Comportamento e capacità cognitive delle piante

Considerazioni volte a mettere in discussione la nostra riluttanza ad attribuire, seppure metaforicamente, capacità cognitive al comportamento delle piante
16 Marzo, 2024
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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno X • Numero 39 • Settembre 2021

 

La cognizione nelle piante

Stando alla conoscenza circa il mondo vegetale elaborata dalla prospettiva della neurobiologia1  anziché Della fisiologia2, dai ricordi dei fiori alla socievolezza degli alberi, le capacità cognitive3 dei nostri cugini vegetali sarebbero tutte scrutabili attorno a noi. Per alcuni studiosi, una sorte di retaggio creazionista, però, ci farebbe apparire il mondo vegetale come organismi privi di attività cognitive. Nuove squadre di ricercatori sostengono, invece, che basterebbe soffermarsi a studiare un’erbaccia, come la malva della Cornovaglia (Lavatera cretica), con un atteggiamento meno antropocentrico e questa nostra visione del mondo delle piante potrebbe subire un cambiamento. Di fatto, a prima vista, la malva della Cornovaglia è poco più di un’erbaccia poco attraente. Ha fiori rosati e foglie larghe e piatte che tracciano la luce solare durante il giorno.

Nondimeno, è proprio il comportamento notturno della malva ciò che ha portato quest’umile pianta sotto i riflettori della ricerca scientifica, come ci segnala la filosofa Laura Ruggles nel suo saggio The minds of plants4  Ore prima dell’alba, quest’erba entra in azione, girando le foglie per affrontare la direzione anticipata del sorgere del sole. La malva sembra ricordare dove e quando il sole è sorto nei giorni precedenti e agisce per assicurarsi di poter raccogliere quanta più energia luminosa possibile ogni mattina. Quando nei loro laboratori gli studiosi cercano di confondere le malve cambiando la posizione della fonte di luce, le piante imparano semplicemente il nuovo orientamento5.

Ma cosa significa enunciare che una malva possa imparare e ricordare il luogo dell’alba? L’idea che le piante possano comportarsi in modo intelligente, figuriamoci apprendere o formare ricordi, era una nozione marginale fino a tempi molto recenti. Si pensa che i ricordi siano così fondamentalmente cognitivi che alcuni teorici, come Francisco Calvo Garzòn, sostengono6 necessario e sufficiente che un organismo possa fare i tipi di pensiero più basilari, come puntualizzano i ricercatori Fatima Cvrčkovà, Helena Lipavsk. e Viktor Žàrský. Sicuramente la memoria, dal nostro convenzionale paradigma interpretativo del mondo, richiede un cervello ma la questione è che alle piante manca perfino il sistema nervoso rudimentale di insetti e vermi. Tuttavia, negli ultimi dieci anni o giù di lì questa visione è stata fortemente contestata, ci segnala Laura Ruggles8. La malva non sarebbe un’anomalia. Le piante non sarebbero semplicemente automi organici e passivi. Ora sappiamo che possono percepire e integrare informazioni su dozzine di diverse variabili ambientali e che usano questa conoscenza per guidare un comportamento flessibile e adattivo.

Ad esempio, come documentano Susan A. Dudley , Guillermo P. Murphy e Amanda L. File, le piante riconoscono se le piante vicine siano parenti o siano non correlate per così adattare, di conseguenza, le loro strategie di foraggiamento9. Il fiore Impatiens pallida10 è una delle numerose specie che tende a dedicare una quota maggiore di risorse alle foglie in crescita anziché alle radici quando viene messa con estranei. Si tratta di una tattica apparentemente orientata a competere per la luce solare, un imperativo che sarebbe ridimensionato quando si cresce accanto a fratelli. Le piante, come documentano i ricercatori Abdul Rashid War, Michael Grabriel Paulraj, Tariq Ahmad, Ahad Buhroo, Barkat Hussain, Savarimuthu Ignacimuthu, e Hari Chand Sharma, montano anche difese complesse e mirate11 in risposta al riconoscimento di predatori specifici, come corroborano gli studi di H. M. Appel & R. B. Cocroft.12 La piccola Arabidopsis thaliana in fiore, nota anche come Crescione di Talete o Crescione dell’Orecchie di Topo, è in grado di rilevare le vibrazioni causate dai bruchi che la sgranocchiano e, quindi, rilascia oli e sostanze chimiche con lo scopo di respingere gli insetti13.

Come sostengono Anouk van’t Padje, Matthew Whiteside e Toby Kiers, dell’Institute of Ecological Science della Vrije Universiteit di Amsterdam, interpretando il ruolo chiave che la comunicazione ha svolto nell’evoluzione degli organismi, le piante comunicano anche tra loro e con altri organismi, come parassiti e microbi14, utilizzando, come puntualizzano i ricercatori Monika Gorzelak, Amanda Asay, Brian Pickles e Suzanne Simard, una varietà di canali, tra cui “reti micorriziche”15 di funghi che collegano i sistemi di radici di più piante, come una sorta di Internet sotterraneo.16Perciò come suggerisce Laura Ruggles17, forse non è poi così sorprendente enunciare, prendendo a prestito il linguaggio soggettivo del nostro antropocentrismo, che le piante imparino e utilizzino i ricordi per la previsione e il processo decisionale.

Noi potremmo chiederci, a questo punto cosa comporta, di preciso, l’apprendimento e la memoria per una pianta?Per spiegarcelo possiamo avvalerci di un esempio che, stando a Laura Ruggles18, è in primo piano e al centro del dibattito in materia. Si tratta della vernalizzazione19, processo in cui alcune piante devono essere esposte al freddo prima di poter fiorire in primavera. Il ricordo dell’inverno sarebbe ciò che aiuta le piante a distinguere tra la primavera, quando gli impollinatori, come le api, sono impegnati, e l’autunno, quando non lo sono e la decisione di fiorire nel periodo sbagliato dell’anno potrebbe essere disastrosa dal punto di vista riproduttivo.

