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19 Ottobre, 2024

La subalternità umana alle proprie organizzazioni di sopravvivenza.

Possiamo modellare un processo che non controlliamo?

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno IX • Numero 34 • Giugno 2020

 

La storia dell’umanità si intreccia con la storia della tecnologia

Il COVID-19 è stato un altro traumatico evento che ci ha fatto capire che abitiamo in un momento della nostra storia in cui la paradossale spaccatura tra l’uomo e le sue tecnologie sociali e strumentali raggiunge un livello di sofferenza epocale. I disaccordi sul come interpretarla e con quali bio-politiche cercare di governarci, in quanto popolazioni vincolate dalla nostra condizione bio-culturale, sono profondi. Le fazioni sono testarde, la realtà comune si sgretola. L’aereo ha trasportato gli infetti dal virus ad ogni angolo della geopolitica del pianeta in brevissimo tempo mentre altre tecnologie ci hanno aiutato a tracciare il suo spostamento. La tecnologia, cioè, procedimento atto a raggiungere un effetto qualsiasi1, come ha sempre fatto nel suo intreccio con la storia dell’umanità, cambia chi siamo e la società in cui viviamo. In questo tempo, però, il mutamento nel modo di produzione e distribuzione della ricchezza e nella sua interfaccia tecnologica avanza ad un ritmo travolgente per la nostra condizione di esseri bio-culturali e, addirittura, per le istituzioni preposte alla nostra sopravvivenza.

Noi umani, nella nostra organismica e complessa radicata emotività, sperimentiamo la nostra co-evoluzione biologico-culturale con una continua concatenazione di afflizione e prosperità. I bio-poteri, che gestiscono le popolazioni mondiali in termini di bio-massa e bio-valore2, ci trascinano nelle loro narrative di progresso verso condizioni di vita più confortevoli oppure simbolicamente più agiate. In questa corsa, però, rendono noi stessi e le nostre istituzioni sociali, organicamente, psicologicamente e funzionalmente obsoleti,3 in relazione alla tecnologia strumentale che progressivamente sviluppano per raggiungere i loro obiettivi di dominio. Intenzioni di egemonia confezionate, ininterrottamente, in termini di promesse di maggior benessere per la collettività. Poi, in quest’andamento creativo del nostro impulso prometeico e del nostro desiderio primordiale di ricchezza che ci renda attraenti4, arriva un momento di crisi in cui ci chiediamo come possiamo modellare un processo di co-evoluzione che non controlliamo. Ci interroghiamo su come possiamo dare un senso a questi mutamenti che ci rendono subalterni ai “nostri” presunti mezzi e alle nostre presupposte organizzazioni di sopravvivenza. Ci domandiamo con quali “valori” condivisi possiamo resettare i nostri organismi perché possano inseguire la quotidianità e il futuro incerto. E nel chiederci come possiamo creare nuovi strumenti e sensi per guidare il nostro orizzonte esistenziale, finiamo, inevitabilmente, per chiederci quale sia la nostra nuova identità in questo mondo che cambia, senza mai domandarci riguardo la nostra partecipazione, gregaria, ad un mutamento che vien fatto nel nome, a detta gli esecutivi della bio-politica, dei nostri più cari valori.

Gli sconvolgimenti sociali ed esistenziali generati da nuove tecnologie si verificano sempre nel corso della storia. Basti pensare alla storia della globalizzazione e gli esempi balzano agli occhi. Quando gli spagnoli arrivarono nel Nuovo Mondo nel 1492, alcuni dei loro cavalli fuggirono e si diressero a nord. Nelle Grandi Pianure, i nativi americani iniziarono ad addomesticare la popolazione di cavalli in espansione. I cavalli resero più facile la caccia al bufalo e la caccia in abbondanza richiese un nuovo modo di vivere. Prima dei cavalli, i Cheyenne coltivavano e vivevano in capanni di terra5 in grandi villaggi fissi organizzati in clan matrilineari. Dopo aver adottato i cavalli, sono diventati cacciatori nomadi, vivendo in piccoli gruppi familiari, isolati in inverno e in enormi accampamenti in estate. Il passaggio agli accampamenti estivi portò allo sviluppo di consorzi per la sorveglianza e l’ordine, gruppi di uomini, non collegati tra loro da parentela, che mantenevano anche l’ordine negli enormi festival di Danza del Sole6. Le vecchie forme di ordine sociale mutarono. Anche la cultura delle tribù delle Grandi Pianure cambiò. Razziare i territori alla ricerca di cavalli era un’attività più agevole a quella della coltivazione della terra e della raccolta del grano e accresceva il loro potere in misura superiore. Così, la cultura tribale divenne guerriera e sviluppò a sua volta una cultura d’onore che valorizzava la forza fisica e il coraggio. Il cambiamento tecnologico e sociale mutò la loro identità.

Il cavallo addomesticato è una tecnologia, proprio come i motori, i treni e le automobili. Questa è una storia comune: chi siamo e come viviamo guidati dalle tecnologie strumentali e sociali che sviluppiamo e le nostre tecnologie cambiano chi siamo e come viviamo. I pollici opposti, nell’interpretazione evoluzionistica, si sarebbero originariamente evoluti per aiutarci ad afferrarci ai rami degli alberi ma furono utili anche nella creazione di strumenti e l’uso degli strumenti cambiò la forma dei nostri pollici, consentendo a mani più agili di creare strumenti più efficaci nello svolgere le loro funzioni. Il cervello del sapiens, con la sua evoluzione sociale, permise che quella tecnica, arte o conoscenza fosse trasmessa e rielaborata. Ugualmente i nostri strumenti e conoscenze ci portarono a sviluppare nuovi modi di vivere e così via, in un viaggio di svariati milioni di anni. Questo intreccio co-evolutivo tra tecnologie, biologia, cultura e istituzioni dura da millenni, ininterrottamente, condizionato dal bio-potere di turno e dalla sua bio-politica.

Pur se il concetto di tecnologia si riferisce a qualsiasi procedimento atto a raggiungere un effetto qualsiasi, siamo abituati a pensare ad essa in termini di strumenti. Ma, anche le istituzioni sociali sono un tipo di tecnologia: una tecnologia sociale. Proprio come le tecnologie strumentali più “materiche”, come l’agricoltura, la ruota o i computer, sono strumenti per trasformare materia, energia o informazione nel perseguimento di obiettivi precisi, le tecnologie sociali, cioè le istituzioni, sono strumenti per organizzare le popolazioni nel perseguimento dei presunti obiettivi personali. Leggi, valori morali e denaro sono tecnologie sociali, così come i modi di organizzare un esercito, una religione, un governo o un commercio al dettaglio, in quanto metodi per raggiungere degli effetti specifici.

Mentre siamo affascinati, anche se talvolta spaventati, dal ritmo dell’evoluzione delle tecnologie “materiche” o strumentali, sperimentiamo diversamente l’evoluzione delle “tecnologie sociali”, in quanto, nella nostra condizione di “governati”, percepiamo che i valori, le leggi e le organizzazioni politiche definiscono e modellano più le nostre identità. Infatti, la nostra percezione dell’intreccio tra le nostre tecnologie sociali o istituzioni e la nostra identità è tale che di solito consideriamo “Altri” coloro che usano tecnologie sociali diverse dalle “Nostre”, cioè persone organizzate o governate da istituzioni differenti, con culture e religioni diverse. In breve, gli “Altri” sono popolazioni modellate e identificate con valori e credenze differenti. Siamo talmente identificati con l’orizzonte di senso esistenziale e metafisico-simbolico, propostoci dal bio-potere che ci organizza, che quando le tecnologie sociali cambiano troppo rapidamente, sperimentiamo uno smarrimento, una perdita d’identità, una confusione collettiva su chi siamo e su come ci distinguiamo dagli “Altri”. Si possono creare tensioni anche quando le “tecnologie sociali”, cioè le istituzioni, cambiano troppo lentamente e non riuscendo a tenere il passo con i cambiamenti tecnologici-finanziari del bio-potere che condizionano la società nel suo insieme. Le tecnologie strumentali e sociali si evolvono continuamente, spingendosi e trascinandosi vicendevolmente. L’influenza funziona in entrambe le direzioni. Le tecnologie strumentali e sociali sono talmente intrecciate che risulta difficile separarle.

