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2 Settembre, 2023

Di animali e umani: diventare centauro

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XI • Numero 44 • Dicembre 2022

 

L’equitazione: un portento neurobiologico

 

Anche se il centauro costituisce una figura ibrida immaginaria che corrisponde ad una raffigurazione mitologica di un essere metà cavallo e metà uomo, esso viene considerato simbolo del dominio sugli istinti in un contesto di animalità e forze naturali incontrollabili. In ogni modo, il suo simbolismo ben racconta dell’esperienza dell’equitazione, un’esperienza di una quasi ibridazione tra il cavallo e il suo fantino senza la quale l’arte e la tecnica del cavalcare non sarebbero possibili. In questa complessa relazione ci sono innumerevoli aspetti cruciali per entrambe le specie in modo da permettere al fantino di condurre il cavallo con il minor sforzo possibile e con il minor impedimento possibile riguardo al movimento del cavallo. In breve, nell’equitazione o arte del cavalcare la figura mitica del centauro si paleserebbe ai nostri sensi.

Stando a Janet L. Jones, laureata all’UCLA (Università della California) e insegnate di neuroscienze della percezione, del linguaggio, della memoria e del pensiero per 23 anni, l’equitazione di ogni tipo (da lavoro, sportiva oppure agonistica) dipende dalla mutua interazione tra il cervello equino e quello umano.1 Di fatto, quest’esperta applica le sue ricerche sul cervello all’addestramento, anche agonistico, di cavalli e cavalieri. Per questo sostiene che quando noi umani comprendiamo la funzione di entrambi, possiamo imparare a comunicare con i cavalli alle loro condizioni invece che alle nostre. Agendo con questa visione, vale a dire, incontrando i cavalli a metà strada, non solo si risparmia tempo prezioso per l’allenamento e si migliorano le prestazioni, ma si raggiungerebbero anche altri obiettivi, ribadisce la Jones. In questo senso, si riesce a sviluppare un legame più profondo tra noi, umani, e i cavalli, si impara a gestirli con perspicacia e gentilezza invece di forza e comando, si arriva a comprendere il loro comportamento scorretto in modi che consentono soluzioni negoziate e si ridurrebbero perfino gli errori che noi umani spesso commettiamo mentre lavoriamo con loro. In estrema brevità, Janet Jones sostiene che benché il cavallo sia un animale da preda e l’uomo un predatore, la fiducia reciproca e atletismo condiviso costituirebbero un portento neurobiologico.

Ai nostri occhi, squadre di cavalli e umani eseguono manovre complesse in competizioni di ogni tipo. Insieme, uomo e cavallo possono galoppare e saltare ostacoli alti fino a 2,4 metri, lasciare il suolo e volare alla cieca: nessuna delle due parti è in grado di vedere dall’alto fino a dopo l’inizio del salto.2 Adottando una traiettoria più piatta con maggiore velocità, cavallo e uomo salpano su ampi salti lunghi fino a più di 8 metri. Galoppano, incarnando il centauro, come un unico corpo a una velocità di 70 km/h, la velocità più alta che qualsiasi mammifero terrestre che trasporta un cavalcatore abbia raggiunto.3 Negli eventi di dressage freestyle,4 ballano sul posto al ritmo della musica, trottano, lateralmente, al centro di un’arena con enormi passi che incrociano le gambe e galoppano in piroette con i piedi anteriori del cavallo che circondano i suoi quarti posteriori. Di nuovo al galoppo, le migliori squadre di cavalli e umani possono scivolare per quasi 20 metri fino a fermarsi mentre appoggiano tutto il loro peso combinato sulle zampe posteriori del cavallo. Le gare di resistenza su terreni estremamente accidentati mettono alla prova cavalli e cavalieri in viaggi che attraversano fino a 805 km di avventure ad alto rischio.5

Abbondando con casi reperibili nei serbatoi della cultura online degli anni recenti, Charlotte Dujardin sul puledro Valegro,6 un record mondiale di dressage freestyle all’Olympia di Londra 2014, costituirebbe un esempio di comunicazione da cervello a cervello ad alta precisione tra cavallo e cavaliere. Ogni passo che il cavallo compie, stando alla Jones,7 sarebbe determinato in combinazione con molti segnali invisibili ai non addetti inviatogli dal suo cavaliere umano, utilizzando, come sostiene la teoresi della Jones, un circuito di feedback tra il cervello del predatore e il cervello della preda. Nel caso additato dalla coppia Dujardin e Valegro sono degne di accenno le belle condizioni fisiche del cavallo e la sua completa disponibilità a eseguire queste manovre estremamente difficili.

