È noto che, dal XVII secolo, la cultura occidentale si è sdoppiata in due forme di sapere, due culture, scientifica e umanistica, che utilizzano codici diversi per occuparsi, rispettivamente, del mondo della Natura e di quello della Cultura.
I fondatori della scienza moderna avevano, infatti, supposto che il «grande libro» della Natura fosse scritto in caratteri matematici, e per questo motivo avevano deciso che la conoscenza scientifica, se vuole essere oggettiva, deve essere fondata sulle sole qualità primarie dei corpi, che sono misurabili: forma, dimensioni, numero, moto, peso. Le qualità secondarie – colori, suoni, odori, sapori, sensazioni di caldo e di freddo – sono invece state escluse, perché non misurabili e quindi considerate soggettive. Sin dall’inizio, alla conoscenza matematizzata della scienza è stato così consegnato l’intero mondo della Natura, con il compito sia di rappresentarlo sia di intervenire su di esso – secondo la terminologia di I. Hacking in :”Representing and intervening – Introductory Topic in the Philosophy of Natural Science” – mentre la conoscenza non matematizzata, oggi detta umanistica, è stata confinata nell’«esilio dorato» del mondo dello Spirito e della Cultura.
La ripartizione ha riguardato anche la Medicina, nel cui ambito le conoscenze basate sul paradigma tecnico-scientifico sono state considerate il più adeguato sistema di cura, il contenitore universalmente riconosciuto, mentre la medicina omeopatica e le altre medicine fondate su un paradigma diverso sono state per lo più considerate singolari e bizzarre isole di conoscenze «complementari» nel grande mare governato dalla medicina scientifica.
La rivoluzione cibernetica e il nuovo paradigma per le ecologie
In realtà, però, la situazione è decisamente cambiata nel corso del XX secolo – almeno a livello teoretico – per due motivi principali: da un lato, il minaccioso progredire della crisi ecologica e le difficoltà della medicina scientifica nel mantenere le promesse iniziali, nonostante alcuni indubbi progressi – e l’attuale pandemia ne è l’esempio più recente – hanno fatto sorgere in molti medici, vedi per esempio in Filosofia della medicina ed ecologisti il dubbio che l’attuale paradigma scientifico, tanto efficace nel campo della Produzione, non sia altrettanto efficiente laddove si tratti di custodire o ristabilire un Equilibrio sistemico, come in Ecologia e in Medicina; dall’altro, alcune importantissime scoperte scientifiche hanno aperto la strada alla possibilità di modificare il rapporto tra le due conoscenze, in questi stessi ambiti. Mi riferisco, in particolare, all’individuazione dell’anello circolare di retroazione o feedback da parte di N. Wiener e dei suoi collaboratori, che ha portato alla fondazione della cibernetica, nella prima metà del ‘900.
Questa scoperta ha aperto una prospettiva completamente nuova per la nostra conoscenza, quando ci si è resi conto che gli organismi viventi, gli ecosistemi e i sistemi sociali sono costituiti dall’intreccio complesso di innumerevoli e intricatissimi circuiti di feedback positivi e negativi, che formano delle reti cibernetiche complesse che danno loro la possibilità di autoregolarsi e autorganizzarsi. Molti studiosi hanno così potuto individuare l’origine delle difficoltà del paradigma scientifico tradizionale nella sua inadeguatezza a cogliere la complessa organizzazione di queste realtà integrate. Uno dei primi studiosi che hanno descritto con chiarezza la dinamica di queste problematiche è stato Gregory Bateson, geniale ed eclettica figura di antropologo,
filosofo, sociologo e molte altre cose ancora, che fu anche tra i primi collaboratori di Wiener e partecipò al fermento culturale provocato dalle sue scoperte.
