Premessa
Gli artifizi della mente del pusillanime
Come abbiamo visto (letto), in precedenza le epidemie di scarlattina curate con l’Omeopatia, basandosi su grandi numeri, diventavano difficili da contestare in termini di efficacia di fronte alla guarigione totale degli ammalati.
Per cui il primo negazionismo dei pusillanimi di turno scelse di negare non l’evidenza della guarigione ma proprio la natura della malattia.
Quindi misero in giro la diceria che le epidemie di cui si parlava non fossero di scarlattina ma di una forma frusta, che non comportava rischi.
Della serie: va bene sono guariti. Ma a guarirli non è stata l’Omeopatia ma sono guariti da soli in quanto non si trattava di scarlattina.
La decisione di Hahnemann di procurarsi testimonianze illustri sulla reale sussistenza della diagnosi di scarlattina, successivamente, azzerò quel contenzioso ma non la guerra appena iniziata.
Da questo momento la negazione diventa trasformista e viene adattata di volta in volta: con l’unico obiettivo di sempre; quello distruggere la visibilità dell’omeopatia
Nessuno si permetteva di fare contestazioni ai medici militari austriaci che erano tutti omeopati!
I medici militari omeopatici dell’esercito austriaco arrivati nel 1821 e occupanti la piazza di Napoli erano incontestabili ovviamente anche perché erano inquadrati militarmente nelle armate per volere superiore del suo comandante in capo e per fatti evidenti; come abbiamo spiegato precedentemente.
Il capo delle armate, Karl Philipp, Principe di Schwarzenberg, Feld-Maresciallo austriaco, si curava omeopaticamente ed era stato paziente dello stesso Hahnemann da cui era stato guarito di un male ritenuto incurabile.
In precedenza, i medici convenzionali convocati per curarlo ebbero paura e si rifiutarono di affrontare il male e si sottrassero all’impegno.
Quindi va da sé, come nella logica, che i suoi soldati fossero affidati tutti alle cure di medici omeopatici militari.
Sincerità, sottomissione o ipocrisia?
Nel 1822, mentre i militari lasciavano la “piazza” di Napoli, la stessa Accademia Reale si allineò e fu compiacente e accolse nella propria sede il dott. Schoenberg, omeopata e medico militare austriaco.
Gli accademici plaudirono alla “dotta esposizione” dell’austriaco che presentava la nuova scienza e approvarono “Il sistema medico del dott. Samuel Hahnemann”.
Il libro fu esposto presso la reale Accademia delle Scienze di Napoli. La pubblicazione fu proprio curata e stampata, nel 1822, dalla stessa Accademia Reale.
Molte maschere cadono
Con il ritirarsi delle truppe austriache e tolti i bavagli della falsa condivisione della Omeopatia, i pusillanimi di turno iniziarono a contestare i medici accademici operanti a Napoli che si erano convertiti all’Omeopatia.
La contestazione avvenne attraverso, come abbiamo letto, beghe infantili basate sulla invidia e senza alcuna motivazione nel merito logico e scientifico.
Il de Horatiis, celebre accademico passato all’Omeopatia, fu accusato di essersi scelto i pazienti e di avere raggirato anche il Re che aveva portato dalla parte omeopatica per avvantaggiarsene professionalmente.
In realtà Francesco I era stato curato dal de Horatiis per una forma di angina pectoris persistente, proprio con l’Omeopatia e fu guarito; per questo motivo “Sua Maestà” sosteneva il metodo dell’Allemanno.
Sul negazionismo operato nell’esperimento dell’ospedale militare di cui abbiamo raccontato
Come abbiamo visto (letto), precedentemente, nella sperimentazione clinica sui malati presso l’ospedale militare di Napoli il tipo di negazionismo operò in più fasi:
- la prima fase fu quella di non accettare il confronto clinico da parte degli allopati; accettazione poi imposta da “Sua Maestà” Francesco I
- la seconda fase fu quella di mettere in giro, contravvenendo alle regole stabilite dal Re aprioristicamente, dicerie false sull’andamento dell’esperimento dove si parlava di morti senza specificare, ma facendo risuonare la notizia sui giornali per orientare l’opinione pubblica, per cui intervenne sempre “Sua Maestà” personalmente e constatò che i morti, i quali stavano felicemente pranzando al suo arrivo, fossero tutti “resuscitati”
- la terza fase del negazionismo si basò su una leggerezza offerta dallo stesso de Horatiis, in quanto l’esperimento si basava su cure ad personam e non su gruppi di portatori di una stessa patologia. Quindi era impossibile sostenere che un miglioramento fosse intrinseco ad un recupero naturale del soggetto piuttosto che dovuto all’omeopatia. Mentre un aggravamento era senz’altro conseguenza delle cure omeopatiche; come obiettare a tutto ciò?
