Redazione

Il sistema immunitario uccide più del virus

La maggioranza delle persone che contraggono il Sars-Cov-2 ci convivono senza complicazioni. La differenza è nella risposta immunitaria
12 Ottobre, 2020
Tempo di lettura: 3 minuti

“Ancora non sappiamo chi colpì per primo, se noi o loro. Sappiamo però che fummo noi ad oscurare il cielo”. Siamo in Matrix. Con questa frase carica di emozione Morpheus spiega a Neo come l’umanità si è condannata al limite dell’estinzione. Gli uomini volevano colpire le macchine (forse prima ancora che queste si fossero mai mostrate ostili), ma l’oscuramento del sole colpì più duramente l’Uomo dei robot, portando la nostra specie alle soglie dell’estinzione.

L’immagine evocata da Morpheus si attaglia bene alla battaglia che il nostro corpo conduce contro il coronavirus Sars-Cov-2. Una guerra senza quartiere che spesso si rivela più dannosa del virus stesso. La reazione immunitaria che si scatena nel nostro organismo può causare danni serissimi, a volte anche la morte del soggetto. Eppure non va così per tutti, anzi. La maggioranza delle persone che contraggono il virus ci convivono senza complicazioni. Anzi, spesso senza neanche accorgersene. Com’è possibile?

Il sistema immunitario uccide più del virus

Questa è una domanda che sta mettendo in crisi i più grandi ricercatori medici del mondo. Il microbiologo Andrea Crisanti, il biologo molecolare Stefano Piccolo e il biochimico Fulvio Ursini, tra i massimi esperti italiani dei rispettivi settori, hanno esposto le difficoltà che gli studi hanno incontrato nell’identificare quale sia la causa di reazioni così disparate: «Fino a oggi si è operato con gli strumenti dell’epidemiologia, dividendo la popolazione in sani, malati, guariti e deceduti. Una necessaria semplificazione che non descrive la reale complessità e che non riesce a definire la componente rilevantissima di soggetti infetti ma non sintomatici. Più correttamente va detto che gli “asintomatici” raggruppano sia pochi soggetti che a breve si ammaleranno, sia moltissimi soggetti che invece rimarranno perfettamente sani: questi ultimi li chiamiameremo “tolleranti”. Non sono note la ragioni per cui molti sviluppano questa “tolleranza”, ma è chiaro che il merito difficilmente è degli anticorpi».

Questo tipo di fenomeno non è del tutto nuovo alla Medicina. È ormai dimostrato che meccanismi di questo genere sono alla base di patologie anche molto diverse tra loro: malattie degenerative, allergie, sepsi, e persino tumori. Riuscire a capire quali siano i meccanismi che regolano la risposta immunitaria e imparare a modularla all’occorrenza, insomma, si rileverebbe un vero punto di svolta per i sistemi sanitari di tutto il mondo.

Tra gli studi di maggior interesse al riguardo spicca quello della fisiologa del Salk Institute for Biological Studies, Janelle Ayres, pubblicato su Science nei primi tempi dall’esplosione della pandemia.  La dottoressa ha infettato alcune cavie da laboratorio con un virus che causa diarrea, per poi confrontare i tessuti di quelle che erano decedute a causa dell’infezione con quelli delle cavie sopravvissute. E ha fatto centro: si è visto infatti che le cavie “tolleranti” avevano nutrito i batteri con le riserve di glucosio immagazzinate, rendendoli così inoffensivi per l’organismo. Ayres era perfino riuscita a indurre lo stesso fenomeno nelle cavie rimanenti, arrivando a un tasso di sopravvivenza del 1005 anche con esposizione virale 1000 volte superiore a quella iniziale. Un vero miracolo.

Il ruolo dell’alimentazione

È replicabile una reazione nel genere nell’Uomo? E in particolare, per la risposta immunitaria al Sars-Cov-2? Questo è tutto da vedere, ma i risultati per ora sembrano incoraggianti. L’obiettivo è quello di indurre le cellule infettate a “suicidarsi”, portando con sé l’intero carico virale, senza attivare la risposta infiammatoria che consegue all’entrata in funzione del sistema immunitario. Quello che è certo è che esistono comportamenti virtuosi che possono agire naturalmente sulla nostra risposta sistemica ai fattori esterni.

Pare ormai dimostrato con ragionevole certezza (il massimo che ci si possa aspettare dalla scienza, che per definizione deve essere sempre falsificabile) il legame tra alimentazione corretta e riduzione dell’infiammazione di base, la quale gioca un ruolo importante in tante delle patologie più diffuse del nostro tempo. «Ridurre gli eccessi calorici, assumere vegetali notoriamente attivi come regolatori dell’infiammazione e fare attività fisica è quindi un probabile efficiente strumento di prevenzione del Covid, come delle principali malattie odierne – sottolinea Ursini – le persone obese che hanno contratto il coronavirus hanno avuto il 113% in più di probabilità di essere ospedalizzate, il 74% in più di essere ricoverate in terapia intensiva, il 48% in più di morire».

 

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