 

L’interazione reciproca tra le specie

 

Tutti rimaniamo meravigliati di quest’attività sportiva con i suoi trionfi spettacolari ma poche persone comprendono l’interazione reciproca tra le specie necessaria per realizzarli.8 Il cavallo medio pesa più di 540 kg, fa movimenti istantanei e può diventare nervoso in un batter d’occhio. Anche l’uomo più forte non sarebbe effettivamente in grado di costringere un cavallo a fare qualcosa che non vuole fare. Né i buoni cavalieri consentirebbero l’uso della forza per addestrare questi magnifici animali. Al contrario, si atterrebbero allo standard più elevato di motivare i cavalli a collaborare con loro per raggiungere gli obiettivi di questo sport d’élite e delle faccende ordinarie coinvolte. In queste condizioni, il cavallo addestrato con gentilezza, competenza e incoraggiamento sarebbe un partecipante volontario e paritario all’azione.

Tale azione partecipativa e paritaria, stando all’esperta in materia Janet Jones,9 sarebbe radicata nella percezione incarnata e nel cervello. Nelle squadre a cavallo, i cavalli, con cervelli da preda, e gli umani, con cervelli predatori, condividerebbero segnali, in gran parte inavvertibili ai non addetti, attraverso il linguaggio reciproco del corpo. Questi segnali, spiega l’esperta, verrebbero ricevuti e trasmessi attraverso i nervi periferici che portano al midollo spinale di ciascuna delle parti. All’arrivo in ogni cervello, verrebbero interpretati e verrebbe generata una risposta appresa. Anch’essa verrebbe trasmessa attraverso il midollo spinale e i nervi. Questa azione neurale collaborativa formerebbe un circuito di feedback, consentendo la comunicazione da cervello a cervello in tempo reale.10 Tali conversazioni consentirebbero al cavallo e all’uomo di raggiungere i loro obiettivi immediati nelle gare ippiche e nella vita di tutti i giorni. In un senso molto reale, la mente di ogni specie si estende oltre la propria pelle nella mente di un’altra, con l’interazione fisica che diventa una specie di danza neurale.

I cavalli in natura, tuttavia, mostrano determinati comportamenti che inducono gli osservatori a chiedersi se le manovre competitive richiedano, davvero, una comunicazione reciproca con i cavalieri umani. Ad esempio, il cavallo selvatico saltella occasionalmente su un ruscello per raggiungere del buon cibo o si arrampica su un pendio di granito per sfuggire ai predatori. Queste manovre potrebbero essere considerate i precursori del salto o dell’equitazione su piste accidentate all’aperto. Se così fosse, argomenta Janet Jones,11 si potrebbe immaginare che le gesta ippiche estreme del cavallo da prestazione siano innate, con il fantino semplicemente un passeggero che guida dall’alto. Se così fosse, per davvero, si dovrebbe concludere che ci sarebbero pochi requisiti per la comunicazione in tempo reale tra cavallo e cervello umano.

In realtà, però, il salto selvaggio non assomiglia al salto allenato da competizione, di solito iniziato da brevi distanze ad alta velocità. Infatti, il percorso di salto del Grand Prix di oggi comprende circa 15 ostacoli posti ad angoli acuti l’uno rispetto all’altro, ciascuno alto più di 1,5 metri e largo più di 1,8 metri. La squadra di cavalli e umani deve completare questo percorso in 80 o 90 secondi, un tempo consentito per virate acute, traiettorie di volo diagonali e uscite ad alta velocità, come segnala Janet Jones.12 Confrontare il salto selvaggio con il salto ad ostacoli è come associare una pietra focaia a una bomba nucleare. Cavalli e cavalieri sono sottoposti a molti anni di allenamento quotidiano per raggiungere questo livello di prestazioni e il loro cervello condivide gli impulsi neurali durante ogni esperienza.13 Questi esempi hanno origine nei livelli d’élite dello sport equestre, ma lo stesso tipo di interazione si verifica nei pascoli, nelle arene e sui semplici sentieri di tutto il mondo. Qualsiasi squadra di cavalli e umani o squadra di cavallo e cavaliere può sviluppare profondi legami di fiducia reciproca e imparare a comunicare usando il linguaggio del corpo, la conoscenza e l’empatia.

