Georges Canguilhem (1904-1995) è stato un filosofo ed epistemologo francese, ma che soprattutto si è confrontato con la Medicina. È dall’elaborazione della sua Tesi di dottorato in Medicina, che è nato nel 1943 il testo Saggio su alcuni problemi riguardanti il normale e il patologico. Ed è da quelle riflessioni che è scaturita una riflessione sulla filosofia della vita, un’epistemologia ed una storia della biologia che desse il giusto significato alle teorie vitalistiche. “Un’arte di vivere – e la medicina lo è nel vero senso della parola – implica una scienza della vita.”
Canguilhem intraprese gli studi medici pochi anni dopo la fine degli studi filosofici. “Ciò che esattamente ci attendevamo dalla medicina era un’introduzione a problemi umani concreti. La medicina ci appariva, e ancora ci appare, come una tecnica o un’arte situata su un crocevia tra diverse scienze, piuttosto che come una scienza in senso proprio.”
La sua ricerca tra Filosofia e Storia della Scienza è un crocevia decisivo tra l’opera del suo principale maestro, Gaston Bachelard, e quella del suo più importante allievo, Michel Foucault.
Il Normale e il Patologico
Dove si era ormai consolidata l’idea che la malattia fosse riconducibile a variazioni quantitative, in deficit o in eccesso, Canguilhem ebbe il merito di rimettere all’origine della malattia l’esperienza del malato. Dove la medicina si era ben fondata, a partire da Claude Bernard, sulla Fisiologia, Canguilhem proponeva la priorità decisiva della Clinica. “È il pathos che condiziona il logos”. È la malattia che rivela ciò che è normale. “Siamo… dell’idea… che vi sia coscienza concreta o scientifica della vita soltanto tramite la malattia”.
“Il presente lavoro è pertanto uno sforzo volto a integrare la speculazione filosofica e alcuni tra i metodi e le acquisizioni della medicina.”
Canguilhem riparte dalla medicina greca, da Ippocrate. “La natura (phýsis), nell’uomo come al suo esterno, è armonia ed equilibrio. Il disturbo di questo equilibrio, di quest’armonia, è la malattia. In tal caso, la malattia non è localizzata in qualche parte dell’uomo. Essa è in tutto l’uomo, appartiene ad esso nella sua interezza. Le circostanze esteriori sono occasioni, non cause.” Vengono ripresi concetti ben noti ad un medico omeopatico. “La malattia non è soltanto squilibrio o disarmonia: è anche e soprattutto sforzo della natura nell’uomo per ottenere un nuovo equilibrio. La malattia è una reazione generalizzata il cui scopo è la guarigione. L’organismo genera una malattia per guarirsi.”
È il crocevia – spiega Canguilhem – tra due diverse concezioni della malattia: quella ontologica che vorrebbe individuare il male e combatterlo; e quella dinamica, che vede nella malattia la risorsa di un nuovo equilibrio da orientare alla guarigione.
La vera guarigione essendo da intendere, come gli omeopati già ben sanno dall’insegnamento di Hahnemann, in senso ampio. Ricordiamo il paragrafo 9 dell’Organon: “Nello stato di salute dell’uomo la Forza Vitale, vivificatrice e misteriosa, domina in modo assoluto e dinamico il corpo materiale, e tiene tutte le sue parti in meravigliosa vita armonica di sensi e di attività, in modo che il nostro intelletto ragionevole si possa servire liberamente di questo strumento sano e vitale per gli scopi superiori della nostra esistenza”.
Anche per Canguilhem ridefinire la salute e la guarigione porta ad una seria riconsiderazione del vitalismo. “Per valutare il normale e il patologico non bisogna limitare la vita umana alla vita vegetativa”. “L’uomo, anche fisico, non si limita al proprio organismo”. “Guarire significa darsi nuove norme di vita, talvolta superiori alle precedenti”.
La conoscenza della vita
“Il vitalismo è un pensiero impegnato a rispettare la vita nel vivente”: si legge nell’Introduzione all’edizione italiana (1976) de La conoscenza della vita di Canguilhem.
Già metodologicamente Canguilhem propone di andare oltre l’apparente antitesi tra conoscenza e vita. La conoscenza deve anzi poter essere utile alla vita, ad interagire con l’ambiente. “Non è vero che la conoscenza distrugge la vita; essa, piuttosto, disfa l’esperienza della vita per astrarne, attraverso l’analisi dei suoi insuccessi, delle ragioni di prudenza… e delle leggi dei possibili successi; ciò, allo scopo di aiutare l’uomo a rifare ciò che la vita ha fatto senza di lui, in lui o fuori di lui”.
Comprendere la natura della vita significa dare ragione di alcune forme superiori di vita, la scienza l’arte la religione, senza che ciò debba tradursi in un disprezzo della natura. “Attraverso la relazione della conoscenza con la vita umana, si rivela la relazione universale della conoscenza umana con l’organizzazione del vivente”.
“L’intelligenza può accostare la vita solo se riconosce l’originalità di essa”. La stessa medicina sperimentale di Claude Bernard si era basata sulla considerazione della vita come creazione. Da storico della scienza Canguilhem ritrova la matrice ippocratea ancor più che aristotelica di chi in età illuministica (scuola di Montpellier) riconosceva che dovesse esserci un principio vitale alla base di tutti i fenomeni della vita nel corpo umano. Principio vitale, Forza vitale, entelechia, hormé sono termini che si assomigliano nella storia del vitalismo.
Il vitalismo medico è fiducioso nella natura e diffidente della tecnica. “In materia di patologia, la teoria ippocratica dellanatura medicatrix attribuisce più importanza alla reazione dell’organismo e alla sua difesa che non alla causa patologica. L’arte della prognosi prevale su quella della diagnosi”.
Se il vitalismo può apparir nebuloso, tutto il meccanicismo può apparire un grande artificio. “Uno scienziato che, nei confronti della natura, provi un sentimento filiale e di simpatia, non considera i fenomeni naturali come strani e stranieri ma trova in essi, in modo del tutto naturale, una vita, un’anima e un senso. Un uomo simile è fondamentalmente un vitalista”.
Il vitalismo va comunque distinto dall’animismo e dal dualismo spiritualista. Non si tratta di una forza estrinseca che animi la materia, ma della vitalità intrinseca presente in natura. Va resa giustizia al vitalismo affinché non sia frainteso. “Rendere giustizia al vitalismo in fondo non è che restituirgli la vita”.
C’è una sottile interdipendenza tra ciò che appare meccanico e ciò che gli conferisce energia. Quella tra meccanicismo e finalismo è una falsa opposizione. “Nessuno dubita che, per garantire il successo di una finalità, sia necessario un meccanismo; inversamente, ogni meccanismo deve avere un senso, poiché un meccanismo non è una concatenazione qualsiasi, fortuita, di movimenti”. La stessa tecnica non è scindibile dalla biologia e dall’uomo.
Propria dell’organismo è un’interazione dotata di senso con l’ambiente esterno. Così la medicina e la biologia entrano a far parte di un’antropologia, e l’antropologia non può non basarsi su una morale. Ed è in questo senso che devono essere finalmente ridefinite le nozioni di normale e di patologico. “Il concetto di normale resta sempre, sul piano umano, un concetto normativo la cui portata è propriamente filosofica”.








