I dinosauri hanno governato la Terra!

Quando la narrazione della storia della Terra diventa follemente quella del Potere!
30 Marzo, 2024
Tempo di lettura: 17 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIII • Numero 49 • Marzo 2024

 

La fine del Cretaceo o uno schiocco di dita cosmico!

Come possiamo noi, ancora umani, concepire l’immenso arco della storia del nostro pianeta o anche l’enorme distesa di un tempo che scorre da un inizio di un universo? Infatti, la nostra stessa umana invenzione di un tempo che scorre sfida le nostre capacità quotidiane di immaginare tali distese, sia individualmente che collettivamente, minacciando di sopraffare la nostra immaginazione nella comprensione del cosmo. Tuttavia, delineando un’ideale linea temporale attraverso i cosiddetti eoni dell’evoluzione che avrebbero avuto luogo prima del nostro tempo, si possono costruire finestre su questo arco cosmico utilizzando tracce e manufatti dei tempi remoti, cose materiali che possiamo interpretare anche con le tecnologie di indagine in materia e che ci rimandano a questo perduto passato. Dalle bande prismatiche in una roccia levigata, al sibilo dell’elettricità statica alla radio, dai frammenti fossili che trovi sulla spiaggia, alle stelle nel cielo notturno. Le prove del tempo profondo sarebbero ovunque intorno a noi. In questa prospettiva di studio le ossa sarebbero una meraviglia. Un materiale da costruzione adattabile e resistente sviluppatosi nel corso di oltre quattrocento milioni di anni di storia evolutiva. Le ossa sarebbero un documento innegabile di chi siano stati e di come avrebbero vissuto gli organismi delle scomparse ere geologiche.

Tuttavia, quando pensiamo ai cambiamenti nella storia della Terra, utilizzando la visione convenzionale dell’establishment, quali fossero cambiamenti di dinastia, non riusciamo a capire come funziona, in linea di principio, la vita. La storia della terra non è affatto una storia di dinastie di classi nel regno Animalia ma tuttalpiù di comunità di esseri viventi appartenenti al dominio degli eucarioti.

Se cercassimo di tracciare una storia della vita sulla Terra nei termini della riduzione del numero delle specie viventi e utilizzando, per l’appunto, le teorie al riguardo, si potrebbe arrivare a pensare che il giorno peggiore dell’intera storia della vita sulla Terra sia avvenuto quel giorno, l’ultimo dell’era dei dinosauri,1 in cui un pezzo di roccia largo circa 11 chilometri, ritrovatosi nella nostra orbita dopo un viaggio di milioni di anni, si sarebbe schiantato contro la parte centrale della Terra, ponendo, immediatamente, fine al Cretaceo.2 Le conseguenze, si può congetturare, furono così devastanti che la sopravvivenza nelle ore immediatamente successive all’impatto è stata, senz’altro, solo una questione di fortuna.

Naturalmente, la vita non si estinse del tutto quel giorno di 66 milioni di anni fa.3 Alcune specie sopravvissero, emergendo in un mondo trasformato. Noi, umani, non possiamo fare a meno di riportare la nostra storia a questo momento specifico, l’alba dell’Era dei Mammiferi, quando le bestie pelose poterono, stando ai nostri racconti antropocentrici, finalmente prosperare. In questa prospettiva dell’establishment di interpretazione della storia della Terra come una lotta di potere, i dinosauri dominanti subirono un colpo di sfortuna cosmica e i nostri parenti mammiferi ereditarono un pianeta dove non avrebbero più dovuto temere la morte nelle fauci dei rettili. L’immagine è quella di un grande cambiamento naturale, con diversi attori che continuano la storia evolutiva. Ma questo racconto, in cui i dinosauri calpestavano noi mammiferi, se pur molto attraente, sarebbe una distorsione, come sostiene la studiosa Riley Black, nel suo libro del 2022 The last days of the dinosaurs.4

L’intera ragione per cui così spesso ci fissiamo sulla presunta dominanza dei dinosauri è da rintracciare nel fatto che il racconto dell’establishment ci fa vedere in quella posizione di calpestati dai dinosauri e a rischio di essere noi eventualmente schiacciati dagli eventi del cosmo. Per più di un secolo, segnala Riley Black, la decimazione dei cosiddetti “rettili dominanti” è stata considerata un avvertimento su ciò che potrebbe accaderci. Senz’altro si può convenire, facilmente, con Black nel considerare che la narrazione della storia della terra diventa follemente quella del potere, dell’influenza e della longevità, cioè la storia di un gruppo di organismi, sopra tutti gli altri, che decide il corso di interi ecosistemi nell’arco di milioni di anni. Effettivamente, le estinzioni di massa diventano esempi di vincitori e vinti. Laddove il Tyrannosaurus rex5 e la sua famiglia avrebbero vacillato, si racconta, i nostri parenti mammiferi avrebbero vinto. La storia, se riusciamo a far tacere la nostra narrativa antropocentrica eroica, dice di più sul modo in cui interpretiamo il passato rispetto a ciò che sarebbe realmente accaduto. In effetti, creando una fiaba su un lontano evento preistorico, abbiamo gonfiato il nostro senso di importanza nel mondo.

