Premessa
Intelletto e ragione
Come abbiamo visto (letto), la storia della Omeopatia è paradigmatica della attitudine che guida le umane cose secondo la sequenza obbligata che inizia con meraviglia e apprezzamento. Queste sono le percezioni spontanee dell’intelletto di fronte alla positività di una certa novità.
Subito dopo, in ognuno scatta l’indagine razionale e di censura appartenente alla logica che risponde alla necessità di mantenere lo status quo personale e risponde alla domanda: cui prodest?
La ragione, strutturata con la logica, resiste al cambiamento, o almeno quelli, tanti, che hanno trovato un assetto comodo di vita o l’abbiano ricavato proprio in quella realtà: allora perché modificarla?
Di solito sono i mediocri, anche con tanti titoli inutili, quelli che hanno da perdere; in quanto hanno costruito la loro posizione in subordine ad un dedalo di interessi che impediscono scelte istintive, direi eroiche.
Immaginate di guardare un fiume: il fiume della vita
C’è una zona centrale che scorre più velocemente perché più libera progressivamente dalla coesione molecolare che trattiene l’acqua sulle sponde.
Ebbene, se questo fosse il fluire delle cose, meglio restare nella zona intermedia direbbe il furbo, né troppo veloce né fermo. Chi è vicino alla sponda resta indietro o addirittura ristagna in qualche mulinello, il più veloce potrebbe annegare.
Il cambiamento allora diventa rischioso perché accelera il ritmo delle cose superando il vecchio. Ma il fiume non puoi fermarlo.
Però se qualcuno prova al centro a lasciarsi andare, la velocità è tale da poter travalicare tutto, anche la stessa sponda e tracciare un nuovo percorso; cosa che avviene ad opera di persone illuminate o quando l’acqua apparentemente lenta dei meno fortunati che stanno sui bordi, con i suoi mulinelli lavora giorno dopo giorno e inavvertitamente e improvvisamente rompe gli argini, come avvenne nella rottura dei vecchi dogmi da parte della Rivoluzione francese!
La zavorra
Il mediocre è sempre la zavorra della società, anche se dice di difenderla, ma è quello che si difende aprioristicamente dalla novità altrui perché sotto sotto pensa solo al proprio orticello; fatto di piccoli poteri autoreferenziali perché il gruppo è organizzato per soddisfare l’ego dei partecipanti ad una spartizione di piccole cose in una visione distorta della società e di ciò che è pubblico. I titoli di studio e le carriere ostentate diventano di facile ottenimento tra sodali; quindi, per queste persone rappresentano solo strumenti vuoti e finalizzati al millantato credito.
Il coraggio delle proprie idee
Hahnemann rappresenta tra gli altri un vero esempio di uomo che affrontò esplicitamente un mondo irrigidito e scientificamente autarchico per affermare le proprie “pretenzioni” documentate e per questo esiliato.
Oggi, a distanza di oltre 200 anni, più di mezzo miliardo di cittadini nel mondo testimoniano la efficacia delle sue idee.
Una idea viaggia per la sua energia intrinseca, nonostante tutto.
Il ruolo di Napoli
Come molti sanno, il ruolo di Napoli nella storia dell’omeopatia nel mondo fu centrale per la sua espansione.
A seguito della circostanza dei moti rivoluzionari a Napoli con la richiesta e ottenimento di una Carta costituzionale poi rigettata Ferdinando I chiamò a Napoli le truppe austriache a sedare i moti:
3 marzo 1821: i medici al seguito delle armate austriache professavano l’omeopatia
I medici militari austriaci che vennero a Napoli professavano ufficialmente l’Omeopatia.
La posizione di privilegio della “medicina dei simili” nell’esercito austriaco era dovuta al fatto che Matthias Marenzeller, medico capo delle armate austriache, fosse un omeopata e che Karl Philipp, Principe di Schwarzenberg, Feld-Maresciallo austriaco, si curasse omeopaticamente e fosse stato paziente dello stesso Hahnemann.
