Ero con il mio Maestro camminando per un viottolo di campagna nel profondo sud Italia. L’aria calda ma gradevole, ci accompagnava e sosteneva delicatamente le parole che ci scambiavamo. I colori dorati circostanti erano un balsamo per gli occhi ed il calmo fondale visivo non disturbava il nostro lento incedere. A volte penso che le esperienze hanno più presa quando l’ambiente che ci circonda (che non percepiamo, ma che cervello ed occhi registrano) non disturba la nostra azione, anzi la supporta: tutta l’energia è focalizzata come in una lente di ingrandimento nel centro dell’avvenimento senza distrazioni. Così era durante il nostro passeggiare, quel giorno di settembre.
Piante officinali, panacee e veleni
Il mio Maestro era anche un esperto di piante medicinali, mi raccontava delle loro proprietà come un antico alchimista descrivendone la chimica e contemporaneamente la magia, illustrandomi le connessioni della pianta con gli aspetti simbolici della vita e perfino con gli aspetti evolutivi e sociologici dell’uomo. Parlammo brevemente del comune prezzemolo, molto benefico perché ricco di ferro e sali minerali, ma anche contenente l’Apiolo, un principio attivo del suo olio essenziale che a bassi dosaggi era usato nella medicina popolare come antipiretico e soprattutto come emmenagogo, ma a dosaggi più alti diventa velenoso per l’organismo umano, causando aborti, paresi muscolari o ittero.
Ma approfondendo con lui l’argomento scoprii che sono molte le piante, i frutti e gli ortaggi commestibili che contengono piccole dosi di sostanze tossiche; ad esempio le fave (vicina e convicina), le mandorle amare (acido cianidrico), patate pomodori melanzane (solanina, tomatina), banane, il succo di ananas (sostanze vasoattive quali dopamina, epinefrina, norepinefrina, serotonina) e così molti altri vegetali. In genere però, solo l’ingestione in grande quantità di tali sostanze può dare dei problemi o, in soggetti particolarmente sensibili o carenti di alcuni enzimi, procurare reazioni.
Il bene e il male uniti in un coro per la vita
Discutemmo sul perché le piante producono queste sostanze tossiche. La risposta semplice ed evidente fu, senza entrare nei dettagli, che esse sono la conseguenza naturale all’attacco di parassiti ed insetti. Le piante evolvendosi in relazione all’ambiente hanno sviluppato, per proteggere la propria specie e la propria sopravvivenza, una serie di sostanze attive per rispondere alle aggressioni esterne. Analogamente qualcosa di simile accade con il mimetismo (criptico, fanerico etc.) in molte specie di anfibi ed insetti, che hanno sviluppato incredibili capacità come quelle di cambiare colore, assumere le caratteristiche di altre specie tossiche o emettere odori sgradevoli. In altri casi, come per la falena ad esempio, l’insetto ha sviluppato una peluria che intercetta e neutralizza le onde che il predatore (in questo caso il pipistrello) utilizza nella sua caccia per geo-localizzare le prede. Le condizioni ambientali pertanto innescano un mutamento dell’espressione genica per preservare la specie ed adattarla alle condizioni esterne.
Da queste analisi naturali il mio Maestro commentò: “Vedi, su questa Terra non esiste il bene in senso assoluto così come lo intendiamo noi, ma nella Natura, come anche in quella umana, coesiste sempre un elemento che, se vogliamo, possiamo chiamare veleno o principio che erroneamente viene definito “negativo”. In realtà esso ha la funzione di protegge la vita e stimolare i meccanismi di difesa. Anche in gran parte del cibo che ingeriamo ci sono questi principi teoricamente tossici, ma che presi in piccole dosi hanno un loro significato di stimolo immunologico nel nostro intricato metabolismo corporeo di autodifesa. Lo stesso accade in molte reazioni psicologiche ed emotive e persino in molti passaggi dell’evoluzione spirituale dove l’ego tende ad applicare una maschera sui nostri comportamenti quotidiani, nascondendo alcuni impulsi profondi che vengono percepiti spesso come debolezze”.
Togliamoci la maschera
Dopo quella conversazione mi sono più volte chiesto se è possibile levarci la nostra maschera o le nostre maschere, molte delle quali reattive a situazioni che abbiamo vissuto e che hanno violato in maniera dolorosa le nostre aspettative più profonde, sovente anche di natura infantile; o anche le maschere del proprio status sociale o quelle che assumiamo identificandoci con la nostra figura corporea o dell’idea che abbiamo di essa.
Ascoltando con infinito rispetto tanti pazienti ed entrando delicatamente ed empaticamente nelle loro menti, e spesso nelle loro anime, ho trovato la conferma alle parole del mio Maestro… Nelle nostre vite vissute c’è sempre quell’elemento “negativo” o reattivo che ci ha aiutato a vivere e a superare tanti ostacoli, metabolizzandone i traumi. L’importante è comprenderlo. E’ la natura del dualismo di questo mondo, lo Yin e lo Yang che si inseguono, l’uroboro circolare nel cui dinamismo c’è il simbolo della vita stessa, il movimento creatore.
Ma dove trovare allora l’Unità dell’esistenza?
Scriveva Paracelso: ”Ciò che vive secondo la ragione, vive contro lo spirito”.
Lo credo solo in parte, a causa del mio anelito all’unità. Amo la mia ragione come amo il mio Spirito. Conosco i miei limiti intellettuali, limiti umani, ma non mi sento più in conflitto immergendomi ora nell’una ora nell’altro. Posso solo a volte restare attonito di fronte all’incomprensibile, ma pur sempre affascinato.
Se c’è un ombra vuol dire che c’è un corpo ed anche una luce che illumina.
Tutte queste fasi sono aspetti dell’Uno manifesto. Se si vuole entrare nell’Uno Non manifesto, non si possono usare le parole. Non ci resta che il silenzio estatico e ribollente dei mistici.
E la nostra maschera?
Credo che la grande opera che possiamo fare è diventare consapevoli che ne stiamo portando una, riconoscere i motivi della sua presenza sul nostro viso, metabolizzare le cause traumatiche o i convincimenti culturali ad essa associati. Conoscendone la ragioni ed accettandole saremo più Uomini e forse anche un po’ più Dio, diventeremo più tolleranti e ci avvicineremo più velocemente allo scopo ultimo della vita. Accettare la nostra umanità significa accettare anche le nostre cicatrici, quegli elementi che la mente ha forse registrato come elementi negativi, ma che nel crogiuolo dell’accettazione/comprensione sono diventati ricordi, maestri di vita, cicatrici rimarginate che non fanno più male. Un concime preziosissimo nella nostra evoluzione.
In realtà nessuno sa che cosa abbiamo dentro e quali sono i nostri più intimi pensieri, ciò che è dietro la maschera. Quello che può essere comunicato è l’emozione che nasce dalle nostre esperienze e dalle nostre conquiste, dalla nostra comprensione, dai dolori o dalle gioie… sono come suoni di una corda che fanno vibrare per similitudine coloro che sono anch’essi corde tese nell’anelito della sincera ricerca. E questi suoni escono dal nostro essere per il solo fatto che esistiamo, si manifestano anche quando siamo in silenzio, o parliamo o lavoriamo.
Puoi essere un medico, un poeta, una mamma, un artista, un impiegato, un musicista, un imprenditore o un operaio, magari uno che va controcorrente… non importa la maschera che indossi, purché sia consapevole, e di certo per vibrare devi essere uno che si chiede perché.
Dr Mariano Spiezia