 

Nelle estinzioni di massa delle specie della fine del Cretaceo non ci sono né vincitori né vinti

Vista dalla prospettiva della paleontologia odierna multidisciplinare, non siamo costretti a rimanere vincolati ad una tale visione dove la storia della Terra appare come un susseguirsi di dinastie di potere. In effetti, se abbiamo costruito l’immagine dei dinosauri tirannici che governavano la Terra, potremmo decostruirla altrettanto facilmente. Il processo richiederebbe, comunque, di ritornare all’estinzione di massa del passato, non cercando vincitori e vinti, ma considerando come intere comunità di esseri viventi cambiano di fronte a un evento inimmaginabile.

Prima del cataclisma della fine del Cretaceo, tutte le estinzioni di massa della Terra sono state di lunga durata, trasformazioni devastanti definite da specie che scomparivano più velocemente di quanto potessero evolversi nuove specie, come sostiene la stessa Black in Deep time.6 Alcune di queste estinzioni, causate, probabilmente, da vulcani, attivi ed in eruzione, e dai gas che alterano il clima da essi emessi, avrebbero impiegato più di un milione di anni per palesarsi.

L’ultimo giorno del Cretaceo è stato diverso, un cataclisma di velocità e violenza insondabili con i nostri schemi percettivi ed interpretativi. Gli ipotizzati pterosauri volanti, le congetturate ammoniti dal guscio a spirale e tutti i supposti dinosauri, tranne gli uccelli, scomparvero, per non parlare delle profonde perdite subite dai gruppi sopravvissuti di creature come lucertole e mammiferi.7 Nessuna specie avrebbe potuto prepararsi a ciò che sarebbe accaduto, pure se in qualche modo fosse stata loro concessa la conoscenza anticipata della calamità. Si può congetturare che nel giro di pochi minuti dall’impatto, il terreno sotto i piedi dei dinosauri nell’antico Montana iniziò a tremare a causa delle onde d’urto sismiche emanate dall’impatto. Solo poche ore dopo, minuscoli pezzi di roccia, vetro e altri detriti lanciati nell’atmosfera dall’impatto iniziarono a piovere su tutto il pianeta. Nessuna singola particella ebbe un grande effetto ma insieme i milioni di tonnellate di sottoprodotti generati dall’impatto crearono così tanto attrito che il risultato fu un terribile impulso di calore, abbastanza caldo da far prendere fuoco all’esca secca della foresta. La temperatura della Terra non poteva che salire, trasformando gli ultimi dinosauri non aviari in quelli che potrebbero essere descritti come polli al forno del Cretaceo, come li descrive R. Black. I mammiferi, gli uccelli, le lucertole e le altre creature miti che sopravvissero quel primo giorno lo fecero trovando rifugio sottoterra. Poco più di pochi centimetri di terra o acqua a proteggerli dalla conflagrazione globale.

E quello fu solo il primo giorno, seguito da circa tre anni di un inverno pungente e violento che fermò la fotosintesi e mise alla prova i limiti della resilienza biologica. Circa il 75% di tutte le specie conosciute si estinsero in uno schiocco di dita geologico, come suggerisce Riley Black.

 

L’alba della dinastia dei mammiferi!

Nelle sue opere in materia Riley Black critica che spesso si lascia il racconto della storia della terra dei mammiferi la mattina dopo che la devastazione si sarebbe attenuata, con qualche mammifero baffuto che infila il naso tremante fuori dall’orbita oculare di un teschio di dinosauro per ammirare una nuova alba libera dagli orrori rettiliani. Sì, come esplicitamente puntualizza Black in The dinosaurs didn’t rule questa sarebbe una storia soddisfacente. A più di 66 milioni di anni di distanza dall’ultimo di quei fantastici sauri, spesso colmiamo le lacune con le nostre aspettative e supposizioni, per utilizzare il giudizio espresso dalla Black in Skeleton Keys.8 L’asteroide, in questo senso, sarebbe stato la liberazione dei nostri antenati, che nel corso degli eoni si sarebbero sollevato grazie al suo primordiale imbroglio per rivendicare il proprio dominio sulla Terra. In questo racconto dell’establishment, i serragli dei dinosauri nei musei diventano tributi agrodolci a creature che si aggiravano per la nostra immaginazione ma che avrebbero facilmente cancellato la possibilità della nostra esistenza se fosse stato loro permesso di continuare a mantenere il loro potere sul pianeta. La decimazione dei dinosauri risulterebbe, quindi, in questa prospettiva, un prerequisito per noi umani, per essere qui e interrogare le loro ossa.

