Le interconnessioni fra vista e aspetti umorali, che possono sconfinare in malattie psichiatriche, è un aspetto spesso trascurato dai medici specialisti.
La relazione tra psichiatria e altre patologie, come quelle cardiovascolari, gastrointestinali, respiratorie e il diabete, è ben documentata; tuttavia, l’associazione tra psichiatria e oftalmologia non ha ricevuto l’attenzione che merita.
Alcuni studi hanno evidenziato l’importanza di questa associazione per cui malattie psichiatriche (e le loro terapie) possono portare disturbi visivi e malattie dell’apparato visivo che possono portare a squilibri di natura psichiatrica. Ad esempio, un recente studio taiwanese ha sottolineato la necessità di aumentare la consapevolezza riguardo ai disturbi psichiatrici durante i controlli oftalmologici e viceversa (Liu et. Al 2020)
Questo articolo si propone di accennare agli aspetti oftalmologici dei disturbi psichiatrici e agli aspetti psichiatrici delle malattie oftalmiche.
Ormoni e occhi
L’interazione tra ormoni e afferenze visive è nota ed è bidirezionale: le informazioni visive possono influenzare la secrezione ormonale e come gli ormoni stessi possono modulare le funzioni visive. Diverse ricerche reperibili su PubMed evidenziano queste connessioni.
Ad esempio gli effetti della Somatotropina e IGF-I sono stati esaminati in adulti con una mutazione inattivante nel gene del recettore dell’ormone della crescita (GH) evidenziando come la carenza di IGF-I, un ormone influenzato dal GH, potrebbe avere un impatto sulle dimensioni oculari e sulla qualità della visione.
Anche gli ormoni sessuali, come gli estrogeni e gli androgeni, sono noti per influenzare la funzione visiva. Gli estrogeni, in particolare, sono stati associati alla salute del film lacrimale e alla lubrificazione oculare. La loro carenza può portare a condizioni come la sindrome dell’occhio secco, che è comune nelle donne in menopausa. Inoltre, gli androgeni possono influenzare la produzione di lipidi dalle ghiandole di Meibomio, essenziali per mantenere l’integrità del film lacrimale.
Le afferenze visive attivano percorsi neuroendocrini e l’esposizione alla luce può regolare la secrezione di melatonina dalla ghiandola pineale, influenzando i ritmi circadiani e potenzialmente anche il comportamento e l’umore. È stata osservata anche una relazione tra l’esposizione alla luce e i livelli di serotonina nel cervello. L’esposizione alla luce solare aumenta la sintesi di serotonina, contribuendo a migliorare l’umore e a ridurre i sintomi di depressione.
Studi hanno dimostrato che situazioni di stress acuto, come quelle che coinvolgono stimoli visivi minacciosi, possono portare a un aumento della produzione di cortisolo.
La loro secrezione di catecolamine, come adrenalina e noradrenalina, è attivata da input visivi che segnalano pericoli, influenzando così la percezione e l’attenzione.
Farmaci psichiatrici e occhi
Meno noti ai più, rispetto al legame vista-ormoni, sono le relazioni tra apparato visivo e aspetti psichiatrici. L’articolo The Interface Between Psychiatry and Ophthalmology pubblicato su Acta Medica (Hradec Králové) nel 2019, esamina le interconnessioni tra queste due discipline, evidenziando come i disturbi psichiatrici possano manifestarsi attraverso sintomi e segni oculari e viceversa. Gli autori, Evgenii Sadykov e collaboratori, analizzano vari aspetti, tra cui l’impatto della psicofarmacologia sulle malattie oculari e l’uso di metodi neuro-oftalmologici per supportare diagnosi psichiatriche con l’obiettivo di esplorare come la psichiatria e l’oftalmologia si influenzino reciprocamente.
Farmaci psichiatrici e vista
È ben noto come ci sia influenza dei farmaci psichiatrici sugli occhi e la percezione visiva. Faremo di seguito qualche esempio.
Gli antipsicotici sono noti per i loro effetti collaterali oftalmologici. Essi presentano proprietà anticolinergiche che possono causare dilatazione della pupilla (midriasi) e paralisi dell’accomodazione (cicloplegia). Questi effetti possono incrementare il rischio di sviluppare glaucoma acuto, una condizione che può portare a cecità se non trattata tempestivamente. Farmaci come la tioridazina e altri derivati fenotiazici possono indurre retinopatie degenerative. Si ipotizza che ciò sia dovuto al blocco dei recettori dopaminergici D4, particolarmente presenti nei fotorecettori e nelle cellule dell’epitelio pigmentato retinico.
Durante il trattamento con antipsicotici potenti, i pazienti possono sperimentare blefarospasmo (contrazione involontaria delle palpebre) e crisi oculogire (movimenti oculari involontari), che possono complicare ulteriormente la gestione clinica. È stata osservata una correlazione tra l’uso prolungato di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e il rischio di sviluppare glaucoma.