Secondo la Ruggles20, nella pianta preferita dai biologi per i loro esperimenti, l’Arabidopsis thaliana21, un gene chiamato Flowering Locus C (FLC)22 produce una sostanza chimica che impedisce ai suoi piccoli fiori bianchi di aprirsi quando la temperatura è eccessivamente fredda. Quando la pianta è esposta a un lungo inverno, i sottoprodotti di altri geni misurano il periodo di tempo in cui è stata fredda e chiudono o reprimono il FLC in un numero crescente di cellule man mano che il freddo persiste. Quando arriva la primavera e le giornate iniziano ad allungarsi, la pianta, innescata dal freddo per avere un FLC basso, può ora fiorire23. Ma per essere efficace, il meccanismo anti-FLC richiede un periodo di freddo prolungato, piuttosto che periodi più brevi di fluttuazioni delle temperature24.

Questo periodo di freddo prolungato implica quella che viene chiamata memoria epigenetica25. Anche dopo che le piante vernalizzate sono tornate a temperature calde, il Flowering locus C (FLC) viene mantenuto basso attraverso il rimodellamento di quelli che vengono chiamati segni di cromatina. Si tratta di proteine e piccoli gruppi chimici che si attaccano al DNA all’interno delle cellule e influenzano l’attività genica. Il rimodellamento della cromatina può anche essere trasmesso alle generazioni successive di cellule divise, in modo tale che queste cellule prodotte successivamente “ricordino” gli inverni passati. Se il periodo freddo è stato abbastanza lungo, le piante con alcune cellule che non hanno mai attraversato un periodo freddo possono ancora fiorire in primavera, perchè la modificazione della cromatina continua ad inibire l’azione di FLC.

Ma è davvero un processo come questo appena descritto qualcosa che possa essere concettualizzato come memoria?Gli studiosi delle piante che cercano di conoscere la “memoria epigenetica” saranno i primi ad ammettere che esso sia fondamentalmente diverso dal genere di cose studiate dagli esperti cognitivisti. Stando così le cose, almeno due domande si rendono necessarie per contestualizzare la questione. La prima è immaginare che l’uso di un linguaggio appartenente ad un altro dominio di studi sia interpretato come una scorciatoia metaforica che colma il divario tra il mondo familiare della memoria e il dominio sconosciuto dell’epigenetica. Oppure si potrebbe ipotizzare che le somiglianze tra i cambiamenti cellulari e i ricordi a livello di organismo rivelino qualcosa di più profondo su cosa sia realmente la memoria.

Al riguardo Laura Ruggles26 segnala che sia la memoria epigenetica che quella cerebrale hanno una cosa in comune, vale a dire un cambiamento persistente nel comportamento o nello stato di un sistema causato da uno stimolo ambientale che non sarebbe più presente. Eppure questa descrizione potrebbe essere considerata come troppo ampia poiché catturerebbe addirittura processi come danni ai tessuti, ferite o cambiamenti metabolici. A questo punto nella delucidazione riguardo la possibilità di attribuire concetti dell’ambito dello studio della cognizione animale al comportamento delle piante, la domanda interessante non sarebbe per davvero se i ricordi o le memorie siano necessari o meno per la cognizione ma, piuttosto, quali tipi di ricordi o di memorie indichino l’esistenza di processi cognitivi27 sottostanti e se questi processi esistano nelle piante. In altre parole, piuttosto che guardare alla “memoria” stessa, potrebbe essere meglio esaminare la questione più fondamentale di come i ricordi o le memorie vengono acquisiti, formati o appresi.

Per documentare come i ricordi o le memorie vengano acquisiti possiamo avvalerci, ad esempio, degli argomenti dell’ecologa comportamentale Monica Gagliano. In una recente intervista radiofonica ha asserito che le piante ricordano e che sanno esattamente cosa sta succedendo28. Gagliano fa ricerca presso l’University of Western Australia e studia le piante applicando tecniche di apprendimento comportamentale sviluppate per gli animali. Ritiene che se le piante possono produrre i risultati che ci portano a credere che altri organismi, come gli animali, possano apprendere e ricordare, dovremmo concludere, allo stesso modo, che le piante condividono queste capacità cognitive, forse senza limitare la cognizione ad un’attività cerebrale o mentale. Una forma di apprendimento che è stata ampiamente studiata è l’abitudine29 [habituation], in cui gli organismi esposti a uno stimolo inaspettato ma innocuo (un rumore, un lampo di luce) avranno una risposta cautelativa che diminuisce lentamente nel tempo. Si pensi, ad esempio, di entrare in una stanza con un frigorifero ronzante. All’inizio è fastidioso, ma di solito ci si abitua e forse non ce ne accorgiamo nemmeno dopo un po’. La vera abitudine è specifica dello stimolo, quindi con l’introduzione di uno stimolo diverso e potenzialmente pericoloso, l’organismo verrà riattivato. Anche in una stanza ronzante, probabilmente ci spaventeremmo al suono di un forte scoppio. Questo si chiama disabituazione30 e distingue l’apprendimento genuino da altri tipi di cambiamento, come la fatica.