Ritenere una forma di vita dominante sulle altre, suggerisce Riley Black potrebbe essere considerato un’assurdità. Sarebbe, a parer suo, una forma di sciovinismo biologico che dice tutto su ciò che proiettiamo sulla natura e nulla sulla realtà. Secondo questo mito, prima avrebbero governato i dinosauri, poi i mammiferi, con ogni dinastia evolutiva alimentata da qualche carattere speciale per surclassare e competere con altre forme di vita, diventando, eccezionalmente, diversificata e diffusa.9 In quest’iconografia mitica, non c’è esempio migliore dell’abilità dei dinosauri T rex (Tirannosauri). Da quando al dinosauro è stato dato nome nel 1905, sarebbe stato considerato il culmine di oltre 150 milioni di anni di innovazioni carnivore. Il suo stesso nome, “re delle lucertole tiranniche”, alimenta questa percezione. Tuttavia, commenta a proposito Riley Black, possiamo guardare il sorriso scintillante e seghettato del T rex e sfidare la saggezza convenzionale con una domanda riguardo a cosa sarebbe stato questo dinosauro senza le sue specie di prede. Oppure sfidarla chiedendole cosa sarebbe un albero di magnolia del Cretaceo senza uno scarabeo maldestro che si ricopre di polline nel cuore del fiore dell’albero.

In ogni evenienza, T rex esisteva come parte di un ecosistema, modellato, plasmando il mondo che lo circondava. Si potrebbe perfino dire che il dinosauro fosse un ecosistema a sé stante, un animale vivente che ospitava parassiti e batteri dentro e fuori il suo corpo, proprio come noi umani. Il dinosauro che sarebbe stato grande, imponente e senza dubbio feroce, era ugualmente un essere vivente all’intersezione di varie connessioni ecologiche. Dire che il dinosauro “governava” qualsiasi cosa risulta ridicolo, una forma di individualità fossilifera che ignora le comunità più ampie. Abbiamo spesso ignorato questi argomenti in favore di una semplificazione estrema e, senz’altro, ideologica, come se ogni specie sopravvissuta fosse contrapposta l’una contro l’altra, in una battaglia senza fine per la sopravvivenza.

In ogni caso, l’estinzione del T-rex e di tutti gli altri dinosauri, fatta eccezione per gli uccelli dal becco, non sarebbe stata una scomparsa frivola. Non era l’equivalente di un appartamento preistorico che i dinosauri avevano ripulito per farlo ridecorare ai mammiferi. Una vasta gamma di animali che avrebbero plasmato il mondo attorno a loro, così come avrebbero plasmato addirittura l’evoluzione di altre specie, sarebbe improvvisamente scomparsa. La scomparsa dei dinosauri e la fortuna dei mammiferi ebbero conseguenze ecologiche più profonde sul destino delle piante da fiore, degli insetti mangiatori di foglie e di varie altre forme di vita che spesso fanno da sfondo a queste storie. L’establishment ha seminato in noi l’idea dello spostamento del potere tra le dinastie per troppo tempo. Il modo in cui l’asteroide ha cambiato il mondo non è però una storia di spostamento del dominio, come propone Black, ma del modo in cui le comunità affrontarono le conseguenze del disastro.

 

Il Paleogene

Per congetturare sugli eventi che configurarono il Paleogene, possiamo immaginare di fare un riconoscimento, approssimativo, al mondo dopo l’impatto. Non proprio nel pieno dell’estinzione provocata dall’asteroide, ma mentre la vita cominciava a intrecciarsi in nuovi modi. Potremmo provare a riportare la nostra immaginazione ad una foresta primordiale, circa un milione di anni dopo l’impatto, cioè circa 65 milioni di anni fa, all’inizio del Paleogene che sarebbe stato caratterizzato dalla grande evoluzione dei mammiferi. Probabilmente potremmo fantasticare di sentire il cinguettio degli uccelli, il chiacchiericcio dei mammiferi e il trillo degli insetti in una foresta come non l’avremmo mai vista prima. In questi boschi crescono fitte piante da fiore, per la prima volta nella loro storia, che formno il nucleo di queste radure umide, al posto delle conifere. I rami degli alberi si allargano e si intrecciano tra loro in alto, le foglie larghe ombreggiano il sottobosco molto più in basso.