Anche gli antidepressivi non sono esenti da effetti collaterali oculari: infatti possono causare midriasi e cicloplegia, aumentando il rischio di glaucoma acuto (il fenomeno è particolarmente preoccupante nei pazienti con predisposizione a questa condizione e con familiarità) . L’uso di farmaci come il topiramato, impiegato nel trattamento del disturbo bipolare, è associato a una riduzione della secrezione lacrimale, causando sintomi di occhio secco. Inoltre, possono verificarsi episodi di diplopia (visione doppia) e alterazioni nella percezione dei colori.
Alcuni farmaci psichiatrici sono noti per causare diplopia come effetto collaterale, soprattutto a causa del loro impatto sul sistema nervoso centrale o sulla funzione neuromuscolare degli occhi. Gli antipsicotici, ad esempio, come l’aloperidolo o la clorpromazina, possono alterare il controllo oculomotore, portando a difficoltà nel coordinare i movimenti degli occhi. Anche i benzodiazepinici, comunemente prescritti per l’ansia o l’insonnia, possono indurre visione doppia, poiché agiscono come sedativi sul sistema nervoso centrale, influenzando i muscoli oculari. Infine, alcuni antidepressivi, come quelli triciclici, sono associati a effetti collaterali visivi, compresa la diplopia, per via delle loro proprietà anticolinergiche.
Malattie psichiatriche e occhi
D’altro canto molti pazienti con patologie oculari presentano anche sintomi psichiatrici e questo è un aspetto parzialmente sorprendente. Le malattie oculari, come la sindrome dell’occhio secco, il glaucoma o le patologie retiniche, non solo influiscono sulla vista, ma possono anche avere un impatto significativo sul benessere psicologico dei pazienti. La frustrazione e la preoccupazione legate alla perdita della vista o alla gestione di sintomi oculari cronici possono contribuire allo sviluppo di disturbi dell’umore, come depressione e ansia. Ad esempio, i pazienti affetti da sindrome dell’occhio secco spesso riferiscono una qualità della vita ridotta, non solo a causa dei sintomi fisici, ma anche per l’effetto che questi hanno sulla loro vita quotidiana e sulle interazioni sociali. La difficoltà a svolgere attività comuni può portare a sentimenti di isolamento e impotenza.
Studi dimostrano che i pazienti con blefarite hanno un’incidenza significativamente maggiore di depressione e ansia rispetto ai pazienti senza questa condizione. Inoltre, la prevalenza di sintomi di depressione e ansia è risultata elevata anche nei pazienti affetti da glaucoma. Se nel primo caso si può pensare che la blefarite sia risultato delle modifiche della PNEI e della attivazione di vie infiammatoria sistemiche che possono portare a modifiche del microbiota e mucositi (come accennato in un precedente articolo), nel caso del glaucoma è possibile invece che le preoccupazioni per la propria vista o l’ipovisione siano i meccanismi che attivino ansie e depressioni reattive.
Si riscontra anche un’alta prevalenza di sintomi depressivi tra gli anziani in attesa di intervento chirurgico per cataratta, suggerendo che la disabilità visiva può influenzare negativamente la salute mentale.
Inoltre, alcuni studi suggeriscono che esiste una correlazione biologica tra infiammazione oculare e stati d’animo negativi. Dovuto a citochine pro-infiammatorie elevate, riscontrate nei pazienti psichiatrici.
Segni oculari obiettivi di malattie psichiatriche
Se è vero che le malattie psichatriche portano a disturbi visivi, che le malattie visive predispongono a condizioni di interesse psichiatrico, è anche vero che le malattie psichiatriche possono lasciare segni organici e obiettivi rilevabili da esami oculistici.
La Tomografia Ottica Computerizzata (OCT) è un esame diagnostico non invasivo che utilizza un fascio laser per ottenere immagini ad alta risoluzione delle strutture oculari, e rende possibili misurazioni biometriche degli spessori del nervo ottico e della retina, oggetto delle indagini in ambito oftalmo-psichiatrico.
Recenti studi hanno evidenziato che i pazienti con disturbo bipolare possono presentare anomalie visive e modifiche nella struttura oculare, suggerendo una connessione significativa tra questa patologia psichiatrica e la salute oculare.
Il disturbo bipolare è una condizione psichiatrica caratterizzata da alterazioni dell’umore che oscillano tra episodi di mania e depressione. Uno studio condotto da Mehraban et al. (2016) ha misurato lo spessore della fibra nervosa retinica peripapillare (RNFLT) rilevabile con OCT in pazienti con disturbo bipolare.
O’Bryan et al. (2015) hanno esaminato le capacità di percezione visiva in pazienti con disturbo bipolare di tipo I. Utilizzando test psicofisici, hanno trovato deficit nella discriminazione della traiettoria del movimento puntiforme, sia nei pazienti durante gli episodi maniacali che in quelli in fase eutimica (stabile)indicando che i pazienti bipolari possono avere difficoltà nei processi percettivi legati al movimento.