Tecniche di studio dell’apprendimento comportamentale sviluppate per gli animali applicate alle piante: l’esperimento con la Mimosa pudica

Nel 2014, Gagliano e i suoi colleghi hanno testato31 le capacità di apprendimento di una piccola pianta chiamata Mimosa pudica, una pianta annuale nota anche come la sensitiva. Il suo nome deriva dalla sua capacità di rispondere a stimoli tattili o alle vibrazioni richiudendo le foglie su sé stesse. Quando Gagliano e i suoi colleghi hanno lasciato cadere delle Mimose pudiche da un’altezza, qualcosa che la pianta non avrebbe mai incontrato naturalmente nella sua storia evolutiva, le piante hanno appreso che questo era innocuo e che non richiedeva una risposta di stress cellulare. Tuttavia, hanno mantenuto la loro naturale reattività quando venivano scosse improvvisamente. Inoltre, i ricercatori hanno individuato che perfino la risposta di abitudine della Mimosa pudica era sensibile al contesto. Le piante imparavano più velocemente in ambienti scarsamente illuminati, dove era più costoso chiudere le foglie a causa della scarsità di luce e della conseguente necessità di risparmiare energia. Come osservano Abramson e Chicas-Mosier32, il gruppo di ricerca di Gagliano non è stato il primo ad applicare approcci di apprendimento comportamentale a piante come la mimosa pudica, ma gli studi precedenti non erano sempre ben controllati e, quindi, i risultati erano spesso incoerenti.

Ma cosa argomentare per quanto riguarda l’apprendimento più complesso di quello relativo alla risposta alla luce e al movimento nelle piante? La maggior parte degli animali, stando agli studiosi in materia, è in grado di compiere ciò che viene denominato apprendimento condizionato o associativo, in cui capiscono che due stimoli tendono ad andare di pari passo. Questo è ciò che ci permette di addestrare il nostro cane a venire quando fischiamo, dal momento che il cane impara ad associare quel comportamento a dolcetti o affetto. In un altro studio, pubblicato nel 201633, Gagliano e colleghi hanno cercato di verificare se il Pisum sativum, o pisello da giardino, potesse collegare il movimento dell’aria con la disponibilità di luce. Hanno posizionato le piantine alla base di un labirinto a Y, per essere colpite dall’aria proveniente da una sola delle fonti, quella più luminosa. Le piante sono state quindi autorizzate a crescere in qualunque delle biforcazioni del labirinto a Y, per verificare se avevano appreso l’associazione. I risultati sono stati positivi, dimostrando che le piante hanno acquisito la risposta condizionata in modo rilevante dal punto di vista della situazione.

La documentazione che le piante condividano alcune delle preziose capacità di apprendimento degli animali è in aumento ma perché ci è voluto così tanto tempo per capirlo? Forse si possono iniziare a capire le cause eseguendo un piccolo esperimento. Guardiamo insieme questa immagine. Cosa rappresenta?

La maggior parte delle persone risponderà nominando la classe generale di animali presenti (“dinosauri”) e ciò che stanno facendo (“combattendo”, “saltando”) o, se sono fan dei dinosauri, identificando gli animali specifici (“genere Dryptosaurus”). Raramente i muschi, le erbe, gli arbusti e gli alberi nella foto verranno menzionati – al massimo potrebbero essere indicati come lo sfondo o l’ambientazione dell’evento principale, che comprende gli animali presenti “in un campo”.

I ricercatori in ecologia e biologia evoluzionista James Wandersee ed Elisabeth Schussler nel 1999 chiamarono questo fenomeno di non percepire mai le piante come l’evento principale plant blindness cioè cecità vegetale34, vale a dire una tendenza a trascurare le capacità, il comportamento e il ruolo ambientale unico e attivo che svolgono le piante. Noi trattiamo le piante come parte dello sfondo, non come agenti attivi in un ecosistema. Alcune delle ragioni riguardo la cecità delle piante sono storiche. Infatti, siamo postumi di una sbornia filosofica da paradigmi smantellati da tempo che continuano a infettare il nostro pensiero sul mondo naturale. Molti ricercatori scrivono ancora sotto l’influenza dell’influente nozione di Aristotele della scala naturae, una scala della vita, con le piante in fondo alla gerarchia di capacità e valore e l’Uomo al culmine. Aristotele enfatizza la fondamentale divisione concettuale tra la vita vegetale immobile e insensibile e il regno attivo e sensoriale degli animali. Per lui, la divisione tra animali e umanità era altrettanto netta; non pensava che gli animali pensassero, in alcun modo significativo. Dopo la reintroduzione di tali idee nell’educazione dell’Europa occidentale all’inizio del 1200 e per tutto il Rinascimento, il pensiero aristotelico è rimasto prodigiosamente persistente.

Oggi, potremmo chiamare questo pregiudizio sistematico contro i non animali zoo-chauvinismo. Le sue declinazioni sarebbero ben evidenziate, stando a Laura Ruggles, nel sistema educativo35, nei libri di testo di biologia, come documentato da Elisabeth Schussler e colleghi36, nelle tendenze delle pubblicazioni e nella rappresentazione dei media. Inoltre, i bambini che crescono nelle città tendono a non essere esposti alle piante attraverso l’osservazione interattiva, la cura, l’apprezzamento e la conoscenza delle stesse da parte di conoscenti, come appurato dalle ricerche di Jana Fancovicova e Pavol Prokop37.