Da qui Napoli divenne il centro propulsivo e il crocevia della omeopatia nel mondo e vennero proprio a Napoli numerosi medici a formarsi nel metodo dei simili nella scuola di Francesco Romani, allievo del Cotugno, e insigni medici e accademici napoletani abbracciarono il metodo omeopatico salvando migliaia di persone nelle epidemie di colera.1
Nel 1822, l’Accademia Reale di Napoli, che rappresentava la depositaria della cultura, accolse favorevolmente la visita del Barone Generale Von Köller, comandante della piazza di Napoli che, in atto di conciliazione, prima di lasciare Napoli volle presentare la medicina omeopatica, professata dai propri ufficiali medici, all’autorità medica indiscussa dell’Accademia, donando “Il sistema medico del dott. Samuel Hahnemann”.
D’altra parte, l’Accademia ringraziò ufficialmente il Generale e chiese, per una giusta riflessione scientifica, al referente austriaco di voler conoscere l’architettura del nuovo sistema medico dell’Alemanno. Il Dott. Alberto di Schoenberg fu incaricato di andare da Hahnemann per apprendere la metodologia ed esporla all’Accademia.
Cosa che fece al suo ritorno a Napoli, in conferenza dedicata, nell’Accademia Reale delle Scienze, con una dotta esposizione.
L’Accademia, almeno formalmente e per fatti evidenti, riconobbe la scientificità della impostazione hahnemanniana e si fece carico della stampa de “Il sistema medico del dott. Samuel Hahnemann” che espose nell’Accademia stessa.
Nelle note e nei fatti ufficiali, quindi, l’Omeopatia era stata consacrata nella propria metodologia dalla più alta Istituzione culturale della Città di Napoli.
Ben presto, di pari passo al successo dell’Omeopatia nel Regno, emergeranno resistenze evidenti verso i medici che eserciteranno l’Omeopatia
L’opposizione della medicina convenzionale. che si definiva ippocratica, divenne presto organizzata in quanto vedeva in pericolo, con l’avvento della Omeopatia, la propria posizione culturale consolidata nel tempo
Il vecchio assetto socioculturale-economico veniva messo in discussione.
Un ruolo decisivo per l’affermazione popolare dell’Omeopatia a Napoli, poi integrata stabilmente nella cultura medica di questa città, nonostante tutto, lo dobbiamo al Dott. Necker di Melnik, medico militare austriaco.
Il Necker, stabilitosi a Napoli una volta che le armate austriache si furono ritirate, aprì un dispensario al quale affluirono malati di ogni ceto sociale.
In questo dispensario troviamo Giuseppe Mauro e Rocco Rubini: ideatore della “Canfora Rubini” che salvò tanti colerosi e presente nelle trousses dei medici militari dell’esercito austriaco ancora nel 1° conflitto mondiale.
L’apertura dei dispensari rappresentò la testimonianza di come l’Omeopatia si fosse consolidata stabilmente sul territorio della Capitale del Regno.
Le prime farmacie (dispensari) omeopatiche all’epoca dei Borbone aprirono nei pressi di via Toledo in vico Baglivo Uries e furono quella del Dott. Sprenger e della Legazione Statunitense e poi un dispensario in via Giacinto Gigante.
Nel 1852, Rocco Rubini ottenne da Leopoldo di Borbone il nulla osta a fondare la Farmacia Omiopatica di via Chiaia al civico 153 presso il Teatro Sannazaro. Altre aperture seguirono poi nel Regno d’Italia.
Questi segnali di crescita, anche sul piano economico, dell’indotto omeopatico furono un segnale che motivò la nascita di una opposizione organizzata da parte di chi vedeva messi in discussione i propri interessi.
Infatti, il vecchio assetto socioeconomico consolidato nel tempo vide, con l’apertura delle farmacie omeopatiche, emergere un concorrente che sottraeva pazienti e lavoro ai farmacisti storici affermati sul territorio.