 

La componente critica del cavallo: il suo cervello

 

La componente critica del cavallo in natura riguardante la sua capacità di imparare a interagire in modo così preciso con un umano, vale a dire un fantino, non è, ovviamente, la sua memorabile impresa fisica, ma il suo cervello. La prima precisa immagine di risonanza magnetica del cervello di un cavallo sarebbe apparsa solo nel 2019,14 consentendo ai neurologi veterinari una visione molto più ampia dell’anatomia alla base della funzione cerebrale/mentale equina. Poiché queste nuove informazioni vengono divulgate agli addestratori di cavalli e ai fantini per un’applicazione pratica, si assiste, secondo Janet Jones, all’inizio di una rivoluzione nell’equitazione basata sul cervello.15 Dal suo punto di vista, questa rivoluzione non solo porterà l’equitazione a vette di successo più elevate e il benessere degli animali a livelli di comprensione più umani, ma motiverà anche gli studiosi a ricercare la compatibilità unica tra prede e cervelli di predatori.16 In nessun altro luogo della natura vediamo una collaborazione così intensa e intima tra due menti così disparate.

Tre caratteristiche naturali del cervello equino sarebbero particolarmente importanti quando si tratta di fusione mentale con gli umani. Innanzitutto, il cervello del cavallo fornisce un rilevamento tattile sorprendente. Le cellule recettoriali della pelle e dei muscoli del cavallo trasducono – o convertono – la pressione esterna, la temperatura e la posizione del corpo della persona che lo monta in impulsi neurali che il cervello del cavallo può comprendere.17 Lo fanno con una sensibilità straordinaria: il cavallo medio può rilevare meno pressione contro la sua pelle di quanto possa fare anche un polpastrello umano.18

In secondo luogo, nell’interpretazione di Janet Jones, i cavalli in natura usano il linguaggio del corpo come mezzo principale di comunicazione quotidiana tra loro.19 Una cavalla alfa deve solo muovere un orecchio verso un subordinato per convincerlo ad allontanarsi dal suo cibo. Un subordinato più giovane, non istruito nel movimento dell’orecchio, riceve un linguaggio del corpo più forte: due orecchie appiattite e un morso che fa sanguinare. L’idea degli animali in natura come creature gentili e cordiali che non si fanno mai del male a vicenda non è che un mito elaborato dalla soggettività umana.

Terzo, per natura, il cervello equino è una macchina per l’apprendimento.20 Liberati dal bagaglio sociale e cognitivo che trasportano i cervelli umani, i cavalli imparano in una forma rapida e pura che consente loro di apprendere i significati di vari segnali umani che modellano il comportamento equino in quel momento. Nel loro insieme, l’eccezionale sensibilità del cavallo al tocco, la naturale dipendenza dal linguaggio del corpo e la purezza dell’apprendimento formano il treppiede di supporto per la comunicazione cervello-cervello che è così fondamentale nelle prestazioni equestri estreme.

Stando all’esperta in materia Janet Jones, uno dei motivi dell’attuale interesse scientifico per la comunicazione neurale tra cavallo e uomo sarebbe lo status del cavallo come animale da preda. I loro cervelli e corpi si sarebbero evoluti per sopravvivere a pressioni completamente diverse rispetto alle nostre fisiologie umane.21 Ad esempio, gli occhi dei cavalli sono posizionati su entrambi i lati della testa per una vista panoramica del mondo e le loro pupille orizzontali consentono una visione chiara lungo l’orizzonte ma una visione sfocata sopra e sotto. I loro occhi ruotano per mantenere la chiarezza lungo l’orizzonte quando le loro teste giacciono di lato per raggiungere l’erba in luoghi strani. I cervelli equini sarebbero anche cablati per trasmettere comandi direttamente dalla percezione del pericolo ambientale alla corteccia motoria dove viene eseguita l’evasione istantanea. Tutte queste caratteristiche si sarebbero evolute, spiega la Jones, per consentire al cavallo di sopravvivere ai predatori. Al contrario, i cervelli umani si sarebbero evoluti in parte allo scopo di predazione – cacciare, inseguire, pianificare e … sì, persino uccidere – con occhi frontali, superba percezione della profondità e una corteccia prefrontale per strategia e ragione. Piaccia o no, siamo il nemico evolutivo del cavallo, eppure si comportano nei nostri confronti come se fossero inclini a diventare amici, segnala al riguardo Janet Jones.22

