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14 Giugno, 2025

Convenzioni che ci tengono insieme

Rinaldo Octavio Vargas - sociologoRinaldo Octavio Vargas - sociologo
La cooperazione umana dipende da un equilibrio imponderabile tra verità e racconti

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno VII • Numero 28 • Dicembre 2018

 

Il nuovo mito fondante della cedevolezza sociale: la tecnologia inarrestabile

Quando si assiste, con consapevolezza, allo spettacolo della nostra vita politica o pure quando si studiano le società umane da un punto di vista decostruzionista, si arriva ad astrarre un modello che suggerisce che per mantenere il consenso e la cedevolezza tra le popolazioni governate sono indispensabili delle credenze che le mettano e tengano insieme. Infatti, perfino un ideologo del bio-potere come Yuval Noah Harari ne parla apertamente nel suo ultimo best-seller “21 Lessons for the 21st Century”, appena tradotto in italiano e pubblicato da Bompiani ad agosto 2018.1 In pratica, la cooperazione umana dipende da un equilibrio imponderabile tra verità e racconto. Le religioni, formali o informali, hanno svolto tradizionalmente la funzione di fornire un qualche mito fondante dell’unità e del destino comune delle diverse popolazioni umane.

D’altra parte, a quanto pare, non è possibile organizzare, in modo efficace, masse di persone o collettivi umani senza fare affidamento a qualche mitologia. Se ci si attiene alla pura realtà poche persone seguono o ubbidiscono un richiamo. Infatti, la bio-politica2 dipende dalla creazione di un racconto e della sua credibilità che, come ammesso da uno dei migliori affabulatori del momento, Yuval Noah Harari, poco ha di veritiero. Ma, finché tutti crediamo nelle stesse finzioni, finché tutti adoriamo gli stessi totem, finché tutti noi ubbidiamo alle stesse leggi, possiamo, quindi, acconsentire e cooperare, efficacemente, su larga scala.

Tra i racconti che oggi cercano di rifondare l’ubbidienza delle popolazioni, uno sembra dominare: quello della tecnologia. Infatti, il racconto della sua inarrestabilità ed incontestabilità si propone come nuova religione degli umani, come nuova annunciatrice del cosa e del come, cioè di ciò che siamo e di come ci è consentito vivere. La tecnologia attua, con la sua modalità binaria, un nuovo manicheismo dell’esistenza umana. In breve, essa è la nostra misura, identità e il nostro destino.

Unito al mito della tecnologia quale verità incontestabile ed emancipata dal potere teologico, gli ideologi del post-umano ci presentano il racconto del genoma come il mito di una resurrezione in versione secolarizzata. È in questo contesto di mistificazione in cui si inseriscono le due convenzioni metaforiche fuorvianti che si intendono commentare. E per capirne una, ci vuole considerarla in relazione all’altra.

Altri miti fondanti: “gli organismi sono algoritmi” & “l’obsolescenza di massa”

La metafora aconfessionale che ci propone che “gli organismi sono algoritmi3 e, quindi, che “noi umani siamo algoritmi”4, è, certamente, più attuale (e riferibile a modelli computazionali di dimostrazioni) dalla metafora ecclesiale di corpo e anima. È, senz’altro, avvincente immaginare che i nostri geni, di esseri senzienti, precari e deperibili, siamo scomponibili in modelli astratti (e non ambigui) come gli algoritmi. È decisamente tanto suggestivo immaginare di essere stati creati da un essere divino quanto pensare che “ogni animale, incluso l’Homo sapiens, è un insieme di algoritmi organici modellati dalla selezione naturale in milioni di anni di evoluzione”.5

Il fascino lascia posto, però, ad una certa perplessità intellettuale, quando si confronta con l’idea di Yuval Noah Harari che ci annuncia che “Non c’è un motivo per pensare che gli algoritmi organici [noi umani] possano fare cose che gli algoritmi non organici [le Intelligenze Artificiali] non saranno mai in grado di replicare o superare”6, non perché si neghi la possibilità ma perché non c’è alcuna onestà intellettuale nel presentarci, intenzionalmente, questa ipotizzata deriva come risultato di un’evoluzione naturale intelligente anziché come una deriva pilotata da una certa élite.

