Se c’è una cosa che la pandemia potrebbe averci insegnato, questa è l’importanza della salute mentale e comportamentale per il benessere generale dell’individuo. Nel Marzo del 2022 l’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia l’allarme sulla crescita esponenziale di ansia e depressione, infatti afferma che la pandemia globale ha innescato un aumento del 25% della prevalenza di ansia e depressione in tutto il mondo. Nel 2020 per esempio, dagli ultimi dati disponibili, i decessi negli Stati Uniti associati ad alcol, droghe e suicidio hanno raggiunto 187.673 e i decessi per abuso di sostanze hanno raggiunto il livello più alto di sempre, il dato è reso pubblico dal Trust for America’s Health .
È chiaro che la salute fisica e comportamentale vanno di pari passo e la cattiva salute mentale ha recentemente contribuito ad aumentare le sofferenza fisica e i casi di morte su una scala senza precedenti. Allora perché continuiamo a trattare le malattie comportamentali e fisiche come indipendenti l’una dall’altra?
Dove il comportamento e il fisico si intersecano
Le ragioni per cui i servizi di salute fisica e comportamentale sono così separati sono complesse e troppo numerose per essere evidenziate qui. Alla base probabilmente c’è l’ormai antiquata nozione che i disturbi del pensiero, delle emozioni e del comportamento dei pazienti siano un indicatore di debolezza morale o il frutto di carenze caratteriali personali a cui il sistema sanitario non è tenuto a dare risposte. In altre parole, se i problemi di salute fisica sono fuori dal controllo del paziente, in quelli comportamentali i pazienti hanno una certa responsabilità per i loro problemi. Il modo in cui queste pratiche sono tradizionalmente organizzate sono il frutto di una vecchia visione, di una parte della scienza e dell’opinione pubblica eccessivamente semplicistica sulla questione. Questa è la triste eredità e la rigida inerzia che bisogna superare per poter rispondere correttamente alle nuove esigenze sulla salute.
È evidente che sia necessario un cambiamento. Come notato nelle statistiche sopra, la salute fisica è spesso un precursore della salute mentale e viceversa. Malattie fisiche anche molto importanti o malattie croniche come malattie cardiache e diabete contribuiscono al peggioramento delle condizioni mentali e comportamentali. Come d’altra parte, le malattie mentali contribuiscono al peggioramento dei problemi fisici attraverso l’abuso di sostanze o l’apatia dovuta alla depressione, ad esempio.
La parità dovrebbe incoraggiare nuovi modelli
E’ necessario un cambio di ottica, un riposizionamento dei modelli: i pazienti non rientrano quasi mai esattamente nella classificazione della salute “fisica” o “comportamentale”. Raro è il paziente che ha solo bisogno di cure fisiche o solo comportamentali. In effetti, fino a tre quarti delle visite di assistenza primaria includono componenti comportamentali o di salute mentale, inclusi fattori legati alla gestione delle malattie croniche, all’uso di sostanze (compreso il tabacco) e all’esercizio fisico, solo per citare alcuni esempi. Ma questi sono spesso affrontati in modo non sistematico, e a volte superficiali da professionisti la cui pratica è finalizzata alla salute fisica. I medici di base spesso non si sentono attrezzati o adeguatamente compensati per affrontare problemi di salute mentale oltre a fare un rinvio al di fuori della loro pratica, orientando oltre la porta del loro studio.
Eppure nuovi modelli di pratica che integrano la salute comportamentale e l’assistenza primaria hanno mostrato risultati promettenti e i benefici maturano sia per i pazienti che per i loro medici.
Un modello di integrazione delle cure primarie utilizza un consulente per la salute comportamentale, che sia uno psicologo, un assistente sociale clinico, un naturopata o un altro professionista della salute comportamentale, come membro del team sanitario. In tali modelli, l’assistenza sanitaria comportamentale o mentale non è riferita al di fuori della pratica. Piuttosto, il paziente viene guidato da un professionista della salute comportamentale “collocato” presso lo studio, che quindi lavora direttamente con il medico di base a sostegno degli obiettivi di salute più ampi del paziente. Un altro modello di assistenza collaborativa incorpora uno specialista della salute comportamentale come parte del team che gestisce i singoli pazienti. In alcuni stati USA, per esempio, gli infermieri, appositamente formati, possono esercitare da soli la psichiatria, offrendo un’altra opportunità di integrazione per i sistemi sanitari.
Nuovi modelli di presa in carico del paziente iniziano a mostrare la loro validità, spingendo verso una migliore integrazione della figure che possono prendere in carico la salute comportamentale aumentando l’efficacia delle cure somministrate dal medico. L’isolamento sociale richiesto dalla pandemia ha contribuito a problemi comportamentali e ha incoraggiato lo sviluppo della salute comportamentale virtuale. L’esperienza della pandemia ci ha profondamente cambiati, sono emerse nuove esigenze, i pazienti hanno sviluppato una domanda di salute ampia e diversificata. Rispondere a queste esigenze è un’opportunità per tutti gli operatori della salute, a partire dai Servizi Sanitari Nazionali, fino ai medici come dimostra uno studio sui benefici dell’integrazione dei servizi alla salute. Lo studio ha intervistato i medici sull’integrazione di uno specialista della salute comportamentale nelle cure primarie, il 93,8% crede che l’assistenza integrata migliori la cura del paziente e il 90,1% ha affermato che l’integrazione di uno psicologo nella loro pratica ha ridotto il loro livello di stress. E probabilmente sosterranno gli sforzi del datore di lavoro o del pagatore per aiutarli a integrare la salute comportamentale.
L’evidenza è chiara: l’integrazione dei servizi di salute fisica e comportamentale riduce la sofferenza, potenzialmente riduce i costi e migliora la salute.
Fonte: Healthleadersmedia