Si può anche congetturare che, a parte uno strano coccodrillo d’epoca, nessun animale in questo ambiente superava le dimensioni di un pastore tedesco. Questo fatto da solo avrebbe cambiato radicalmente il mondo. Prima dell’impatto, il dinosauro medio pesava circa tre tonnellate e mezzo ed aveva all’incirca le dimensioni di un piccolo elefante africano. Animali così immensi nella foresta brucavano e pascolavano la vegetazione, calpestavano sentieri attraverso le foreste, spingevano alberi e lasciavano un sacco di carezze di dinosauro piene di clorofilla, tenendo, in questo modo, occupati gli scarabei stercorari preistorici. Ogni scelta fatta da un dinosauro, sostiene Black, come il Triceratopo a tre corna o l’Edmontosaurus dal becco di pala alterava in qualche modo il paesaggio, dalla distruzione di tronchi marcescenti abitati da invertebrati alla creazione di stagni poco profondi in aree in cui spesso agitavano il terreno. I grandi dinosauri mantenevano le foreste aperte e raggruppate insieme, i loro appetiti e i loro passi alteravano la forma della foresta stessa. Ma nel Paleogene se ne andarono tutti, lasciando che le foreste crescessero fitte e alte.

La crescita di quelle stesse foreste si basava sui pochi dinosauri sopravvissuti. Gli uccelli erano solo un’altra forma di dinosauro piumato che si sarebbe evoluta insieme ai loro parenti a partire dal tardo Giurassico, circa 150 milioni di anni fa. Alcuni conservarono i denti ancestrali, brevi protuberanze perfette per afferrare insetti croccanti o occasionalmente piccole lucertole. Altri si evolvettero fino a diventare erbivori, perdendo completamente i denti e sviluppando ventrigli muscolosi per aiutarli ad abbattere semi, noci e altre robuste parti di piante, come suggerisce Black.

Stando alle supposizioni degli studiosi in materia, poiché questi uccelli erano molto piccoli rispetto alla media dei dinosauri non aviari, erano in grado di trovare rifugio nelle fessure del mondo, proteggendo molti di loro dall’impulso di calore, come propone la stessa Black. E durante il presumibile l’inverno che seguì allo schianto dell’asteroide, quando gran parte del mondo fu privato della vegetazione e dei piccoli insetti, gli uccelli da becco scavarono nelle banche dei semi tenuti al sicuro nel terreno. Con lo stesso sfondo interpretativo paleontologico, gli uccelli da becco sopravvissero mentre i carnivori in vita svanivano e gli uccelli erbivori finirono per spargere i semi su cui erano sopravvissuti. Alcuni semi e noci furono rotti all’interno del tratto digestivo degli uccelli, ma altri sicuramente passarono indenni e furono depositati con un dono di guano per iniziare a riseminare i primi boschi del Cenozoico. Da quanto si può immaginare, sostiene Black, tali cambiamenti avrebbero potuto essere vanificati dalle attività dei dinosauri più grandi solo un milione di anni prima, ma ora gli uccelli avrebbero piantato un nuovo tipo di foresta. I nostri antenati pelosi beneficiarono, sicuramente, di questi radicali cambiamenti, assicura Black. I dinosauri, in effetti, gettarono le basi per la cosiddetta Era dei Mammiferi, non facendosi da parte ma aiutando, inavvertitamente, a far crescere un giardino del tutto nuovo come vegetazione del pianeta, come propone quasi romanticamente Riley Black.