Altre ricerche hanno evidenziato un’interessante intersezione tra la schizofrenia e la salute oculare, suggerendo che i pazienti affetti da questa condizione possono presentare anomalie visive e disfunzioni nel sistema visivo, tra cui problemi di percezione e di riconoscimento di oggetti, verosimilmente dovuti a disfunzioni dei sistemi dopaminergico e glutamatergico. Spesso sono anche presenti errori nella discriminazione del colore e movimenti oculari anomali. Anche in questo caso i risultati delle misurazioni con OCT hanno mostrato una riduzione significativa dello spessore della fibra nervosa retinica nei pazienti rispetto ai controlli sani, suggerendo che tali misurazioni potrebbero avere un valore diagnostico nel contesto della schizofrenia.
La depressione è legata a segni oftalmologici specifici, come il segno Omega e il segno di Veraguth, che indicano contrazioni muscolari e sono associati a comportamenti di ipervigilanza. Il tracciamento oculare è utile per valutare i bambini a rischio di autismo e può anche servire per monitorare la risposta al trattamento in pazienti autistici. Alcuni correlati retinici sono stati associati a varie malattie psichiatriche, inclusi Alzheimer, schizofrenia e disturbo bipolare, suggerendo che l’esame della retina possa fornire informazioni utili sugli effetti dei trattamenti psicofarmacologici. Dunque le funzioni oftalmiche sono utilizzate per indagare diverse malattie psichiatriche, tra cui i movimenti oculari saccadici (SPEM) associati a condizioni come la schizofrenia e il disturbo bipolare.
Conclusioni: la psico-oftalmologiae le terapie complementari
Per concludere è possibile affermare che psichiatria e oftalmologia, sebbene possano sembrare discipline lontane, abbiano un terreno comune su cui costruire una collaborazione più stretta?
Gli sviluppi recenti dimostrano che esiste un’interazione significativa tra queste due aree della medicina, ma è ancora necessario un lavoro di ricerca più approfondito per comprenderne appieno il potenziale.
Convalidare queste scoperte attraverso studi rigorosi potrebbe portare a innovazioni importanti, come l’uso dell’OCT, che potrebbe diventare fondamentale per diagnosi e follow-up, specialmente per condizioni come la schizofrenia e altre sopra citate.
Parallelamente, sarebbe utile esplorare meglio il rapporto tra psichiatri e oftalmologi, analizzando il tipo di dialogo che vengono fatti tra le due discipline. Questi dati potrebbero contribuire alla creazione di linee guida condivise, migliorando la gestione dei pazienti con manifestazioni oftalmologiche di disturbi psichiatrici o viceversa. Del resto L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), è una tecnica psicoterapeutica efficace nel trattamento di traumi e disturbi legati a esperienze stressanti, come il disturbo da stress post-traumatico (PTSD).
Infine il collegamento vitale tra salute mentale e salute fisica, sottolinea la necessità di una cura completa che consideri sia i fattori psichiatrici che quelli fisiologici generali e oculari nella gestione dei pazienti.
In un approccio integrato devono necessariamente trovare spazio le terapie di supporto naturali, come la fitoterapia o le terapie comportamentali, da usarsi nelle manifestazioni combinate di disturbi oculari e umorali. Solo per fare qualche accenno, piante come la passiflora, la valeriana e la rhodiola sono note per le loro proprietà calmanti e ansiolitiche e la Melatonina può ridurre l’ansia e migliorare il sonno, fondamentale supporto in quadri di ansia e blefarite. L’iperico, noto anche come erba di San Giovanni, è ampiamente utilizzato per trattare la depressione lieve e moderata, insieme allo zafferano. La lavanda è conosciuta per le sue proprietà calmanti e rilassanti e il suo profumo è spesso utilizzato nella terapia aromaterapica per ridurre l’ansia e migliorare il sonno. Inoltre, la lavanda ha effetti antinfiammatori che possono rivelarsi utili nel trattamento di disturbi oculari legati allo stress, come la secchezza oculare. La Camomilla è comunemente usata per alleviare ansia e stress, contribuendo a migliorare la qualità del sonno e gli estratti di camomilla possono essere utilizzati localmente per lenire irritazioni oculari e infiammazioni e ci sono anche colliri con azione lenitiva. L’integrazione delle terapie fitoterapiche con trattamenti convenzionali può potenziare i risultati terapeutici.
L’uso di rimedi naturali può accompagnarsi a tecniche di rilassamento come la meditazione o lo yoga, che sono anch’esse benefiche per la salute mentale e visiva.
Nella visione olistica del malato, non considerato portatore di una somma di malattie (come il riduzionismo dei tempi moderni suggerisce), è sempre migliore un approccio integrato, anche in condizioni patologiche apparentemente distanti e non integrabili come le malattie psichiatriche e oftalmologiche. Con questo articolo spero di avere suggerito nuove idee di comprensione poco esplorate in ambito psico-oftalmologico.
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