Il fatto che i cavalli e gli umani possano comunicare neuralmente senza la mediazione esterna del linguaggio o dell’attrezzatura è, nell’interpretazione di Jones, fondamentale per la nostra capacità di avviare la danza cellulare tra i cervelli. Selle e briglie sono utilizzate per il comfort e la sicurezza ma le competizioni effettuate senza sella e senza briglie dimostrano che non sono necessarie per una comunicazione cervello-cervello altamente addestrata. Gli sforzi scientifici per comunicare con predatori come cani e scimmie sarebbero stati spesso ostacolati dall’uso di media artificiali, tra cui il linguaggio umano, il linguaggio dei segni o il lessico simbolico. Al contrario, i cavalli ci consentono di applicare un mezzo di comunicazione del tutto naturale alle loro vite in natura e in cattività.

Il cervello da preda del cavallo si sarebbe, quindi, evoluto per notare ed eludere i predatori. Risulta veramente ironico e avvincente che questo cervello da preda sia l’unico oggi che condivide la comunicazione neurale con un cervello da predatore. Ciò offre all’umanità una visione rara del mondo di una preda, quasi come se fossimo lupi che cavalcano alci o coyote che si fondono con i conigli silvilaghi detti anche dalla coda di cotone. Cavalli e fantini altamente addestrati invierebbero e riceverebbero segnali neurali usando un linguaggio del corpo molto sottile. Ad esempio, un fantino potrebbe applicare una pressione praticamente inavvertibile all’occhio umano con il muscolo interno del polpaccio sinistro per spostare il cavallo lateralmente a destra. Quella pressione si fa sentire sul fianco del cavallo, nella sua pelle e nei muscoli, attraverso le cellule recettoriali propriocettive che rilevano la posizione e il movimento del corpo. Quindi il segnale verrebbe trasdotto dalla pressione meccanica all’impulso elettrochimico e condotto dai nervi periferici al midollo spinale del cavallo. Infine, il segnale raggiungerebbe la corteccia somatosensoriale, la regione del cervello responsabile dell’interpretazione delle informazioni sensoriali.23

Questa interpretazione dipende dalla conoscenza del cavallo del fatto che un particolare segnale del corpo, ad esempio la pressione interna del polpaccio sinistro di un fantino, sia associato a uno specifico comportamento equino. Gli addestratori di cavalli trascorrono anni insegnando alle loro cavalcature queste associazioni, segnala la Jones.24 Nel esempio presente, il cavallo avrebbe imparato che una particolare quantità di pressione ad una velocità e posizione, in specifiche circostanze, significa “spostarsi lateralmente a destra”. Se il cavallo è adeguatamente addestrato, la sua corteccia motoria provoca esattamente quel movimento, sostiene la studiosa ed esperta in materia.25

Per mezzo dei nostri sensori umani di posizione e movimento, il cervello del fantino ora percepisce che il cavallo ha cambiato la sua traiettoria verso destra. A seconda della manovra che il nostro fantino intenda completare, eseguirà, quindi, segnali praticamente inavvertibili all’occhio umano per estendere o raccogliere il passo del cavallo mentre si avvicina a un salto centrato nella sua visione, pianta la zampa posteriore destra e gira in un cerchio stretto e veloce, spinge duro fuori i quarti posteriori per inseguire una mucca o qualsiasi altro numero di movimenti. Questi segnali sono combinati per formare quella danza neurale reciproca, che si verifica in tempo reale e dipende solo dal linguaggio del corpo naturale.

