L’interazione tra le specie oltre ai bisogni fisiologici di base

La documentazione circa il quorum sensing e i nostri modelli di parentela
22 Aprile, 2024
Tempo di lettura: 17 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIII • Numero 49 • Marzo 2024

 

La disturbante conseguenza del quorum sensing

Stando ad accreditate istituzioni accademiche dell’establishment, molte cellule batteriche della stessa specie utilizzerebbero un meccanismo di comunicazione tra di loro per coordinare le proprie azioni. Tale modalità di comunicazione è stata chiamata dagli esperti quorum sensing.1

Si tratterebbe di un fenomeno osservato nella quasi totalità dei batteri, sia Gram-negativi sia Gram-positivi, consistente di particolari meccanismi molecolari, basati sulla regolazione della trascrizione di specifiche molecole segnale in funzione della densità cellulare, al fine di coordinare le proprie azioni ed incrementare le proprie possibilità di sopravvivenza.

In termini pratici, una tale conoscenza comporterebbe una conseguenza piuttosto fastidiosa per i nostri paradigmi causali che eliminano ogni complessità allo scopo di immettere prodotti nei mercati. Infatti, se tutto è collegato a tutto il resto, non in qualche modo mistico o New Age ma in termini di impatti e conseguenze osservabili, pur se solo vagamente prevedibili, come possiamo allora agire con le certezze e promesse dei mercati e non solo?

Nell’ambito della filosofia della scienza che reputa la conoscenza una costruzione sociale è normale condividere l’invito, rivolto di continuo all’establishment, a che la cosiddetta scienza entri in sintonia con le sottili conversazioni che pervadono tutta la vita, dal primordiale al presente.

Quando però un tale richiamo viene da un veterinario che ha passato una vita in piedi in mezzo al fango e al letame vicino ad una stalla allora proviamo una certa curiosità circa le possibili interazioni perfino tra specie oltre ai bisogni palesemente biologici.

 

L’esperienza del veterinario epidemiologo circa la ristrettezza della nostra idea di parentela

In piedi in mezzo al fango e al letame vicino alla stalla, stavo parlando alla telecamera della malattia della mucca pazza. Agli inizi degli anni ’90, quando gli agricoltori, l’opinione pubblica e i politici erano nel panico riguardo ai possibili pericoli associati all’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), David Waltner-Toews, esperto epidemiologo stava parlando ai giornalisti in piedi in mezzo al letame, quando all’improvviso una delle giovenche della stalla si è avvicinata, l’ha urtato con il naso e ha iniziato a leccargli la tuta. Dinanzi alla scena, la troupe televisiva, stupefatta, si è allontanata, osservando la recinzione dietro di loro.

A quanto è stato trascritto, David Waltner-Toews avrebbe riso e avrebbe accarezzato la mucca tra le protuberanze del corno, aggiungendo, “le piace semplicemente il sale sulla mia tuta.” Allora avrebbe iniziato per lui una lunga riflessione sul quorum sensing che metteva in discussione ciò che gli avevano insegnato alla facoltà di veterinaria. In quell’istante si chiese se, davvero, lui fosse soltanto un sostituto del blocco di sale utilizzato da molti agricoltori per le mucche o se pure c’era qualcosa di più in questa interazione tra le specie oltre al perseguimento dei bisogni fisiologici di base?

