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28 Gennaio, 2021

Non sempre è colpa di un virus

RedazioneRedazione
La salute di un animale da compagnia non dipende solamente dal cibo e dall'ambiente dove vive ma anche, e soprattutto, dall'equilibrio della persona che vive al suo fianco.

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I pensieri di un veterinario, in momento “triste” di una sua paziente sono lo spunto per una riflessione profonda sulla nostra vita. Su quella vita che umani ed animali condividono e che reciprocamente influenzano.

«No, non mi dica, lo so già!». La signora che mi aveva portato quella mattina la sua gatta a visitare, non sembrava affatto stupita di sentire uscire dalla mia bocca delle parole che confermavano le sue sensazioni. La situazione clinica della gattina non lasciava spazio ad alcun dubbio: come un gelido vento invernale che penetra furtivamente sotto le porte e tra gli stipiti delle finestre e che rende vani i tenaci sforzi della stufa per mantenere costante la temperatura della stanza, allo stesso modo la malattia della quale soffriva la Bibi si era data parecchio da fare per ostacolare in tutti i modi la capacità di reazione dell’organismo. Quella privazione del calore vitale, che solo le malattie molto gravi e avanzate sono in grado di portare, e che percepii attraverso le mani quando incominciai a vistare la gatta, mi confermò l’impressione che ebbi nell’incrociare lo sguardo della gatta quando la tirai fuori dal suo trasportino.

Alleggerire il senso di colpa
Il senso di colpa che provava la signora nell’aver lasciato trascorrere un certo lasso di tempo da quando si era accorta che qualcosa non andava al momento che aveva deciso di portarla a visitare, in quel momento non aggravava certamente la situazione clinica dell’animale. Tuttalpiù aggravava la situazione emozionale della signora. «Guardi che in questi casi non si può proprio fare niente; – le dissi – non è questione di prima o dopo; è veramente una storia senza ritorno».
Dentro di me sapevo che non era al cento per cento così; non che si potesse fare qualcosa in ogni caso, questo no di certo perché non avevo certo la soluzione a tutti i problemi, ma di sicuro la tempestività dell’intervento, in molti casi, mi poteva essere d’aiuto, se non altro, per tastare il «terreno» dell’organismo animale rispetto alla reazione di un qualche rimedio omeopatico.

«Guardi… veramente, non si crucci; a volte le cose conviene accettarle per quello che sono, così… come vengono» mi sentii di insistere. Alleggerire, alleggerire, questa era la parola d’ordine in questi casi: alleggerire almeno il senso di colpa.
«Mi tolga una curiosità, signora – aggiunsi subito dopo – come mai sapeva già la diagnosi?».
«Perché anche Romeo, il gatto che avevo prima è morto di questa stessa malattia»
mi rispose la donna «il mio veterinario mi aveva detto che era un virus e adesso capisco che questo virus è ancora nascosto in casa, da qualche parte».
«Quanto tempo è passato dalla morte di Romeo?» le chiesi.
«Romeo è morto cinque anni fa».
«E lei pensa che quel virus sia rimasto nascosto per tutto questo tempo chissà dove e che ad un certo punto sia uscito per colpire la sua Bibi?».
«Sì, deve essere andata proprio così
– mi rispose la donna – non ci vedo nessun’altra spiegazione; d’altronde neanche lei è mai uscita di casa, come Romeo, e i sintomi sono gli stessi; vorrà ben dire qualcosa no?»
Oh sì, – pensai tra me e me – vorrà sicuramente dire qualcosa che a distanza di così tanto tempo un animale che vive a stretto contatto con l’uomo, che costituisce così l’unico suo punto di riferimento, manifesti sempre la stessa malattia!

