A che punto siamo con la plastica?

21 Aprile, 2022
Tempo di lettura: 5 minuti

Chiunque abbia visto il film “il Laureato” si ricorderà di Dustin Hoffman vestito da sommozzatore nella piscina di casa il giorno del suo compleanno e i suggerimenti che gli venivano dati dagli amici di papà per il suo futuro lavorativo. Uno di questi era: “plastica”.

Eravamo negli anni 70, quando Gino Bramieri allietava il popolo italiano in Carosello, pubblicizzando un materiale innovativo: inconfondibile, leggero, resistente. Il Moplen.
Molti non sanno neanche chi sia Gino Bramieri, perché il tempo passa. Quelli erano i tempi dove la tecnologia era una speranza.
Emblematica la storia dell’Olivetti, per molti anni una eccellenza (diremmo adesso) nello sviluppo e nella produzione “dell’information technology”.
Se l’ispirazione a un modello efficiente di produttività veniva dagli USA (Ford), lo sviluppo di servizi sociali avanzati messi a disposizione delle famiglie e dei lavoratori provenivano da scelte italiche.
Negli anni seguenti abbiamo visto come questo modello sia stato distrutto dalle politiche sociali ed economiche dei vari governi.

Il consumatore responsabile

Sempre in quegli anni una famosa campagna pubblicitaria andata in onda negli USA recitava lo slogan: “People start pollution. People can stop it”.
In questa pubblicità si vede un Indiano d’America che piange nell’attraversare i fiumi inquinati dall’uomo bianco.
Lì nacque la necessità di riparare all’inquinamento industriale e agricolo, ma la strategia dell’industria e dei media guidati da essa fu da subito chiara: attribuire la responsabilità ai consumatori, e non ai perversi meccanismi di mercato che indirizzano le industrie verso il maggior profitto.
Questa campagna non è stata sostenuta dalle istituzioni e attualmente gli USA sono il fanalino di coda della raccolta differenziata nel mondo occidentale.

Plastica

La plastica è un polimero di carbonio combinato in modo tale da non potere essere riconvertito in sostanza organica, è uno scarto che può essere riciclato solo su se stesso, non si trasforma, semmai si polverizza generando le ormai note microplastiche. Per degradare la plastica che usiamo comunemente necessitano 4/500 anni.

La plastica ha molteplici utilizzi. Gli imballaggi sono al primo posto con il 39,9%. Seguono le costruzioni con il 19,7%, l’automotive con il 10% e il settore elettrico/elettronico con il 6,2%.

Tra i maggiori utilizzatori c’è l’Europa: la domanda di materie plastiche è arrivata a 49,9 milioni di tonnellate (dati 2016). La classifica vede sei paesi che da soli raggiungono il 70% del consumo europeo di termoplastiche, poliuretani e termoindurenti:

Germania 24%;
Italia 14%;
Francia 9,6%;
Spagna 7,7%;
Regno Unito 7,5%;
Polonia 6,3%.

Rischi per l’ambiente

Le plastiche, comprese quelle cosiddette “green”, non originate dal petrolio, sono composte da un insieme di sostanze chimiche e alcune di esse non sono indagabili perché è praticamente impossibile tracciarle”, dice il biologo Martin Wagner della Norwegian University of Science and Technology (Ntnu).

In particolare il PVC, che è molto diffuso nell’ambiente, oltre a causare mutazioni nella sequenza del DNA, favorisce la trasformazione della cellula epatica in cellula tumorale. Sulla base delle osservazioni negli animali e negli esseri umani, la IARC ha inserito il cloruro di vinile tra le sostanze sicuramente cancerogene per l’uomo.

Molte plastiche comuni contengono e rilasciano sostanze chimiche pericolose, tra cui gli EDC, che sono dannose per la salute delle persone: disturbano i sistemi ormonali del corpo e possono causare cancro, diabete, disturbi riproduttivi, danni allo sviluppo neurologico.

Rifiuto e smaltimento

La Cina è il maggior produttore di rifiuti di plastica al mondo (25 milioni di tonnellate nel 2019), seguita dagli Stati Uniti (18), dall’India (oltre 5) e dal Giappone (poco meno di 5). L’Italia nel 2019 ha prodotto poco più di 1 milione di tonnellate.
Se lo rapportiamo alla popolazione però vediamo che la classifica cambia.

