BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIV • Numero 54 • Giugno 2025
Fuggiti gli dei, la robotica è tra di noi
L’età robotica è qui e non c’è ritorno. Dal modo in cui cresciamo i nostri figli, in cui vengono impostati i nostri ambienti di lavoro, dal modo in cui approcciamo i nostri governi e persino le nostre guerre, la società delle soluzioni rapidi e risultati immediati sta, a parere di una cerchia di studiosi, sconvolgendo il nostro mondo storico con il suo carico di valori ereditati dall’umanesimo.1 Mentre alcuni dei risultati di questo assalto sono, dal punto di vista della norma di vita sociale dominante, considerati benefici, altri, invece, vengono ritenuti, da raggruppamenti sociali contrapposti, mortificanti, come oggi è ritenuta la dipendenza da smartphone, l’intrattenimento elettronico, la sostituzione delle comunicazioni faccia a faccia con la messaggistica istantanea e la sostituzione delle controversie con manipolazione dei media e armi automatiche guidate da ideologie. Presto dovremo addirittura, si azzarda ad affermare Kirk Schneider,2 portavoce di spicco della psicologia esistenziale-umanistica contemporanea,3 affrontare la sostituzione dei nostri corpi con sostituti meccanici, persino replicanti, nella nostra corsa precipitosa verso l’invincibilità.
Perché mi ritrovo nel giudizio espresso da Kirk Schneider,4 quest’articolo si concentra su ciò che, stando all’opposizione di questa invincibilità robotica,5 si perde in questo delirio della corsa verso l’imbattibilità. In effetti, il mio tono non è tanto di oppormi alla robotica ma quella di essere consapevole di ciò che queste ultime generazioni umane stano perdendo, imparando ad assistere alla fine di una specie.
Senz’altro, si può affermare che tale grandiosità o presunzione della robotica non derivi solo dalle nostre macchine, ma perfino dalla nostra stessa carne, dalla nostra formazione, può darsi, anche dalla metaforica polvere o pure dal simbolico fango, ma, in qualsiasi modo, dall’attuazione della nostra hybris6 nella nostra avventura della vita in continua evoluzione. Schneider, comunque, a ragion veduta, osteggia il nostro delirio, indicandoci, paradossalmente, che la mistica dello stupore è anziché l’arroganza, l’umiltà e la meraviglia, oppure la sensazione di avventura nella vita.
Questa travolgente corsa verso l’invincibilità, in questo particolare momento storico con la mise en scène dall’oligarchia tecnologica finanziaria, potrebbe essere intesa, suggerisce Schneider,7 ed esperita perfino come esperienza totalizzante della propria piccolezza di fronte alla vastità di ciò che intuiamo come universo e realtà, insieme al disagio, alla riverenza e al fascino che ne conseguono. In ogni modo, la posizione ideologica di Schneider nel suo insieme, è che l’esperienza dello stupore, costituisce una delle poche sensibilità trascendentali che catturea la piena intensità delle nostre vite vulnerabili e tuttavia resilienti.8
Gli obiettivi di quest’argomentazione nascono, spiega Schneider,9 dal riconoscimento che mentre lo sviluppo della rivoluzione agricola, nel corso di migliaia di anni, ha albergato la graduale coevoluzione di valori e tecnologia, la rivoluzione tecnologica post-industriale risulta così accelerata per l’adattabilità della specie umana che, infatti, non c’è stato poco – o nessun tempo – per una coevoluzione dei valori.
Per affrontare questo problema, le argomentazioni qui raccolte cercano, umilmente, di stimolare una conversazione sulla coevoluzione tra tecnologia e valori che riesca a bilanciare il passo dell’umano con gli sviluppi contemporanei nella macchina e nel mercato. In questa conversazione, sostengono gli studiosi consultati per la stesura di quest’articolo, le psicologie indigene dovrebbero svolgere, necessariamente, un ruolo centrale per due motivi: in primo luogo, come sistemi di pensiero alternativi, consentono un interrogativo fecondo sulla razionalità della macchina e del mercato, in relazione alle aspettative esistenziali di svariate antropologie, culture e popolazioni; in secondo luogo, gli esempi dell’impatto della tecnologia e del mercato sulle società tradizionali contengono lezioni per potenziali impatti futuri sulla società nel suo complesso. Auspico che questo lavoro, quanto basta opportuno, offra intuizioni fresche che piacciano a studenti e studiosi di psicologia, di studi culturali e, perfino, a religiosi, a studenti di antropologia, addirittura di economia e commercio e, ugualmente, agli studiosi di materie scientifiche e tecnologiche, così come al pubblico generale che ci segue.
Chiarimento concettuale dell’idea dello stupore allo stato originale
Prima, però, di passare all’argomento, sostenuto da studiosi come il portavoce di spicco della psicologia esistenziale-umanistica contemporanea, sulla necessità dell’esperienza dello stupore nella società robotizzata, vorrei chiarire, subito, che con l’esperienza dello stupore allo stato integrale non intendiamo uno stato di evasione dove svanisce l’ansia. In effetti, nel suo ultimo libro, Schneider sostiene che l’ansia che migliora la vita10 è la chiave per un mondo più sano. L’ansia che migliora la vita costituisce una proposta audace. Schneider sostiene che non è meno di un’ansia indeterminata di cui avremmo bisogno oggi, ma almeno di un tipo più specifico di ansia.11 Infatti, nel suo ultimo libro Life-Enhancing Anxiety: Key to a Sane World, Kirk Schneider si avvicina su ciò che lui stesso chiama ansia che migliora la vita. L’ansia che migliora la vita sarebbe il grado rinvigorente di ansia necessario per im- pegnarsi appassionatamente, per essere, eticamente, in sintonia e arricchirsi creativamente.