La crescita dell’Omeopatia e la reazione della medicina convenzionale
Molti medici anche illustri operanti nel Regno si convertirono all’Omeopatia.
Ben presto il numero di medici omeopatici nel Regno salì ad una cifra enorme per l’epoca in quanto si attestò sulle 500 unità e molti lavoravano con successo negli ospedali durante le epidemie di colera e tifo.
Ricordiamo in particolare il de Horatiis, Direttore della Clinica Chirurgica della Università di Napoli, il Romani, allievo del Cotugno, e il Tommassini, Direttore della Clinica Medica di Bologna a cui si aggiunsero pazienti illustri che da subito si curarono con il metodo dei simili.
Il diffondersi dell’Omeopatia provocò una forte preoccupazione nell’ambito del vecchio assetto medico ed economico consolidato nel tempo.
La strategia del silenzio imposto
Ben presto la medicina dominante si organizzò per fermare il fenomeno crescente vietando di usare a livello ufficiale il temine Omeopatia (Omiopàzia o Omiopatia) nel Regno.
Anche citare semplicemente il nome Hahnemann divenne rischioso per la carriera di un medico…
La gogna a tutti i costi in nome della scienza ufficiale
In questo clima, Luigi Rossini, in un suo feroce libello dal titolo “La medicina e la società, il medico istruito, il ciarlatano e l’Omeopatia”, cita l’accademico de Horatiis come il primo dei medici contaminati dalla impostura omeopatica e parla di successi ottenuti per il fatto di avere selezionato con cura i suoi malati (tra cui il Re Francesco I, apertamente difensore dell’Omeopatia sofferente di una persistente forma di angina pectoris e guarito dal de Horatiis con l’omeopatia N.d.A.)
L’opposizione culturale verso l’Omeopatia si spinse anche in sede ufficiale dove emerse nettamente nel VII Congresso degli Scienziati Italiani a Napoli nel 1845
Un allopata, il Dott. Panvini, già distintosi come deciso avversario dell’Omeopatia nella sperimentazione dell’Ospedale Militare, incautamente, nella sua relazione in Congresso nominò Hahnemann; la platea, sentendo nominare quel nome, pensò che il relatore fosse un estimatore della Omeopatia e a viva voce lo cacciò dal palco e a nulla valsero le spiegazioni per chiarire l’equivoco.
L’inquisizione
Nelle Università, si arrivava anche all’espulsione se qualche incauto studente avesse solo nominato il termine Omiopàzia/Omiopatia o il nome dello stesso Hahnemann.
Questo tipo di opposizione era già emersa, come è nella natura delle cose, anche in Germania, man mano che Hahnemann perdeva i suoi primi protettori.
Le personalità illustri che egli aveva curato, e che ora non erano più al potere, lasciarono via libera all’opposizione cattedratica che si organizzò per mettere al bando l’Omeopatia e impedirne l’esercizio.
Hahnemann a questo punto prese atto, già quasi ottantenne, che sarebbe stato il caso di andarsene e seguì a Parigi la giovane moglie Melanie.
La Francia rivoluzionaria forte di uno spirito libero accoglie Hahnemann e l’Omeopatia
In Rue Milano 10, Hahnemann e Melanie vissero gli ultimi otto anni della vita del Maestro in una splendida casa dove erano coadiuvati da numerosi servitori.
Nella Francia animata dallo spirito rivoluzionario che aveva ribaltato ogni aspetto del vecchio assetto culturale e politico autoreferente e già sensibilizzata dall’opera benemerita del de’ Guidi, caposcuola della Omeopatia francese, formatosi a Napoli da Francesco Romani, allievo del Cotugno, Hahnemann fu accolto con tutti gli onori e venne sepolto proprio a Parigi.
La Francia ancora oggi è statisticamente il Paese nel quale i cittadini fanno più uso della medicina omeopatica.
