese delle meraviglie, nasceva quando un collega le si avvicinava per parlare di omeopatia. O di casi clinici, o di questioni organizzative. Non le interessavano i luoghi. Non era fatta per scoprire la terra. A lei interessavano soltanto gli esseri viventi. Di qualsiasi specie si trattasse. Dalle piante agli umani. Potersi occupare di qualcuno pareva il suo unico desiderio. Quando nei suoi seminari ripeteva “l’unica legge che conta è la legge di attrazione”; quando diceva “L’universo è tenuto assieme nella sue parti dalla legge di attrazione”, non si riferiva alla legge di gravitazione universale. No, si riferiva invece all’amore. All’amore universale che ci lega tutti. Non ho mai capito e, probabilmente, non ha mai spiegato di quale sostanza sia questo amore, ma almeno sul lato pratico Alma era chiara. Si trattava di attrazione. I latini l’avrebbero forse chiamata pietas ma, credo, sia un termine troppo restrittivo per quello che intendeva. La pietas la esprimiamo, forse, per il padre, la madre. Era anche qualcosa di diverso dalla definizione fornita dal vocabolario: “Dedizione appassionata ed esclusiva, istintiva ed intuitiva fra persone, volta ad assicurare reciproca felicità, o la soddisfazione sul piano sessuale”. Non era una dedizione, o almeno la dedizione c’entrava, ma soltanto sul piano temporale. Vale a dire la durata del sentire. Una durata infinita perché era una proprietà intrinseca del vivente. Ma la cosa che contava di più, per Alma, era la forza. Era, come Dante racconta nella Divina Commedia, il sentimento che non perdona l’amato, che lo costringe a restituire. Un magnete. Era più o meno questo. Un potere irresistibile che ti spinge verso l’altro e spinge l’altro verso te. E per lei, quando era presente, la persona poteva dirsi sana. Era anche un modo diverso di valorizzare la riflessione di Tomas Paschero sul senso che si dà alla salute, o alla guarigione. Per Paschero, il ritorno alla salute è come l’uscita del bambino dal suo autismo, il ritorno all’attitudine dativa, l’apertura verso l’altro. Per Alma era lo stesso concetto, forse con un po’ più di passione.
Ma non bisogna pensare che Alma vivesse nell’iperuranio e che il sintomo mentale o, forse meglio, lo stato esistenziale fosse tutto nella cura. C’erano anche i corpi. Il colorito della pelle, gli occhi, i “sintomi fisici”, la storia biopatografica della persona. La reversibilità del quadro sintomatologico che, in seguito alla somministrazione del rimedio giusto, progressivamente ripercorreva all’indietro la storia clinica del paziente. Ma per lei, soltanto quando il movimento, l’energia dell’individuo recuperava la sua attitudine a esprimere amore, ad attrarre ed essere attratto, allora soltanto poteva dire che si trattava di salute. Per lei tutto girava intorno a questa cosa.
Non posso dirlo con certezza, ma in un luogo come Napoli, il rischio di essere fraintesi è alto. Soprattutto per una donna sola in mezzo a molti uomini. Sì, certo, perché la medicina, negli anni Settanta e fino ai Novanta era dominio quasi esclusivo degli uomini. E questa idea dell’amore universale, la legge di attrazione, poteva sembrare ambigua. Ma la Dr.ssa Rodriguez era molto chiara. Si trattava di una legge che il medico doveva tener presente durante la cura. Quando la persona raggiunge quello stato in cui non chiede più ma dà, questo vuol dire che l’energia, la forza vitale della persona, gira liberamente nel corpo e si esprime attraverso i suoi gesti, i suoi atti, il suo potere di donare amore.
Questa cosa, secondo lei, accade anche con le piante.
Credo ne abbia parlato in diverse lezioni. Aveva avuto in dono un bel vaso con tre piante grasse del genere Graptosedum. Allocate in una posizione ottima, le pianta avevano iniziato a crescere benissimo. Quando il vaso si riempì, però, Alma stimò fosse giunto il momento di separarle per consentire loro di respirare. Le divise e le piantò in tre grandi vasi, uno vicino all’altro. Purtroppo, però, la separazione, in luogo di consentire alle piante di crescere meglio, le aveva ridotte in una condizione disastrosa. Erano diventate molli, i gambi flettevano, le belle foglie avvizzivano. Poiché, tranne per il travaso, le piante rimanevano comunque nello stesso posto, pensò che il loro stato fosse dovuto alla separazione fisica. Le condizioni al contorno avevano definito un quadro in cui le diverse piante non erano più in grado di scambiarsi segnali o, chissà, anche sostanze. E, invece di fornire a quelle piante acqua o nutrienti, ragionando invece come se fossero una persona, ha deciso di somministrare loro Ignatia. Ignatia 200K. Delusioni d’amore, tristezza per una delusione. Per un abbandono. Le piante si sono riprese, subito. Ma qualcosa hanno maturato. Hanno cambiato colore. Il verde delle loro foglie/infiorescenze, si è trasformato in bordeaux scuro, quasi nero. Come se il colore esprimesse, allo stesso tempo, la consapevolezza, la cognizione di un dolore subito e la forza per sopravvivere nell’assenza dell’altro. Il segno distintivo di una necessità, di un nuovo modo di affrontare la vita. Forse, anche, di un nuovo modo di amare. Sono ancora lì quelle piante a fiori neri, in quei vasi, di nuovo rigogliose.