In contrapposizione ai nostri tempi in cui si evita l’ansia, l’ansia che migliora la vita, nei termini intesi da Schneider, sarebbe l’ansia che ci consente di vivere e trarre il meglio dalla profondità dell’esistenza e dal suo evento inspiegabile.12 Stando a lui, il potenziale per l’ansia che migliora la vita inizierebbe al momento della nascita, nel punto in cui passiamo dalla relativa inesistenza e unità all’improvvisa, brusca esistenza e disunione.13 Questa congiuntura è sia scoraggiante che meravigliosa. Tuttavia, è la gestione della congiuntura da parte sia dei tutori, che della cultura in generale, che risulta, in definitiva, estremamente importante. E questo, nell’interpretazione di Schneider14 accade perché è l’andamento di questa gestione a costituire il basamento della nostra capacità di vivere, intimamente, o di sfiorare solo la superficie, di raggiungere il coraggio o di cercare rifugio in espedienti.
In questa sua argomentazione Schneider15 prosegue elaborando quest’arco evolutivo e applicandolo a una serie disfide personali e sociali. Tra queste sfide ci sono la lotta con l’ansia che migliora la vita, vale a dire il ruolo dell’ansia che migliora la vita nella coltivazione di un senso di soggezione, cioè di umiltà e meraviglia, verso tutta l’esistenza; il ruolo dell’ansia che migliora la vita nelle arti, nonché l’attuazione all’interno della disciplina della psicologia; senza dimenticare la sua applicazione alle crisi sociali e politiche, in particolare guerra e violenza. Schneider, infine, considera che, con la sua ricerca pertinente sull’ansia che migliora la vita, egli può riassumere le implicazioni dell’ansia che migliora la vita per un mondo più sano, sostenibile e informato sulla soggezione. Comunque, fuggiti gli dei, l’ansia, la robotica sono tra di noi. Dunque, comprendere l’ansia e la robotica costituiscono un imperativo per ciò che Schneider chiama un mondo più sano.
Può darsi che anziché di TV abbiamo bisogno di stupore allo stato originale
In un riassunto del suo pensiero, di novembre 2024, Kirk Schneider,16 come precedentemente reiterato, portavoce di spicco della psicologia esistenziale-umanistica contemporanea, la cui struttura fondamentale dell’esistenza come essere-nel-mondo (Dasein), inaugura una nuova concezione antropologica (in sostituzione della concezione cartesiana, dove una soggettività pura si rapporta a puri oggetti), in cui l’uomo viene visto come creatore di un mondo personale di valori e di significati.
Con il suo il saggio We need raw awe,17 Schneider [Abbiamo bisogno di uno stupore allo stato selvatico] propone un esperimento mentale. Schneider ci riporta agli anni 60’ nella serie TV creata da Rod Serling Ai confini della realtà,18 vale a dire una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità; la regione intermedia tra luce e oscurità, tra scienza e superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere, cioè la regione dell’immaginazione, una regione che potrebbe trovarsi Ai confini della realtà. Ogni episodio della serie era presentato da Serling, che introduceva lo spettatore nella vita di una persona che stava per cambiare a causa del suo ingresso nella zona “ai confini della realtà”. Il format consisteva nelle suggestioni che Serling annunciava al partecipante che seguiva più o meno questo discorso:
- E se ti dicessi, con la voce di controllo inquietantemente commovente, che stai per partecipare a una grande avventura, che stai per sperimentare lo stupore e il mistero dell’universo in questo viaggio ai confini della realtà?
- E se ti dicessi che conoscerai molti esseri, creature e sperimenterai delle sensazioni strane e meravigliose lungo il tuo cammino, che scoprirai nuovi colori, forme e consistenze, che entrerai in contatto con campi e alberi e con persone provenienti da una vasta gamma di background, giochi, veicoli, animali rinvigorenti, con il tocco del fango e della carne, cibi dolci e salati, nuovi compagni, con l’esperienza dell’amore e dell’amicizia, della rabbia e del dolore, della solitudine e della contemplazione.
- E se ti dicessi che tutte queste esperienze porteranno a nuove idee, creazioni e relazioni … a una personalità con scelta e possibilità, così come limiti e apprensioni e che questi limiti e apprensioni indicheranno un vasto background di cielo e coscienza, uno sfondo che ti darà la sensazione di essere parte di qualcosa di molto più grande di te?
- E se ti dicessi che sarai in grado di provare le stesse sensazioni che provavo io quando avevo 12 anni, sdraiato su una spiaggia vicino a New York City nel 1968, disteso sulla sabbia con il vento tra i capelli e le onde che mi lambivano i talloni, appena uscito dall’acqua dove facevo bodysurf e saltavo sulle onde a mio piacimento. Era una scena in cui io e mio padre e orde di altri bagnanti ci riunivamo attorno alle radio a transistor ascoltando canzoni come “Time of the Season” degli Zombie.
- E se ti dicessi, inoltre, che sarai in grado di tenere Grandi Conversazioni in questa avventura, come ho fatto io con mio padre su quella spiaggia, che avrai la possibilità di fare qualcosa di creativo, di amare profondamente e di contribuire alla Grande Catena dell’Essere partendo dai tuoi primi antenati e finendo con te e i tuoi. E, infine, cosa succederebbe se ti dicessi che ti verrà data una tela sostanzialmente bianca su cui “dipingere” o “scrivere” la tua storia, e che puoi farlo nel corso di decenni, con tutte le risorse che una mente e un cuore umano possono offrire?
- Vorresti andare? – Saresti disposto a racimolare tutto il possibile per far parte di questo viaggio? – O lo sprecheresti, ti impegneresti in chiacchiere inutili, ti trascineresti attraverso routine meccanizzate e ti diletteresti in relazioni superficiali?