Il cambiamento tecnologico come processo incrementale

In molte narrative popolari, e come vuole la versione ufficiale dello establishment, l’invenzione che porta al cambiamento tecnologico è un atto compiuto da eroi, quali Thomas Edison e Tim Berners-Lee7. Il cambiamento tecnologico, però, può ugualmente essere letto attraverso ciò che altri descrivono come un processo incrementale che congloba tutto il sapere strumentale e teoretico ereditato gratuitamente dal passato, una grande quantità di tentativi ed errori e reti di persone e progetti che lavorano in ecosistemi di innovazione, come suggeriscono Farmer, Markopoulou, Beinhocker e Rasmussen in Collaborators in Creation. In questa prospettiva, l’innovazione tecnologica incrementale viene considerata un processo evolutivo, proprio come il cambiamento biologico. Entrambe, tecnologie strumentali e sociali, possono essere interpretate come processi evolutivi che si trasformano gradualmente insieme: l’innovazione strumentale stimola i mutamenti sociali che, a loro volta, spingono nuove modifiche strumentali e così via in un ciclo infinito.

Nell’evoluzione biologica, la variazione genetica avverrebbe attraverso mutazioni casuali e selezione naturale. Con le tecnologie strumentali e sociali, la variazione evolutiva non è riconducibile ad un processo totalmente casuale né naturale ma, piuttosto, ad un prodotto dell’immaginazione umana concentrata sul desiderio di migliorare le cose, sulla ricerca del profitto, del dominio e/o del consenso. Armeggiamo costantemente con le nostre tecnologie strumentali e sociali, cercando di migliorarle. Quando lo smartphone è stato architettato, era una nuova combinazione di computer, comunicazioni, GPS, display, sensore, software e altre tecnologie esistenti. Allo stesso modo, quando la moderna società per azioni fu ideata a metà del XIX secolo, fu una nuova combinazione di leggi, convenzioni contabili, diritti di proprietà, pratiche commerciali e così via. Come in biologia, la modularità del design della tecnologia strumentale e sociale può essere interpretata come l’esistenza di uno spazio infinito di possibili design. Ogni generazione può basarsi su ciò che è accaduto prima. Come ha notato l’economista W Brian Arthur8, a volte vengono sfruttati principi fisici (ad esempio l’uso del fuoco, dell’elettricità, del laser) che introducono nuovi moduli o blocchi di costruzione, aprendo nuovi spazi di possibilità. Stando agli studiosi in materia, un fenomeno simile si verificherebbe nelle tecnologie sociali. Molte innovazioni nelle tecnologie sociali trovano nuovi modi per sfruttare le regolarità nel comportamento umano. Ad esempio, i mercati sfrutterebbero l’interesse personale, i partiti politici sfrutterebbero il desiderio di identità e di comunità di valori condivisi.

Sebbene da un punto di vista tradizionale, che ci vuole soggetti consapevoli della storia, la variazione delle tecnologie strumentali e sociali sia “intenzionale” e, quindi, diretta dalla mediazione della volontà e dell’immaginazione umana (diversamente dalla variazione prettamente casuale o fortuita della biologia), essa può essere interpretata anche in termini di un andamento in qualche modo darwiniano. Questo assioma deriva dal fatto che noi umani non possiamo sapere quali tecnologie strumentali e sociali avranno successo in futuro al momento in cui le “plasmiamo”. Immaginiamo di vedere un vicino che scalpella una pietra creando la punta di una freccia. Lo guardiamo e diciamo: – “Forse possiamo fare di meglio, probabilmente rendendola di una forma diversa, più appuntita, più nitida, più grande, più piccola o usando una pietra diversa”. Quindi, realizziamo la nostra variante. Abbiamo un’ipotesi sul miglioramento della punta della freccia ma, fino a quando non proveremo a cacciare con essa non possiamo, davvero, sapere se risulterà migliore del design del nostro vicino. Poi, probabilmente, ci vorrà un’intera popolazione di cacciatori per un lungo periodo di tempo per determinarlo poiché la risposta a “che cos’è una punta di freccia migliore” dipende da troppe variabili, come l’aerodinamica, la preda da cacciare, l’integrazione di frecce e arco nel design e l’abilità del cacciatore, tutte variabili da capire dipendendo dal giudizio soggettivo di ciascuno o dal giudizio eterodiretto al quale, inevitabilmente, siamo indotti dal fatto di avere una percezione adeguata alle strategie adattive della comunità di appartenenza anziché atta alla percezione accurata della complessa realtà. Infatti, non esiste un design “ottimale” della punta di una freccia, ce ne sono, semplicemente, giudicati migliori e peggiori in un determinato contesto riguardo i materiali, le tecnologie disponibili al momento e le convenzioni estetiche-percettive sociali in vigore. Tutte queste variabili mutano continuamente nel tempo e l’unico corso fattibile è quello di realizzare varianti e, poi, provare a lasciare che la selezione dalla competizione evolutiva faccia il suo corso nel cervello sociale e nel giudizio della comunità. Se una tribù ha più successo con un particolare disegno della punta di una freccia, quel disegno può diffondersi man mano che la tribù aumenta la sua popolazione. Ugualmente può diffondersi perché altre tribù vedono quel successo e lo imitano, oppure perché quella tribù conquista altri in guerra o perché queste punte di freccia reputate migliori vengono adottate attraverso il commercio.

Lo stesso processo di variazione riguardo agli obiettivi, ai feedback dall’ambiente, alla selezione e alla replica avviene con le tecnologie sociali. Infatti, come mostra l’esempio delle tribù delle Grandi Pianure, le tecnologie strumentali e sociali si evolvono insieme. La storia delle tecnologie strumentali e sociali è, quindi, una storia di variazioni, alle volte, “intenzionali” e, talvolta, “accidentali” e, quindi, una “competizione evolutiva” che seleziona e replica progetti o prassi relativamente reputate più “adatti” rispetto ai loro concorrenti.

 

La non sincronicità tra l’uomo e le sue tecnologie strumentali e sociali

La scala temporale dell’evoluzione biologica, casuale o fortuita, risulta, però, molto più lenta di quella delle tecnologie strumentali e sociali, almeno fino ad ora. Le nuove tecnologie strumentali consentono di manipolare il nostro genoma, offuscando il confine tra tecnologie strumentali e biologia. Ad esempio, le CRISPR9 offrirebbero la possibilità di modificare, direttamente, la linea germinale del nostro genoma e ci darebbe la capacità di modificare, letteralmente, il nostro hardware umano. Ciò, si ipotizza, renderebbe “intenzionale” e “indirizzabile” la variazione biologica nello stesso senso dell’evoluzione sociale e tecnologica. Di fatto, si potrebbe dire che possiamo manipolare i nostri genomi in quanto manipoliamo già i genomi di altre specie. Inoltre, millenni di allevamento selettivo di animali e di coltivazioni selettive di piante da parte dell’uomo hanno già radicalmente cambiato la biosfera. Ma anche senza alterare i geni, le protesi cerebrali e la neuro-tecnologia possono ripristinare sensi e arti mancanti e aumentare la funzione cerebrale, “migliorando” chi siamo e come ci sentiamo e portiamo a termini le nostre attività. Per di più, siamo sull’orlo della possibilità di creare vita da materiali non viventi e, quindi, di consentire la progettazione e l’evoluzione di tecnologie viventi.