L’esempio di un cavallo che si muove di alcuni passi verso destra dalla gamba sinistra del fantino sembrerebbe estremamente semplicistico. Tuttavia, quando si immagina un cavallo e un fantino che saltano un muro potente di 2,4 metri, bisognerebbe pensare alle innumerevoli cellule recettoriali che trasmettono segnali corporei tra entrambi i cervelli durante l’avvicinamento, il volo e l’uscita. Questa sarebbe, stando alla Jones, la comunicazione reciproca cervello-cervello. Il cavallo e l’uomo dialogano attraverso il linguaggio del corpo a un livello così estremo da essere in grado di compiere incredibili atti di comprensione e atletismo.26 Ciascuna delle loro menti si estende a quella dell’altra, inviando e ricevendo segnali come se un cervello unito stesse controllando entrambi i corpi.27

Il cavaliere di salto ostacoli Franke Sloothaak su Optiebeurs Golo, un salto di potenza28 da record mondiale a Chaudfontaine in Belgio, 1991, costituisce un’altra immagine emblematica dell’integrazione neurale. Questo organismo cavallo e uomo mostra il gentile incoraggiamento richiesto dalla comunicazione cervello-cervello. Il cavallo è in perfette condizioni e salute. Il fantino offre mani morbide e leggere e cavalca in perfetto equilibrio con il cavallo. Non porta frusta, non usa mai gli speroni e impiega il tipo più delicato di morso,29 la cui piena accettazione è evidenziata dalla bocca schiumosa del cavallo e dal collo flessibile. Il cavallo è calmo ma attento prima e dopo il salto, dimostrando completa disponibilità ad avvicinarsi all’ostacolo senza un soffio di coercizione. La prima cosa che fa il fantino all’atterraggio è dare una pacca al suo compagno di squadra equino. Accarezza  il cavallo altre otto volte nei successivi 30 secondi, uno splendido esempio di vera equitazione, vale a dire il rapporto uomo – cavallo.30

 

Cavalli e umani potrebbero imparare a prendere in prestito segnali neurali dalla parte il cui cervello offre la funzione più elevata

 

L’analisi della comunicazione da cervello a cervello tra cavalli e umani, secondo Janet Jones,31 suscita diverse nuove idee degne di attenzione scientifica. Stando a lei, poiché le menti umane interagiscono così bene usando le reti neurali, cavalli e umani potrebbero imparare a prendere in prestito segnali neurali dalla parte il cui cervello offre la funzione più elevata. Ad esempio, i cavalli hanno una visuale di 340 gradi quando tengono la testa ferma, rispetto a una misera gamma di 90 gradi negli esseri umani. Pertanto, i cavalli possono vedere molti oggetti che sono invisibili ai loro fantini. Infatti, i fantini a volte possono intuire che esiste un oggetto invisibile a loro rilevando sottili reazioni equine.32 In particolare, i segnali neurali provenienti dagli occhi del cavallo porterebbero la forma di un oggetto al suo cervello. Questi segnali verrebbero immediatamente trasferiti al cervello del fantino attraverso un percorso ben stabilito: le cellule recettoriali equine nella retina porterebbero a cellule rivelatorie equine nella corteccia visiva, ciò provocherebbe una reazione motoria equina che verrebbe poi rilevata dal corpo umano del fantino. Da lì, i segnali neurali del cavallo verrebbero trasmessi lungo il midollo spinale del fantino al suo cervello facendo nascere, così, un circuito di comunicazione percettiva. Il cervello del fantino ora potrebbe, effettivamente, rispondere neuralmente a qualcosa che non sarebbe in grado di vedere, prendendo in prestito il raggio visivo superiore del cavallo.33

Questi trasferimenti da cervello a cervello, stando alla descrizione e interpretazione della Jones,34 sarebbero reciproci, quindi il cervello equino che impara dovrebbe anche essere in grado di prendere in prestito la visione del fantino, con la sua percezione della profondità e acuità focale superiori. Questo tipo di interazione neurale si tradurrebbe in un organismo ibrido di cavallo e uomo che può percepire molto di più insieme da quanto una delle parti possa rilevare da sola. In effetti, condividerebbero lo sforzo assegnando il lavoro alla parte le cui capacità sono superiori in un determinato compito.