In effetti, si può ipotizzare, che facendo tacere i nostri modelli interpretativi, spontaneamente antropomorfici, durante le decine di milioni di anni precedenti all’impatto, gli animali non rabbrividivano all’ombra dei dinosauri come se aspettassero la fine dell’incubo dai denti aguzzi. I mammiferi e i loro parenti stretti si sarebbero effettivamente evoluti in una straordinaria varietà di forme durante il Triassico, il Giurassico e il Cretaceo. Si potrebbe supporre che ci fossero equivalenti di scoiattoli volanti, oritteropi, lontre, e altri che si sarebbero evoluti proprio insieme alle “terribili lucertole”. In effetti, gli studiosi in materia, come Wilson Mantilla, considerano, grazie all’analisi dei reperti fossili, che i primissimi primati si siano evoluti nello stesso periodo del Triceratops. Si tratterebbe di un animale simile al toporagno chiamato Purgatorius che correva tra gli alberi incarnando la forma di questi primi membri della nostra famiglia di mammiferi. E mentre le loro piccole dimensioni sarebbero spesso esagerate, dopo tutto, la maggior parte delle specie10 di mammiferi viventi oggi hanno le dimensioni di un topo. Le piccole stature dei mammiferi preistorici li avrebbero aiutati a trovare nascondigli nel fatidico giorno in cui il presumibile l’asteroide colpì. Molti morirono, ma quelli che sopravvissero furono testimoni di un mondo devastato dal fuoco e quasi paralizzato dal freddo, vivendo delle briciole del pianeta finché le foreste non ricrebbero.

Seguendo le ipotesi degli studiosi, un milione di anni dopo l’impatto, quindi, le fitte foreste cresciute nel pianeta offrirono ai mammiferi sopravvissuti una gamma di habitat più ampia che mai. In condizioni così favorevoli, i mammiferi potevano guadagnarsi da vivere cercando l’integrazione di frutti e insetti tra i rami della chioma, arrampicandosi lungo la corteccia e i rami degli alberi in cerca di foglie succulente, inseguendo le prede lungo la superficie del terreno o persino scavare nella terra stessa. La competizione per lo spazio e il cibo è, certamente, parte della storia, ma principalmente come una spinta per i mammiferi ad aprirsi nuove nicchie e interazioni ecologiche. Il campo sarebbe stato così vasto, nelle ipotesi degli studiosi, che alcune linee di mammiferi avrebbero iniziato ad aumentare di dimensioni in modo estremamente rapido e i loro corpi si sarebbero evoluti più grandi grazie all’eccesso di nutrimento offerto da queste foreste.

 

Evoluzione ed estinzione sono legate insieme

I paleontologi stanno appena iniziando a capire cosa sia accaduto nei primi 10 milioni di anni circa dopo la fine del Cretaceo. Le parti più antiche di questo periodo, conosciute come Paleocene, sono conservate solo in zone sparse attorno al pianeta e le prove fossili sono scarse, come segnalato da Riley Black nel suo Skeletom Keys. Infatti, la percentuale di animali che fossilizza è veramente esigua. Ne consegue che la documentazione tecnicamente paleontologica fornisce una ricostruzione soltanto parziale della natura del passato. Ugualmente, ciò che i paleontologi, nella loro umana soggettività, trovano interessante, e quali organismi ottengono maggiore attenzione con i fondi destinati alla ricerca, avrebbero un ruolo da svolgere. La scoperta più banale sulla vita del T rex ha maggiori probabilità di attirare l’attenzione della stampa e l’interesse del pubblico rispetto a un nuovo, strano uccello o mammifero del Paleocene. Alcuni di questi organismi sono conosciuti da più di un secolo, ma solo ora cominciano a essere intesi come organismi viventi in comunità piuttosto che oggetti statici nei cassetti dei musei. I paleontologi avevano ipotizzato che la storia di ciò che fosse accaduto dopo l’impatto sarebbe stata semplice, semplice come la solita storia di sopravvissuti che riempiono il vuoto lasciato dagli altri, in questo caso dai giganti sauri. Alcuni studiosi, come Riley Black, iniziano a proporre che una tale prospettiva possa essere errata.

Proprio come gli appassionati studiosi hanno proiettato le loro speranze e preoccupazioni sui dinosauri, l’immagine emergente di comunità mutevoli e intricate si estende fino ai nostri giorni. Stiamo vivendo una crisi ecologica di nostra propria creazione. La perdita di ogni specie, documentata o meno dalla scienza, non è solo un altro conteggio delle perdite di biodiversità. Oggi sappiamo che quando una specie scompare, lascia un vuoto nel suo ecosistema. Il modo in cui quegli organismi interagivano in modo univoco con il mondo svanisce, provocando cambiamenti nell’ecosistema che un tempo ospitava la specie. L’estinzione di una pianta potrebbe alterare il ciclo dei nutrienti in un pezzo di foresta perché forse era la pianta che mangiava un qualche erbivoro. La scomparsa di un carnivoro potrebbe rendere le popolazioni delle prede più vulnerabili alle malattie se un altro predatore non assumesse il suo ruolo. La popolazione di un grande erbivoro crolla e le foreste crescono in modo diverso, alcune piante perdono i mezzi per disperdere i loro semi e altre diventano più fitte in assenza di grandi piedi che calpestano i sentieri attraverso il bosco.