Civiltà di tecno-vessati e conseguenze nella condizione umana relazionale
Schneider utilizza queste domande, al congiuntivo, per introdurre una sua forte presa di posizione. Per lui, oggi, grazie soprattutto alle nostre tecnologie, le persone intraprendono la seconda strada nella vita per la maggior parte del tempo. Oggi, secondo la sua lettura, stiamo rapidamente diventando TECNO-VESSATI, termine da lui utilizzato per descrivere e concettualizzare la graduale ma implacabile seduzione della vita computerizzata.19 In tale contesto la cosiddetta Pandemia di Covid-19 avrebbe semplicemente accelerato una tendenza: molti di noi siamo ora più intimamente connessi agli smartphone che alle relazioni non mediate con le persone.20 Il risultato netto di questa vita isolata sullo schermo, è, sostiene Schneider, che le relazioni con noi stessi e con gli altri assumono una nuova tonalità. Innanzitutto, viviamo in un mondo che è più prevedibile del mondo crudo delle relazioni faccia a faccia.21 In secondo luogo, viviamo in un mondo che, almeno in superficie, sembra più controllabile di quest’ultimo mondo reale di incontro diretto tra persone. E in terzo luogo, viviamo in un mondo che, per molti, è molto meno vincolante di una relazione dal vivo, sia fisicamente che emotivamente.
Quali sarebbero gli effetti di uno scenario di disimpegno del genere? Eccone diversi. Per Schneider22 si renderebbe molto più facile, almeno apparentemente, vivere isolati dalle altre persone. Diventa molto più facile sviluppare un rapporto con un leader, un partito, una dottrina – o, per estensione, uno show televisivo (o una serie di show) – e uno stile di vita passivo-recettivo che vivere in contatto diretto con le persone, con lo scambio di idee, con la diversità di prospettive, con la meraviglia e la sorpresa, e con verità inquietanti, ma potenzialmente edificanti sulla vita.
Inoltre, diventa più facile vivere virtualmente – attraverso giochi, spettacoli, personaggi video, schermi da cinque pollici (e a volte da 75 pollici!) – che vivere direttamente, senza barriere, senza accordi prestabiliti, senza giochi o distanza fisica e psicologica. La vita virtuale rende anche più facile raggiungere illusioni di grandezza – come il ragazzo o la ragazza con più visualizzazioni sulle loro foto Instagram, o la persona con più visualizzazioni per un tweet intelligente. Il potere in queste situazioni sarebbe enorme, eppure si tratta spesso di questioni banali, a meno che la disinformazione non stimoli al tentativo di impossessarsi di governi o semplicemente diffonda odio razzista.
La considerazione di Schneider, sotto quest’aspetto, suggerisce che il risultato degli incontri mediati attraverso dispositivi potrebbero diventare benigni in singoli casi, ma, collettivamente, sarebbero allarmanti. La domanda filosofica e di bio-politica più ampia, al riguardo, sarebbe dove stiamo andando con tali incontri? In che modo stanno influenzando la nostra capacità di amare, di essere presenti gli uni agli altri, di capire cosa conta, davvero, di noi stessi e della vita? Che impatto stanno avendo sulle capacità umane in generale, ma, in particolare, su quelle che ci darebbero un senso di integrità e di esperienze di vita complete? O sarebbero, questi, interrogativi che appartenevano al mondo umano ma che oggi non riguardano più al post-human?
La questione dell’autenticità
Sotto quest’aspetto relativo al tipo di esistenza che stiamo conducendo, Schneider23 si pone una domanda inquietante concernente la questione dell’autenticità. Infatti, possiamo chiederci e dubitare con lui stesso se una relazione online sia onesta, aperta e palpabile quanto una relazione faccia a faccia. Ci si può ugualmente chiedere, ammettendo un’atavica memoria animale, se l’assenza di gusto, tatto, olfatto (o sangue, sudore e lacrime, per quel che conta) possa fare la differenza nella qualità di ciò che si sperimenta.24 L’immersione in un videogioco o in una chat room si può omologare alla stregua di giocare a una partita su un campo erboso bagnato o di riunirsi con un gruppo di persone. O anche, ci si può interrogare, in modo piuttosto intrigante, se l’impegno dell’intelligenza artificiale e dei dispositivi che operano tramite algoritmi per creare libri, articoli, opere d’arte si può ratificare come le persone che ispirano quei prodotti.
L’ansia e la vulnerabilità sono necessarie per commuovere profondamente le persone oppure le macchine possono replicare, per davvero, quell’effetto attraverso l’auto-programmazione. Questi sono interrogativi vitali, riflessioni imperative, a cui non si può, stando a Schneider, rispondere in modo sostanziale tramite sondaggi o studi quantitativi. Le risposte a queste interrogazioni, suggerisce Schneider25 devono essere ricercate nelle arti e nelle descrizioni attente dalle esperienze vive e respiranti delle persone.
In un tentativo di spiegarsi con migliori risultati, Nel film The Whale (2022),26 un insegnante di letteratura di 272 chili (interpretato da Brendan Fraser) chiede a coloro, a lui cari tra cui sua figlia, la sua infermiera, un evangelista nervoso e la sua classe di letteratura, di mettere da parte per un momento le loro routine quotidiane e di essere semplicemente onesti. Essere onesti con sé stessi, con lui e con la società e cercare di vivere la vita con piena consapevolezza del fragile, momentaneo barlume che abbraccia. Quest’invito mi sembra anziché una sollecitazione a carattere intellettuale una richiesta quasi dottrinale perché Schneider sostiene che se si riesce a vivere in questo modo, il protagonista, scoprirà un mondo nuovo e fresco, un mondo nuovo ed energizzante, dove le persone possono, in una sorta di paradiso promesso, davvero vedersi e sentirsi, a vicenda, e le priorità tendono ad allinearsi con i cuori. L’ironia, naturalmente, è che, mentre si rendeva conto di quanto avesse, profondamente, sprecato le sue possibilità di vita e di aver, letteralmente, fatto carriera, nascondendosi, stava, verosimilmente, parlando a sé stesso, chiedendosi di essere sincero con sé stesso.