Con tutti i piani della materia vivente che si evolvono rapidamente e in tandem, siamo la prima specie a cercare di indirizzare la nostra discendenza evolutiva, sia che sia composta da silicio o carbonio o, più probabilmente, da una combinazione di entrambi. Il risultato, stando a Farmer e Belin, in Artificial Life: The Coming Evolution, potrebbe risultare tanto spaventoso quanto bello. Al momento, tuttavia, abbiamo problemi più urgenti. Per ora, la tecnologia dell’informazione sembra essere la forza principale che guida un rapido cambiamento evolutivo nelle nostre tecnologie strumentali e sociali e, di conseguenza, il drive principale a mettere in crisi la nostra identità storica.

I rapidi miglioramenti delle tecnologie strumentali, che hanno portato all’informatica e ad Internet, hanno accelerato la transizione della nostra società nell’Era dell’Informazione. Questi cambiamenti potenziano, notevolmente, la nostra capacità di comunicare, coordinare e controllare, che sono i driver alla base delle nostre tecnologie strumentali e sociali. Le stesse innovazioni stanno ora sfocando i confini tra tecnologie sociali e strumentali, tra cosa significa essere umani e cosa significa essere macchine.10

Le rivoluzioni nelle tecnologie strumentali comportano grandi cambiamenti nel modo in cui utilizziamo la materia, l’energia o l’informazione. L’età della pietra, del ferro e del bronzo erano rivoluzioni nel nostro uso dei materiali. Le rivoluzioni agricole e industriali erano, in sostanza, rivoluzioni energetiche. Ognuna di queste rivoluzioni è stata trasformativa a modo suo, ma la rivoluzione della tecnologia dell’informazione ha, verosimilmente, un impatto più diretto sulle nostre tecnologie sociali rispetto alle rivoluzioni nell’utilizzo della materia o dell’energia. Questo perché i nostri ordini sociali sono, in definitiva, prodotti dell’immaginazione umana. Essi sono “ordini immaginari” come lo storico Noah Yuval Harari li chiama in Sapiens: A Brief History of Humankind11. Gli ordini sociali si basano su idee, conoscenze e informazioni e dipendono dalle nostre capacità di archiviare, elaborare e trasmettere tali informazioni. L’evoluzione del linguaggio stesso, seguita, decine di migliaia di anni dopo, dallo sviluppo della scrittura, sono state rivoluzioni nelle tecnologie dell’informazione talmente trasformative che hanno modellato gli ordini sociali in modi profondi e imprevedibili. Infatti, chi avrebbe potuto prevedere che la stampa di Johannes Gutenberg avrebbe catalizzato la Riforma Protestante, stimolato la trasformazione di saperi strumentali in “scienza”, favorito l’Illuminismo, accelerato la creazione della cultura di massa e lo sviluppo della politica democratica? Le rivoluzioni nel modo di elaborare, trasmettere ed archiviare le informazioni cambiano la nostra cognizione, le nostre emozioni e la nostra psicologia, i nostri valori morali, le nostre identità, il modo in cui interagiamo tra di noi e il modo in cui organizziamo le nostre società.

Oggi, stiamo vivendo un’altra grande rivoluzione informatica. I computer amplificano le nostre capacità umane, facilitando, nell’ambito di un paesaggio binario, la risoluzione dei problemi. Il web e i motori di ricerca estendono le nostre fonti di informazione, di elaborazione di conoscenza e la nostra memoria, a livelli praticamente irraggiungibili e ingestibili dal singolo individuo e rendono facile ed economico, per chiunque, attingere alla cosiddetta conoscenza collettiva immagazzinata nel web secondo le sue modalità binarie e algoritmiche. Internet ci consente di comunicare, istantaneamente, con numeri di persone, precedentemente inimmaginabili, in qualsiasi momento. I dispositivi di rilevamento collegati ci collocano in uno stato percettivo in cui ci sembra di avere occhi e orecchie ovunque, come se diventassimo onnipresenti e onniscienti. In questi scenari, ad esempio, il cloud computing12 offrirebbe enormi quantità di potere a portata di mano degli esperti e, anche, di tanti utenti.

Questa rivoluzione dell’informazione porta con sé un cambiamento fondamentale nel nostro rapporto con gli strumenti. Tra gli animali, l’Homo sapiens ha, finora mostrato capacità uniche di utilizzare le informazioni per costruire strumenti e modificare l’ambiente. Tuttavia, la nostra specie sta perdendo questo monopolio poiché gli algoritmi dell’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico stanno iniziando a fungere da responsabili delle decisioni, come nel settore sanitario, nel reclutamento di personale per i posti di lavoro, nel commercio di titoli e nella guida dei veicoli a motore. Gli algoritmi sono i decisori quando Facebook sceglie con quali informazioni nutrirci, cambiando le nostre opinioni e modellando i nostri governi. I robot aiutano a eseguire interventi chirurgici e a costruire le nostre automobili. Stiamo condividendo, sempre più, con l’intelligenza artificiale, il nostro posto come specie all’apice del processo di elaborazione di informazioni, di costruzione di strumenti e del processo decisionale sul pianeta.

Parlare di apice, però, non vuole dire che esista un “Punto Omega” o una sommità di ciò che è possibile. L’attuale “noosfera”13, prendendo il termine del mistico Teilhard de Chardin, non ne arriverà mai. Il paleontologo e mistico religioso, immaginava che la noosfera si stesse evolvendo verso un tale punto, dove tutto sarebbe in armonia. Questo sembra improbabile. Le tecnologie sociali e strumentali, stando alle nuove correnti interpretative evoluzioniste, non si evolvono allo scopo di renderci felici o di promuovere l’armonia umana, piuttosto, sono selezionate in base all’imperativo evolutivo della riproduzione del loro “dominio”. L’intuizione chiave di Darwin era che gli organismi e gli strumenti che casualmente o fortuitamente surclassano quelle precedenti, diventano dominanti in una popolazione.

Le tecnologie si propagano in ogni modo possibile. Possono diffondersi perché vengono percepite come strumenti che rendono felici le persone o, semplicemente, perché possono farlo. I virus informatici sono un esempio semplice ma prevalente. Le tecnologie si espandono anche concentrando il potere, sfruttando la loro potenza penetrativa o sfruttando le debolezze e le dipendenze delle persone. La tecnologia sussiste indipendentemente dai valore umani e sociali. Si può usare una matita per scrivere una bella poesia o per colpire qualcuno. Le straordinarie capacità di elaborazione delle informazioni dell’Homo sapiens ci hanno permesso di modificare e controllare l’ambiente in cui viviamo in misura senza precedenti e, a volte, in modalità che contrastano i valori che proclamiamo.