Recentemente, Waltner-Toews sarebbe stato colpito da un altro evento che lo avrebbe rimandato alla sua intuizione circa l’interazione tra le specie oltre al perseguimento dei bisogni fisiologici di base. In effetti, dopo aver usato una canna d’acqua da giardino per stanare un topo dal suo covo nel pollaio di casa e poi averlo colpito sulla testa con un mattone, lui si è sentito inondato da una profonda tristezza. La figlia suggerì che lui stesse canalizzando il dolore che provava per la diagnosi di cancro della moglie ricevuta la settimana precedente all’uccisione del topo. Anche se il punto di vista della figlia poteva essere ritenuto pertinente, tuttavia, l’esperienza con il topo avrebbe evocato in lui un ricordo intenso e viscerale dei suoi giorni da studente di veterinaria. Un professore gli avrebbe chiesto di eliminare un agnello appena nato in laboratorio con deformità congenita. Stando a lui, non ricordando che gli fossero state date istruzioni, al servizio di un mal riposto senso di dubbio morale, lui considera che probabilmente sia stato invaso dall’idea che la morte improvvisa fosse più umana della morte lenta. In particolare, ricorda di aver afferrato l’agnello, scivoloso a causa dei fluidi del parto, per le zampe posteriori, di averlo fatto oscillare in cerchio e di averlo sbattuto contro un muro di cemento. D’allora in qualche modo i suoi libri2 sarebbero un tentativo di rispondere alla sua domanda se i suoi sentimenti successivi riguardo a questi eventi fossero stati un’empatia antropomorfica fuori luogo.

 

Un’empatia antropomorfica fuori luogo?

Nel contesto delle sue riflessioni inerente sia alla filosofia della scienza sia alla genetica, Waltner-Toews, avrebbe continuato a semplificare le sue domande, chiedendosi, ad esempio, cosa potesse significare quando un gatto si raggomitola nel nostro ventre e vuole essere accarezzato, oppure quando un cane segue il suo proprietario che porta con sé un piccolo sacchetto di escrementi canini. Nello specifico, si potrebbe precisare che la domanda sarebbe: il gatto e il cane cercano solo un posto accogliente e sicuro dove riposare, fare esercizio e mangiare? Oppure cosa accade precisamente quando le galline da cortile si sistemano in fila, come se ascoltassero cantare De André, quando nel casolare qualcuno ascolta le sue canzoni? Se leggiamo in questi eventi come qualcosa di più che semplici bisogni animali, risulta davvero legittimo chiedersi se uno non si stia antropomorfizzando sentimentalmente? In tali circostanze, stiamo solo complicando invano quelle che sono sostanzialmente relazioni semplici?

Lungo la sua carriera, come epidemiologo specializzato in malattie che altri animali condividono con gli esseri umani, Waltner-Toews si è spesso ritrovato a districarsi fino alla cintola in un pantano di dilemmi, nessuno dei quali più confuso di quando, qualche anno fa, affrontò il problema di Alice nel Paese delle Meraviglie, cioè la questione dei rapporti tra gli umani e gli insetti. Gli insetti sono animali. I veterinari, per legge e per vocazione, sono obbligati a prendersi cura del benessere di tutti gli animali. Allora, come se ne viene a capo da questo rebus?

Nel suo insegnamento e nella sua ricerca, di solito Waltner-Toews inquadra le relazioni uomo-animale, comprese quelle con gli artropodi,3 in termini di malattie trasmesse tra altri animali e l’uomo. Ha studiato la malattia di Lyme trasmessa dalle zecche, ad esempio, così come il virus del Nilo occidentale trasmesso dalle zanzare, la malattia del sonno trasmessa dalla mosca tse-tse e la leishmaniosi trasmessa dai flebotomi. Il suo lavoro consiste nel descrivere i cicli di vita di queste malattie e poi trovare modi efficaci per uccidere i vettori.

Ma, anche nel mondo mainstream, gli insetti sono più che semplici corrieri che portano messaggi di parassiti, malattie e morte. Come hanno affermato in diverse conferenze delle Nazioni Unite, rappresentano anche un’importante e sostenibile fonte di cibo per miliardi di persone. E altro ancora.