La vita setacciata delle machine effettivamente nobilita la vita: il post-human
Da una prospettiva umanistica, interrogarsi, paradossalmente, sul post-umano,27 sarebbe come interrogarsi su come e in che misura, la vita filtrata dalle macchine gratifichi e nobiliti la vita. Tali domande non hanno alcun significato né alcun senso. In effetti, con il termine post umano si è venuti a definire un tempo storico non soltanto tecnologico ma perfino filosofico nel quale la natura biologica del corpo dell’uomo, ivi compreso il cervello, non esaurisce il limite delle possibilità dell’essere umano. Anzi, per questa filosofia, tale natura può e dev’essere superata attraverso l’implementazione sul corpo biologico di protesi tecnologiche. Sebbene il film The Wales, abbia molte sfaccettature coinvolgenti, il suo accento sull’autenticità e sul grido di contatto, crudo e diretto all’interno e tra le persone, non potrebbe essere più rivelatore. In questo senso, il film andrebbe letto come un’opera d’arte attuale che ci mette in guardia non solo su isolati episodi di falsità, ma sullo stato della nostra società. Questo film, in effetti, costituisce un racconto ammonitore sui molti modi in cui possiamo nasconderci oggi, amplificati dalle soluzioni incantate dalla tecnologia, indotte da droghe e da ideologie che ci circondano.
Al prezzo dell’autenticità, Schneider ci invita a vagliare se la graduale ma continua seduzione della nostra vita computerizzata di tecno-vezzi, non potrebbe, perfino, esigere un prezzo dalla dignità umana. Una tale ponderazione, solleverebbe, l’ineludibile argomento etico di in che misurala vita mediata e, di conseguenza, vincolata alla macchina gratifichi, ed in effetti, nobiliti l’esistenza umana. All’infuori del dubbio intellettuale – e perfino atavico – di spegnimento fisico e psicologico della vita definita nell’umanesimo e approvata da tanti di noi, vecchie generazioni, è lecito interpellarsi, se questa seduzione che la vita computerizzata da tecno-vezzi potrebbe sostituire il senso di soddisfazione che le persone, aggiustate nel mondo reale, provano quando acquisiscono un’abilità o raggiungono un’intuizione. O anche, possiamo, con coerenza, interpellarci se un’opera realizzata dall’intelligenza artificiale potrebbe eguagliare l’eloquenza, intimamente umana, da quella realizzata da un Beethoven o da un Rembrandt. Mentre questi sono quesiti da approfondire, forse l’interrogativo più angosciante, in quanto specie, è quello che ci attanaglia e ci reclama, nella pelle e nel profondo dei circuiti automatici dei nostri comportamenti, cioé: – cosa succede quando la passione (sangue sudore lacrime) diventano obsolete per grandi opere, relazioni o competenze. I prodotti che ne risultano sono similmente privi di passione, pure se sotto l’aspetto tecnico superbi. In questo ordine di idee, perfino, possiamo interpellarci su come si senta gratificato l’agente di tali prodotti qualora la sua umanità alienata offre per davvero poco o nessun contributo alla creazione dei prodotti.
Infine, dopo questa descrizione con le sue domande ammutolenti, ancora Schneider ci richiama a fare il punto con la questione del potere e ci chiede se il transumanesimo, movimento associato al futurista Ray Kurzweil, che sostiene che l’ingegneria genetica, la nanotecnologia e la robotica siano la strada per la perfettibilità della vita umana, sia un’illusione o invece una realtà. Stando a Schneider,28 dal punto di vista del mito americano consacrato dal tempo, e in particolare capitalista, questa fase dell’evoluzione della specie umana è già, in modo sicuro, una realtà. Ma, seguendo Schneider,29 dal punto di vista di una visione tuttora umanista della specie e dal punto di vista di un’interpretazione filosofica umanistica, questo periodo dell’evoluzione della storia umana non sarebbe affatto diversa.
Per spiegarci questo suo punto di vista, Schneider risale al film Metropolis di Fritz Lang presentato al pubblico per la prima volta nel 1927 e che, paradossalmente, già raccontava della presa di controllo della società da parte delle macchine, ben noto ancora. Ma, per Schneider,30 meno nota, ancorché prevedibilmente giacente, più in profondità nel DNA psicologico della vita urbana effettiva, all’epoca del film di Lang, era l’ossessione pressoché reverenziale per i dispositivi. Dal suo punto di vista, basta che prendiamo in considerazione alcuni paragoni, che hanno elevato l’industria a uno status quasi religioso negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo.31 Rincorriamo il suggerimento di Schneider32 iniziando con la rappresentazione del ponte di Brooklyn da parte dell’artista Joseph Stella quale nuova DIVINITÀ alla soglia di una NUOVA RELIGIONE. Poi, possiamo considerare come gli edifici alti siano stati soprannominati CATTEDRALI DEL COMMERCIO e il CAPITALISMO LA RELIGIONE DEGLI AFFARI. Le raffigurazioni delle ciminiere sono state descritte dal pittore Charles Demuth come l’incenso di una nuova chiesa e il presidente degli Stati Uniti Calvin Coolidge osservò che l’uomo che costruisce una fabbrica costruisce un tempio ed ancora che l’uomo che ci lavora, la adora. Dopo questo breve elenco di incise osservazioni e interpellanze, Schneider ancora si interroga, mordacemente, se fosse, davvero, questa l’imbarazzante base su cui ci siamo degnati di modellare il nostro futuro.
Eppure, sembra esserci un numero crescente di persone, che aderiscono a Kurzweil e al suo transumanesimo. Dal punto di vista umanista, Schneider, tuttavia, considera, finemente, che si può argomentare che questi sostituti della religione, della pietà e del controllo siano illusori.33 Ed aggiunge, che non sono solo illusori a causa del prezzo pagato per la perdita della nostra umanità, bensì perché il valore dell’idea di un Dio o il valore della perfettibilità oppure il valore della verità costituiscono costrutti sociale – illusori di per sé. E finché non otterremo l’onniscienza, finché la nostra coscienza non sarà pari all’infinito, saremo sempre vulnerabili, inadeguati a un certo livello. La storia di narcisisti e imperi, con i piedi d’argilla, ha solo sottolineato questa prospettiva.