C’è una naturale spinta umana a risolvere condizioni che desideriamo modificare per renderle più consoni ai nostri ideali. Questo assioma ci legittima nella creazione di nuove tecnologie per “risolvere” tali problemi e, poiché la conoscenza umana si accumula, la storia, in questa prospettiva, può essere vista come un accumulo di soluzioni nuove e migliori ai problemi umani nel tempo. Ma “risolvere” tali problemi non ci rende necessariamente più felici. Uno dei motivi sarebbe un fenomeno psicologico noto come “tapis roulant edonico”: inizialmente, una nuova soluzione a un problema potrebbe renderci più felici, ma dopo qualche tempo l’effetto svanisce. Se uno vive in ​​un luogo caldo l’aria condizionata, probabilmente, ci rende più felice all’inizio. Poi, col tempo, ci abitua, diventa una cosa acquisita e si cerca la felicità in altre cose e si nota la sua mancanza solo se si rompe. In breve, sembra che non vi sia una prolungata sincronicità tra l’uomo e le sue tecnologie, quasi come se ci fosse sempre una spaccatura che lo rende obsoleto in relazione ad esse.

 

La scala amplificante dei social media e polarizzazione disfunzionale

Le nuove tecnologie dell’informazione hanno cambiato, sia di fatto sia nella nostra percezione adattiva, la scala della società, portandoci ad “interagire”, attraverso i loro binari, con un mondo inglobato nelle sue reti che ci sembra illimitato. Ciò consente alla narrativa dei bio-poteri che si avvalgono di queste tecnologie dell’informazione, sia in termini di proprietà che di controllo, di sostenere che oggi possiamo elaborare insieme soluzioni migliori a numerosi problemi. Certamente, questo editing del messaggio, di solito cancella una serie di nuovi problemi creati dalle stesse tecnologie, una dinamica che spesso funziona in modo inaspettato. Gli smartphone sono un vero e proprio coltellino svizzero di soluzioni per una varietà di problemi, dalla comunicazione all’ottenimento di informazioni, alla ricerca di indicazioni stradali e al divertimento. Quando furono messi a disposizione delle larghe popolazioni nei mercati, pochi avrebbero previsto che avrebbero ugualmente contribuito al distanziamento sociale e pure minato ciò che accettavamo come l’idea, la forma e l’attuazione della democrazia. Infatti, i social media hanno trasformato il nostro io sociale e politico, hanno cambiato il significato di essere amici e hanno cambiato il modo in cui eleggiamo i leader. La missione ufficialmente dichiarata di Facebook è “dare alle persone il potere di creare comunità e avvicinare il mondo”. Nei fatti, ci ha sicuramente connesso, ma con conseguenze, forse, non intenzionali. Ma tali conseguenze non possono ritenersi una sorpresa. Facebook dipende dalle entrate derivanti dalla pubblicità, che è determinata dal numero di utenti, dal coinvolgimento dello schermo e dall’accesso ai nostri dati privati. Questo è ciò che guida i suoi algoritmi, non la nostra felicità e molto meno l’eticità, che è una questione esclusivamente umana. In effetti, gli studi dimostrerebbero che l’uso di Facebook avrebbe l’effetto opposto: attua in un modo simile ad una droga e attira la nostra attenzione mentre ci fa sentire inadeguati. Allo stesso modo, la missione retorica di Twitter sarebbe “dare a tutti il ​​potere di creare e condividere idee e informazioni all’istante, senza barriere”. La sua velocità, però, impedisce ugualmente la deliberazione e rinchiude le persone in camere d’eco informative auto-rinforzanti e auto-referenziate.

Oltre a procurare, nel loro utilizzo proprietario e/o di controllo, l’effetto contrario ai loro fine, la celebrata interazione facilitata dalle nuove tecnologie dell’informazione attraverso il web su scala globale sembra che si scontri, però, con la biologia umana. Noi umani, ci siamo evoluti come membri di piccole orde, in collettività di cacciatori-raccoglitori di meno di mille persone, stando a Farmer, Markopoulou, Beinhocker & Rasmussen. I nostri metodi di comunicazione e auto-organizzazione nei gruppi sociali si sono evoluti per interazioni a questa scala. Ad esempio, sorridiamo e rispondiamo ai sorrisi e siamo esperti nella lettura reciproca delle espressioni facciali. Questa compattezza di comportamenti della piccola collettività sta alla base dei nostri comportamenti quando, ugualmente, seguiamo le norme sociali. Addirittura quando gli altri non seguono tali norme ci troviamo moralmente indignati per le loro trasgressioni ed esercitiamo pressioni affinché si conformino. Siamo anche motivati ​​a mostrare il nostro sdegno morale perché in quel momento dell’evoluzione l’indignazione del singolo segnalava la sua virtù al gruppo di appartenenza, virtù che aumentava il suo valore nella comunità. Questi meccanismi, di fatto, sono utili per la coesione sociale gruppale e societaria e incoraggiano la cooperazione nelle piccole collettività. Abilitata adesso dai social media, che raggiungono miliardi di persone, la nostra connaturata capacità di indignazione morale potrebbe invece portare ad una polarizzazione disfunzionale. Con l’esperienza faccia a faccia eliminata, la nostra empatia dinnanzi al dolore di un imputato, ad esempio, anche questo sentimento verrebbe eliminato dall’amplificata aggressività del nostro oltraggio esperito attraverso tecnologie che ci consento di scrutare o giudicare da distanze remote. Inoltre, il vasto pubblico della nostra indignazione, mostrata sui social media, amplifica la nostra motivazione psicologica per segnalare e sottolineare il nostro valore morale. Come risultato, l’indignazione morale online sta mostrando conseguenze negative per la coesione sociale e la politica. Un tratto biologico benefico in una situazione è diventato disfunzionale in un’altra.

Il dominio economico e sociale consente la riproduzione di tecnologie che accrescono il suo potere. Per di più, le tecnologie dell’informazione si riproducono più facilmente e più rapidamente rispetto alle tecnologie precedenti a causa dei loro straordinari rendimenti di scala crescenti. Copiare un bit è quasi gratuito, quindi i costi di creazione di una piattaforma per 1 miliardo di persone non sono molto più alti rispetto alla creazione della stessa piattaforma per 1.000 persone. Poi, ci sono pure forti effetti di rete: le piattaforme dei social media sono aggregati giganteschi di persone e consentono tanta pubblicità gratuita ai prodotti attraverso le recensioni degli utenti.

Questi effetti concentrano un potere sempre maggiore nelle mani dei titani dell’Era dell’Informazione, che sono anche i vettori attraverso i quali si propagano le nuove tecnologie strumentali e sociali. Le corporazioni dell’Era dell’Informazione sono più potenti dei monopoli e degli Stati dell’Era Industriale. I vantaggi intrinseci di Facebook, Google, Amazon, Tencent e Alibaba sono enormi. Osservano e modellano le nostre relazioni sociali e le nostre scelte politiche e controllano il nostro accesso alle informazioni e quali prodotti scegliamo di acquistare. A metà del XIX secolo, Friedrich Engels osservò come la Rivoluzione Industriale disumanizzasse le persone, trasformandole in ingranaggi in una vasta macchina in cerca di profitto. La Rivoluzione dell’Informazione ora ci ha trasformati da ingranaggi in bits, da mano d’opera in bio-valore.

Dunque, si potrebbe affermare che il profitto sembrerebbe guidare il processo di selezione: la caccia al bufalo a cavallo ha avuto un alto guadagno per i nativi americani nelle Grandi Pianure e li ha incoraggiati ad adottare rapidamente i cavalli dagli spagnoli. Il profitto, cioè “l’economia”, è diventato il nostro metabolismo collettivo. Proprio come il metabolismo di un organismo biologico scompone il cibo per fornire energia e “materiali” da costruzione, l’economia è diventato il processo attraverso il quale trasformiamo le risorse del nostro ambiente in beni e servizi di cui abbiamo necessità o di cui, opinabilmente, avremmo bisogno. E proprio come il metabolismo di un organismo superiore costituisce un complesso assemblaggio di cellule, organi e processi, l’economia costituisce un complesso assemblaggio di tecnologie sociali, cioè istituzioni, che ci aiutano o aiuterebbero, secondo il punto di vista, a coordinare i nostri sforzi. Certamente, è plausibile che se tutti dovessimo agire in modo indipendente per sopravvivere, difficilmente ci riusciremmo.