Il guanto della sfida
Il Cavalier de Horatiis di fronte al negazionismo da operetta nei confronti della omeopatia da parte della sua Accademia e dei medici cosiddetti ippocratici, da vero medico, scese sul piano della verifica dell’efficienza clinica dell’omeopatia e lanciò il guanto di sfida.
Nel 1829 ci fu la sua proposta di una sperimentazione clinica condivisa, con la supervisione degli allopati, richiesta, per onestà intellettuale, su gruppi di malati presso l’Ospedale Militare di Napoli.
Il guanto non fu raccolto dagli allopati ma fu accordato dal Re
Il progetto, ostacolato e respinto in principio dai medici della vecchia scuola che si definivano ippocratici, fu invece concesso dal Sua Maestà il Re che annullò il respingimento degli allopati alla richiesta del de Horatiis argomentando nel modo seguente al de Horatiis stesso:
«Io conosco l’abilità e l’onestà vostra e del vostro collega (Romani, N.d.A.), fate quanti esperimenti volete e per il tempo che volete. L’Omiopatia è vera benefattrice della intera umanità»
L’esperimento fu avviato dal de Horatiis e supervisionato da molti medici di fama tra “allopatisti ed omeopatisti” tra cui il Panvini, accanito detrattore della Omeopatia, autore dei “Quaranta giorni della clinica omeopatica” che con il suo scritto fazioso contravvenne alle regole che Sua Maestà aveva stabilito.
Mancanza completa di osservazione scientifica. Una serie di brogli
L’esperimento non riuscì a prendere forma scientifica a causa delle accuse reciproche di interferenza e addirittura di brogli e decessi, la cronaca parlò finanche di avvelenamenti che procurarono forti vomiti nei pazienti, fatti passare per intossicazioni omeopatiche, per sostenere, dimostrare o per nascondere le evidenze.
Tempestivamente, già dall’inizio dell’esperimento, i cronisti medici, avversi all’Omeopatia, diffusero la notizia della morte dei malati assistiti dalle cure omeopatiche e quindi scrissero di denunzie e di arresti che avrebbero coinvolto lo stesso de Horatiis.
L’intervento arbitrale di Sua Maestà Francesco I
A questo punto dovette intervenire addirittura Sua Maestà in persona che, recatosi all’Ospedale per toccare con mano la situazione, con meraviglia constatò:
«dunque gli ammalati ch’io qui veggio son tutti morti resuscitati»
Siccome i giornali della città parlarono continuatamente di questa sperimentazione clinica per più giorni, questo argomento appassionò i cittadini e il popolo iniziò a schierarsi, come sempre avviene in questi casi, e all’Omeopatia, novella medicina, si stava offrendo indirettamente l’occasione di farla conoscere anche a chi non ne aveva mai sentito parlare in precedenza.
Il timore di una visibilità dannosa
Nel timore quindi che il termine Omeopatia si diffondesse troppo, gli allopatisti suggerirono agli omeopatisti di sospendere l’esperimento e si ritirarono.
Un armistizio concordato
Insomma, le due parti addivennero, come vedremo, ad una sorta di armistizio concordato.
In realtà i motivi ufficiali dell’interruzione dell’esperimento furono svariati e argomentati a seconda dello schieramento di appartenenza.
Andare avanti in quel modo conflittuale in verità non conveniva né agli allopati né agli omeopati.
Parola d’ordine: nascondere
I primi si accorsero che si stava dando troppa visibilità all’Omeopatia, ne stavano parlando numerose riviste di medicina, omeopatiche e allopatiche, cosa che faceva incuriosire anche i medici che non conoscevano ancora l’Omeopatia e la curiosità li spingeva ad interessarsi e a studiare il novello metodo.