Gregory Bateson e la saggezza sistemica della conoscenza estetica
Il ragionamento di Bateson è, in fondo, molto semplice: poiché l’omeostasi degli ecosistemi e degli esseri umani è sostenuta da lunghissime e intricate catene di causalità circolare, e visto che non si può riequilibrare un intero sistema agendo soltanto su una sua piccola porzione, la saggezza sistemica, ovvero la capacità di rispettare o ristabilire l’ecologia di queste strutture, è possibile soltanto a partire da una conoscenza in grado di cogliere ampie porzioni di queste realtà. Negli esseri umani, però, questa conoscenza ecologicamente saggia non è quella della coscienza razionale e del suo prolungamento tecnico-scientifico, che si concentra solo su pochi anelli di queste vastissime catene circolari, interpretandoli come segmenti completi di causalità lineare, ma è la conoscenza estetica, legata all’arte e alla bellezza, che è in grado di cogliere ampie porzioni di questi circuiti. Questa dinamica non è una novità per la medicina omeopatica, che conosce già le conseguenze negative degli interventi mirati a una piccola parte di un sistema integrato – quella direttamente legata al sintomo – che definisce soppressioni, e ora Bateson aiuta a spiegare con chiarezza da un punto di vista cibernetico.
La novità assoluta del suo modello, anche rispetto ad altri autori che hanno approcci simili, come H. Maturana, riguarda invece l’idea di una maggiore saggezza sistemica della conoscenza estetica rispetto alla conoscenza razionale, derivante dalla sua ampia comprensione dei circuiti cibernetici che sostengono l’ecologia degli esseri viventi e dei sistemi naturali. Quest’intuizione va, ovviamente, verificata, e a quest’operazione ho dedicato una parte del mio libro Ripensare la bellezza. Oltre Bateson. Dando per scontato che questa verifica sia almeno in parte riuscita, è opportuno evidenziarne alcune importanti conseguenze.
La pertinenza ecologica della conoscenza umanistica
Per prima cosa, è confermata l’intuizione diffusa che la bellezza sia un efficace indicatore dell’equilibrio ecologico di un territorio e della salute degli esseri umani. Inoltre, inserendo in questo modello gli effetti della matematizzazione scientifica della realtà naturale, che ha ulteriormente frammentato i già brevi archi dei circuiti cibernetici percepiti dalla coscienza razionale, si può concludere che la conoscenza più adatta ad amministrare le ecologie mediche ed ambientali non è l’attuale conoscenza scientifica, ma è la conoscenza non matematizzata o umanistica, che è alla base della medicina omeopatica e delle altre medicine che utilizzano un paradigma diverso da quello scientifico. La maggiore pertinenza ecologica di questa conoscenza deriva dal fatto che essa ancora conserva quegli elementi del reale che il lungo cammino evolutivo ha selezionato per la specie umana, la nostra Umwelt direbbe il biologo Jacob von Uexküll, che include anche le qualità secondarie. Questa caratteristica le permette di cogliere ampie e integre porzioni di realtà, secondo una capacità che si può definire com-prensione, per sottolinearne il senso letterale di «prendere insieme».
Questa com-prensione può essere raggiunta in due maniere: attraverso quella che Bateson ha definito la «lunga e tediosa strada di calcolare tutte le relazioni tra le variabili importanti», che è stata seguita dalla conoscenza matematizzata e oggi ha portato alla scienza della complessità, oppure attraverso la sua via estetica che ci ha indicato, che può essere seguita solo dalla conoscenza umanistica. In questa seconda via, la com-prensione di ampie e integre porzioni di realtà integrata è avvertita come capacità di cogliere la bellezza e il significato degli avvenimenti che la coinvolgono.
Téchne scientifica ed epistème umanistica
Si prospetta, così, una possibilità di riorganizzare il rapporto tra le due culture, nell’ambito delle discipline che si occupano di amministrare l’ecologia di un sistema. Un buon esempio per questa riorganizzazione potrebbe essere l’antica complementarità tra la conoscenza parziale ma efficiente della téchne – il metodo, la capacità di fare che permette al fabbro di forgiare il ferro e al falegname di lavorare il legno – e quella assoluta dell’epistème – «ciò che sta su», «ciò che s’impone da sé», che mira alle verità universali e alla totalità.
