Medicina omeopatica e cura degli animali

17 Febbraio, 2020
Tempo di lettura: 4 minuti

A 4 anni ho deciso di fare la veterinaria perché mi piacevano tantissimo gli animali; qualsiasi malcapitato cane o gatto incontravo sulla mia strada finiva per essere acchiappato e ossessivamente sbaciucchiato! A 6 anni  ho raccattato il primo gattino dalla spazzatura e con l’aiuto di un veterinario amico gli ho curato una congiuntivite. Ho sempre fermamente creduto che avrei fatto questo lavoro, ovvero curare gli animali, ma mai avrei creduto di farlo attraverso la medicina omeopatica! 

“Inciampata” nell’Omeopatia

Nell’omeopatia ci sono “inciampata” per caso, non avendone mai sentito parlare; all’università era in corso un seminario di omeopatia e per chi seguiva quelle ore c’era la possibilità di non seguire altre materie meno interessanti, e quindi mi dissi “perché no!”. I veterinari che parlavano a quel seminario erano davvero bravi ed appassionati, ricordavano a noi studenti annoiati da formule e numeri da ricordare a memoria che l’etimologia della parola “animale” proviene dal termine latino animalis cioè  ‘animato’ ovvero, dotato di anima. A quel punto mi domandai se quello che studiavo, tutte le formule, i numeri, i termini anatomici, gli infiniti nomi di molecole sarebbero stati sufficienti a curare anche l’anima. Già da un po’ di tempo mi rendevo conto che alcune domande che mi ponevo non trovavano risposte nei testi che studiavo, e più facevo attività pratica, più ero delusa dal lavoro che mi affacciavo a fare. Era molto diverso dal sogno infantile e romantico che avevo coltivato per tutti quegli anni e che stava tristemente evaporando su schemi rigidi ed algoritmi spesso di difficile comprensione. E soprattutto mi chiedevo se davvero tutti, ma proprio tutti quegli animali ammalati, sarebbero riusciti a rientrare in quegli algoritmi, in quei calcoli probabilistici così gelidi ed asettici, risolvendo davvero i loro problemi. Perché io li vedevo diversi l’uno dall’altro, ognuno con la propria unicità e personalità, ognuno con reazioni diverse ad una data patologia ed a determinate terapie. E a quel seminario sull’omeopatia si parlava anche di questo. Della diversità, della peculiarità che ogni essere vivente racchiudeva nella sua unicità di individuo speciale. Quindi mi incuriosii tanto a tal punto di decidere di studiare questa scienza “altra”, che prendeva in considerazione il fatto che i miei pazienti quadrupedi erano ognuno diverso da un altro e soprattutto erano dotati di anima, cosa a mio parere incontrovertibile. 

Gli animali hanno un’anima

Chi anche per una sola volta ha guardato negli occhi un cane o una mucca, o ha visto interagire una gallina col suo pulcino o un gatto col suo compagno umano non può non riconoscere che gli animali sono dotati di anima, e quando questa viene ferita, tradita, ingannata, si ammalano. E le terapie che imparavo ad applicare all’università non servivano a molto per guarire queste ferite. Quel mio pensiero poetico ed innocente ha avuto poi una sua conferma aneddotica; tutte le volte che viene a curarsi da me un animale ammalato di qualcosa di davvero grave domando cosa è successo nella sua vita, e 98 volte su cento, scopro un dolore, un lutto, un abbandono, uno shock emotivo a seguito del quale si è sviluppata una patologia fisica. Purtroppo è spesso così anche per gli esseri umani. A quel punto il mio intervento di terapeuta, per andare a fondo e non essere solo sintomatico, dovrebbe riuscire ad intaccare quella crepa emotiva, a far cicatrizzare quella ferita nell’anima scorticata dal dolore, come si farebbe con il ginocchio sbucciato di un bambino: un cerotto, una caramella e moltissimo amore. Ritengo infatti che i pazienti che ho la fortuna di curare, oltre ad insegnarmi ogni giorno qualcosa, mi danno l’opportunità di capire sempre di più di questa meravigliosa arma terapeutica che ho nelle mie mani. Perché per curare occorre avere delle armi che sono i farmaci e non mi sono mai posta il problema se questi farmaci agiscano grazie ad una particolare interazione tra una molecola ed un recettore o se agiscono modificando l’assetto elettromagnetico dei campi energetici che emana un organismo vivente, gli stessi campi elettromagnetici che consentono di farsi l’elettrocardiogramma e la risonanza magnetica. Non sono una farmacologa, né una chimica e tantomeno una ricercatrice, sono solo un clinico che tutti i giorni visita pazienti ammalati e gli prescrive terapie. E valuta i risultati. Forse empiricamente e con una bassa casistica, ma valuto i risultati di quello che faccio, nell’interesse della salute dei miei pazienti e sempre operando secondo i dettami ippocatrici del “primum non nocere”.