Gli omeopati, d’altra parte, compresero che la loro sperimentazione per dimostrare l’efficacia del loro paradigma, su gruppi di malati eterogenei, fosse perdente, in quanto, come sempre avviene nella interpretazione in medicina, la guarigione di un certo malato sfugge alla statistica dei grandi numeri come avviene invece per una malattia (ad esempio epidemica, come fu poi per il colera).
Le evidenze negate
Infatti, la realtà veniva interpretata in questo modo da parte dei detrattori (come avviene anche oggi): una guarigione poteva essere addebitata al recupero intrinseco del malato, piuttosto che alla efficacia della cura prescritta (omeopatica).
Mentre l’aggravamento (come avviene anche oggi) veniva da subito messo in rapporto alla inefficacia o peggio alla stessa assunzione del rimedio omeopatico, come stava avvenendo di fatto in quella sperimentazione!
Gli allopati abbandonarono per primi l’esperimento
Il de Horatiis, nonostante la sua posizione accademica consolidata e la benevolenza e la protezione per essere stato il primo omeopata della Casa Reale con Re Francesco I, si rese conto che l’opposizione degli ospedalieri era decisa e soverchiante e che la vecchia scuola, di fatto, non avrebbe mai riconosciuto l’efficacia clinica della Omeopatia.
Da soli, gli omeopati continuarono l’esperimento fino al settembre dello stesso anno. Poi, con la partenza fuori confine del de Horatiis a fianco del Re, il Romani non se la sentì di proseguire da solo e l’esperimento fu sospeso.
L’Allopatia e l’Omeopatia infine rimossero il ponte di congiungimento culturale proposto dal de Horatiis e a quel punto si schierarono in trincea, una di fronte all’altra, pronte a delegittimarsi.
L’11 agosto del 1829, il Segretario di Stato, Ministro della Guerra e della Marina, comunicava al Presidente della Pubblica Istruzione un Decreto emesso da Sua Maestà Imperiale che terminava con le seguenti parole:
«…ho stimato di sopprimere la suddetta clinica lasciando al tempo e ad una più lunga esperienza europea a giudicarne».
Parola d’ordine negare: il termine Omeopatia va cancellato
Una mezza verità e una mezza bugia
La mezza verità
Come si evince dalla lettura degli atti del “VII Congresso degli Scienziati Italiani a Napoli”, un tacito accordo degli allopati partecipanti volle che il termine “Omiopatia” fosse estromesso dagli atti ufficiali.
Ma non citare l’omeopatia era già un dictat precedente.
Il dott. Cimone, operante nella zona Flegrea (Pozzuoli) valente e umile omeopata, richiamò la curiosità scientifica del Prof. Cav. G. Battista Quadri, famoso oculista, Direttore della Clinica Oftalmica, capo Servizio dell’Ospedale Militare di Napoli e membro di rilievo dell’Accademia Reale delle Scienze di Napoli, in quanto il Cimone aveva guarito tutti i pazienti a lui affidati nell’epidemia di forme pleuriche ad alta mortalità con l’uso dell’Aconito omeopatico.
Mentre per la stessa causa la mortalità fu elevatissima con la terapia allopatica ufficiale del salasso, per ridurre l’infiammazione.
Il Quadri si recò nella zona Flegrea accompagnato dal Cavaliere russo Borosdin per constatare di persona e sottoscrivere le guarigioni.
L’Accademico, dopo avere verificato sul campo la veridicità delle guarigioni attribuite al Cimone, a marzo del 1829, lesse ai colleghi della Accademia Reale delle Scienze una memoria sull’efficacia dell’Aconito nelle infiammazioni di petto epidemiche.
La mezza bugia
Ma omise, per prudenza e convenienza professionale, di specificare trattarsi di preparazioni omeopatiche; ogni riferimento era ritenuto indesiderato dalla Vecchia Scuola e quindi in pratica bandito dalle pubblicazioni scientifiche convenzionali. La relazione del Prof. Quadri fu pubblicata sull’Osservatore Medico (anno VIII).
COMTINUA…