Stando a Harari, il cosiddetto “algoritmo umano” sarà presto sopraffatto e superato dagli algoritmi non orga- nici. Questa sua conclusione di parte ci porta alla sua seconda problematica asserzione: “Non è lo spettro dell’estinzione di massa ciò che incombe su di noi ma lo spettro dell’obsolescenza di massa.” Ma ciò che Harari, alla ricerca del nuovo mito fondante della bio-politica, premeditatamente nasconde è che ciò che ci rende superflui e obsoleti non è un’evoluzione naturale. Egli omette dire che tale obsolescenza e ridondanza delle masse sono il risultato sociale del sistema ideologico-finanziario-tecnologico in cui ci hanno (e abbiamo) irretiti la vita umana – e non solo. Tale sistema di selezione sociale, nel nostro tempo, viene chiamato bio- capitalismo, con la sua Weltanschauung7 o visione del mondo che ci racconta, come collante delle popolazioni, di una sua rivoluzione tecnologica inarrestabile.

La domanda di onestà intellettuale che manca nelle argomentazione di Harari è: “superflui” ed “obsoleti” per chi e in quale contesto? Inequivocabilmente, questi predicati hanno la loro semantica sociale nel contesto sistemico fine a se stesso dove gli umani siamo soltanto o bio-valore o esuberi. Presentare il progetto di un bio-potere storico come universale ontologia o evoluzione naturale, risulta, decisamente, prevaricante. Non sappiamo, invero, quale deriva possa prendere la questioni di noi umani, resi in massa superflui obsoleti da un sistema sociale creato da noi stessi. Prospettare un tale ineluttabile futuro significa presupporre che un specifico bio-potere sia certo del suo controllo su tutti noi umani.

Per capire come Harari arriva a questa conclusione, possiamo ricorrere ai suoi due libri precedenti: “Sapiens: Da animali a déi: Breve storia dell’umanità”8 e “Homo Deus: Breve storia del futuro”.9 Infatti, “Sapiens: Da animali a déi: breve storia dell’umanità” è stato un tentativo di scrivere una storia genetica, antropologica, culturale, sociale ed epistemologica degli esseri umani negli ultimi 100.000 anni circa. Storici, scienziati e accademici hanno accennato all’audacia del suo scopo, ma il libro modellato seguendo la traccia di “Armi, acciaio e malattie: breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni” di Jared Diamond10, presenta una macro-storia stravolgente. Dalla nascita di una scimmia leggera, subdola e nuda, in qualche parte nelle profondità dell’Africa, alla crescita, alla diffusione e all’eventuale dominio di quella specie sul mondo, con “Sapiens” Harari divide la storia dell’umanità in tre ampie “rivoluzioni”. La prima, la “rivoluzione cognitiva”, ha portato gli umani ad acquisire la capacità di pensare, apprendere e comunicare informazioni con una facilità non paragonabile nel regno animale. La seconda, la “rivoluzione agricola“, ha permesso agli umani di addomesticare colture e animali, permettendoci di formare società stabili e intensificare il flusso di informazione tra di noi. La “rivoluzione scientifica“ è arrivata per ultima. Gli umani abbiamo acquisito la capacità di interrogare e manipolare ciò che abbiamo convenuto chiamare mondo fisico, chimico e biologico, portandoci progressi tecnologici ancora più potenti dei precedenti che ci circondano oggi.

“Homo Deus: Breve storia del futuro“ parte dal punto in cui “Sapiens“ è stato interrotto e pretende essere, in un tono che risulta prevaricante, una breve storia del domani. In questa sua argomentazione, Harari si chiede quale sia il culmine naturale della rivoluzione scientifica, ponendo il limite nel “naturale” e misconoscendo che, in quanto processo sociale, la rivoluzione scientifica, costruita socialmente e non per spontanea generazione o divina rivelazione, dovrebbe, anche essa, essere passibile di controllo da parte di un arbitrio sociale.

Harari considera che dopo che la tecnica ha innalzato l’umanità al di sopra del livello animale nella lotta per la sopravvivenza, la tecnologia possa ora potenziare gli umani in divinità e trasformare l’Homo sapiens in Homo deus. Per descrivere quest’ascesa, Harari esamina i fattori che avrebbero reso la specie umana così speciale.11 Partendo dall’assunto che l’Homo sapiens fa del suo meglio per dimenticare che è un animale, Harari si chiede come questo animale abbia fatto a rivendicare il dominio su tutti gli altri animali?

La risposta, sostiene, non sta nell’unicità delle nostre emozioni, sensazioni, della nostra morale o dei nostri stati d’animo. I maiali e le scimmie, per esempio, condividono molti di questi con noi, compresa la capacità di provare rabbia, invidia, dolore e persino un desiderio di giustizia. Harari considera, però, che noi umani superiamo queste capacità codificando algoritmi complessi, cioè “insiemi metodologici di passi che possono essere usati per fare calcoli, risolvere problemi e prendere decisioni”.12 Maiali, cani e scimmie, meglio, tutti gli essere viventi, “codificano” anche loro algoritmi, asserisce Harari, ma quelli umani sarebbero particolarmente complicati e potenti.