E ora passiamo al negazionismo elegante applicato sui risultati della epidemia di febbri respiratorie dei Campi Flegrei
Nella epidemia respiratoria della zona Flegrea che provocava numerosissime vittime non fu possibile applicare il negazionismo della falsa scarlattina in quanto fu proprio la drammaticità della virulenza della epidemia a richiamare l’attenzione dell’Accademia sul dott. Cimone che, con le sue terapie, aveva cambiato drasticamente in meglio i disastri dell’epidemia.
Il Professore Quadri inviato sul posto dall’Accademia stessa per constatare la situazione, da uomo di scienza, prese atto che la terapia a base di Aconito prescritta dal dott. Cimone fosse decisamente efficace ma non poté scrivere nel suo rapporto, poi pubblicato, come ricordato in precedenza, che la terapia fosse omeopatica in quanto, per imperativo sottinteso, soprattutto in Accademia, non si doveva concedere alcuna pubblicità alla Omeopatia. Quindi si trattava di Aconito, punto.
Fatta questa premessa, o meglio, questo riassunto per riprendere il filo della nostra tematica, passiamo alla vera importante epidemia: quella del colera nel Regno di Napoli.
Le epidemie di colera nel Regno e la vera sperimentazione sul campo
Come abbiamo ricordato, nel Regno delle due Sicilie1, in breve tempo, nonostante l’opposizione organizzata della vecchia scuola, si contarono circa 500 medici convertitisi all’Omeopatia; un numero enorme per l’epoca.
L’avvento delle epidemie di colera, e poi di tifo, a Napoli diventò la vera sperimentazione clinica su un campione notevole di malati della stessa malattia che dimostrò nei fatti l’efficacia netta dell’Omeopatia rispetto alle cure convenzionali dell’epoca.
Va segnalato che l’Accademia di Palermo, in antitesi con quella di Napoli, accolse favorevolmente l’Omeopatia che è rimasta nella tradizione di quella città e resta sempre ben vista, sino ad oggi a livello ordinistico territoriale.
I dati
Le statistiche riassuntive pubblicate fino al 1855 a partire dal 1836 presso la stamperia dell’Iride di Napoli a cura di Rocco Rubini e molte altre ben documentate fanno emergere una mortalità media dell’8% con le cure omeopatiche dei colerosi nel Regno contro il 53% delle altre cure.
L’opera di Rocco Rubini: la mortalità fu prossima a zero
In particolare, il Dott. Rocco Rubini (Cellino Attanasio, 1800 – Teramo, 1888) ottenne, durante l’epidemia di colera iniziata nel 1854, la direzione e la cura della “Sala delle donne” nell’Ospedale Albergo dei Poveri e pubblicò i risultati della cura omeopatica dei colerosi (in particolare con l’uso della canfora) negli anni 1854-1855.
Si legge un interessante “attestato dell’Amministrazione Generale del Reale Albergo de Poveri” in cui viene esplicitamente dichiarato che Rubini curò dal 27 luglio all’11 settembre 1854 in quella sede (che ospitava 1268 degenti) 200 colerosi, senza registrare alcun decesso.
Inoltre, esiste una dichiarazione del Comando del terzo Reggimento Svizzero di cavalleria, del colonnello Wolf, in data 14 dicembre 1855, in cui si afferma che il Rubini curò e guarì, senza registrare alcun decesso, 166 suoi soldati affetti da colera.
Nella testimonianza, il Colonnello Wolf ringrazia il Rubini per la sua opera gratuita con la quale salvò tutti i suoi 166 soldati più 11 civili gravemente ammalati di colera che furono ricoverati nel suo reparto grazie alla intercessione del Cappellano militare de Schwertfeger.
Mentre dei 17 militari dello stesso reggimento, finiti nel Reale Albergo di Santa Maria della Vita e trattati con l’Allopatia, 15 morirono e solo due si salvarono.
“L’acqua fresca omeopatica” con cui il Rubini curò e guarì i colerosi
Purtroppo per i detrattori che hanno coniato l’aforisma “acqua fresca” questa volta risulta inapplicabile perché la canfora Rubini lungi da essere acqua pura, alcol+canfora, agiva solo attraverso il principio della similitudine.
