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L’epidemia di Coronavirus non è l’unica

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9 Marzo, 2020
Tempo di lettura: 3 minuti

Il Coronavirus è al centro della cronaca e dei nostri pensieri. La paura stiamo cercando di controllarla meglio che possiamo. Anche la stampa sembra essersi data una regolata, a parte qualche giornalaccio che ancora sputa veleno, esultando alla notizia di casi nel sud Italia, ma contro la banalità del male c’è poco da fare! E’ probabile che stiamo apprendendo una lezione. Stiamo sperimentando una condizione di fragilità, di impotenza e di paura per la nostra salute. Forse, e sottolineo forse, stiamo iniziando a comprendere che osservare i limiti imposti dalla situazione potrebbero essere d’aiuto non tanto a noi stessi, quanto ai nostri genitori anziani, o a qualche amico che potrebbe avere dal contagio non pochi problemi.

Quindi si fa strada, tra mille resistenze, un senso di garanzia reciproca, grazie al quale non faccio qualcosa unicamente per soddisfare il mio diretto interesse, quanto per il benessere di qualcun altro. Lo scopo: evitare che il contagio si diffonda a svantaggio di quella parte di popolazione più a rischio.

Quando tutto sarà finito

Sarebbe bello se finito questo momento, l’umanità sensibilizzata dalla grande paura sperimentata, sapesse mantenere questo nobile senso di unità e rivolgere lo sguardo verso quelle regioni nel mondo dove i focolai epidemici sono veramente terrificanti.

Dico sarebbe bello, ma il pessimismo non mi permette di andare al di là del puro desiderio. Passato questo momento, temo che ci rimetteremo a correre, ognuno per sè… probabilmente contro e non insieme.  Eppure nel mondo non mancano zone dove le epidemie sono endemiche, dove le popolazioni vivono una costante situazione di pericolo. Quanto si potrebbe fare, a volerlo, per trovare insieme soluzioni a gravi crisi, usando la stessa forza e lo stesso impegno con cui affrontiamo il Coronavirus.

Il colera non appartiene al passato

Il colera è certamente una malattia terribile. I numeri, focalizzati nel sud del mondo, principalmente in Africa sono da brividi. Il monitoraggio dell’OMS riporta che il contagio riguarda circa  500.000 soggetti (dato del 2018) con circa 3.000 morti. Si parla solo dei numeri prodotti dal colera, escludendo le altre cause di morte per malattie infettive diverse. Per avere un panorama chiaro della situazione in Africa basta consultare i bollettini settimanali dell’ OMS in cui si fotografa chiaramente una situazione più che preoccupante. Nel bollettino della 9° settimana di quest’anno, per esempio si monitorano ad oggi 74 eventi epidemici. Ma il coronavirus è sempre al centro unico dei nostri pensieri,

Ma è proprio dal colera che potremmo partire per avanzare per mettere in piedi un sistema di mutua garanzia, lavorando insieme! Operando con strategie terapeutiche integrate. L’omeopatia su questa malattia, ma anche in molti altri casi epidemici, ha dimostrato, fin dalla sua fondazione, una straordinaria efficacia? Perché non lavorare insieme, sfruttando tutte le conoscenze che l’umanità ha acquisito nel corso dei secoli e finalizzarle ad un unico grande scopo: la salute accessibile a tutti.

Certamente gli interessi economici hanno un ruolo determinante, ma non sono trascurabili i limiti che una deriva scientista (e non scientifica) ha prodotto in questi ultimi cento anni.  La frase “la scienza non è democratica” risuona come lo stridio del gesso nuovo sulla lavagna.

C’è una via a favore dell’umanità

L’india, quasi in solitaria batte il sentiero per una sanità accessibile a tutti. Certamente lo fa grazie alla grande diffusione della Medicina omeopatica, ma anche grazie a politiche di contrasto all’eccessivo ed incondizionato arricchimento delle grandi compagnie farmaceutiche. Un caso emblematico è quello relativo all’epatite di tipo C. Sempre secondo i dati dell’OMS questa patologia conta 71 milioni di malati nel mondo, di cui 17 in Europa; 400.000 di loro muoiono ogni anno per cirrosi epatica o carcinoma. In Italia gli affetti da questa malattia sono circa 900.000. Si parla di cifre da brivido. Una scatola di farmaci per curarsi, in Europa o in America costano fino a 30.000 €, in india la stessa molecola si può acquistare a 600 €.

E’ nella visione la vera differenza, nella necessità di rendere la cura di una malattia estremamente contagiosa disponibile a tutti. Prima che emergano gli effetti terribili come la cirrosi epatica. Evitare l’aggravamento e la diffusione massiccia della malattia. Permettendo così una vita più serena a chi l’ha contratta.

Lo stesso disposto del ministero della salute indiano, sulla prevenzione omeopatica contro il coronavirus, va in questa direzione.

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