Niente effetti collaterali

Sono ormai oltre 15 anni che utilizzo la medicina omeopatica come strumento terapeutico senza considerarla né la panacea di tutti i mali né la risoluzione a tutti i problemi; la utilizzo semplicemente perché risolve i problemi che mi si pongono ogni giorno, soprattutto quelli dei pazienti cronici destinati ad una vita di assunzione di farmaci chimici. Ed anche per le patologie ad insorgenza acuta, la velocità della risoluzione del disturbo è spesso paragonabile se non più rapida e duratura di quella che posso ottenere con altre medicine. E il vantaggio qual è vi chiederete? Non è uno, ma molteplici. Con il rimedio omeopatico posso iniziare una terapia sulla base dei sintomi che mi appaiono in attesa di ricevere i risultati di analisi del sangue ed indagini diagnostiche, sollevando spesso i miei pazienti da disagio e dolore, senza rischiare che vi siano effetti collaterali.  

Stimolare l’energia vitale

Ricevuti i risultati se ho avuto un notevole miglioramento posso continuare come iniziato o associare altri farmaci ma nel frattempo ho guadagnato tempo, ed in medicina il tempo è importante. Il tempo del dolore o del disagio è un tempo molto dilatato e se hai a disposizione qualcosa per ridurlo, perché non usarlo? Ma il vantaggio più grande, che spesso riscontro nel trattamento delle patologie croniche, è la riduzione dalla dipendenza dai farmaci per sopravvivere. Quel dato paziente non avrà bisogno di un tot numero di pillole al giorno per tutta la vita per sopravvivere ma potrà prenderne molte di meno se non nessuna, con enorme sollievo dei suoi compagni umani … nonché delle loro tasche! Ma il vantaggio più grande, l’azione più poderosa e potente che ho avuto la soddisfazione di riscontrare è la guarigione o quanto meno il grosso miglioramento delle ferite dell’anima, quelle stesse ferite che approfondendosi ed incancrenendosi hanno determinato la malattia fisica del mio paziente; ferite antiche o anche recenti ma che non trovano un sollievo attraverso l’assunzione di una data molecola che interagisce con un dato recettore. Quelle ferite dell’anima, generatrici di ferite del corpo hanno bisogno di un’azione più profonda, che impatti sul vissuto e sulla sensibilità del paziente, animale o umano che sia, e che riesca a lenire quel dolore, quella amarezza, quella nostalgia. Non c’è questo tipo di molecola, non esiste. E quindi ? Serve altro. Serve qualcosa che interagisca con quella “cosa” chiamata energia vitale, ovvero tutto ciò che ci fa essere diversi da un sasso e che ci consente di provare emozioni. Ed il rimedio omeopatico è tutto questo. E’ ciò che riesce a far scattare quel”click” che cambia le cose, che spazza via il grigiore ed il disagio, che rischiara le idee e l’anima, trasportando il paziente verso la guarigione, guarigione che come diceva il suo scopritore sarà finalmente “rapida, dolce e duratura”.

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