Quindi, da una posizione umanista, dovremmo interrogarci come ci avviciniamo all’umanità tormentata dalla tecnologia in cerca di perfezione che sta celermente invadendo in questo momento. Sotto quest’aspetto, Schneider si interroga su quale potrebbe essere l’antidoto a ciò che lui chiama34 robotismo, o la trasformazione degli umani in macchine.
Sebbene, a livello sociale, non ci sia chiaramente alcun antidoto al problema della robotizzazione con il quale stiamo pagando la perdita della nostra umanità acquisita, c’è una sensibilità, anch’essa in crescita, che, a parere di Schneider, contrasta potentemente la tendenza robotica. Secondo la sua teoria questa sensibilità è lo stupore. Ma tale stupore a cui si riferisce può avere delle connotazioni moltocfeticistiche. Schneider pensa allo stupore35 come all’umiltà e alla meraviglia, o al senso di avventura, verso la vita.
Kirch Schneider: la sensibilità dello stupore sovvertie la vita meccanizzata e richiede che viviamo nel presente, schiettamente e con un’apertura radicale
Lo stupore nei termini di Kirch Schneider viene definito come un senso di vastità che sfida l’adattamento. In qualunque modo lo si definisca, la sensibilità dello stupore sovverte la vita meccanizzata. Richiede, nei termini della sua filosofia, che siamo capaci di vivere nel presente, spontaneamente e con un’apertura radicale. Detto questo, Schneider ci avverte che una delle sfide che va affrontata, se si vuole proprio fare esperienza dello stupore, è di uscire dalla sua tradizionale presentazione, inquadrato spesso come un atto o un sollevamento a breve termine. Questa è la ragione che porta Schneider a distinguere36 tra la scossa di stupore a breve termine, o ciò che lui chiama stupore ad ebollizione rapida, e la forma di stupore a lenta cottura che cambia la vita.
La forma di stupore a ebollizione rapida, sostiene Schneider, tende a collegarsi ad attività come escursioni nei boschi, innamorarsi intensamente, assumere una droga che altera la mente, praticare uno sport intenso e viaggiare in luoghi esotici. Lo stupore a lenta ebollizione, d’altro canto, è quello che trasforma l’energia esaltante dello stupore a ebollizione rapida in qualcosa di duraturo, come restare aperti allo scenario scoraggiante di ogni giorno, creare uno stile di vita di meraviglia e scoperta, immergersi a fondo in un progetto oppure in un mestiere e impegnarsi, costantemente, con la poliedricità della vita, che si sveli nel lavoro o nella vita amorosa, nell’educazione dei figli, nelle amicizie o nella comunità più ampia di cui si fa parte.
Erik Schneider nella sua già citata opera,37 Life-Enhancing Anxiety: Key to a Sane World, ipotizza che ci sia una qualità d’ansia che ci consente di vivere e di trarre il meglio dalla profondità e dall’evento inspiegabile dell’esistenza. In questa luce, lo stupore a lenta ebollizione è ancora, in qualche modo, contro-culturale perché sfida il nucleo stesso del nostro meccanismo socioeconomico, vale a dire, il modello di soluzioni rapide & risultati immediati – a cui sarebbero legate molte delle nostre vite. Anche di questo modello abbiamo così tanti esempi come le escursioni fugaci nella magnificenza. Sarebbero esemplificate da impegni come i nuovi viaggi spaziali38 tra miliardari, oppure i parchi di divertimento in continua espansione e i film generati al computer. La domanda difficile che al riguardo ci pone Schneider è se queste botte di stupore sono sistemicamente sostenibili a lungo termine. O invece, dovremmo interrogarci se esse conducano, significativamente, nella specie a una vita gratificante e trasformata. L’interpretazione di quest’euristica esperienziale non è così chiara nel suo impatto nell’umano e non lo è nemmeno la questione se lo stupore rapido diventerà solo un’altra merce in mezzo all’eccesso di prodotti che ci circondano, e inciderà poco o nulla per influenzare il nostro modo di vivere generale. Potrebbe non aiutare molto, se siamo incantati da gadget fantastici e modi fantastici di trascorrere un fine settimana, ma il problema che rimane e che non siamo in grado di raggiungere quell’incanto nelle nostre case, nei nostri luoghi di lavoro e nei nostri rapporti quotidiani con le persone.
Schneider presenta una posizione chiara al riguardo. Lui non condanna il movimento verso la coltivazione di una trepidazione reverenziale rapida. Alla fine si tratterebbe di un progresso reale e potente rispetto all’orientamento all’efficienza routinaria della vita robotica. È, addirittura, semplicemente, potenzialmente potrebbe trattarsi di un passo imperativo verso la coltivazione dello sbalordimento reverenziale a lungo termine e in grado di cambiare la vita, sia per gli individui che per la società in generale. Il problema, tuttavia, è che siamo così esposti alla mercificazione nella nostra cultura e nella conversione di riforme sostanziali in elisir opportuni, che, secondo Schneider,39 dobbiamo rimanere sempre vigili sul percorso più ampio che è imperativo per noi.
In poche parole, se lo stupore o il timore reverenziale può essere un’esperienza che cambia la vita e deve comprendere qualcosa troppo spesso presente e, contemporaneamente, parecchio trascurata nel mondo preconfezionato di oggi: l’ansia e, in particolare, l’ansia, di cui parla Schneider addirittura migliora la vita. L’ansia che migliora la vita è un’ansia rinvigorente. È l’ansia che ci consente di vivere e sfruttare al meglio la profondità e il fatto incomprensibile dell’esistenza.40 Ci consentirebbe, ugualmente, di vivere e trarre il meglio dai paradossi dell’esistenza, come la nostra capacità di meravigliarci e fare scoperte nel mezzo dell’apprensione e persino del terrore. Troppo spesso, ci avverte Kirch Schneider41 però, ignoriamo i paradossi dell’ansia e non riusciamo a fare il lavoro necessario per andare sotto la superficie della vita, per svelare le domande più piene e profonde dell’esistenza.