Le particolarità del modo in cui funzionano i nostri corpi – i nostri sistemi percettivi, attentivi e cognitivi – contribuiscono alla cecità vegetale e ai pregiudizi verso le piante. Le piante di solito non ci saltano addosso all’improvviso, non rappresentano una minaccia imminente né si comportano in modi che ovviamente abbiano un impatto su di noi. I risultati della ricerca al riguardo, come puntualizzano Benjamin Balas e Jennifer L. Momsen38, mostrano che le piante non vengono rilevate con la stessa frequenza degli animali, non catturano la nostra attenzione così rapidamente e le dimentichiamo più facilmente degli animali, al punto che gli studiosi considerano che sia un comportamento adattivo trattarli come oggetti o semplicemente filtrarle. Altrimenti la nostra attenzione non riuscirebbe a gestire tanta informazione nel campo visivo, come potrebbe succedere in contesti ricchi di vegetazione. Inoltre, il comportamento delle piante comporta spesso cambiamenti chimici e strutturali che sono semplicemente troppo piccoli, troppo veloci o troppo lenti per essere percepiti senza strumentazione specialistica, come fa notare nel suo saggio su cosa sia il comportamento delle piante39 Anthony Trewavas, professore emerito presso la School of Biological Sciences dell’Università di Edimburgo, noto soprattutto per le sue ricerche nei campi della fisiologia delle piante e della biologia molecolare.

Poiché noi stessi siamo animali ci risulta più facile riconoscere un modo di fare simile a quello degli animali come comportamento. Recenti ricerche nel campo della robotica indicano che noi umani abbiamo maggiori probabilità di attribuire proprietà come emozione40 intenzionalità e comportamento41 ai sistemi quando tali sistemi si conformano al comportamento animale42 o emulano quello umano. Sembra che, quando decidiamo se interpretare un comportamento come intelligente, ci affidiamo a prototipi antropomorfi. Questo, come puntualizza Laura Ruggles43, aiuta a spiegare la nostra riluttanza intuitiva ad attribuire capacità cognitive alle piante.

Ma il pregiudizio non sarebbe, a parere di Ruggles44, l’unica ragione per cui l’idea della capacità di cognizione del mondo vegetale sia stata respinta. Infatti, al riguardo Ruggles segnala che alcuni teorici, come Paul Struik, Xinyou Yin & Holger Meinke, temono che concetti come “memoria delle piante”45 non siano altro che metafore che offuscano46. Stando a questi ricercatori, quando si prova ad applicare la teoria cognitiva alle piante in un modo meno vago, sembra che le piante stiano facendo qualcosa di completamente diverso dagli animali. I meccanismi vegetali, segnalano, sono complessi e affascinanti ma, nella loro interpretazione questi non sarebbero propriamente meccanismi cognitivi. Per loro sussiste la preoccupazione che si stia definendo la memoria in modo così ampio da essere priva di significato, oppure che cose come l’abitudine non siano, di per sé, meccanismi cognitivi.

Nella teoria della Ruggles47, un modo per sondare il significato della cognizione è quello di considerare se un sistema commercia in rappresentazioni. In generale, lei giustamente sostiene, le rappresentazioni sono stati che riguardano altre cose e possono sostituire quelle cose. Un insieme di linee colorate può formare un’immagine che rappresenta un gatto, così come la stessa parola “gatto” in questa pagina. Gli stati del cervello sono anche generalmente considerati come rappresentanti di parti del nostro ambiente e, quindi, capaci di permetterci di navigare nel mondo che ci circonda. Quando le cose vanno storte con le nostre rappresentazioni, potremmo rappresentare cose che non ci sono affatto, come quando abbiamo allucinazioni. In modo meno drastico, a volte otteniamo cose leggermente sbagliate o travisate. Potremmo fraintendere i testi in modi divertenti, fenomeno a volte chiamato “mondegreen”48 o sussultare violentemente pensando che un ragno ci stia strisciando sul braccio quando si tratta solo di una mosca. La capacità di sbagliare in questo modo, di travisare qualcosa, sostiene Ruggles, è da considerarsi come una buona indicazione che un sistema stia usando rappresentazioni cariche di informazioni per navigare nel mondo; cioè che sia un sistema cognitivo. In questa linea di ragionamenti si può perfino considerare che quando creiamo ricordi probabilmente conserviamo alcune di queste informazioni rappresentate per un uso successivo, diciamo “offline”, utilizzando un linguaggio abbastanza odierno. Il filosofo Francisco Calvo Garzon49 dell’Università di Murcia in Spagna ha affermato che, affinché uno stato fisico o un meccanismo sia da ritenersi rappresentativo deve “rappresentare cose o eventi che sono temporaneamente non disponibili”. La capacità delle rappresentazioni di sostituire qualcosa che non c’è, afferma, sarebbe la ragione per cui la memoria venga considerata il segno della cognizione. A meno che non possa funzionare offline, uno stato o un meccanismo non è genuinamente cognitivo.

D’altra parte, alcuni teorici ammettono che alcune rappresentazioni possono funzionare solo “online”, ovvero rappresentano e tracciano parti dell’ambiente in tempo reale. La capacità notturna della malva di prevedere dove sorgerà il Sole, prima ancora che appaia, sembra implicare rappresentazioni “offline”; altre piante eliotropiche, che seguono il Sole solo mentre si muove nel cielo, implicano, probabilmente, una sorta di rappresentazione “online”. Gli organismi che utilizzano solo tale rappresentazione online, dicono i teorici, potrebbero ancora essere ritenuti cognitivi. Ma i processi e la memoria offline fornirebbero, stando alla Ruggles50, una prova più forte che gli organismi non stanno solo rispondendo in modo riflessivo al loro ambiente immediato. Ciò sarebbe particolarmente importante per stabilire affermazioni su organismi che, intuitivamente, non siamo inclini a pensare siano cognitivi, come le piante.