Evoluzione ed estinzione sono legate insieme in queste piccole, spesso invisibili, interazioni tra le specie, le connessioni che modellano continuamente la natura unica della vita sul nostro pianeta. Nel nostro momento presente, non stiamo solo svolgendo un ruolo circa i lignaggi che sopravviveranno e che scompariranno. Le nostre azioni stanno anche tagliando la rete della vita, colpendo intere comunità ed ecosistemi che metteranno alla prova la resilienza di più specie di quante ne potremmo mai contare, avverte Riley Black.

La storia della vita sulla Terra non può essere incapsulata in un bilancio di perdite e guadagni nel tempo. Né il nostro momento presente può essere inteso come un gruppo diverso di creature che si cedono il passo l’un l’altro mentre la vita sale i gradini del progresso. La realtà, come la vita stessa, è caotica. Comprendere ciò che è accaduto 66 milioni di anni fa, o anche in questo momento, richiede di guardare oltre i dettagli di ciò che possiamo discernere da una determinata specie isolatamente. Ogni osso fossile che scopriamo e custodiamo con cura in un museo è cresciuto grazie al nutrimento derivato da altre forme di vita preistorica; e quelle fonti di cibo, a loro volta, costruirono i loro tessuti a partire da piante che assunsero componenti essenziali dal suolo, arricchito dalla decomposizione di altri organismi precedenti. Ovunque troviamo la vita, un’esistenza ne tocca un’altra, invischiata e ponendo le condizioni per ciò che potrebbe apparire domani.

______________Note _________________

1 Stando all’ipotesi degli studiosi i dinosauri sarebbero stati un gruppo di sauropsidi diapsidi molto diversificati comparsi durante il Triassico superiore (circa 230 milioni di anni fa) molto probabilmente nel supercontinente Gondwana, nella parte che oggi è l’America Meridionale. Furono gli animali, che stando al nostro racconto della storia della Terra, caratteristici dell’Era mesozoica. La maggioranza si sarebbe estinta alla fine di tale era. Oggi il clado Dinosauria sarebbe rappresentato dagli uccelli neorniti, diffusi in tutto il mondo. Stando a Lee, MichaelS.Y.; Cau, Andrea; Naish, Darren; Dyke, Gareth J., in Sustained miniaturization and anatomical innovation in the dinosaurian ancestors of birds, studio pubblicato nel vol. 345 di Science, n. 6196, pp. 562-566, il 1° agosto 2014, i dinosauri sarebbero stati un gruppo di animali molto diversificato: i soli uccelli censiti conterebbero oltre 9 000 specie. Basandosi sui fossili, i paleontologi avrebbero identificato oltre 500 generi distinti e più di 1 000 specie di dinosauri non aviani. I dinosauri sarebbero rappresentati su ogni continente sia da specie fossili sia da specie attuali (gli uccelli). Alcuni dinosauri sarebbero stati erbivori, altri carnivori. Molti di essi sarebbero stati bipedi, mentre altri sarebbero stati quadrupedi o semi bipedi. Molte specie possedevano elaborate strutture da parata, come corna e creste e alcuni gruppi estinti avrebbero sviluppato perfino modificazioni scheletriche come armature d’osso e spine, come i Thyreophora e i Marginocephalia. I dinosauri aviani sarebbero stati i vertebrati volanti dominanti fin dall’estinzione degli pterosauri e le prove suggerirebbero che tutti i dinosauri costruissero nidi e deponessero uova, così come fanno gli uccelli odierni. I dinosauri variavano molto in taglia e peso: i più piccoli teropodi adulti sarebbero stati lunghi meno di un metro, mentre i più grandi dinosauri sauropodi potevano raggiungere lunghezze di quasi cinquanta metri e sarebbero stati alti decine di metri. La parola greca dinosauro, coniata dopo i primi ritrovamenti fossili e il riconoscimento che si trattava di resti di rettili, significa “lucertola mostruosa”, tuttavia i dinosauri non sono filo genicamente lucertole nell’accezione scientifica moderna, costituendo un gruppo ben separato, come sostiene Robert T. Bakker in The Dinosaur Heresies: A Revolutionary View of Dinosaurs (Longman Scientific & Technical, pp. 22-23, 1986). Il termine dinosauro sarebbe addirittura usato estensivamente, ma non correttamente sul piano tassonomico, per indicare ogni grande rettile vissuto nel Paleozoico e nel Mesozoico, come il pelicosauro Dimetrodon, gli pterosauri alati e gli acquatici ittiosauri, plesiosauri, mosasauri. Fino alla prima metà del Novecento gran parte della comunità scientifica riteneva che i dinosauri fossero lenti, poco intelligenti e a sangue freddo. Numerose ricerche a partire dagli anni settanta avrebbero però indicato che i dinosauri erano animali attivi con un elevato metabolismo e numerosi adattamenti per l’interazione sociale.