Tra questi interrogativi nel suo elenco,42 ci sonro delle domande importunanti del tipo – dato lo spettro della morte, come si è disposti a vivere? O anche – qual è lo scopo e il significato della propria vita, della vita della propria cultura? O anche, ancora più tormentante, dal mio personale punto di vista di curatore, – come plasmiamo noi stessi e le nostre società, in modo da poter perseguire ciò che amiamo? O invece, – come evitiamo la guerra e la tirannia, il sessismo e l’intolleranza? Per Schneider,43 queste sono solo certe delle richieste che lo stupore, che migliora la vita, a parer suo – che cuoce a fuoco lento – può suscitare in noi ma che uno stupore più commerciabile – che bolle in fretta – potrebbe troppo facilmente trascurare.
Per farci capire meglio la sua posizione umanistica dinnanzi alla robotica e al transumanesimo, Erich Schneider44, argomenta che mentre il timore reverenziale rapido [quick-boil awe] si concentrae, maggiormente, sugli aspetti palesi e misurabili dello stupore reverenziale, come la frequenza della pelle d’oca che si sperimenta, oppure la posizione dell’attivazione cerebrale, o anche il grado di comportamenti pro-sociali durante l’attività che induce allo stupore reverenziale rapido, lo stupore reverenziale lento costituisce un’esperienza molto più stratificata e sfumata. In particolare, accenna Schneider,45 il disagio, dell’apprensione, se cercassimo oltre la superficie del timore reverenziale lento, con una certa attenzione facilmente osservabile, spesso troveremmo nascosto lo stupore e persino il terrore.
In parole più semplici, succede, stando a Schneider, che quando sbucciamo gli strati del timore/stupore reverenziale lento, spesso possiamo trovare un’esperienza allucinatoria della morte, o il complesso simbolo della morte, come lo avrebbe così definito Ernest Becker in The Denial of Death (1973).46 Si consideri, suggerisce E. Becker, a mo’ di esempio, come il complesso simbolo della morte, o l’infondatezza e l’impotenza della nostra condizione, incombe, in modo duraturo, nell’arte classica: pittura, musica e letteratura. Questo perché, da una prospettiva umanistica e romantica, l’elemento della morte incomberebbe e intensificherebbe gli elementi di grazia, bellezza e compassione che esemplificano tale opera. Intensificherebbe la commozione di un Rembrandt o di un Van Gogh; il rapimento di una Nona di Beethoven o della Quinta sinfonia di Mahler; la vivacità di uno Zorba il Greco; e la nobiltà di una Kirsten Dunst nel magistrale film di Lars von Trier Melancholia (2011).
Psicologia esistenziale-umanistica contemporanea: la morte incombe amplificando la quotidianità
Kirk Schneider, voce di spicco della psicologia esistenziale-umanistica contemporanea, racconta nel suo saggio We need raw awe,47 [Abbiamo bisogno di crudo stupore] che nella sua vita, pensa a tutti gli strati di soggezione a lenta cottura quando nuota nell’oceano con suo figlio. Riflette sullo splendore del sole sulla loro pelle scintillante; sul ritmo e la potenza delle onde mentre si immergono; sul vigore e il gioco del momento; sulla compagnia di un amico che li accompagna; sulla sensazione di essere vivi e sani; sulla vicinanza che sente con suo figlio mentre realizza il miracolo della loro connessione, sul loro legame. Sarebbe infame, da parte mia, semplice curatore di quest’argomentazione, interrompere la bellezza del suo racconto. In effetti, Schneider ci confida che quando lui svela davvero quello scenario oceanico, sente la risonanza del tempo trascorso con suo padre nell’oceano; il gioco sfrenato e l’eccitazione di quei momenti, ma anche il disagio di quanto siano passati in fretta e di quanto celermente pure suo padre sia morto, nonostante la sua presenza robusta. Questo lo porta a riflettere sulla grande catena dell’essere tra lui, suo figlio, suo padre, sua madre, i suoi zii e zie, suo nonno e sua nonna e i suoi bisnonni, fin da quando riesce a ricordare, e su quanto lui sia riconoscente per le loro storie e le loro offerte che avrebbero condotto lui a questo momento su un mare agitato. La sua coscienza si estende ancora di più mentre osserva quel vasto e indefinito paesaggio marino, acutamente consapevole di quanto siamo tutti minuscoli e di quanto siamo sbalorditi dalla sua forza. E, dietro tutto questo, la morte, l’infondatezza e l’impotenza, il grande rebus, incombono come un miasma, colorando e intensificando ogni mossa. Secondo Schneider, l’ombra della morte non può separarsi dall’amore che lui prova, e che immagina proverebbero tutti in quella festa sull’oceano.
Nel suo racconto del bisogno del crudo stupore, Schneider ci ricorda che la consapevolezza che un passo troppo lungo, un attacco di squalo, uno scivolone siano molto più probabili di quanto ci aspettiamo nella vita di tutti i giorni. Ogni mossa concentra tutto, consacra tutto. In quei momenti, lui annuncia che prova amore, tanto o più che in qualsiasi altro momento della sua vita. E questo è il suo modo di parlare della vulnerabilità dell’amore, sicuramente per suo figlio, ma anche per il suo amico, per l’umanità, per la vita.
Ma quel pericolo fisico non deve essere presente per pro- vare un timore reverenziale a lenta ebollizione, sostiene Kirk Schneider.48 Lo prova nell’amore per suo fratello, ad esempio, nei molti orizzonti di enigmi che circondano la loro relazione. Questi orizzonti abbracciano background culturali, eredità religiose e lignaggi familiari parecchio diversi. Si sovrappongono in alcuni punti ma divergono ampiamente, profondamente e attraverso decine di secoli e migliaia di miglia. Questi orizzonti possono essere individuati nei molti miti che accompagnano la nostra educazione: le storie di eroi e diavoli, dei e dee, dogmi ed enigmi, traumi e trionfi. Sono tutti così ricchi e così allettanti, ma sono, a ben vedere, anche legati alla transitorietà, alla fragilità e, in ultima analisi, alla perdita. La morte incombe ai margini, ma amplifica anche la quotidianità, soprattutto se riusciamo ad apprezzare il suo gioco su tutto ciò che facciamo e siamo. Schneider non riesce ad immaginare un’arte che valga il suo merito, o un amore che giustifichi la sua resistenza che non riconosca la morte.