Ricordiamo infatti che il “rimedio” usato dal Rubini fu la canfora miscelata ad alcol in proporzione di 1kg e 1kg (Canfora Rubini). Questa proporzione rendeva la soluzione satura e veniva somministrata nella dose di quattro gocce ogni cinque minuti nella fase iniziale del colèra e venti nei casi gravi!
Notiamo quindi che all’epoca non si poteva attaccare il rimedio omeopatico definendolo “acqua fresca” infatti non venivano ancora effettuate le diluizioni ultra-molecolari ma le sostanze omeopatiche venivano somministrate in piccole dosi ancora ponderali che agivano per il principio cardine ippocratico della similitudine, come da epistemologia del metodo omeopatico.
In precedenza, le proprietà curative della canfora (non ancora in soluzione idroalcolica come la Canfora-Rubini, N.d.A.) erano già conosciute da Hahnemann perché era stata usata empiricamente nel Colera Asiatico prima dell’Omeopatia secondo il principio di similitudine.
Di seguito la patogenesi di canfora nella sperimentazione omeopatica e nella osservazione empirica della intossicazione
- depressione rapida delle energie e del tono muscolare;
- diminuzione rapida della temperatura corporea con alito e respiro freddo;
- caduta delle facoltà intellettive accompagnata da sgomento e paura fino all’angoscia o indifferenza completa;
- (paradossalmente) il malato non tollera essere coperto nonostante il freddo in quanto avverte un bruciore interno;
- freddo glaciale all’addome ovvero bruciore intenso;
- indebolimento del polso e della respirazione;
- più tardi, convulsioni tetaniformi;
- brivido intenso e lungo;
- vomito, diarrea;
- collasso.
Come evidenzia la sintomatologia, Canfora si associa per similitudine proprio a quella delle prime fasi del colera.
NB. Nelle trousse da battaglia di alcuni eserciti che hanno usato la medicina omeopatica in guerra ritroviamo la Canfora Rubini fino alla Seconda guerra mondiale.
Presso il Museo dell’Omeopatia di piazza Navona a Roma, intitolato al Professore Antonio Negro, troviamo una trousse austriaca della Prima guerra mondiale, contenente la Canfora Rubini assieme all’Aconito, la Belladonna e altri rimedi per traumi e infezioni.
Fasi in cui la Canfora non è più indicata.
Nelle fasi successive con il progredire dei sintomi del colera emergono nuove sintomatologie che richiedono, per il principio di similitudine altri rimedi:
come quelli descritti nel manifestino che all’epoca fu esposto dalla farmacia omeopatica di via Chiaia 153 tra cui l’Arsenicum album e il Veratrum album (Elleboro bianco), quest’ultimo citato da Ippocrate nelle “epidemie” con il quale lo stesso Ippocrate aveva curato il colera; uso empirico.
Come si legge proprio nel manifestino, le indicazioni esposte dalla Farmacia del Rubini in via Chiaia a Napoli sono del “celebre medico omeopatico” Costantino Hering di Filadelfia.
La storia di Hering è quella di un uomo leale che, incaricato di distruggere l’Omeopatia, ne studia il metodo e al contrario la sua onestà intellettuale lo farà convertire alla Omeopatia diventando uno dei maggiori Maestri indiscussi del metodo dei simili.
Il nome Hering è quindi legato ad un evento storico che è paradossale soprattutto se il fatto viene letto alla luce della tendenza dell’uomo a seguire l’interesse più che la verità.
Hering, giovane e brillante medico ebbe una borsa di studio per indagare sulla “impostura” della Omeopatia.
Questa indagine invece lo convinse, proprio al contrario, ad abbracciare l’Omeopatia e divenne uno dei maggiori Maestri del metodo omeopatico e grande amico di Hahnemann; con cui scambiava lettere di apprezzamento e di ricerca senza essersi mai conosciuti fisicamente; Hering si era trasferito da giovane negli Stati Uniti.
Rocco Rubini e il debito della società e dei tanti malati gravi da lui guariti nei confronti di un gande uomo
La storia personale di Rocco Rubini è paradigmatica per tutto ciò che vogliamo significare in questo lavoro in quanto gli sviluppi della sua vita rappresentano bene il travaglio di una umanità rinchiusa nell’egoismo delle proprie differenze, divise e difese prima dal filo spinato, poi dall’indifferenza e poi dal dileggio e, se non basta ancora, dalla minaccia fisica.