 

Molti scienziati non ci hanno pensato due volte prima di usare un insetto per trarre conclusioni sulle persone

Nel 1909, Thomas Hunt Morgan propose l’insetto dittero Drosophila melanogaster come un candidato ideale per gli studi genetici. La Drosophila è attratta dall’aceto e da altri prodotti di degradazione acida della frutta, quindi sono comunemente indicati come moscerini della frutta. Si riproducono rapidamente e non hanno particolari esigenze nutrizionali. Fino al XXI° secolo, hanno costituito la base di gran parte della nostra comprensione delle basi genetiche delle malattie umane, animali e vegetali, nonché delle nostre terapie per loro. In onore del suo grande servizio all’umanità, la Drosophila è stata tra i primi animali multicellulari ad avere il genoma completamente sequenziato. In effetti, molti scienziati non ci hanno pensato due volte prima di usare un insetto per trarre conclusioni sulle persone. Infatti, Nicholas Strausfeld e Frank Hirth, in un articolo pubblicato sulla rivista Science nel 2013, sottolineano profonde somiglianze nel modo in cui il cervello regola il comportamento negli artropodi (come mosche e granchi) e nei vertebrati (come pesci, topi e esseri umani). Al riguardo la domanda di Waltner-Toews è: se possiamo conoscere la cognizione, il comportamento e la patologia umana, studiando gli insetti, come fa questo a sfumare i confini tra “noi” e “loro”?

Una delle modalità per studiare i confini tra noi e gli insetti sarebbe facendo confronti genetici tra noi umani e altre specie, oppure contattando i filamenti di DNA, o geni (fasci di DNA con funzioni note). In termini epidemiologici, questi potrebbero essere paragonati al conteggio di individui o gruppi come le famiglie. Studi recenti sulle somiglianze genetiche tra le specie suggeriscono che potremmo essere, almeno per alcuni aspetti, geneticamente simili per l’80-90% a gatti, cani, ratti e bovini, un po’ meno per i polli, tra il 40 e il 60%, insetti vari, compresi i moscerini della frutta.4

Questa euristica della genomica riporta a Waltner-Toews a riesaminare gli eventi relazionali interspecie segnalati sopra: la mucca che viene a leccarlo mentre lui parla alle telecamere, il suo dolore per aver ucciso l’agnello e il topo, il gatto che ci salta e si raggomitola nel nostro ventre e le galline apparentemente estasiate dal canto di De André. Stando a tale euristica, alcune delle nostre strutture genetiche, quelle che si esprimono in tratti funzionali di base per preservare la vita, si sono evolute da antenati comuni milioni di anni fa. Questi tratti costituirebbero i nostri primi ricordi collettivi, integrati nel nucleo stesso di ciò che siamo. In questa teoresi risulta che quando si guarda negli occhi un gatto o addirittura una gallina e loro ricambiano lo sguardo, stiamo riconoscendo queste memorie genetiche non dette, dimenticate, condivise.

Volendo contrastare, reattivamente, questa teoresi potremmo chiederci cosa dire allora degli organismi che percepiscono il mondo in altri modi, non visivi. Nei primi decenni del XX secolo Jakob von Uexküll propose che ogni essere organico avesse il proprio mondo percepito. Da allora, i ricercatori hanno scoperto che questi ambienti o Umwelten, come li chiamava Uexküll, vengono creati attraverso sensi che possiamo a malapena immaginare, per non parlare di comprendere, come il caso particolare della vita dei funghi o degli alberi. Al riguardo, Waltner-Toews trova abbastanza confuso e angosciante considerare le sue responsabilità, in quanto veterinario, nei confronti degli organismi che sono stati etichettati come animali.

Certamente che con una visione articolata di quanto è stato tassonomicamente classificato come animali, potremmo perfino chiederci dove risiedano i ricordi che noi umani condivideremmo con queste altre specie, non solo con gli animali da fattoria, gli animali domestici e la mega fauna, principali preoccupazioni della vita professionale di Waltner-Toews, ma anche con le più piccole creature che abbiamo sotto i piedi, sulla pelle e nell’aria. Quanta cura e considerazione dovrebbero prestare i veterinari a loro? Sicuramente, non solo l’affermazione, disinvoltamente ambigua, secondo cui non dovremmo far soffrire gli animali non umani. Waltner-Toews aggiunge in risposta che non potremmo saperlo, in quanto abbiamo difficoltà a separare il dolore dalla sofferenza negli esseri umani. In effetti, partendo dal mondo animale, non si riesce a trovare le parole per articolare questi ricordi, questa gioia, questo dolore, questa conoscenza.