Potremmo ancora chiederci se ci siano verifiche che consentano di sostenere che le piante rappresentino e memorizzino le informazioni sul loro ambiente per un uso successivo. Come documentano i ricercatori dell’University of Bristol, Dicker, Rossiter, Bond e Weaver, durante il giorno, la malva51 utilizza il tessuto motorio alla base dei suoi steli per rivolgere le sue foglie verso il sole, un processo chiamato turgore che è attivamente controllato dai cambiamenti nella pressione dell’acqua all’interno della pianta. L’ampiezza e la direzione della luce solare . codificata in un tessuto fotosensibile, diffusa sulla disposizione geometrica delle vene delle foglie della malva e conservata durante la notte. La pianta terrebbe traccia anche delle informazioni sul ciclo del giorno e della notte tramite i suoi orologi circadiani interni, che sono sensibili ai segnali ambientali che segnalano l’alba e il tramonto.

Durante la notte, stando alla ricerca di Dicker, Rossiter, Bond e Weaver52, utilizzando le informazioni provenienti da tutte queste fonti, la malva può prevedere dove e quando il sole sorgerà il giorno successivo, se attribuiamo alla malva il linguaggio della rappresentazione dei fenomeni racchiusa nel linguaggio umano. Infatti, non è che la malva parta da concetti come “il sole” o “l’alba” ma memorizza le informazioni sul vettore di luce e sui cicli luce / buio che gli consentono di riorientare le sue foglie prima dell’alba in modo che le loro superfici siano rivolte verso il sole mentre si arrampica verso la luce in alto. Quest’interazione con le onde elettromagnetiche (cioè con l’intensità della luce) consentirebbe alle foglie di questa pianta anche di riapprendere una nuova posizione quando i fisiologi che la studiano scherzano con l’intelligenza della malva cambiandole la direzione della fonte di luce. Nella sperimentazione, quando le piante sono chiuse al buio, il meccanismo di anticipazione funziona anche offline per alcuni giorni. Come altre strategie di foraggiamento, si tratterebbe di ottimizzare le risorse disponibili, in questo caso la luce solare.

Si può asserire, allora, che questo meccanismo di interazione tra la malva e le onde elettromagnetiche conti come una “rappresentazione” che rappresenti parti del mondo rilevanti per il comportamento della pianta? All’avviso dei ricercatori di riferimento53, sì. Una tale posizione consente di supporre che proprio come i neuroscienziati cercano di scoprire i meccanismi nei sistemi nervosi per comprendere il funzionamento della memoria negli animali54, la ricerca sulle piante sta iniziando a svelare i substrati della memoria che consentono alle piante di immagazzinare e accedere alle informazioni e utilizzare quella memoria per guidare il loro comportamento55.

Malgrado la nostra umana cecità vegetale la ricerca stessa inizia a mettere in discussione la nostra riluttanza ad attribuire cognizione alle piante

Le piante sono un gruppo diversificato e flessibile di organismi di cui stiamo appena iniziando a comprendere le straordinarie capacità. Una volta ampliato il panorama della nostra curiosità al di là dei regni animale e persino vegetale – per guardare funghi, batteri, protozoi – potremmo essere sorpresi di scoprire che molti di questi organismi condividono molte delle nostre stesse strategie comportamentali e principi di base, incluso la capacità di apprendimento e memoria.

Per compiere progressi significativi riguardo la conoscenza del mondo vegetale si rende necessario prestare molta attenzione ai meccanismi delle piante. Bisogna essere chiari su quando, come e perchè si utilizzano le metafore. Bisogna essere precisi riguardo alle affermazioni teoriche. E laddove l’evidenza punta in una direzione, anche quando sia lontana dal consenso comune, si dovrebbe seguire con coraggio dove essa conduce. Questi programmi di ricerca sono ancora agli inizi, ma senza dubbio continueranno a portare a nuove ipotesi che sfidano ed espandono le prospettive umane sulle piante, offuscando alcuni dei confini tradizionali che separavano il regno vegetale da quello animale.

Certo, è uno sforzo di immaginazione cercare di pensare a cosa potrebbe significare il pensiero per questi organismi, mancando, come effettivamente accade, la divisione di tradizione cartesiana mente / corpo. Tuttavia, spingendoci oltre queste categorie, potremmo finire per espandere concetti come memoria, apprendimento e pensiero che hanno motivato quest’indagine circa la cognizione nelle piante. Dopo averlo fatto, vediamo che, in molti casi, parlare di apprendimento e memoria delle piante non sia solo metaforico, ma anche pratico. Perciò, la prossima volta che ti imbatti in una malva sul marciapiede che dondola alla luce del sole, prenditi un momento per guardarla con occhi nuovi e per apprezzare la finestra che questa piccola erba offre nelle straordinarie capacità cognitive delle piante.

Malgrado la nostra animale cecità vegetale la ricerca stessa inizia a mettere in discussione la nostra riluttanza ad attribuire cognizione alle piante. Tale cecità riguardo al mondo vegetale fu plausibilmente adattiva, quando era impellente scannerizzare rapidissimamente l’ambiente per individuare un eventualmente animale pericoloso alla sopravvivenza del singolo. Oggi, invece, qualora la “scelta”, o meglio, la “deriva” evolutiva fosse quella della conservazione dei bioti in cui abbiamo prosperato, allora si renderebbero necessari cambiamenti adattivi che ci richiederanno maggiore attenzione relazionale al mondo vegetale per la semplice ragione della salvaguardia dei bioti in cui viviamo ancora come umani.

______________Note _________________

1. Lo studio dell’organizzazione molecolare della cellula nervosa e dei modi in cui le cellule nervose sono organizzate, attraverso le sinapsi (cio. la connessione funzionale tra due cellule nervose o fra una cellula nervosa e l’organo periferico di reazioni), in circuiti funzionali che elaborano le informazioni e mediano il comportamento. Come branca specialistica della biologia relativa allo studio del sistema nervoso e come indicato dal termine stesso, la neurobiologia ruota intorno allo studio dell’unit. fondamentale del sistema nervoso, cio. la cellula nervosa o neurone.