2 La causa di questo disastro sarebbe stata identificata decenni fa. Un asteroide di circa sette miglia di diametro si sarebbe schiantato sulla Terra, lasciando una ferita geologica di oltre 50 miglia di diametro.

3 L’estinzione di massa del Cretaceo-Paleogene, detta anche estinzione di massa del Cretaceo (o evento K-T), si riferisce un’ipotizzata riduzione nel numero delle specie viventi sulla Terra, che sarebbe avvenuta circa 66 milioni di anni fa, ritenuta una delle maggiori estinzioni faunistiche verificatesi durante il Fanerozoico, che avrebbe portato alla scomparsa di circa l’80% delle specie marine e continentali esistenti, come sostiene Richard Fortey in Life: A natural history of the first four billion years of life on Earth, (Vintage, 1999, pp. 238–260). Ad eccezione di alcune specie ectotermiche come le tartarughe marine e alcuni coccodrilli, nessun tetrapode di peso superiore ai 25 kg sarebbe riuscito a sopravvivere. L’estinzione avrebbe seganto la fine del periodo Cretacico e dell’intera era Mesozoica, dando l’avvio all’era del Cenozoico che continua a tutt’oggi.

Riley Black. The last days of the dinosaurs. Saint Martin’s Press. 2022

5 Tyrannosaurus spesso abbreviato in T. rex (diminutivo scientifico) o colloquialmente T-Rex, è un genere estinto di dinosauro teropode vissuto nel Cretaceo superiore, in quello che oggi è il Nordamerica, che a quell’epoca sarebbe stato un continente isolato. I suoi fossili si trovano in una varietà di formazioni risalenti al piano Maastrichtiano del Cretaceo superiore, circa 72,7-66 milioni di anni fa. Fu una delle specie degli ultimi dinosauri non aviani quando si ebbe l’estinzione di massa del Cretaceo-Paleocene, che ne determinò la scomparsa.