Dalla prospettiva di questa teoresi genomica, qualunque azione si intraprenda, camminare, mangiare ed espellere, comporta un costo per altre vite, sia uccidendole e mangiandole direttamente, sia mangiando cibi di cui altrimenti avrebbero potuto vivere. L’impatto più estremo che la nostra vita avrebbe sulle altre specie sarebbe l’estinzione, non solo della loro presenza fisica, ma anche dei loro ricordi, sia quelli acquisiti nel corso della vita sia quelli incorporati nel loro DNA, alcuni dei quali fanno parte del nostro stesso DNA umano. Al riguardo Waltner-Toews si pone una domanda etica, chiedendosi quali siano le sue responsabilità nei confronti di quei ricordi quando gli organismi muoiono e scompaiono.

Secondo Waltner-Toews un suo collega una volta aveva sostenuto che ogni specie animale estinta durante la loro vita professionale era un fallimento globale e su vasta scala delle cure veterinarie. Qualsiasi notizia di estinzione di specie, stando a lui, dovrebbe evocare un senso di dolore, perdita e fallimento professionale. E che dire allora delle notizie di un “insectogeddon”, la scomparsa globale di trilioni di singoli insetti e, probabilmente, di milioni di specie, molte delle quali devono ancora essere osservate, studiate e classificate? È mio obbligo morale piangere la perdita di cose sconosciute?

 

Il sistema di classificazione inventato dai ricchi europei conoscitori del latino

Nei dibattiti pubblici l’estinzione è spesso collegata alla parola specie. Fino a poco tempo fa, anche Waltner-Toews pensava in un modo vago alla nozione di specie. Come tutte le categorizzazioni del pensiero convenzionale, tendente ad eliminare la complessità del reale, potrebbe essere utile l’idea che gli esseri viventi possano essere ordinati e categorizzati definitivamente in scatole. Sicuramente per Waltner-Toews è stato importante a livello professionale saper distinguere tra gatti, cani, mucche, pecore, maiali, elefanti e giraffe. Lui però osserva che una volta che nella vita professionale si inciampa oltre i singoli individui nella complessa ecologia della vita animale, il sistema di classificazione inventato dai ricchi europei conoscitori del latino diventa più problematico. Come Lulu Miller ha recentemente riassunto nel suo libro Why Fish Don’t Exist (2020),5 la tassonomia linneiana avrebbe, anche nella storia recente, perpetuato pratiche culturali brutali e crudeli di superiorità razziale, sessuale e organica.

Lulu Miller considera che spesso, in pubblico, gli scienziati sostengono le aspirazioni della scienza all’obiettività come se mettendo tutte le loro osservazioni nello stesso pool di dati, i loro preconcetti e pregiudizi si correggeranno a vicenda. Al riguardo Muller si chiede dove stia il confine tra il pensiero di gruppo e le critiche correttive dei propri colleghi.

In relazione a questo problema Lulu Miller si chiede, criticamente, come possiamo pensare in modo categorico alle muffe melmose che in alcune condizioni si comportano come animali e in altre come piante, alcune delle quali sono descritte come singole cellule giganti con migliaia di nuclei. Ed ancora si chiede cosa dire delle dinoflagellate, alcune fotosintetizzano, altre ingeriscono le prede, altre ancora sono simbionti nelle barriere coralline. Al riguardo Miller sostiene che i tassonomisti sembrano aver eluso la più contestabile delle classificazioni tecniche facendo riferimento ai cladi, che sarebbero invece specie moderne discendenti da un antenato comune. Per lei anche quelle classificazioni sono contestabili.

Nell’interpretazione di Miller, la tassonomia è strettamente correlata al modo in cui socialmente pensiamo al rapporto tra la scienza e il mondo in cui viviamo. Stando alla sua teoresi, molte delle nostre nozioni sulla scienza possono essere ricondotte al filosofo naturale del XVII secolo René Descartes che nel suo Discorso sul metodo (1637) dichiarava di orientare il suo pensiero in modo ordinato; cominciando dagli oggetti più semplici, quelli più atti a essere conosciuti, e salendo a poco a poco, per così dire, per gradi, fino alla conoscenza dei più complessi; e stabilire un ordine nel pensiero anche quando gli oggetti non avevano alcuna priorità naturale l’uno rispetto all’altro … Rivisitando il pensiero di Descartes Miller puntualizza che ciò che consideriamo scienza nel XXI secolo è quasi tutta un’attività cartesiana basata su oggetti.