2. Studio scientifico delle funzioni vitali degli organismi viventi, animali e vegetali, in condizioni normali.

3. La cognizione si riferisce all’acquisizione di dati relativi a un determinato campo, conoscenza o consapevolezza.

4. Laura Ruggles. The minds of plants. In AEON, 12 December 2017

5. Ibidem

6. Francisco Calvo Garzòn. The Quest for Cognition in Plant Neurobiology. In “Plant Signaling & Behaviour”, 2(4): 208-211, Jul-Aug 2017

7. Fatima Cvrčkov, Helena Lipavsk, and Viktor Žàrský. Plant intelligence. Why, why not or where? In “Plant Signaling & Behaviour”, 4(5): 394-399, May 2009

8. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

9. Susan A. Dudley, Guillermo P. Murphy , Amanda L. File. Kin recognition and competition in plants. Mechanisms of plants competition. In “Functional Ecology”, Vol. 27, Issue 4, pages 898-906, August 2013

10. Pianta da fiore originaria del Canada e degli Stati Uniti. Cresce in terreni da umidi a bagnati, generalmente insieme all’impatiens capensis strettamente correlato, producendo fiori da mezza estate fino all’autunno.

11. Abdul Rashid War, Michael Gabriel Paulraj, Tariq Ahmad, Abdul Ahad Buhroo, Barkat Hussain, Savarimuthu Ignacimuthu, and Hari Chand Sharma. Mechanisms of plants defence against insect. In “Plant Signaling & Behaviour”, 7(10): 1306-1320, Oct 1, 2012

12. H. M. Appel & R. B. Cocroft. Plants respond to leaf vibrations caused by insect herbivore chewing. In “Oecologia”, vol. 175, pages 1257-1266, 2014

13. Laura Ruggle, op. cit. 12 December 2017

14. Anouk van’t Padje, Matthew D Whiteside, E Toby Kiers. Signals and cues in the evolution of plant-microbe communication. In “Current Opinion in Plant Biology”, Vol. 32, pages 47-52, August 2016

15. Una rete micorrizica (definita anche come Common Mycorrhizal Network o CMN) si crea allorch. gli apparati radicali di due piante sono “colonizzati” dallo stesso fungo micorrizico e quest’ultimo costituisce il “canale di comunicazione” tra i due individui vegetali permettendo il transito di acqua, carbonio, azoto, nutrienti e mediatori chimici.

16. Monika A. Gorzelak, Amanda K. Asay, Brian J. Pickles, Suzanne W. Simard. Inter-plant communication through mycorrhizal networks mediates complex adaptive behaviour in plant communities. In “AoB Plants, Vol. 7, plv050, 2015

17. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

18. Ibidem

19. Trattamento a una temperatura appropriata che, applicato all’apice del germoglio di una pianta nello stato di vita attivo (non durante il periodo di riposo), lo rende adatto a trasformarsi in germoglio riproduttivo (fiorale) nelle condizioni fotoperiodiche convenienti alla specie. La v. ha estesa applicazione in regioni dove il clima freddo e l’inverno molto lungo rendono necessaria una semina ritardata delle colture annuali, come il frumento. Per v. s’intende anche il complesso dei processi chimici che si svolgono nella pianta durante il periodo della vernalizzazione.

20. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

21. Conosciuta anche come l’arabetta comune . una piccola pianta annuale o biennale appartenente alla Famiglia delle Brassicacee, a volte nota semplicemente come Arabidopsis, soprattutto nella comunit. scientifica.

22. Flowering Locus C . un gene MADS-box responsabile della vernalizzazione negli ecotipi a fioritura ritardata di Arabidopsis thaliana. Sul gene FLC . possibile individuare: dominio MADS dominio I dominio K dominio C-terminale FLC . espresso nelle giovani piante sin dalla gametogenesi e inibisce la fioritura. Dopo aver attraversato un periodo freddo, l’espressione di FLC viene inibita e, di conseguenza, la pianta differenzia i tessuti fiorali. La regolazione di questo gene si basa prevalentemente su fenomeni epigenetici e sul controllo trascrizionale.

23. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

24. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

25. Uno dei pi. importanti dogmi della genetica ci insegna che tutte le principali informazioni genetiche che possediamo risiedono nei nostri geni, sottoforma di DNA, il quale viene tramandato di generazione in generazione. Negli ultimi anni la ricerca si . per. concentrata molto sullo studio dell’epigenetica, ovvero la scienza che studia l’effetto che il nostro stile di vita e l’ambiente in cui viviamo esercitano sull’espressione dei nostri geni. Infatti, se . vero che il nostro materiale genetico ci viene trasmesso dai nostri genitori e in quanto tale . immodificabile, risulta altrettanto vero che l’espressione genica (ovvero il processo che consente a ciascun gene di espletare la propria funzione) è un processo finemente regolato ed è influenzato da numerosi fattori esterni. Quindi, ognuno di noi ha un determinato potenziale genetico che ci viene trasmesso dai nostri genitori, ma allo stesso tempo con le nostre scelte quotidiane e il nostro stile di vita si apre la possibilit. di influenzare la nostra genetica. Infatti, l’aria che respiriamo, gli alimenti di cui ci nutriamo, l’acqua che beviamo e l’ambiente in cui viviamo possono modificare profondamente l’espressione dei nostri geni. Una delle novit. scientifiche riguardanti lo studio dell’epigenetica ci viene fornito da una ricerca pubblicata su Science, in cui alcuni scienziati avrebbero scoperto che ad essere tramandato attraverso le generazioni non sia solo il nostro DNA, ma anche le modificazioni che esso subisce nel corso degli anni: non viene trasmessa solo la genetica, ma anche gli effetti epigenetici si possono tramandare da genitore a figlio.