L’equilibro animale-padrone
Il modello scientifico ci ha abituati a pensare che l’ambiente che ci circonda è popolato di virus e batteri e che ogni nostro sforzo terapeutico, fin tanto che non si affermerà (e un po’ alla volta questo sta già succedendo) che ogni malattia ha la sua componente genetica, sarà sempre indirizzato a combattere costantemente e senza tregua tali esseri nocivi.
Personalmente, dopo anni e anni di lavoro ambulatoriale, mi sono invece convinto che sì, i batteri e i virus esistono, ma che non sono così aggressivi e pericolosi come ci vogliono far credere; ed inoltre ho capito che i virus e i batteri non hanno modo di creare dei danni all’organismo se quest’ultimo non gliene dà la possibilità.
L’equilibrio di un gatto che vive in casa non dipende solamente dal cibo e dallo spazio a sua disposizione ma anche, e soprattutto, dalla persona che vive al suo fianco.
A distanza di cinque anni si manifesta dunque lo stesso problema; la stessa malattia colpisce prima Romeo e poi la Bibi; allora posso pensare che sia un virus la causa di tale evento e posso dare la colpa a qualcosa di esterno a me, a qualcosa di invisibile, a qualcosa che mai, con gli strumenti che mi sono concessi, riuscirò a percepire.

Posso anche concentrarmi per distruggere tutti i virus del mondo. Ma se poi non ci riesco, come nel caso della Bibi? Devo solo sperare che lo faccia qualcun altro al posto mio, qualche scienziato, al quale ho delegato la salute mia e del mio animale. Ma se poi non ci riesce neanche lui? Nell’apparente ineluttabilità di una tale ripetizione di eventi, l’unica possibilità che mi rimane di aiutare concretamente l’animale che abita con me, non può dunque risiedere nel vivere l’impotenza e la frustrazione di stare in un mondo popolato di virus contro i quali nulla posso fare. Per non subire, per la seconda volta, le ingiurie di un destino per nulla originale, devo considerare me stesso come parte attiva di quello che sta avvenendo.

Quando la malattia si ripete
Posso così pensare che, a distanza di cinque anni, quel qualcosa che è rimasto identico a se stesso non si riferisca tanto ad un virus o un batterio, ma che questo qualcosa, che però come un virus appartiene all’ambiente nel quale l’animale vive, si riferisca piuttosto a me stesso. Mi è dunque lecito pensare che in tutto questo periodo le condizioni esterne nelle quali vive l’animale, delle quali faccio parte anch’io, siano rimaste uguali a cinque anni fa. Non vorrà forse dire che con quella malattia che si ripete, con quella situazione clinica che mi fa rivivere di nuovo quelle stesse condizioni interiori, l’animale mi mostra qualcosa di veramente importante per la mia crescita interiore? Non è che mi sta aiutando, riproponendomi per la seconda volta, identica a se stessa, una situazione che necessita di un nuovo modo rapportarsi con la medesima situazione?

D’altronde è pur lecito porsi tali domande, se non altro perché in tal modo ho la possibilità di contribuire attivamente, se mi concedo l’opportunità di verificare tali pensieri, a far sì che tale evento non si ripeta. Perché viene naturale chiedersi: ma io, che posso fare per aiutare il mio animale?
Anche se mi concentro più che posso, non potrò mai vedere dove si nascondono questi virus e di conseguenza è estremamente difficile per me venire a patti con loro. Mi viene sicuramente molto più facile venire a patti con me stesso e con la mia interiorità e quindi indirizzare i miei sforzi nel cercare di capire dove questa ciclicità risuona dentro di me.
Porsi la domanda sul perché la vita mi costringe a vivere di nuovo le stessa situazione potrebbe avere molto più senso, terapeuticamente parlando, di dare la colpa a qualcosa che non sarò mai in grado di vedere; e che sta decidendo sulla vita dell’animale che vive con me.

Così pensai, mentre la signora accarezzava dolcemente il muso della sua Bibi. Così pensai, ma non me la sentii di comunicarle i miei pensieri. Per esperienza sapevo che il passaggio interiore dal senso di colpa alla responsabilità di un cammino comune è molto difficile da esercitare se prima non si è fatto qualche passo in quella direzione, e la signora che avevo di fronte non sarebbe stata in grado di accettare questa bellissima sfida. Provai, come ultimo tentativo, a tastare il terreno per vedere se almeno avremmo potuto accompagnare insieme la Bibi nel suo ultimo viaggio.

Articolo tratto da: Terra Nuova

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