Man mano che il mondo, vale a dire la nostra sopravvivenza, diventa più complesso, facciamo sempre più affidamento a narrative attinte dalle autorità preposte ad incarnare la scienza per farci introiettare le loro visioni al fine di agevolare l’organizzazione delle nostre azioni. Lo status della scienza, filtrato in modo eccellente dalle lobbies e dalle istituzioni politiche e religiose che la gestiscono, svolge un ruolo essenziale nel legittimare le narrazioni che modellano la nostra visione ufficiale del mondo o, meglio, la nostra sopravvivenza, e nell’informare la forma del nostro processo decisionale, in modo che sia sufficientemente eterodiretto mentre erroneamente ci appare sotto il nostro controllo. Infatti, siamo indotti a pensare alla scienza come a un processo oggettivo, che porta inesorabilmente ad una migliore conoscenza e ad una comprensione più profonda degli eventi, ma la scienza è, anche essa, una tecnologia sociale che oggi si evolve attraverso la competizione o cooperazione tra corporazioni e fondazioni miliardarie. La disciplina economica è un esempio emblematico della sua costruzione sociale. Le crisi finanziarie, la crisi del Covid19 e la disuguaglianza sono tutti esempi di come la disciplina dell’economia si è evoluta in direzioni speculative e senza fornirci gli strumenti di cui abbiamo bisogno per capire cosa sta succedendo e come agire per la nostra sopravvivenza e il nostro benessere. Infatti, possiamo chiederci – Cosa è andato storto con l’economia?

Economia neoclassica ed economia della complessità di fronte agli sconvolgimenti evolutivi dell’Era dell’Informazione

L’economia neoclassica, che ha dominato la disciplina per gran parte del XX secolo, sostiene che siamo agenti economici che prendiamo decisioni che massimizzano, egoisticamente, la nostra utilità, cioè una misura della nostra felicità o soddisfazione individuale, senz’altro, del tutto soggettiva e discutibile. L’utilità14 è, stando alle idee di tale approccio, un modo per catturare i nostri obiettivi e, in economia neoclassica, i nostri obiettivi si riducono alla semplice presupposizione che noi, umani, siamo essere orientati, esclusivamente, a massimizzare il nostro piacere individuale derivato dal consumo. Il secondo presupposto fondamentale nell’economia neoclassica è che, se tutti, attraverso la magia dei mercati, perseguiamo il nostro piacere individuale, saremmo in grado di raggiungere, collettivamente, uno stato di equilibrio in cui ognuno starebbe a godersi il massimo del piacere possibile senza che nessun altro glielo riduca.

A ben guardare, risulta chiaro che nelle nostre società, cosiddette occidentali, “siamo” convinti, o persuasi, che, in quanto individui, abbiamo obiettivi precisi e prendiamo decisioni razionali per raggiungerli. I presupposti di cui sopra, forse, non sono del tutto errati se la razionalità fosse intesa in termini di strategia adattiva per pervenire ad un obiettivo. Che l’assioma circa le nostre decisioni razionali sia infondato risulta documentato da molte ricerche che mostrano che abbiamo obiettivi multipli, poco chiari, a volte, contrastanti, e che il piacere derivato dal consumo sarebbe, in genere, solo uno dei tanti e spesso non sarebbe il più importante o motivante. Abbiamo tante altre priorità differenti dall’interesse materiale auto-referenziato, compresi esigenze sociali e psicologiche come la libertà, l’amore, la dignità, l’elaborazione di senso e le connessioni sociali. E non siamo nemmeno coerenti nel modo in cui prendiamo decisioni e perseguiamo i nostri obiettivi. Spesso prendiamo decisioni con informazioni imperfette o errate. Le multinazionali sono, probabilmente, ottimizzatori di utilità migliori rispetto a noi individui ma la loro utilità ha poco a che fare con il renderci felici. I profitti delle corporazioni potrebbero venire addirittura a scapito dell’utilità collettiva e del benessere sociale. Le corporazioni sono tecnologie sociali che agiscono per i propri scopi, che a volte possono coincidere con gli interessi della società, a volte no.

L’economia neoclassica con la sua enfasi sulla massimizzazione e sull’equilibrio dell’utilità può essere interpretata piuttosto come un ostacolo alla comprensione degli aspetti chiave del comportamento sociale. Il suo approccio meccanicistico è stato sviluppato durante la Rivoluzione Industriale e, infatti, non può essere utilizzato per guidarci attraverso gli sconvolgimenti evolutivi dell’Era dell’Informazione. Fortunatamente, disponiamo di altri modelli per comprendere l’economia d’oggi.

L’economia della complessità, un approccio interdisciplinare, fonda la nostra comprensione dell’economia in fatti e dati comportamentali e in una prospettiva dell’economia come sistema e non come un agglomerato di individui. La psicologia comportamentale ci avverte che noi umani prendiamo decisioni basate su semplici regole empiriche e ragionamenti alquanto miopi e che i nostri obiettivi sarebbero scarsamente descritti dall’utilità. La modellazione di esseri umani complessi richiede, inevitabilmente, semplificazione ma, utilizzando questi dati forniti dalla ricerca interdisciplinare, possiamo rendere le nostre semplificazioni molto più articolate e realistiche. Allo stesso modo, i “Big Data”15, le simulazioni basate sulla nozione degli individui come “agenti”, l’apprendimento automatico16 e l’intelligenza artificiale ci forniscono potenti strumenti per modellare l’economia come il sistema di reti e di squilibri in evoluzione che essa, effettivamente, è.

Proprio come una comprensione in termini più scientifici della biologia ha rivoluzionato le idee della medicina, una comprensione più a carattere di sapere scientifico dell’economia come un sistema adattivo complesso avrebbe il potenziale per rivoluzionare il processo di policy-making, cioè di elaborazione di orientamenti e strategie in merito alle questioni più rilevanti per la società e la politica. Per loro stessa natura, però, i sistemi complessi non sono completamente sotto il controllo di nessuno. Una cosa è progettare e prevedere il comportamento di un laptop, un altro progettare e prevedere il comportamento di Internet. I sistemi complessi hanno proprietà emergenti che sono causate dall’interazione dei loro componenti ma sono qualitativamente diverse da quelle dei componenti stessi. Come nel giardinaggio, nell’ingegneria dei sistemi complessi abbiamo un controllo limitato sui risultati. Per anticipare dove le politiche ci guidano e come mobilitare l’azione per portarci dove vorremmo andare, dobbiamo capire l’interazione tra tecnologia, economia, istituzioni, politica, psicologia e sociologia. Ciò richiede l’abbattimento dei silos disciplinari e, in questo senso, il mondo accademico dei silos non sta affrontando la sfida di darci la guida di cui abbiamo bisogno. Questa lottizzazione del sapere e degli approcci appaltati ad agenzie fini se stesse ha palesato i sui nefasti effetti in modo catastrofico nell’impossibilità di una migliore gestione della pandemia del Covid19. L’Era dell’Informazione pone sfide a governi e istituzioni come mai prima d’ora. Le modalità di governance esistenti possono fare il lavoro? Possono le strutture normative adattarsi al nostro vantaggio collettivo?