In effetti, Waltner-Toews precisa che la migliore scienza, secondo le accademie dell’establishment, si fa in laboratorio. Al riguardo accenna che per la maggioranza degli epidemiologi gli studi più affidabili siano studi randomizzati controllati in doppio cieco, in cui soggetti animali o umani e prodotti farmaceutici sono randomizzati. Come previsto, aggiunge, tali studi funzionerebbero bene in un ambiente di laboratorio o ospedaliero, dove le interazioni con gli ambienti locali possono essere (almeno teoricamente) controllate. Di conseguenza, nella sua interpretazione della questione, questi progetti di ricerca fornirebbero, nella migliore delle ipotesi, prove deboli, ad esempio, dell’efficacia della dieta, dei vaccini o dei farmaci nel mondo complesso e incontrollabile in cui viviamo.

In relazione a queste metodologie Waltner-Toews sostiene che le scienze basate sugli oggetti affrontano sfide anche con i risultati binari più semplici per gli individui. Il suo esempio per illustrare la questione è quello di chiedersi come definiamo se una persona abbia o meno la diarrea. Dalla sua esperienza lo poteva capire solo se gli escrementi assumevano la forma del contenitore in cui erano depositati. Oppure si chiede come definiamo la salute. Stando a lui una persona sana guarisce dalla malattia più rapidamente di una persona non sana. Queste definizioni potrebbero essere cliniche, ma di sicuro non se ne trovano in nessuna pubblicazione scientifica formale.

Nella teoresi critica del pensiero scientifico convenzionale Waltner-Toews segnala che i metodi cartesiani hanno difficoltà ancora maggiori nell’affrontare questioni relative al cambiamento dei sistemi socio-ecologici o alle cascate di estinzione. Nella sua riflessione si chiede quale tipo di scienza potrebbe essere utilizzata per confutare, o provare, gli approcci volti al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Per lui, è difficile immaginare, e impossibile dimostrare, utilizzando la scienza convenzionale, basata su laboratori, che la scomparsa di vari artropodi, alberi o rane sia correlata alla salute e alla sopravvivenza umana.

Le critiche sopra segnalate di Miller e Waltner-Toews sul pensiero di Descartes sono anche condivise in alcune cerchie dell’establishment stesso, innanzitutto per quanto riguarda la sua nozione circa l’universo come una raccolta di “oggetti”. Oggi condividiamo largamente la nozione che l’universo esista in virtù di una complessa rete di relazioni tra le cose. In effetti, a parte le forze palesemente ovvie come la gravità, la scienza ufficiale basata sugli oggetti non è riuscita ad affrontare le relazioni tra tutte le cose. La scienza convenzionale, concentrata sugli oggetti, risulterebbe insufficiente per affrontare il cambiamento sociale in relazione ai cambiamenti ambientali.

Stando a Waltner-Toews, molti medici e veterinari si sono afferrati a questa scienza riduzionista basata sugli oggetti come una copertura contro i dogmi religiosi e politici e perché, in alcune circostanze, “funziona”. Le scienze basate sugli oggetti hanno permesso agli studiosi di descrivere, nei minimi dettagli, le strutture di virus, cani, alberi, pianeti, farfalle. Si può operare un gatto che abbia ingoiato un ornamento di Natale o praticare un taglio cesareo ad una mucca in caso di necessità. Si possono descrivere, con incredibile dettaglio, le danze e le battaglie tra uccelli, api, gorilla, elefanti, canguri e umani. Rimaniamo stupiti dai molti modi diversi, a volte inimmaginabili, in cui cani, api e pipistrelli percepiscono il mondo che condividiamo. Invertendo i nostri telescopi e scrutando i fatti incomprensibili dei corpi, si possono creare vaccini contro le proteine ​​spike, alterare il genoma degli insetti in modo che non possano portare malattie di interesse umano, osservare i prioni, che sono vivi solo in senso co-dipendente, e che potrebbero o meno causare malattie. Si possono rilevare, anche se fugacemente, quelle che pensiamo siano le più piccole particelle di materia ed energia nell’universo, e diamo loro nomi come quark (dal romanzo Finnegans Wake di James Joyce del 1939) e bosoni (dal nome del fisico indiano Satyendra Nath Bose).