Per quanto riguarda lo smaltimento, gli esperti affermano che saranno 104 i milioni di tonnellate di plastica dispersi in natura entro il 2030 se non aumenteremo ulteriormente gli sforzi per migliorare la gestione dei rifiuti a livello globale.
Ricordiamo che una bottiglia di plastica vuota pesa circa 40 gr. Il peso delle bottiglie di plastica (PET) è sceso negli ultimi anni del 50%, producendo solo con questo accorgimento un risparmio di 1.5 miliardi di Kg. di PET. Nonostante questa riduzione il peso della plastica consumata è in continua ascesa.

Riciclo

Le aziende produttrici spendono milioni di euro in campagne pubblicitarie sul riciclo, anche se la maggior parte della plastica finisce altrove.
Le campagne sull’importanza del riciclo della plastica finiscono con il diventare un cinico promemoria su come le grandi aziende trasferiscano ai singoli l’onere della lotta alla crisi climatica.

Il Greenwashing è una strategia di comunicazione perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo.

Un altro esempio attuale è quello di promuovere il cibo artificiale come green, naturalmente conservato in contenitori di plastica.

Secondo un’analisi del 2018 condotta dalla Royal Statistical Society, una delle più prestigiose organizzazioni statistiche al mondo, solo il 9% di tutta la plastica prodotta è stata probabilmente riciclata negli USA.

Nel mare

Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani del mondo e, ad oggi, si stima che via siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani. Se non si dovesse agire per invertire la tendenza proseguendo con i trend attuali, nel 2025 una proporzione di una tonnellata di plastica per ogni 3 tonnellate di pesce mentre nel 2050 avremo, in peso, negli oceani del mondo più plastica che pesci.

Sappiamo che i colori brillanti della plastica sono scambiati per cibo da parte di uccelli marini, testuggini e altri mammiferi marini, mettendoli a rischio di danni gravi e mortali.

Le mascherine

Con la pandemia abbiamo anche visto il dilagare delle mascherine che sono state prodotte utilizzando una varietà di materie plastiche inadatte al riciclaggio convenzionale; si stima che nel solo anno 2020 siano state usate e buttate 3,4 miliardi di mascherine.

Ministeri, medici, comitati scientifici di tutti i tipi, OMS, CDC, etc. da più di due anni hanno suggerito o imposto di indossare mascherine e/o guanti di lattice, ma non hanno cercato o proposto soluzioni efficaci per ridurre la dispersione di questi materiali, che vanno ad aggiungersi all’eccesso di inquinamento da plastica già in atto.

Le alternative alla plastica

La ricerca delle alternative alla plastica è scarsamente sostenuta. Le cosiddette Bioplastiche derivano da sostanze organiche biodegradabili, ma la tecnologia è ancora ai primordi. La più promettente si chiama Polietilene Furanoato (PEF) ed è prodotto dal furano, sostanza estratta dal legno.

Le prospettive in questo campo sono ancora condizionate da interessi commerciali enormi.

Arwa Mahdawi esperta di tematiche ambientali è realistica: “È giusto che debba esserci un livello di responsabilità personale quando si parla di emergenza climatica. Tutti dobbiamo fare la nostra parte. Ma l’azione del singolo è una piccola goccia in un oceano… fortemente inquinato!” afferma la giornalista.

Prospettive

Ci hanno persuasi che le persone siano i protagonisti assoluti dell’inquinamento e che le persone stesse possono fermarlo e quindi siamo convinti che se facciamo bene la raccolta differenziata il pianeta sopravviverà.

Molte aziende producono enormi quantità di imballaggi monouso, alimentando un modello di consumo “usa e getta”. Queste sono responsabili di gran parte dell’inquinamento da plastica che vediamo quotidianamente”.
Coca-Cola, Colgate-Palmolive, Danone, Johnson & Johnson, Kraft-Heinz, Mars, Mondelez, Nestlé, PepsiCo, Procter & Gamble e Unilever: sono alcune delle multinazionali coinvolte da un questionario inviato da Greenpeace Usa e pubblicato dalla rivista il Salvagente.

Il questionario evidenzia la mancanza di piani concreti volti a ridurre la crescente produzione e commercializzazione di plastica monouso.

Il proposito di rinunciare alla plastica, sebbene sia sensato, è inapplicabile. Non solo, ma i consumi e i rifiuti sono in continuo aumento, rendendo la plastica sempre più determinante nei commerci e l’ambiente sempre più incontrollato, contrariamente a quello che i governi e le istituzioni dicono di prefiggersi di fare.

Cose risapute ma non c’è traccia di strategie per affrontare il danno.

E mo, e mo e mo, che si fa?

 

 

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