Nella seconda sezione di Sapiens, assistiamo alla marcia inarrestabile di Homo pre-deus verso Homo deus, cioè da umaniche adorano divinità in umani che diventano déi. La tecnologia supera la religione e la paura della natura si trasforma in una capacità senza precedenti di controllarla. Harari ha, da una prospettiva critica, una tendenza a sopravvalutare la portata di tali “correzioni” tecnologiche, come le chiama il dr. Siddartha Mukherjee.13 Al riguardo, Mukherjee ci ricorda che editare ogni gene legato ad una malattia nel genoma umano non è così facile o tecnicamente fattibile, come Harari ed altri avvocati dell’ingegnerizzazione del genoma potrebbe desiderarlo, in parte, perché molte malattie, ora sappiamo, sono conseguenze di dozzine di varianti genetiche e di interazioni gene-ambiente e gene-chance. Ma la scrittura nella seconda sezione di Sapiens è vivace e consente ad Harari di sollevare la domanda più provocatoria di questo libro: se gli umani siamo riusciti, in virtù dell’”algoritmo” a dominare su tutti gli altri animali, allora perché un altro di questi algoritmi non potrebbe, a sua volta, rovesciare noi?

Altri miti di trasformazione: il controllo dagli umani da intelligenze artificiali e l’editing o ingegnerizzazione del genoma

A questo punto del ragionamento è inevitabile che ci chie- diamo … ma, che tipo di “algoritmo” ha in mente Harari? Secondo lui, ci sarebbero due tipi di algoritmi, “scritti da noi stessi” [umani], da prendere in considerazione. Il primo tipo, quello codificato all’interno di macchine computazionali, capace di creare nuovi “esseri tecnologici” con intelligenza artificiale. Il secondo tipo, codificabile nel DNA, capace di creare nuovi “esseri biologici” con un’intelligenza “naturale” migliore. Stando a Harari, la nostra capacità di manipolare due forme fondamentali di informazioni, computazionale e biologica, cioè byte e gene, porterà alla nascita di esseri superiori che alla fine invaderanno il nostro mondo, assumeranno il nostro lavoro, si infiltreranno nelle nostre vite e controlleranno le nostre emozioni e destini con la stessa facilità con cui controllano il nostro traffico e i nostri taxi oggi. Facendo uso delle sue facoltà speculative, Harari arriva ad affermare che tali esseri artificiali superiori, scriveranno poesie, faranno l’amore, creeranno arte e appariranno, sentiranno e si comporteranno come noi – oppure meglio.14

Harari non è il primo a descrivere questa progressione della specie umana, ma il suo resoconto potrebbe essere uno dei più mistificanti fino ad oggi. Eppure anche Harari, maestro della storia accattivante e della sceneggiatura storica, non riesce a convincere del tutto. La sua visione degli umani condannati da macchine biologiche super-umane o da macchine computazionali potrebbe essere rovinata da esseri umani condannati da macchine biologiche o computazionali post-umane: sarebbe sufficiente un terrificante contagio, una guerra nucleare o, più probabilmente, un collasso sociale oppure un cataclisma, che questi nuovi esseri biologici e tecnologici non siano capaci di fermare, e il futuro disegnato da Harari verrebbe sconfitto. Non si può, neanche, condividere l’ottimismo di Harari su certe tecnologie mediche. Gli esempi che fornisce non sono condivisibili. Per esempio, il sequenziamento del gene per mappare e predire il destino umano, a quanto emerge, si sarebbe schiantato in limiti intrinseci.15 Il caso svolge un ruolo così cruciale nello sviluppo di alcune malattie che i geni, sebbene importanti, possono ancora essere relegati in secondo piano. Forse impareremo anche a “incidere” il caso in futuro. In ogni modo, sembra prematuro estrapolare l’idea dell’editing del genoma in modo generalizzato.