6 Riley Black. Deep time. Welbeck. 2021

7 Riley Black, op. cit. 2022

8 Riley Black. Skeleton Keys. History Press, 2019

9 Stephen Jay Gould. Full House: The Spread of Excellence from Plato to Darwin. Harmony Books, 1996

10 Connor J Burgin, Jocelyn P Colella, Philip L Kahn, Nathan S Upham. How many species of mammals are there? Journal of Mammalogy, Volume 99, Issue 1, Pages 1–14, 1 February 2018 Spesso ci si interroga sull’origine dell’uomo e si va alla ricerca dei suoi antenati, ricostruendo similitudini e differenze con altri primati. Ma chi sono, invece, gli antenati di tutti primati? Qual era il loro aspetto e quali le loro abitudini? Per scoprirlo bisogna affrontare un lungo viaggio indietro nel tempo, che ci porta a circa 66 milioni di anni fa, quando il nostro Pianeta appariva molto diverso da quello che è oggi. Se potessimo avventurarci nelle foreste che all’epoca ricoprivano una grossa parte della Terra, probabilmente avremmo la possibilità di incontrare i purgatoridi, dei piccoli animali arboricoli considerati da molti i primi antenati conosciuti dei primati. La famiglia dei purgatoridi (Purgatoriidae) prende il nome dal genere Purgatorius, che deriva a sua volta da Purgatory Hill, il nome della località in cui furono rinvenuti i fossili delle prime specie scoperte. Quando si pensa ai primati spesso ci vengono in mente le specie più note e carismatiche, come lo scimpanzé e l’orango, e non ci rendiamo conto dell’enorme variabilità presente tra le moltissime specie viventi. Ancor più complesso è rendersi conto dell’incredibile varietà delle specie di primati che hanno abitato il Pianeta nel passato, e che possiamo riscostruire grazie all’analisi dei reperti fossili. Per quanto riguarda Purgatorius, la gran parte dei fossili è costituita da denti o frammenti di cranio, mentre disponiamo soltanto di piccole porzioni ossee del resto dello scheletro. Sulla base dei reperti è però possibile realizzare una ricostruzione ipotetica, che in realtà ha poco o nulla a che vedere con le scimmie odierne. I primi purgatoridi erano animali di taglia molto piccola: per avere un’idea, si stima che Purgatorius pinecreenses, ad esempio, pesasse soltanto 50 g! Dalla conformazione delle ossa del tarso (una componente dello scheletro del piede) è possibile ipotizzare che si trattasse di animali arboricoli, probabilmente dotati di una lunga coda. Il muso era piuttosto allungato e si deve dunque immaginare un animale che, nell’aspetto generale, ricorda più un attuale roditore invece che una scimmia. Una morfologia di questo tipo deriva probabilmente da quella dei piccoli mammiferi ancestrali insettivori, che abitavano il nostro pianeta nel corso del Cretaceo (145 – 66 milioni di anni fa) e condividevano il loro habitat con i ben più noti dinosauri. I purgatoridi avrebbero abitato le vaste foreste pluviali che avrebbero ricoperto il nostro Pianeta nel Paleocene (66-56 milioni di anni fa, circa. Si tratterebbe di animali arboricoli che trascorrevano presumibilmente gran parte del tempo sugli alberi. Il Paleocene, suppongono gli studiosi, fu un periodo di grandi cambiamenti ambientali che seguirono gli sconvolgimenti legati all’estinzione di massa di fine Cretaceo (66 milioni di anni fa). A partire da tale evento, famoso per aver provocato la scomparsa dei dinosauri non aviani, il clima avrebbe subito un progressivo riscaldamento. Tale processo avrebbe favorito la diffusione di ampie foreste pluviali in moltissime aree del Pianeta e sarebbe culminato in una fase detta “massimo termico del Paleocene-Eocene” (55 milioni di anni fa). Durante tale massimo termico, la temperatura media globale sarebbe stata di molto superiore a quella odierna, e avremmo potuto osservare rigogliose distese di latifoglie addirittura in quella che è l’attuale Groenlandia. Un contesto ambientale simile sarebbe stato molto favorevole alla diffusione e diversificazione di piccoli animali arboricoli come i purgatoridi, ma gli studiosi non sanno molto sulla loro distribuzione. Oggi, la gran parte dei reperti fossili proviene dal Nord America, e ci porta ad ipotizzare che il genere Purgatorius fosse particolarmente abbondante già 1 milione di anni dopo l’estinzione di fine Cretaceo. Considerato ciò, senza dimenticare l’ambiente particolarmente favorevole, è possibile ipotizzare che i purgatoridi fossero piuttosto diffusi in vaste aree del Pianeta. Purgatorius è il genere più antico del gruppo dei Plesiadapiformes, considerati da molti i primi primati ad essere comparsi sul Pianeta e oggi tutti estinti. In realtà, la collocazione dei plesiadapiformi all’interno dei primati è piuttosto dibattuta: alcuni studiosi li considerano delle forme esterne al gruppo, sebbene affini per molti caratteri. Se si volessero escludere i plesiadapiformi dal gruppo dei primati, allora l’antenato comune più prossimo di quest’ultimi sarebbe da ricercare all’origine dei cosiddetti Euprimates, che comparvero circa 56 milioni di anni fa. In base all’interpretazione che vede nei plesiadapiformi i primi primati, è interessante notare come l’origine del gruppo possa essere verosimilmente retrodatata. I reperti fossili sono infatti rari, e la percentuale di animali che fossilizza è veramente esigua; ne consegue che il record paleontologico fornisce una ricostruzione soltanto parziale della natura del passato. Analizzando però i fossili più antichi di cui disponiamo, l’origine dei purgatoridi (e quindi anche dei primati), sarebbe da collocare a qualche centinaio di migliaia di anni dopo l’estinzione di fine Cretaceo. Tuttavia, si rinvengono fossili di diverse specie con tale datazione, ad indicare che il gruppo era già piuttosto diversificato. È quindi ragionevole supporre che i purgatoridi fossero comparsi già nel Cretaceo, prima della grande estinzione. In ultimo, occorre puntualizzare che con il termine “antenato” si intende una forma affine ad un animale vivente, ma vissuta nel passato. Si tratta essenzialmente delle prime forme comparse, collocabili in una posizione basale all’interno dell’albero evolutivo di un gruppo. Non bisogna, tuttavia, cadere nell’errore di considerare l’evoluzione come un processo lineare. Purgatorius non è infatti una forma primitiva che si è poi modificata nel corso del tempo per dare vita agli odierni primati, ma si tratta piuttosto di un gruppo di animali vissuto in uno specifico contesto ambientale nel passato e “imparentato” a specie comparse successivamente, che nel complesso costituiscono i primati odierni.

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