La Paura di Vivere

30 Luglio, 2022
Tempo di lettura: 3 minuti

Sono passati più di due anni dall’inizio di questa nuova era, l’era della paura e della solitudine. Non la paura di un virus mortale che avrebbe potuto distruggere l’umanità, non la paura della morte. No. La paura della vita e la paura delle relazioni, della condivisione, dell’interazione e dell’integrazione.

L’essere umano, si sa, è un animale sociale. Fin dalla nascita ha bisogno dell’altro per poter vivere. Non solo per sopravvivere; proprio per vivere. Fin dall’antichità ha cercato l’aggregazione per poter sopravvivere a tutto ciò che minacciava la sua vita: dagli animali feroci ai nemici. Sono state costruite città per questo. Le comunità sono alla base della sopravvivenza umana, della vita, dell’evoluzione. La solitudine è la prima causa di malattia: basta pensare a come gli anziani si lascino morire quando vengono abbandonati o allontanati dal proprio nucleo familiare.

Da due anni in qua, invece, in un momento di massima difficoltà per molti esseri umani, di stravolgimento di tutte quelle che erano state fino ad allora le certezze sulle quali avevamo costruito la nostra vita, invece di aggregarci ci siamo separati, allontanati. Abbiamo perso il nostro senso di appartenenza, anche familiare: non abbiamo più incontrato, abbracciato, mangiato con persone alle quali volevamo bene per paura che potessimo infettarli o che potessero infettarci. Niente più feste, niente più cene, niente più momenti di condivisione. Come se la nostra salvezza – e quella dei nostri cari – passasse dalla solitudine, dall’isolamento, dalla chiusura. Dal chiuderci in un ambiente che ci illudevamo fosse sterile, come se non facesse parte di un mondo.

Ci siamo dimenticati che la nostra vita tanto esiste quanto esistono relazioni col mondo: con altri esseri umani, con la terra, con l’aria, con l’acqua, col cibo, con i virus ed i batteri. Ci siamo dimenticati che la vita è iniziata dall’aggregazione, dall’interazione… dalla relazione tra singole particelle e non dall’isolamento delle stesse. Prendere acqua, fosfolipidi, proteoglicani, rna, dna, proteine, mettendole nello stesso contenitore, nelle stesse proporzioni che hanno in una cellula, ma distanti, non permette la formazione di una struttura vitale. Ci vuole qualcosa che le unisca, che le aggreghi, che permetta loro di diventare “vita”. Lo stesso avviene per la formazione dei tessuti, degli organi, degli apparati.

Se, in presenza di un’infezione, i nostri organi, le nostre cellule, i nostri tessuti isolassero l’organo ammalato, lo mettessero in isolamento, non solo morirebbe l’organo ma l’intero organismo.

La vita esiste perché ci sono le interazioni, la cooperazione nel rispetto della propria identità. Non la sola competizione ma la cooperazione. Di fronte ad un nemico forte, grande, si fa fronte comune e non isolamento. Ed invece, dopo due anni e mezzo, quel virus ci è rimasto dentro: non quello respiratorio ma quello mentale. Ci è rimasta dentro la paura dell’altro, ci è rimasta dentro la necessità di protezione personale, ci è rimasta dentro la paura della morte. Abbiamo perso di vista, così facendo, la vita: la cooperazione, l’aggregazione, la condivisione, il sostegno. La necessità di condividere anche le esperienze negative e di avere sostegno dall’altro nei momenti di difficoltà. E questa paura è rimasta anche dopo i vaccini, dopo la scoperta delle terapie, dopo aver preso il famoso virus senza per questo morire. La paura dell’altro, la paura di avvicinarsi, la paura di un abbraccio o di una carezza che potrebbero essere letali anche in assenza di malattia. La paura di poterci ammalare. Di potermi ammalare: io, non gli altri. Eppure, più ci isoliamo più ci ammaliamo. Meno siamo aperti verso l’altro, meno creiamo relazioni più ci ammaliamo, si ammala la nostra mente e si ammala il nostro corpo. Come un organo che è stato isolato dal resto del corpo da una progressiva riduzione della vascolarizzazione: si adatta, trova soluzioni ma, alla fine, muore.

Muore anche perché, isolandosi, non ha più un ruolo nel mondo, non ha una funzione: in altre parole, non serve. Perché nessun essere vivente è su questa terra per portare avanti la propria sopravvivenza ma solo perché funzionale alla vita dell’intero universo. Questa è la vita. 

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