Ed ancora molto di più per conferire un valore, perfino euristico, si potrebbe considerare che la contestabilità stessa della scienza basata sugli oggetti sia forse un progresso rispetto alla certezza basata sull’istinto, sulla credenza o sull’ideologia. In questo tipo di scienza, si possono, almeno, cercare vari tipi di prove o plausibilità matematica per avanzare argomentazioni e controargomentazioni. Questi risultati di quella che Thomas Kuhn chiamava “scienza normale” sono considerevoli. Ma se l’idea di specie è contestabile, e se i ricordi persistono in qualche modo tra gli organismi e se siamo più di un insieme di oggetti, ma piuttosto una rete intricata di vita, si può ammettere la domanda di cosa si troverebbe tra gli spazi di tutti questi oggetti. E cosa sarebbe che si estingue, se non le specie?

Infine, da questa prospettiva della complessità del mondo e della vita, noi umani saremmo la manifestazione di una conversazione tra vite microbiche, che sono in conversazione con tutto il resto.

Se la ricerca sulle relazioni conflittuali tra umani e artropodi mettessero in discussione le ipotesi sugli animali e sulle specie, come riportano Miller e Waltner-Toews, allora i batteri, gli archaea, i funghi e gli esseri quasi viventi che chiamiamo virus, metterebbero ancora a maggior dura prova le ipotesi più profonde sul sé e sull’essere. Questi organismi condividono tra loro materiale genetico, ricordi di esperienze passate, portando alcuni a sostenere che, secondo certi criteri, le loro popolazioni globali costituiscono un’unica specie, o forse anche un unico organismo. I nostri corpi sono composti da trilioni di cellule, molte delle quali sono discendenti evolutivi di organismi unicellulari primordiali. Nel corso dell’evoluzione, il materiale genetico virale si è inserito nel genoma umano. Inoltre, i nostri corpi ospitano molte decine di trilioni di una varietà di organismi unicellulari che il microbiologo, vincitore del premio Nobel, Joshua Lederberg, ha chiamato microbioma. I membri di questo microbioma comunicano tra loro utilizzando quello che oggi viene chiamato quorum sensing e comunicano con le cellule che compongono il nostro corpo attraverso linguaggi costituiti da molecole che attraversano tutti i nostri confini protettivi e di autodefinizione. I membri di questo microbioma, dialogano con le cellule del nostro corpo, influenzano la nostra immunità, il nostro comportamento, il nostro stato nutrizionale e di salute, i nostri stati mentali. Stando a questo paradigma noi umani siamo una creazione dei nostri microbiomi e portiamo, in forma fisica, ricordi profondi dell’evoluzione della vita sulla Terra.

I microbiomi vengono descritti, allo stesso tempo, come intensamente locali, una conversazione attraverso il cibo e la defecazione con i paesaggi che abitiamo, e globali, impegnati in conversazioni microbiche tra popolazioni di virus, batteri, archaea e funghi trasmessi attraverso il commercio, la migrazione, il vento e le correnti d’acqua. Con quest’euristica, Waltner-Toews, sostiene che ciascuno di noi sia la manifestazione di una conversazione tra vite microbiche, che dialogano con tutto il resto. Infatti, la mucca che lecca la tuta di Waltner-Toews (il cui microbioma sarebbe, in parte, determinato dalla farina di soia e dal grano provenienti da altri paesaggi), i trilioni di batteri nel letame sui suoi stivali, il gatto nel suo grembo, l’agnello malformato, il topo del pollaio, le galline in fila al recinto, che ascoltano cantare De André.