In quest’ambito di condivisione e integrazione di abilità tra specie, c’è un altro tipo di abilità che richiederebbe una danza cellulare particolarmente sfumata: condividere l’attenzione e la concentrazione. Stando a Janet Jones,35 la vigilanza equina avrebbe permesso ai cavalli di sopravvivere a 56 milioni di anni di evoluzione: dovevano notare lievi movimenti nell’erba alta o rischiare di diventare la cena di qualche predatore. Di conseguenza, oggi è difficile far sfuggire anche un piccolo cambiamento a un cavallo, specialmente un animale giovane o inesperto a cui non è stato ancora insegnato a ignorare determinati panorami, suoni e odori. Al contrario, gli umani sono molto più concentrati che vigili. Il cervello predatore, nell’interpretazione della Jones,36 non avrebbe bisogno di notare e reagire istantaneamente a ogni stimolo nell’ambiente. In effetti, sarebbe ostacolato dalla vigilanza delle prede. Effettivamente, anche durante la lettura di questo saggio, il cervello di chi legge smista il rumore del traffico oltre la sua finestra, il tocco dei suoi vestiti sulla sua pelle, la vista della testata che dice “BIO” al margine della pagina. Ignorare queste distrazioni consente al lettore di concentrarsi sul contenuto di questo saggio.

I cavalli e gli umani condividerebbero spesso le rispettive capacità di attenzione durante un’esibizione. Stando all’esperienza della studiosa in materia Janet Jones, un cavallo potente che galoppa verso un ostacolo enorme non potrebbe sprecare la vigilanza notando i volti di ogni persona nel pubblico. Allo stesso modo, il fantino non potrebbe permettersi di perdere un cane sciolto che corre nell’arena al di fuori del suo ristretto raggio di visione e concentrazione. Ciascuna parte aiuterebbe l’altra attraverso i propri punti di forza primari. Tale condivisione diventerebbe automatica con la pratica. Con innumerevoli contatti neurali nel tempo, il cervello umano imparerebbe a prestare attenzione ai segnali inviati dal cervello equino che dicono, in effetti: “Ehi, cos’è quello laggiù?” Allo stesso modo, il cervello equino impara a percepire i segnali neurali umani che contrastano: “Andiamo, concentrati su questo ostacolo gigantesco proprio qui.” Ciascuna parte invierebbe questi messaggi tramite il linguaggio del corpo e li riceverebbe tramite la consapevolezza del corpo attraverso due midolli spinali, quindi interpreterebbe i messaggi all’interno di due cervelli, millisecondo per millisecondo.37

Infine, sostiene Janet Jones,38 è concepibile che cavallo e fantino possano imparare a condividere le caratteristiche della funzione esecutiva: la capacità del cervello umano di fissare obiettivi, pianificare passi per raggiungerli, valutare alternative, prendere decisioni e valutare i risultati. La funzione esecutiva si verificherebbe nella corteccia prefrontale, un’area che non esiste nel cervello equino. I cavalli sono eccellenti nell’apprendere, ricordare e comunicare, ma non valutano, decidono, stimano o giudicano come farebbero gli umani. La diffidenza è un comportamento equino prominente che potrebbe essere mediato dalla funzione esecutiva umana in cavalcature ben addestrate. Quando un cavallo di taglia media evita uno stimolo inaspettato, i fantini sono seduti sopra 544 chili di muscoli che improvvisamente saltano lateralmente da tutti e quattro i piedi e atterrano a cinque metri di distanza.39 È un’esperienza spaventosa e spesso provoca cadute che portano a lesioni o addirittura alla morte. Il cervello del cavallo provoca automaticamente questa reazione attraverso il collegamento diretto tra la corteccia sensoriale e motoria.

Sebbene questa possibilità, come segnala Jones,40 debba ancora essere studiata da una scienza rigorosa, la comunicazione da cervello a cervello suggerisce che i cavalli potrebbero imparare a prendere in prestito piccoli barlumi di funzione esecutiva attraverso l’interazione neurale con la corteccia prefrontale umana. Supponiamo che un cavallo sfugga a un ombrello che si apre all’improvviso. Respirando costantemente, rilassando i muscoli e flettendo il corpo al ritmo dell’andatura del cavallo, il fantino calma l’animale usando il linguaggio del corpo. I suoi segnali fisici vengono trasmessi dall’attivazione neurale dai suoi recettori di superficie al suo cervello. Risponde con un linguaggio del corpo in cui i suoi muscoli si rilassano, la testa si abbassa e i suoi occhi spaventati tornano alle loro dimensioni normali. Il fantino avverte questi cambiamenti con il suo corpo, che trasmette i segnali neurali del cavallo al suo cervello. Da questo punto, il passo è molto breve – ma importante – per la trasmissione e la ricezione di segnali neurali tra la corteccia prefrontale del fantino (che valuta l’ombrello inaspettato) e il cervello del cavallo (che istiga il salto via da quell’ombrello). In pratica, per ridurre la diffidenza, gli addestratori di cavalli insegnano ai loro giovani a rallentare le loro reazioni e cercare la guida umana.