Le nuove tecnologie dell’informazione, sconvolgimenti sociali e i nuovi modelli di organizzazione sociale

Nuove narrative e nuovi modelli di organizzazione sociale stanno emergendo nella misura che l’intreccio tra i bio-poteri e le nuove tecnologie della bio-informazione rende questi due ambiti indistinguibili. Uno dei più sorprendenti è il cosiddetto modello cinese del super-organismo dispotico basato sulle tecnologie della comunicazione e della bio-informazione. Tra queste nuove tecnologie si distingue WeChat17, l’”app per tutto” della Cina. Qualcosa come Facebook, Home Banking, Uber, eBay e le apps di consegna del cibo, riuniti in un solo applicativo, con una base di utenti attivi mensili di oltre 1 miliardo. Sviluppato dalla società cinese Tencent e sovvenzionato dal governo cinese, consentirebbe ai funzionari, praticamente come qualunque altra piattaforma, di monitorare e controllare gli utenti con dettagli orwelliani. Fungerebbe come un sistema di identificazione elettronica. Infatti, il suo utilizzo come bio-tecnologia è stato esemplificato con chiarezza durante la gestione dell’epidemia del Covid19. L’altra innovazione nelle tecnologie dell’informazione cinesi è quella relativa alla piattaforma che gestisce il recente sistema di credito sociale, in cinese 社会信用体系 o shèhuì xìnyòng tǐxì.18 Si tratta, in effetti, di un sistema per classificare la reputazione dei propri cittadini, monitorando i comportamenti buoni e affidabili dei cittadini, ricompensandoli, automaticamente, mentre penalizza i comportamenti ritenuti socialmente indesiderati. Secondo le parole del governo cinese, questa è una buona cosa per la società perché “i comportamenti virtuosi non sono stati sufficientemente ricompensati e i costi per i comportamenti antisociali tendevano ad essere bassi”.

Gli occidentali indietreggiano con orrore alla prospettiva di un sistema di credito sociale gestito da un governo autoritario. Molti cinesi, al contrario, sembrano finora a proprio agio con l’idea di avere i dettagli della loro integrità e onestà commerciale, giudiziaria e sociale controllata, fintanto che la prosperità economica aumenta. Si potrebbe fare un’analogia con la transizione evolutiva da organismi monocellulari a organismi multicellulari circa 700 milioni di anni fa. Gli organismi multicellulari si sono evoluti quando gli organismi monocellulari hanno rinunciato alla loro autonomia a favore dei benefici della multi-cellularità. Forse i cinesi sono all’avanguardia di una simile transizione per le società umane? Un super-organismo gestito gerarchicamente presenta evidenti vantaggi: consente di offrire enormi capacità di cooperazione per risolvere i problemi in modo mirato. Se si seguisse il modello cinese, forse sarebbe più facile coordinarsi rapidamente per apportare i cambiamenti necessari per affrontare emergenze in cui possiamo precipitare come è successo con il Covid19? Naturalmente, la perdita di libertà e autonomia individuali sono altamente problematiche, così come il potenziale per attori faziosi o idee tendenziose di ottenere il controllo e guidare il super-organismo verso una fine “disastrosa” o non desiderabile da molti. Inoltre, non è difficile immaginare queste tecnologie, in particolare le Intelligenze Artificiali gestite dallo Stato, che consentano una sorta di totalitarismo permanente da cui gli umani non possano sfuggire: un distopico, orwelliano Punto Omega che contradirebbe la visione ottimistica e paradisiaca di Teilhard de Chardin.

Le tecnologie informatiche in costante miglioramento possono generare tecnologie sociali sotto forma di un super-organismo che raggruppa intelligenze umane e artificiali. Le nostre nuove tecnologie di informazione consentono un’azione collettiva su una scala senza precedenti. Insieme, queste possibilità originano condizioni pressanti sulle tecnologie sociali, cioè sulle istituzioni, spingendole ad evolversi ed esercitare una pressione evolutiva per un rapido cambiamento sociale e antropologico. Da questo punto di vista, le tensioni nell’attuale situazione sociopolitica e geopolitica mondiali possono essere interpretate come il risultato di una sperimentazione evolutiva globale per trovare il modo migliore di gestire un super-organismo in evoluzione.

Nell’intreccio tra tecnologie strumentali e sociali si può evincere che la cosiddetta democrazia liberale si è evoluta nell’Era della Pre-informazione. Fino a poco tempo fa, questa forma della politica sembrava essere sulla strada per diventare il modo di governo dominante, ma ora viene messa alla prova. Infatti, stanno emergendo nuove forme ibride di democrazia e autoritarismo, con vari gradi di monitoraggio e controllo del comportamento individuale. Ciò solleva la domanda chiave: la democrazia, forma del bio-potere reputata idonea a legiferare e attuare la bio-politica di gestione delle popolazioni delle nostre società, può adattarsi per funzionare meglio nel nuovo ambiente dell’Era dell’Informazione iper-connessa o sarà sostituita nella competizione evolutiva delle tecnologie sociali con altre istituzioni ritenute da alcuni più funzionali alla nostra sopravvivenza?

La domanda se un super-organismo, che raggruppa intelligenze umane e artificiali, al servizio di un bio-potere autoritario al controllo delle popolazioni, costituisca una sfida per l’idea che abbiamo della democrazia, della sua forma e della sua attuazione, non risulta un interrogativo tanto ipotetico se prendiamo in considerazione l’esperienza della pandemia del Covid19. Di fatto, essa ci ha palesato l’emergere di un super-organismo, piuttosto monolitico, con la sua comunità di reputate autorevoli intelligenze umane, sostenute nelle loro decisioni dalle intelligenze artificiali, alla ricerca di soluzioni per la nostra sopravvivenza senza mettere a repentaglio la sopravvivenza dei mercati. La domanda successiva, per le società governate dal modello cosiddetto democratico è se il modello cosiddetto autoritario cinese sarebbe l’unico modo possibile per gestire un tale super-organismo o se ci siano modi, per così dire, più democratici, per utilizzare le tecnologie dell’informazione e della bio-informazione? In altri termini, possiamo usare la nostra comprensione dell’evoluzione sociale e dei sistemi complessi per rendere le nostre società meno polarizzate e più partecipative, diminuendo l’influenza degli interessi acquisiti dei bio-poteri nazionali e transnazionali e applicando un’equità più concertata?

Si reputa che uno dei grandi punti di forza delle così designate società aperte o democratiche sia che queste forme di gestione politica delle popolazioni consentono e incoraggiano l’esplorazione di nuove idee. In questo ordine di idee, i così designati mercati liberi hanno un grande successo nel generare competizione e collaborazione evolutive tra idee e tecnologie e nel potenziare rapidamente quelle che hanno successo economico. In questa linea di ragionamento, non sarebbe un caso che l’esplosione dell’innovazione nelle tecnologie strumentali negli ultimi due secoli sia emersa in gran parte nelle società di libero mercato. Le tecnologie sociali, cioè le istituzioni, di quelle società aperte avrebbero accelerato la velocità dell’evoluzione della tecnologia strumentale. Il processo si sarebbe auto-alimentato, creando ogni nuova tecnologia la possibilità di altre nuove tecnologie e apprendo, così, lo spazio delle possibilità di innovazione in un’esplosione combinatoria e attuando la nostra accelerazione iper-esponenziale delle tecnologie strumentali.