Non possiamo che riconoscere quanto risultano diversi gli scenari di cui sopra da ciò che molti di noi sperimentano quando sbucciamo gli strati di stupore, non solo con la famiglia o gli amici, ma con opere d’arte, esperienze di bellezza, esperienze di gioia e creatività. Sotto quest’aspetto, Schneider49 sostiene che la perdita di profondità dell’esperienza è vincolata ad un’omissione chiave nel passaggio verso lo stupore rapido e, in effetti, verso la vita rapida. Tale omissione rappresenta la mancanza di riconoscimento che la morte, la mancanza di fondamento e di evento inspiegabile avvolgono tutto. Per Schneider50 è proprio questo contrasto, questa radicale ignoranza ad accentuare e ad approfondire ciò che sappiamo e sentiamo.
Erich Schneider concede la possibilità di essere ritenuto totalmente fuori strada oppure fuori di testa, ma lui sostiene di non riuscire ad immaginare un’arte che valga il suo travaglio e costo, oppure un amore che giustifichi la sua resistenza, o anche quei risultati che soddisfino pure il riconoscimento dei loro investimenti ma che non riconoscano la morte, la vulnerabilità, l’ansia, da qualche parte nella loro formazione.51
Questo è, ugualmente, il motivo per cui il filosofo esistenzialista Schneider ha delle apprensioni sulle recenti tendenze nella ricerca sullo stupore che de-enfatizzano o, addirittura, rifiutano siffatti elementi oscuri di disagio. Per spiegare il suo punto, K. Schneider52 ci sollecita a considerare, in particolar modo, il recente volume (2023) dello psicologo e direttore del Berkeley Social Interaction Lab, Dacher Keltner, Awe: The New Science of Everyday Wonder and How It Can Transform Your Life.53 Si tratta di un notevole compendio di studi sulle virtù dello stupore o dello sbalordimento meraviglioso. Ma questi studi sono quasi esclusivamente quantitativi-sperimentali e, di con- seguenza, restrittivi degli impatti più profondi e sottili dello stupore o della sorpresa imprevedibile, che sono stati abitualmente rivelati nella letteratura classica e nelle arti, così come negli studi qualitativi metodici della meraviglia o dello stupore. In particolare, questi studi dimostrano, stando alla ricerca di Bonner e Friedman54 che c’è, quasi sempre, un elemento sconfortante nello stupore, anzitutto quando viene sperimentato come qualcosa che trasforma la vita, questioni quasi del tutto trascurate negli studi citati da Keltner55 che afferma che i gli approcci quantitativi di Dacher Keltner, pur quando mostravano i nostri sentimenti di stupore … erano lontani dalla paura, dall’orrore e dall’ansia. Ma Schneider asserisce, e la sua è la dichiarazione di un millennio di indagini qualitative, che lo stupore o il disorientamento che comporta la sorpresa della meraviglia può essere tanto profondo e umiliante, quando molti lo sperimentano, proprio perché è contestualizzato dalla paura, dall’orrore e dall’ansia, o, in una parola, dalla vulnerabilità. E sarebbe questa vulnerabilità, affidandoci a Schneider e agli altri ricercatori accennati,56 che starebbe venendo sempre più messa a repentaglio dai modelli computerizzati della nostra umanità.
Tutto ciò significa che l’inconscio esistenziale, come dice Robert Kramer,57 oppure lo spettro degli stati psico-spirituali primordiali, dovrebbeessere preso in considerazione in qualsiasi indagine completa sullo stupore. Altrimenti, si sta solo sfiorando la superficie senza rendere giustizia al pubblico circa il lavoro necessario per raggiungere a esperienze di stupore più complete e che cambiano la vita. Per qualsiasi esperienza umana sostanziale di stupore,Schneider afferma lo stesso principio: quando la morte e il paradosso vengono esclusi, manca la forza che è capace di riformare le vite individuali e collettive.
Diamo a Becker, che ha lottato con forza contro il costo dell’automazione e del transumanesimo l’ultima parola: qualunque cosa [l’essere umano] faccia su questo pianeta deve essere fatta nella verità vissuta del terrore della creazione, del grottesco, del rombo del panico sotto ogni cosa. Altrimenti è falso. Qualunque cosa venga realizzata deve essere realizzata dall’interno delle energie soggettive degli animali umani, senza intorpidirsi, con il pieno esercizio della passione, della visione, del dolore, della paura e della tristezza.
Immagini:
Addio 2023. galleria Barbur, Gerusalemme – Fotografo: Daniel Hanoch
Paul Blackmore
Fish love 2021. Petach Tikva Museum of Art
Galleria HaMidrasha. Curata da Avi Lubin. Fotografo: Daniel Hanoch.
Nicolas Bro, 2018. Foto di Alan Gelati
- Con riferimento, esplicito e implicito, all’umanesimo, quale periodo storico, il termine è usato per caratterizzare ogni orientamento che riprenda il senso e i valori affermatisi nellacultura umanistica: dall’amore per gli studi classici e per le humanae litterae alla concezione dell’uomo e della sua ‘dignità’ quale autore della propria storia, punto di riferimento costante e centrale della riflessione filosofica.
- Schneider, K.J. (2024). Tech-vexed: The Awesome Price for Artifice. In: Dueck, A., Sundararajan, L. (eds) Values and Indigenous Psychology in the Age of the Machine and Market. Palgrave Studies in Indigenous Psychology. Palgrave Macmillan, Cham.