Anche la persecuzione economica, non bastasse il resto…
Al culmine dei suoi meriti professionali acquisiti durante il colera, al Rubini fu affidata la conduzione dell’Ospedale della Cesarea dalla quale, dopo avere guarito circa 350 pazienti affetti da tifo, fu rimosso quando il prof. Antonio Ciccone, noto avversario dell’Omeopatia, assunse la direzione degli Ospedali Riuniti e in una sola volta licenziò tutti gli omeopati ospedalieri motivando la determina a motivi economici.
Tutto ciò naturalmente fu una decisione autoritaria in quanto i successi dell’Omeopatia sul campo, nelle epidemie di colera e poi di tifo, fecero crescere sempre più l’opposizione e il negazionismo della classe medica del tempo; l’episodio che segue testimonia la cieca ostilità verso il metodo dei simili.
L’oscuramento dell’Omiopatia divenne un imperativo
Dalla documentazione dello storico e ricercatore Cavalier Sandro Galantini, emergono, in “Scritti di Rocco Rubini” interessantissime considerazioni e documentazioni sul Rubini, maestro del Cigliano.
Il Rubini era conosciuto e apprezzato in tutto il mondo omeopatico per la sua “Canfora Rubini” che ritroviamo riportata nelle Materie Mediche omeopatiche principali.
Ma venne “eliminato”, come vedremo di seguito, dalla scena medico-professionale proprio per le sue eccezionali guarigioni ottenute nelle epidemie di colera e di tifo che dettero “troppa visibilità” a lui e all’Omeopatia.
Lettere di testimonianza della gratitudine al Rubini da parte di autorità dell’epoca, e circostanziate, sono state recuperate dal silenzio stratificato dell’omertà interessata e riportate alla storia dal Cavalier Sandro Galantini a cui rendiamo merito.
Non solo fu negato al Rubini di partecipare al premio che veniva attribuito da una giuria internazionale al medico con minori perdite di pazienti durante il colera, ma si premiò chi aveva avuto perdite di gran lunga maggiori, nella misura di decine di volte, superiori alle percentuali delle perdite del Rubini che in alcune circostanze, come abbiamo detto, furono prossime allo 0%.
Il peccato dell’onestà
Inoltre, con il ritorno di nuove epidemie di colera che mietevano moltissime vittime, siamo nel Regno d’Italia e senza più la protezione borbonica, ormai licenziato dal Ciccone dagli Ospedali riuniti di Napoli assieme agli altri omeopati, il Rubini, medico onesto, offrì alle novelle Istituzioni romane la propria opera gratuita, alla luce della esperienza dimostrata in precedenza, e quella dei suoi medici omeopatici, per curare i colerosi.
Alle mancate risposte delle autorità a cui aveva inviato reiterati appelli, il Rubini reagì accusando le Istituzioni del Regno di complicità nelle future morti per epidemia visto che egli aveva dimostrato sul campo di salvare da morte certa tantissimi malati e che la sua entrata in campo avrebbe impedito.
Il Cigliano, allievo del Rubini, racconta, “In morte di Rocco Rubini”, che queste richieste reiterate,2 inviate a Roma, di partecipare alla cura del colera, da parte del suo Maestro, costarono a Rocco Rubini una visita minacciosa della Guardia di Finanza.
I militari la motivarono dicendo al Rubini che egli, ritenendosi famoso, doveva quindi essere in possesso di numerosi beni che andavano verificati.
L’inizio della persecuzione convinse il Rubini a cancellarsi dall’Ordine Professionale!
Una brutta storia, come ce ne sono tante, e che è passata nel silenzio dell’omertà!
NB. Per un maggiore approfondimento dei documenti rari del Rubini rimandiamo il lettore alla proprio alla raccolta documentale a cura di Sandro Galantini citata ed esposta nel suo “Scritti di Rocco Rubini”.
CONTINUA…
- Tratto da: 1821-2021 IL BICENTENARIO DELL’ARRIVO DELLA MEDICINA OMEOPATICA A NAPOLI. L’OMEOPATIA AL TEMPO DEI BORBONE di Carlo Melodia Prima edizione: 2022 © Editore LUIMO.
- Nel libro di Sandro Galantini in “Scritti di Rocco Rubini” sono riportate le lettere protocollate inviate dal Rubini alle Istituzioni romane.