Divario tra il potere politico delle istituzioni e il bio-potere delle tecnologie dell’informazione

Oggi si potrebbe asserire che nell’intreccio tra tecnologie strumentali e sociali, quelle sociali, cioè le istituzioni preposte per la sopravvivenza delle popolazioni, non hanno tenuto il passo. L’impatto dei social media e delle “notizie false” [fake news] sulla politica sono solo esempi recenti. Ugualmente, le nostre istituzioni non hanno tenuto il passo della velocità con cui ha viaggiato il Covid19 attraverso paesi e continenti. Le nostre tecnologie sociali, cioè le nostre istituzioni, stanno diventando rapidamente meno ben adattate alla realtà delle nostre tecnologie strumentali. Con l’aumentare del divario tra le nostre tecnologie strumentali e sociali, crescono le tensioni nella società e aumenta lo spazio per la rabbia, il populismo e le soluzioni autoritarie o le richieste di un solo uomo forte al comando19. Queste tensioni sembrano spingere verso due soluzioni contrastanti: rallentare il ritmo dell’evoluzione della tecnologia strumentale, il che è probabilmente impossibile, o sfondare lo stallo e impegnarsi in una serie di riforme istituzionali, normative e persino costituzionali per far evolvere, nuovamente, il sistema democratico schiacciato dal potere delle corporazioni della tecnologia. Senza una schiacciante pressione politica per rifondare le così designate società aperte, potremmo scoprire che il divario si allarga a una crisi terminale per la democrazia.

Esistono possibili soluzioni. Tra i passi pratici immediati viene frequentemente annoverato l’intervento sui giganteschi monopoli delle piattaforme hardware e software quali Apple, Windows, Java, YouTube, Facebook, Twitter, EBay, Amazon, e Airbnb, per citare alcune delle più conosciute, regolamentandole come corporazioni dei media, quali realmente sono, e creando dei diritti di proprietà digitali individuali. Tali cambiamenti costringerebbero queste corporazioni a modificare i loro modelli di business dal trarre profitto dalla generazione di indignazione morale, dall’hacking della nostra psicologia, dalla diffusione di notizie false, dalla creazione di comportamenti che creano dipendenza, dalla raccolta dei nostri dati personali e dalla massimizzazione dei consumi dannosi per l’ambiente, a usi più socialmente costruttivi. Allo stesso modo, si possono utilizzare nuovi modelli per l’impegno democratico. Infatti, siamo in grado di attuare una governance democratica delle nostre sempre più integrate infrastrutture critiche. Siamo in grado di costruire un’infrastruttura di trasporto intelligente per mitigare la sostituzione dei lavoratori a causa dell’automazione. Possiamo riorganizzare il nostro sistema educativo favorendo la flessibilità. Siamo in grado di sviluppare una coscienza globale20 per quanto riguarda le nostre sfide chiave, come la salute universale e l’equità, usando gli stessi meccanismi usati in precedenza con successo per sviluppare il nazionalismo. Possiamo ridefinire la misura del successo economico sostituendo il PIL con nuove metriche che si concentrano sulla risoluzione dei problemi umani e sulla promozione del benessere umano.

Non esiste un punto Omega: l’attuale noosfera, per utilizzare ancora il termine poetico di Theilard de Chardin, non ha raggiunto l’apice di ciò che è possibile. E non lo farà mai. L’evoluzione è un processo aperto di cambiamento continuo e infinito. Non esiste un punto ottimale, nessun punto di sosta, nessuna direzione né obiettivo finale. Questi punti, altro non sono che giudizi di valori, idealizzazioni nostre. Se si vuole creare un sistema socioeconomico-tecnologico al servizio degli ampi interessi delle popolazioni umane e delle altre specie con cui condividiamo il pianeta, sarà solo perché abbiamo compreso, a sufficienza, il complesso sistema in cui viviamo per sfruttare il potere dell’evoluzione e di modellarla in quella direzione.

Dobbiamo capire che, mentre possiamo cooperare per modellare l’evoluzione in modo che ci dia qualcosa di “meglio” in relazione ai valori umani che abbiamo nutrito, non c’è utopia. Tutto ciò che possiamo sperare è ciò che il filosofo Karl Popper chiamò “ingegneria sociale frammentaria”, cioè possiamo aiutare a guidare il sistema in una direzione positiva scelta da noi. Vi sarebbero prove evidenti che tali cambiamenti diretti abbiano consentito alle società di diventare più armoniose e meno violente. Ma, per sua stessa natura, la selezione evolutiva è un processo competitivo ed è improbabile che i conflitti scompaiano. L’emergere di cianobatteri 3 miliardi di anni fa ha introdotto ossigeno nell’atmosfera, uccidendo la maggior parte della vita sul pianeta, ma consentendo tutte le moderne forme di vita. E gli organismi pluricellulari e, infine, gli esseri umani, sono stati inizialmente resi possibili dalle collaborazioni tra i microrganismi batteri e gli archei. L’equilibrio tra competizione e collaborazione e l’interazione tra loro è una parte essenziale dell’evoluzione e i suoi risultati sono spesso imprevedibili: le cose “cattive” spesso portano a cose “buone” e viceversa. La visione evolutiva ci fornisce un’idea di ciò che causerebbe i nostri problemi e ci mette su una strada interpretativa abbastanza pragmatica per affrontarli. Più comprendiamo le forze che guidano questi cambiamenti, più possiamo concordare e agire, efficacemente, per modellare un futuro che risuoni con la nostra visione personale e collettiva del mondo in cui desideriamo vivere.

Se il tasso di cambiamento delle tecnologie strumentali continua ad accelerare, le nostre tecnologie sociali, cioè le nostre istituzioni, possono tenere il passo? Rimarremo in uno stato eterno di estremo squilibrio, con istituzioni sociali disfunzionali che non sono in contatto con il substrato strumentale in rapida evoluzione del mondo dell’informazione? Stiamo andando a diventare parte di un super-organismo autoritario e gerarchico? Possiamo fare qualcosa per impedire che ciò accada? La risposta a queste domande sarebbe affermativa. Infatti, l’evoluzione sociale è un processo che modelliamo tutti, anche se non lo controlliamo. In realtà, chi dirige un processo che non possiamo controllare? Il mondo è, in effetti, un sistema complesso e l’evoluzione della società e della tecnologia sono fuori dal controllo del singolo individuo.

1 È convenzione intendere la parola tecnologia come indicante le tecniche utilizzate per produrre oggetti e migliorare le condizioni di vita dell’uomo. Non si tratta comunque solo di realizzazioni concrete ma anche di procedure astratte. La storia della tecnologia si intreccia con la storia dell’umanità. Quando si pensa alla tecnologia si tende a pensare ai più moderni computer, sempre più potenti, versatili e leggeri, automobili più sofisticate, strumenti per riprodurre con elevata qualità suono e immagini. In realtà, più che altro, questi sono i risultati dello sviluppo di nuove tecnologie, mentre la parola ha un significato più ampio. Con tecnologia, infatti, si indica, più che l’insieme dei singoli oggetti, lo sviluppo di strumenti e macchine con cui si è risolto un problema o è stato migliorato un aspetto della nostra vita quotidiana. In questo senso, anche lo sviluppo dei primissimi utensili nella preistoria, dai primi aghi in osso per cucire alle prime pentole in argilla, rappresenta un progresso tecnologico. Le innovazioni introdotte dalle nuove tecnologie tendono a provocare profondi cambiamenti nelle società, modificando tradizioni, modi di procedere e perfino la cultura di una popolazione. Questo è stato vero fin dall’antichità, basti pensare al fatto che classifichiamo le prime epoche storiche proprio in base alle tecnologie sviluppate: Età della Pietra, Età del Ferro, Età del Bronzo. Oggi il fenomeno della globalizzazione fa sì che i cambiamenti introdotti dalle nuove tecnologie si diffondano molto più rapidamente da una società all’altra, il che rappresenta un’opportunità, ma risulta anche fonte di seri problemi di adattamento per alcune culture.