26. Ibidem

27. Per capire quanto sia controversa la questione si consideri che un processo cognitivo . definito come la sequenza dei singoli eventi necessari alla formazione di un qualsiasi contenuto di “conoscenza” attraverso l’attivit. della “mente”.

28. Learning, Memory, and Decision-Making in Plants- the Work of Dr. Monica Gagliano. https://www.youtube.com/watch?v=HxCC7sKOJ64

29. Il termine abitudine viene usato per indicare sia le attivit. motorie, sia le attivit. mentali, che dopo numerose ripetizioni vengono svolte in modo relativamente automatico o, pi. semplicemente, con maggior facilit. e coordinazione.

30. La disabituazione . una forma di risposta comportamentale recuperata o ripristinata in cui la reazione verso uno stimolo noto . migliorata, in contrasto con l’abitudine.

31. Monica Gagliano, Michael Renton, Martial Depczynski & Stefano Mancuso. Experience teaches plants to learn faster and forget slower in environments where it matters. In “Oecologia”, Vol. 175, pages 63-72, 2014 Il sistema nervoso degli animali serve per l’acquisizione, la memorizzazione e il ricordo delle informazioni. Come gli animali, anche le piante acquisiscono un’enorme quantit. di informazioni dal loro ambiente, ma la loro capacità di memorizzare e organizzare le risposte comportamentali apprese non . stata dimostrata. Nella Mimosa pudica – la pianta sensibile – il comportamento difensivo di piegatura delle foglie in risposta a ripetuti disturbi fisici mostra una chiara abitudine, suggerendo una qualche forma elementare di apprendimento. Applicando la teoria e i metodi analitici solitamente impiegati nella ricerca sull’apprendimento degli animali, Monica Gagliano e colleghi documentano che l’abitudine al piegamento delle foglie . pi. pronunciata e persistente per le piante che crescono in ambienti energeticamente costosi. Sorprendentemente, Mimosa pu. mostrare la risposta appresa anche se lasciata indisturbata in un ambiente pi. favorevole per un mese. Questo cambiamento comportamentale appreso relativamente di lunga durata come risultato di precedenti esperienze corrisponde alla persistenza degli effetti delle abitudini osservati in molti animali.

32. Charles I. Abramson and Ana M. Chicas-Mosier. Learning in Plants: Lessons from Mimosa pudica. In “frontiers in Psychology”, 7: 417, 2016

33. Monica Gagliano, Vladyslav V. Vyazovskiy, Alexander A. Borb.ly, Mavra Grimonprez & Martial Depczynski. Learning by Association in Plants. In “Scientific Reports”, Vol. 6, article number 38427, 2016 In ambienti complessi e in continua evoluzione, le risorse come il cibo sono spesso scarse e distribuite in modo non uniforme nello spazio e nel tempo. Pertanto, l’utilizzo di segnali esterni per individuare e ricordare fonti di alta qualità consente un foraggiamento pi. efficiente, aumentando cos. le possibilit. di sopravvivenza. Le associazioni tra i segnali ambientali e il cibo si formano prontamente a causa dei benefici tangibili che conferiscono. Mentre gli esempi del ruolo chiave che svolgono nel plasmare i comportamenti di foraggiamento sono diffusi nel mondo animale, la possibilit. che le piante siano anche in grado di acquisire associazioni apprese per guidare il loro comportamento di foraggiamento non . mai stata dimostrata. Monica Gagliano e colleghi hanno documentato in questo studio che questo tipo di apprendimento si verifica nel pisello del giardino, Pisum sativum. Usando labirinto a Y mostrano che la posizione di un segnale neutro, che prevede la posizione di una fonte di luce, ha influenzato la direzione della crescita della pianta. Questo comportamento appreso ha prevalso sul fototropismo innato. In particolare, l’apprendimento ha avuto successo solo quando si . verificato durante la giornata soggettiva, suggerendo che le prestazioni comportamentali sono regolate dalle richieste metaboliche. I loro risultati suggeriscono che l’apprendimento associativo sia una componente essenziale del comportamento delle piante e perciò concludono che l’apprendimento associativo rappresenta un meccanismo adattivo universale condiviso sia dagli animali che dalle piante. La capacità di scegliere tra opzioni diverse e spesso contrastanti e di prevedere i risultati è un spetto fondamentale della vita. Una forma di comportamento di scelta si basa sullo stabilire un’associazione tra il verificarsi di eventi esterni e l’opportunità di soddisfare i bisogni omeostatici interni, come la fame, la sete o il sonno. L’idea che le scelte siano guidate dall’aspettativa del loro esito gratificante risale ad Aristotele ed . stata ampiamente osservata in tutto il regno animale. Tuttavia, non . noto se questo sia vero anche per le piante. Nel complesso mondo fotosintetico delle piante, la luce gioca un ruolo particolarmente importante nella crescita e nella sopravvivenza. Il suo ruolo . duplice. Da un lato, l’energia luminosa è necessaria per i processi di biosintesi. D’altra parte, la luce fornisce uno spunto temporale per il trascinamento del ritmo circadiano al ciclo di 24 ore, ottimizzando cos. l’adattamento della crescita e del metabolismo alla variazione stagionale del fotoperiodo. Pertanto, la capacit. di rilevare segnali salienti che aumentano l’efficienza nel foraggiamento per la luce . assolutamente essenziale e conferisce un significativo vantaggio evolutivo. Recentemente . stato scoperto che le piante acquisiscono nuovi comportamenti per migliorare l’efficienza del foraggiamento per la luce attraverso il processo di apprendimento non associativo dell’abitudine e, quindi, per facilitare la fotosintesi e la crescita. Tuttavia, non . noto se le piante possano imparare anche formando associazioni.

