Dott. Gustavo Dominici - Direttore de "Il Medico Omeopata"

L’emergenza come stile di vita

13 Agosto, 2020
Tempo di lettura: 3 minuti

Tempo fa qualcuno mi disse che la conoscenza è come un asse, o lo poni in orizzontale o in verticale. Il senso era: o sai poco di tanto o sai tanto di poco. E’ evidente che l’ideale sarebbe un buon equilibrio fra l’ampiezza delle nostre conoscenze e l’approfondimento di alcuni argomenti.

Temo che da qualche tempo la faccenda stia prendendo una piega estrema, tutto favorisce una estesa conoscenza di superficie, che conoscenza non è. Oramai sono in campo eserciti di ignoranti pseudoinformati, l’un contro l’altro armati, convinti che tutto il sapere sia assimilabile in pochi istanti e con pochi click, tralasciando persino il problema dell’attendibilità delle fonti. A questa condizione di base si somma l’esasperata drammatizzazione di alcune informazioni scelte con cura ed ecco l’atmosfera attuale: una condizione di emergenza cronica. Ogni giorno ci vengono proposti uno o più problemi gravi ed impellenti ai quali dover dare subito risposta, senza riflettere. Il congegno quindi è così composto: estrapolare, esasperare, creare allarme, intervenire tempestivamente bypassando i se ed i ma. Non c’è tempo per riflettere, non c’è tempo per valutare, occorre agire, subito. L’obiettivo è perseguito con tenacia ed efficienza, i mezzi a disposizione sono potenti, il risultato è assicurato. Che ci si renda conto o meno, tutti siamo coinvolti in questa nube purpurea.

La salute delle persone è un campo elettivo di applicazione di questo modello. Si diffonde una notizia, tipo: epidemia di meningite (vera o falsa non importa), si estrapola un caso di meningite (sospetta o batterica o virale, non importa), si sbatte in prima pagina per giorni, si richiedono inderogabili interventi d’urgenza. Moltiplicate un evento così per cento, mille e si otterrà l’effetto desiderato: un reale cambio di “cultura” della salute, come se esistessero solo malattie acute o comunque emergenze da pronto intervento.

Quando iniziai a praticare l’Omeopatia i malati che si avvicinavano avevano un approccio diametralmente opposto all’attuale: cercavano logicamente il risultato, ma con uno sguardo più profondo, comprendendo che si lavorava per migliorare realmente e stabilmente la loro salute. Che magari un catarro richiedeva di pazientare un po’, così come una dermatite, che il sintomo andava inserito nel movimento dinamico dell’organismo intero e del soggetto in toto. Attualmente il nuovo paziente che viene a visita è sempre più spesso un soggetto già sottoposto a tutte le terapie possibili, spesso inutilmente invasive e sovrabbondanti, arriva esasperato da noi, come ultima spiaggia e non dispone più di tempo né di pazienza. Spesso sono soggetti incurabili. Sempre sono soggetti ansiosi di risolvere in breve tempo condizioni patologiche profondamente radicate perché, affermano, non ce la faccio più! Di certo non sono loro i colpevoli di qualcosa.

Di certo il lavoro che ci si presenta è ai limiti delle possibilità, spesso le supera di gran lunga. L’asse della conoscenza di cui sopra è da tempo fermo in orizzontale. Una grave superficialità sta prendendo il sopravvento su tutto e, insieme al procurato allarme, sfocia in una sorta di negazione del pensiero libero, della capacità di riflettere e, quindi, scegliere. I famosi esperti della comunicazione sanno come stimolare i nostri nervi sensibili e le azioni risultano essere sempre più reazioni automatiche: studiate, provocate e canalizzate. Tornando al nostro settore: quali speranze abbiamo noi, piccoli piccoli omeopati, immersi in questo movimento oceanico che rischia di spazzarci via? Possiamo rifugiarci in un una sorta di fiducia – che prenderebbe le sembianze quasi di una fede religiosa – che le cose cambieranno, che ci sono corsi e ricorsi ed un tempo migliore arriverà? Temo che speranza e fede non servano, sarebbero classificabili sotto la voce inerzia, sono convinto che occorra invece agire con decisione e nella direzione giusta.

Disponiamo di un metodo efficace, dobbiamo impararlo a maneggiare bene, so con certezza che per ognuno di noi il margine di miglioramento è vistoso. Dobbiamo abbandonare l’eccesso teorico e dottrinario e concentrarci sull’ottenimento di risultati rapidi e tangibili, ed insegnarlo poi ai nostri studenti per non farli rimanere eterni innamorati dell’Omeopatia senza mai diventare omeopati. Dobbiamo infine  avere la certezza che il lavoro serio e continuato verrà compreso ed apprezzato da sempre più pazienti, che l’essere umano ha risorse ed un inestinguibile profondo desiderio di rimanere un individuo libero e pensante e non una marionetta gestita da chi ne conosce i suoi punti deboli.

Da Il Medico Omeopata anno XXV n° 73

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