2 Rinaldo O. Vargas & Eugenia D’Alterio. Nuovi Mercati nell’Epoca del Bio-Capitale. Estraendo il valore latente delle immunoglobuline. BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena. Anno VI, Numero 21, Marzo 2017, pp. 31-45

3 O “antiquati” come disse Günther Anders nel 1956 nel suo libro “L’uomo è antiquato”, analizzando ciò che egli chiamò la vergogna prometeica, cioè quella vergogna derivata dalla subalternità dell’uomo al mondo della tecnologia da lui stesso creata, facendo sì che egli si senta “antiquato”. La tecnologia e le sue macchine poi possiedono un’eternità che all’individuo umano è negata, donde una rivalità, un impari gara dell’uomo, una inversione dei mezzi con i fini.

4 Rinaldo O. Vargas. Identità e Possessi. BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena. Anno XI, Numero 33, Marzo 2020, pp. 22-27

5 Earth lodges – capanni di terra semi-sotterranei coperti parzialmente o completamente di terra dalle culture dei nativi americani delle Grandi Pianure e dei boschi orientali.

6 La Danza del Sole rappresenta l’apice del calendario spirituale e rituale di tutte le nazioni tribali del Nord America. È un rituale di purificazione collettiva della durata di quattro giorni che prevede il digiuno, l’autosacrificio e la donazione di sé.

7 Sir Timothy John Berners-Lee è un informatico britannico, insignito del premio Turing 2016, considerato, come vuole il mito popolare, “co-inventore” insieme a Robert Cailliau del World Wide Web.

8 Economista accreditato per lo sviluppo dell’approccio moderno ai rendimenti crescenti. È un’autorità in economia in relazione alla teoria della complessità, alla tecnologia e ai mercati finanziari.

9 Acronimo di Clustered Regalarle Interspaced Short Palindromic Repeats, espressione traducibile in italiano con brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari) è il nome attribuito a una famiglia di segmenti di DNA contenenti brevi sequenze ripetute (di origine fagica o plasmidica) rinvenibili in batteri e archei. In particolare, le CRISPR sono presenti nel locus CRISPR insieme ad altri elementi genici sia nei batteri che negli archei. In passato le sequenze erano denominate Short Regularly Spaced Repeats (brevi ripetizioni a intervalli regolari, abbreviato in SRSR). Queste brevi ripetizioni sono sfruttate dal batterio per riconoscere e distruggere il genoma proveniente da virus simili a quelli che hanno originato le CRISPR: costituiscono dunque una forma di immunità acquisita dei procarioti. Le CRISPR costituiscono uno degli elementi di base del sistema CRISPR/Cas, anch’esso coinvolto nell’immunità acquisita dei procarioti. Una versione semplificata di questo sistema (detta CRISPR/Cas9) è stata modificata per fornire un potentissimo e precisissimo strumento di modificazione genetica che risulta di impiego molto più facile, e al contempo più economico, rispetto alle tecnologie preesistenti. Grazie al sistema CRISPR/Cas9 è stato possibile modificare permanentemente i geni di molteplici organismi.

10 Rinaldo O. Vargas & Eugenia D’Alterio. Concentrazione della ricchezza, bio-ingegnerizzazione ed aumento dell’intelligenza artificiale. Probabilità di speciazione umana in una élite di superumani ed una massiccia sottoclasse di popolazioni ridondanti. BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena. Anno VI, Numero 22, Settembre 2017, pp. 4-8

11 Yuval Noah Harari. Sapiens: A Brief History of Humankind. Harvill Secker, London 2014 / Noah Yuval Harari. Sapiens. Da animali a dèi: Breve storia dell’umanità. Bompiani 2014

12 In informatica con il termine cloud computing si indica un paradigma di erogazione di servizi offerti on demand da un fornitore ad un cliente finale attraverso la rete Internet, a partire da un insieme di risorse preesistenti, configurabili e disponibili in remoto sotto forma di architettura distribuita.

13 Il termine noosfera indica la “sfera del pensiero umano” e deriva dall’unione della parola greca νοῦς, nous, che significa “mente”, e della parola sfera (greco σφαῖρα, sphâira), in analogia con i termini “atmosfera” e “biosfera”.

14 In economia l’utilità è la misura della felicità o soddisfazione individuale. Un bene è dunque utile se considerato idoneo a soddisfare una domanda. Secondo l’utilitarismo, la massimizzazione dell’utilità sociale dovrebbe essere il fine ultimo della società, che dovrebbe quindi tendere ad ottenere “la felicità maggiore per il maggior numero di individui”.

15In statistica e informatica, la locuzione big data (“grandi [masse di] dati”) o semplicemente mega-dati, indica genericamente una raccolta di dati informativi così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore o conoscenza.

16 L’apprendimento automatico (noto anche come machine learning) è una branca dell’intelligenza artificiale che raccoglie un insieme di metodi, sviluppati a partire dagli ultimi decenni del XX secolo in varie comunità scientifiche, sotto diversi nomi quali: statistica computazionale, riconoscimento di pattern, reti neurali artificiali, filtraggio adattivo, teoria dei sistemi dinamici, elaborazione delle immagini, data mining, algoritmi adattivi, ecc; che utilizza metodi statistici per migliorare progressivamente la performance di un algoritmo nell’identificare pattern nei dati. Nell’ambito dell’informatica, l’apprendimento automatico è una variante alla programmazione tradizionale nella quale si predispone in una macchina l’abilità di apprendere qualcosa dai dati in maniera autonoma, senza ricevere istruzioni esplicite a riguardo.

17 WeChat è un servizio di comunicazione attraverso messaggi di testo e vocali per dispositivi portatili, sviluppato dalla società cinese Tencent. Ha attualmente oltre un miliardo di utenti attivi mensili, ed è l’app di messaggistica più usata in Cina e Bhutan.

18 Il Sistema di Credito Sociale è un’iniziativa creata dal governo cinese al fine di sviluppare un sistema nazionale per classificare la reputazione dei propri cittadini. È stato comunicato che questo sistema sarà utilizzato per assegnare, ad ogni cittadino, un punteggio rappresentante il suo “credito sociale”, sulla base di informazioni possedute dal governo, riguardanti la condizione economica e sociale di ogni singolo cittadino. Funzionerà come un sistema di sorveglianza di massa e sarà basato su tecnologie per l’analisi di big data. Inoltre, avrà la funzione di attribuire un punteggio alle imprese che operano nel mercato cinese e quindi di classificarle. il Sistema di Credito Sociale si concentrerà su quattro aree: “onestà negli affari di governo”, “integrità commerciale”, “integrità sociale” e “credibilità giudiziaria”. La copertura dei media si è fino ad ora concentrata principalmente sull’idea di attribuire un punteggio ai singoli cittadini (che rientra nella categoria dell'”integrità sociale”). Tuttavia, i piani del governo cinese si spingono oltre ciò e prevedono di attribuire punteggi anche alle imprese che operano in Cina.

19 Rinaldo O. Vargas & Eugenia D’Alterio. Bio-politica contemporanea. Neoliberismo, Declino dello stato-nazione e Privatizzazione dei processi biologici. BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena. Anno V, Numero 19, Settembre 2016, pp. 4-16

20 Ian A. Crawford. Big History and Astrobiology. In “Journal of Big History”, Vol. III, Issue 3. 2019

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