La comunicazione da cervello a cervello tra cavalli e fantini è un’intricata danza neurale. Queste due specie, una preda e un predatore, vivono temporaneamente l’una nel cervello dell’altra, condividendo informazioni neurali avanti e indietro in tempo reale senza mediazioni linguistiche o meccaniche. È una partnership come nessun’altra. Insieme, l’organismo composito, cavallo e umano, sperimenta una comprensione del mondo percettiva e attenzionale più ricca di quella che entrambi i membri possono raggiungere da soli. E, ironia della sorte, questa mente interspecie estesa funziona bene non perché i due cervelli siano simili tra loro, ma perché sono così diversi!

______________Note _________________

1 Janet L. Jones. Horse Brain. Human Brain. The Neuroscience of Horsemanship. Getting Smart About How Horses and Humans Think, Act, and Work Together. Trafalgar Square Books, 2020 / Janet L. Jones. Cervello Equino. Cervello Umano. Come il cavallo e l’uomo pensano, agiscono e lavorano insieme. Mediterranee Edizioni, 2022

2 Janet L. Jones. Becoming a centaur. In AEON, 14 January 2022

3 Ibidem

4 Il dressage (dal francese: raddrizzamento/addestramento) è una disciplina equestre che viene anche chiamata
gara di addestramento, in quanto cavallo e cavaliere eseguono movimenti prevalentemente geometrici su un campo di forma rettangolare, di dimensioni 20×40 metri per le gare di basso livello e 20×60 in quelle di livello medio/alto.

5 Janet L. Jones, op. cit. 2022

6 Valegro era il castrone cavalcato dalla equestre britannica Charlotte Dujardin nello sport del dressage. È stato un doppio Campione del Mondo di Dressage, ha vinto Grand Prix Special e Grand Prix Freestyle. Vinse anche la medaglia d’oro nell’individuale di dressage alle Olimpiade di Rio nel 2016.

7 Janet L. Jones, op. cit. 2022

8 Janet L. Jones, op. cit. 2020

9 Ibidem

10 Ibidem

11 Ibidem

12 Ibidem

13 Janet L. Jones, op. cit. 2022

14 Schmidt MJ, Knemeyer C, Heinsen H. Neuroanatomy of the equine brain as revealed by high-field (3Tesla) magnetic-resonance-imaging. PLoS ONE 14(4): e0213814, 2019

15 Janet L. Jones, op. cit. 2020

16 Jonathan Field. Humane horse-training means understanding humans as predators and horses as prey. In AEON, 8 July, 2016

17 Janet L. Jones, op. cit. 2022

18 Ibidem

19 Ibidem

20 Ibidem

21 Janet L. Jones, op. cit. 2020

22 Ibidem

23Ibidem

24 Ibidem

25 Ibidem

26 Janet L. Jones, op. cit. 2022

27 Ibidem

28 La potenza è una prova della gara di salto ad ostacoli, consistente nell’attraversare un ostacolo molto pesante, generalmente costituito da sbarre di legno o finti mattoni a forma di muro, la cui altezza aumenta ad ogni passaggio.

29 Un morso è un’imboccatura usata per cavalcare, basata su un’azione a leva, che fa parte dei finimenti. Il morso agisce sulla bocca del cavallo, in corrispondenza delle barre. In questa zona, la mandibola è priva di denti ed ha una larghezza molto ridotta e molto inferiore a quella della lingua. Il pezzo boccale del morso viene inserito al di sopra della lingua, e preme attraverso la lingua sulle barre. L’osso mandibolare, sulle barre, è coperto solo da un sottile strato di gengiva. Tutte le parti della bocca del cavallo sono dotate di elevata sensibilità.

30 Janet L. Jones, op. cit. 2022

31 Janet L. Jones, op. cit. 2020

32 Ibidem

33 Ibidem

34 Ibidem

35 Ibidem

36 Ibidem

37 Janet L. Jones, op. cit. 2022

38 Ibidem

39 Ibidem

40 Ibidem