Certamente, non mancano esempi esaltanti dei prodigi di laboratorio dell’informatica algoritmica, dell’intelligenza artificiale e della genomica. Ma la questione che si intende porre non è se con un programma algoritmico si possano scrivere haiku o false composizioni attribuibili a Bach. Questo viene già fatto. Ciò che si intende segnalare è che questi incantevoli esempi contribuiscono alla costruzione sociale di un importante mito di trasformazione che consente alla bio-politica del bio-capitalismo, delle piattaforme e dei social media, di procurarsi l’alienazione di intere popolazioni. Questi apostoli della rivoluzione algoritmica, dell’intelligenza artificiale e dell’editing del genoma si guardano bene di dichiarare che non è l’evoluzione naturale degli organismi che ci rende superflui e obsoleti. Ciò che ci rende tali è il sistema di riproduzione delle popolazioni attraverso il lavoro alienato e le istituzioni di espropriazione dell’identità. Base di questo sfruttamento rimane, oggi come allora, l’alienazione delle popolazioni in due gruppi fondamentali: quelli che possiedo la proprietà dei mezzi di generare sussistenza e quelli che per accedere ai beni e servizi della sussistenza devono svendere la loro forza di lavoro, sia essa fisica che intellettuale. Tale operazione di dominio delle popolazioni umane avviene attraverso la condivisione di miti interpretativi  della vita che garantiscono l’arretratezza cognitiva  delle masse, arretratezza senza la quale non si può acquisire la loro cedevolezza.

  1. Yuval Noah Harari. 21 Lessons for the 21st Century. Jonathan Cape, London, 2018 / 21 LEZIONI PER IL XXI SECOLO, Bompiani, 2018.
  2. Bio-politica – L’insieme delle norme e delle pratiche adottate da uno stato per regolare la vita biologica degli individui nelle sue diverse fasi e nei suoi molteplici ambiti (sessualità, salute, riproduzione, morte, ecc.).
  3. Yuval Noah Harari. Homo Deus. Breve storia del futuro. Saggi Bompiani/Giunti Editori, Firenze, 2017.
  4. Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari in un tempo ragionevole. Il termine deriva dalla trascrizione latina del nome del matematico persiano al-Khwarizmi vissuto nel IX secolo D.C., che è considerato uno dei primi autori ad aver fatto riferimento a questo concetto scrivendo il libro “Regole di ripristino e riduzione”. L’algoritmo è un concetto fondamentale dell’informatica, anzitutto perché è alla base della nozione teorica di calcolabilità: un problema è calcolabile quando è risolvibile mediante un algoritmo. Inoltre, l’algoritmo è un concetto cardine anche della fase di programmazione dello sviluppo di un software: preso un problema da automatizzare, la programmazione costituisce essenzialmente la traduzione o codifica di un algoritmo per tale problema in programma, scritto in un certo linguaggio, che può essere quindi effettivamente eseguito da un calcolatore rappresentandone la logica di elaborazione. Comunque, la definizione specialistica di algoritmo è una sequenza ordinata e finita di passi (operazioni o istruzioni) elementari che conduce a un ben determinato risultato in un tempo finito”. Dalla precedente definizione di algoritmo si evincono alcune proprietà necessarie, senza le quali un algoritmo non può essere definito tale:

    (1) i passi costituenti devono essere “elementari”, ovvero non ulteriormente scomponibili (atomicità); (2) i passi costituenti devono essere interpretabili in modo diretto e univoco dall’esecutore, sia esso umano o artificiale (non ambiguità); (3) l’algoritmo deve essere composto da un numero finito di passi e richiedere una quantità finita di dati in ingresso (finitezza); (4) l’esecuzione deve avere termine dopo un tempo finito (terminazione); (5) l’esecuzione deve portare a un risultato univoco (effettività).

  5. Yuval Noah Harari. Homo Deus. Breve storia del futuro. Saggi Bompiani/Giunti Editori, Firenze, 2017.
  6. ibidem
  7. Concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo; termine frequente nella storia della filosofia e nella critica letteraria.
  8. Yuval Noah Harari. Sapiens: Da animali a déi: Breve storia dell’umanità. Bompiani/Giunti Editori. Milano, 2017.
  9. Yuval Noah Harari. Homo Deus: Breve storia del futuro. Bompani/Giunti Editori, Milano, 2017.
  10. Jared Diamond. Armi, acciaio e malattie: breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni. Giulio Einaudi Editori. 2013.
  11. Yuval Noah Harari. Sapiens, op. cit. 2017.
  12. Ibidem.
  13. Siddhartha Mukherjee. The Gene: An Intimate History. Simon & Schuster, New York, 2017.
  14. Yuval Noah Harari. Sapiens: Da animali a déi: Breve storia dell’umanità. Bompiani/Giunti Editori. Milano, 2017.
  15. Siddhartha Mukherjee. The Gene: An Intimate History. Simon & Schuster, New York, 2017.