- La psicologia esistenziale (o antropologia esistenziale) è un’analisi filosofica dell’“esistenza”, che emerge dalle pagine di “Essere e tempo”, opera di Martin Heidegger del 1927, che ne costituisce il punto di partenza per l’elaborazione. Quest’opera, infatti, pone in rilievo la struttura fondamentale dell’esistenza come essere-nel-mondo (Dasein), inaugurando una nuova concezione antropologica (in sostituzione della concezione cartesiana, dove una soggettività pura si rapporta a puri oggetti), in cui l’uomo è visto come creatore di un mondo personale di valori e di significati.
- Kirk Schneider, portavoce di spicco della psicologia esistenziale-umanistica contemporanea. Membro della facoltà presso la Saybrook University in California e il Teachers College, Columbia University di New York City. Presidente dell’Existential-Humanistic Institute e membro del consiglio dell’American Psychological Association. Il suo ultimo libro è Life-Enhancing Anxiety: Key to a Sane World, 2023.
- Schneider, K.J. op. cit. 2024.
- Hybris è un topos della tragedia greca e della letteratura greca, che definisce un tratto della personalità o un’azione connotata da superbia o eccessivo orgoglio, o di disprezzo per l’ordine umano o divino.
- Schneider, K.J. op. cit. 2024.
- Ibidem
- Ibidem
- Kirk Schneider. Life-Enhancing Anxiety: Key to a Sane World. University Professors Press, 2023.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Kirk Schneider. We need raw awe. In AEON, 8 November 2024
- Ibidem
- Ai confini della realtà (The Twilight Zone): serie televisiva di genere fantascientifico trasmessa in quattro diversi periodi dalla televisione americana. La serie classica, creata da Rod Serling, andò in onda dal 1959 al 1964. Dopo un primo film cinematografico, la serie ha visto numerosi tentativi di remake, un primo fu trasmesso dal 1985 al 1989, un secondo è andato in onda tra il 2002 e il 2003 mentre un terzo è stato trasmesso nel 2019. Seppure considerata fantascientifica, la serie in realtà esplorò raramente i temi classici della fantascienza, focalizzandosi invece su storie incentrate sulle vite di normali persone che venivano radicalmente cambiate dall’incontro con l’“ignoto”, con uno squarcio nella realtà che faceva diventare credibile anche l’impossibile. Spesso, se non sempre, con una morale finale, la serie contribuì a diffondere la fantascienza. Famosi i suoi switching bending, in cui la visuale dello spettatore veniva ribaltata con un colpo di scena finale che capovolgeva la prospettiva. Ogni episodio della serie era presentato da Serling, che introduceva lo spettatore nella vita di una persona che stava per cambiare a causa del suo ingresso nella zona “ai confini della realtà”
- Kirk Schneider. op. cit., 2023.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonima opera teatrale del 2012 scritta da Samuel Hunter, autore anche della sceneggiatura
- Con il termine postumano (post-umano), si fa riferimento alla progressiva alterazione delle caratteristiche dell’essere umano; che tende a modificare o a perdere le caratteristiche umane. Con il termine postumano si è divenuti soliti definire gli estremi di una nuova filosofia per la quale la natura biologica del corpo dell’uomo, ivi compreso il cervello, non costituisce il limite delle possibilità dell’essere umano. Anzi, per questa filosofia, tale natura può e dev’essere superata attraverso l’implementazione sul “corpo biologico” di protesi tecnologiche.
- Kirk Schneider. 8 November 2024
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Kirk Schneider. The Spirituality of Awe (Revised Edition), University Professors Press, March 1, 2019.
- Summer Allen. How to experience more wow. AEON, 12 May 2021.
- Schneider, K. J. Awe: More than a lab experience—A rejoinder to “awe: ‘more than a feeling’” by Alice Chirico and Andrea Gaggioli.The Humanistic Psychologist, 48(1), 100–104, 2020.
- Schneider K. op. cit. 2023.
- Philip Ball. The final ethical frontier. AEON, 24 October 2023.
- Schneider, K. op. cit. 2023.
- Kirk Schneider. Life-Enhancing Anxiety: Key to a Sane World. University Professors Press, 2023.
- Ibidem
- Schneider, K. J. Awe: More than a lab experience – A rejoinder to “awe: ‘more than a feeling’” by Alice Chirico and Andrea Gaggioli. The Humanistic Psychologist, 48 (1), 100–104, 2020.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Vincitore del premio Pulitzer, The Denial of Death esplora il modo in cui le persone e le culture di tutto il mondo reagiscono al concetto di morte del celebre antropologo culturale Ernest Becker. Al culmine del lavoro di una vita, The Denial of Death è la risposta brillante e appassionata di Ernest Becker al perché dell’esistenza umana. In netto contrasto con la scuola di pensiero freudiana predominante, Becker affronta il problema della menzogna vitale, il rifiuto dell’uomo di riconoscere la propria mortalità. Così facendo, getta nuova luce sulla natura dell’umanità e lancia un appello alla vita e al suo vivere.
- Kirk Schneider. op. cit. 8 November 2024
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Dacher Keltner, Awe: The New Science of Everyday Wonder and How It Can Transform Your Life. Penguin Press, 2023.
- Bonner, E. T., & Friedman, H. L. (2011). A conceptual clarification of the experience of awe: An interpretative phenomenological analysis.The Humanistic Psychologist, 39(3), 222–235. / Schneider, K. (2017). The resurgence of awe in psychology: Promise, hope, and perils.The Humanistic Psychologist, 45(2), 103–108. / Sundararajan, L. (2002).Religious awe: Potential contributions of negative theology to psychology, “positive” or otherwise. Journal of Theoretical and Philosophical Psychology, 22(2), 174–197.
- Dacher Keltner, Awe: The New Science of Everyday Wonder and How It Can Transform Your Life. Penguin Press, 2023.
- Schneider, K. J. Awe: More than a lab experience – A rejoinder to “awe: ‘more than a feeling’” by Alice Chirico and Andrea Gaggioli. The Humanistic Psychologist, 48 (1), 100–104, 2020.
- Kramer, R. Discovering the existential unconscious: Rollo May encounters Otto Rank. The Humanistic Psychologist, 51(1), 15–35, 2023.