Nella versione moderna, la scienza matematizzata, priva degli aspetti sensoriali della realtà, dovrebbe essere considerata un abilissimo metodo, una téchne, come già aveva notato E. Husserl, alla quale andrebbe riconosciuta la capacità di interventi potenti e incisivi, ma ecologicamente miopi. Il ruolo di epistème, intesa come cornice generale di com-prensione e conoscenza più adatta ad amministrare le ecologie, dovrebbe, invece, essere riservato alle discipline fondate sulla conoscenza umanistica, capaci di seguire la via estetica alla com-prensione e al riequilibrio sistemico. In medicina, in particolare, questa via si concretizza in quei sistemi medici, che possiamo definire umanistici, che basano il loro potere terapeutico sulla capacità di com-prendere il significato della malattia, tra i quali rientra sicuramente la Medicina Omeopatica, con alcune importanti precisazioni.
L’omeopatia come medicina epistemica
Per prima cosa, è necessario ricordare che, come per altre medicine non convenzionali, la medicina omeopatica può essere utilizzata in maniera epistemica (che coincide con la formulazione originaria del metodo da parte di S. Hahnemann), ma anche in maniere diverse, elaborate successivamente, che l’hanno avvicinata ai parametri scientifici della scienza occidentale, prevedendo terapie «per la malattia» e non «per l’individuo malato»: elaborazioni che sono legittime, ma fanno rientrare questi metodi nell’ambito delle medicine téchniche.
D’altro canto, la grande versatilità della medicina omeopatica si esprime anche nel fatto apparentemente paradossale che gli approcci fedeli al metodo originario possono risultare epistemici anche quando il medico che li utilizza non è perfettamente consapevole di questa funzione. Sappiamo, infatti, che nell’ambito dell’omeopatia classica convivono approcci leggermente differenti, che si distinguono anche per la preminenza che danno alla com-prensione del significato della malattia. Anche in quelli che danno meno importanza a quest’aspetto, però, il medico che segue correttamente il metodo può individuare la corretta terapia, basandosi su una raccolta di sintomi fisici e psichici che non sono configurati per com-prendere questo significato, in altre parole il disagio collegato alla malattia, ma soltanto per individuare il rimedio in grado di curare quella malattia: rimedio che, comunque, agirà su questo disagio. Oppure, un medico potrebbe prescrivere un farmaco il cui nucleo mentale non è ancora abbastanza conosciuto, che però agirà anche su questo nucleo. Come direbbe J. Searle, la «sintassi» – l’insieme delle regole che permettono di individuare, attraverso i sintomi, la terapia che agirà positivamente sul disagio che sostiene la malattia – può essere diversa dalla «semantica», ovvero dalla com-prensione del significato espresso da questi stessi sintomi.
Conclusioni
La riorganizzazione appena delineata non esonera, ovviamente, dalla verifica dell’efficacia concreta delle medicine epistemiche. Le modalità e gli strumenti di questa verifica restano un elemento fondamentale del rapporto tra le due conoscenze, ma in questo breve articolo si è preferito mettere a fuoco la possibilità di accedere a un nuovo punto di vista su ciò che oggi chiamiamo Scienza: un approccio generato dalla confluenza multidisciplinare di tutte le conoscenze sul mondo naturale in una Scienza nuova della complessità come quella auspicata da E. Morin, nell’ambito della quale un’organizzazione verticale delle medicine umanistiche e di quelle scientifiche, intese come due conoscenze che incidono, con diverse e complementari prerogative, sulla medesima realtà dell’uomo malato, rappresenterebbe una base adeguata per un sapere medico in grado di avvalersi della saggezza sistemica della medicina omeopatica e delle altre medicine epistemiche, armonizzandole e coordinandole con le risorse a volte irrinunciabili della medicina tecnico-scientifica.