34. Che siano in un bel parco o in uno sparuto giardinetto urbano, in un paesaggio agreste o boschivo, difficilmente le notiamo davvero: le piante restano per noi in un generico “verde”, come scrive il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso. . il sintomo della plant blindness o cecità Alle piante, un termine introdotto da Elisabeth Schussler e James Wandersee nel 1998, che si riferisce a un bias cognitivo a causa del quale non siamo in grado a vedere o notare le piante nel loro ambiente. Ci. ci porta a sottostimarle, ignorandone l’incredibile importanza per l’ambiente, la salute, l’economia e sfocia in una perdita d’interesse per la loro conservazione.

35. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

36. Elisabeth E. Schussler, Melanie A. Link-P.rez, Vanessa H. Dollo, Kirk M. Weber. Exploring plant and animal content in elementary science textbooks. In “Journal of Biological Education Summer 2010”, (3):123-128, December 2010

37. Jana Fancovicova, Pavol Prokop. Development and Initial Psychometric Assessment of the Plant Attitude Questionnaire. In “Journal of Science Education and Technology”, Volume 19, Number 5, October 2010

38. Benjamin Balas & Jennifer L. Momsen. Attention “Blinks” Differently for Plants and Animals. In “CBE Life Sciences Education”, 13(3): 437-443, Fall 2014

39. Anthony Trewavas. What is plant behaviour? In “Plant, Cell and Environment”, Vol. 32, Issue 6, pages 606-616, 2009 Nella sua argomentazione Trewavas discute la natura del comportamento delle piante e conclude che sia meglio descriverlo come ci. che fanno le piante. La sua ricerca delineata la possibilità che il comportamento della pianta sia semplicemente plasticità fenotipica indotta dal segnale e prende in considerazione alcune limitazioni di questa ipotesi. Gli  ambienti naturali presentano molte sfide alla crescita delle piante e la conseguente segnalazione che le piante percepiscono diventa estremamente complessa. Il comportamento delle piante . attivo, mirato e intenzionale e la sua argomentazione discute alcuni esempi. Gran parte del comportamento delle piante, che riguarda stress ed erbivori, si baserebbe anche su una valutazione della probabilità futura di ulteriori episodi dannosi e sarebbe, quindi, predittivo. Il comportamento delle piante implicherebbe l’acquisizione e l’elaborazione di informazioni. La terminologia computazionale dell’informatica fornirebbe un modo adeguato a incorporare i concetti di apprendimento, memoria e intelligenza nel comportamento delle piante, capacit. alle quali le piante sono raramente accreditate. Infine, i compromessi, le valutazioni costi-benefici e il processo decisionale sono attributi comportamentali comuni delle piante. Le ricerche di Trewavas suggeriscono infine che le valutazioni “intelligenti” che coinvolgono l’intera pianta siano essenziali per ottimizzare queste capacit. di adattamento.

40. Chaminade T, Zecca M, Blakemore S-J, Takanishi A, Frith CD, Micera S, et al. Brain Response to a Humanoid Robot in Areas Implicated in the Perception of Human Emotional Gestures. PLoS ONE 5(7): e11577. 2010

41. Holz, E.M., Doppelmayr, M., Klimesch, W. et al. EEG Correlates of Action Observation in Humans. In “Brain Topography”, 21, 93-99,2008

42. M.rta G.csi, AnnaKis, Tam.s Farag., Mariusz Janiak, RobertMuszyński, .d.mMikl.si. Humans attribute emotions to a robot that shows simple behavioural patterns borrowed from dog behaviour. In “Computers in Human Behavior”, Vol. 59, pages 411-419, 2016

43. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

44. Ibidem

45. La memoria della pianta . la capacità di una pianta di immagazzinare informazioni da stimoli precedentemente sperimentati. Sebbene la memoria sia una parola spesso usata in una luce incentrata sull’uomo, questa definizione di base pu. essere estesa a molti altri organismi che mostrano risposte ritardate a uno stimolo, comprese le piante.

46. Paul C Struik, Xinyou Yin & Holger Meinke. Perspective Plant neurobiology and green plant intelligence: science, metaphors and nonsense. In “Journal of the Science of Food and Agriculture”, 88:363–370, 2008

47. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

48. In linguistica un mondegreen . il fenomeno in cui, a causa di un’errata percezione o interpretazione di una frase, quest’ultima viene scambiata per un’altra omofona. Un mondegreen si pu. produrre per caso o, in modo consapevole, per l’intenzione dell’autore di includere un significato ulteriore o alternativo.

49. Francisco Calvo Garz.n. The Quest for Cognition in Plant Neurobiology. In “Plant Signaling Behavior”, 2(4): 208–211, Jul-Aug 2007

50. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

51. M P M Dicker, J M Rossiter, I P Bond and P M Weaver. Biomimetic photo-actuation: sensing, control and actuation in sun-tracking plants. In “Bioinspiration & Biomimetics”, Volume 9, Number 3, 2014

52. M P M Dicker, J M Rossiter, I P Bond and P M Weaver. Biomimetic photo-actuation: sensing, control and actuation in sun-tracking plants. In “Bioinspiration & Biomimetics”, Volume 9, Number 3, 2014

53. Ibidem

54. Antone Martinho-Truswell. The minds of other animals. In “AEON”, 8 December 2016

55. Laura Ruggles, op. cit. 12 December 2017

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