Alcuni degli studenti di Waltner-Toews si sono ritrovati paralizzati dai diagrammi a spaghetti che costruivamo con le connessioni tra organismi, malattie, dinamiche sociali e cambiamenti ecologici e climatici. Se tutto è collegato a tutto il resto, non in qualche modo mistico New Age, ma in termini di impatti e conseguenze osservabili, anche se solo vagamente prevedibili, come possiamo agire, si chiede Waltner-Toews.

In questa teoresi, Waltner-Toews suggerisce che lui non conterrebbe moltitudini. Sono moltitudini. Quando lui interagisce, a livello chirurgico, medico, fisico, epidemiologico, con altri organismi, non sta combattendo una malattia pandemica o una disfunzione corporea. Non ha bisogno di un armamentario migliore. Ha solo bisogno di una maggiore facilità con le lingue multispecie. In effetti, lui si trova impegnato in una conversazione, al di là delle divisioni culturali, con altre moltitudini, di cui abbiamo appena iniziato a esplorare i linguaggi e le modalità di percezione. Considerando questa nuova frontiera biologica, Lederberg ha lamentato che la biologia “è già così carica di fatti che corre il pericolo di impantanarsi in attesa che i progressi nella logica e nella linguistica facilitino l’integrazione dei particolari”.

Non molto tempo fa, la maggior parte dei fisici lavorava con il tacito presupposto che l’universo fosse tenuto insieme e funzionasse secondo leggi che, anche se determinavano la natura e la forma del cosmo che percepivamo, in qualche modo esistevano al di fuori del tempo e dello spazio. Nel suo libro A Brief History of Time (1988),6 Stephen Hawking si chiedeva: Cos’è che infonde fuoco nelle equazioni e crea un universo da descrivere? … Perché l’universo si prende la briga di esistere? …

La domanda di Hawking sul perché l’universo si prenda la briga di esistere può essere intesa come molto esistenzialista, ma contestualizzandola nella teoresi del suo autore questa palesa tutto il suo fervore metafisico. In effetti, essa punta all’ideale di scoprire la teoria completa che col tempo dovrebbe essere comprensibile, in linea di principio da tutti, non solo da pochi scienziati. Allora tutti noi, filosofi, scienziati e semplicemente la gente comune, potremmo prendere parte alla discussione sul perché noi e l’universo esistiamo. A ciò che punta la sua domanda sarebbe il trionfo finale della ragione umana, perché allora la mente conoscerebbe il Dio dell’ideale metafisico.

 

L’universo sarebbe una sorta di entità auto-organizzante

Una visione dal punto di vista della ragione umana e del Dio fondamenta della metafisica sarebbe appropriata per esperimenti di laboratorio, come la diffusione di particelle in cui si prepara uno stato iniziale e si misura lo stato finale. Tuttavia, non sappiamo quale fosse lo stato iniziale dell’universo e certamente non possiamo provare diversi stati iniziali, per vedere che tipo di universi producano … Il mancato riconoscimento di ciò, ci avrebbe portato in un vicolo cieco. Abbiamo bisogno di una nuova filosofia della fisica e di ogni scienza.

In ogni modo, piuttosto che cercare una teoria onnicomprensiva che potesse spiegare tutto, l’ultimo Hawking rifiutò, successivamente, l’idea che leggi incondizionate governassero un universo simile a una macchina. La sua nuova comprensione era che l’universo fosse una sorta di entità auto-organizzante, in cui appaiono tutti i tipi di modelli emergenti … [e che] se ci fosse una risposta alla grande questione dell’esistenza, deve essere trovata in questo mondo, non in una struttura di assoluti al di là di questo mondo. In effetti, questo dice che, se cominciamo da dove siamo e andiamo a tentoni nell’universo al di là di noi, non scopriamo una teoria finale del tutto. Semplicemente, creiamo l’universo tanto quanto esso crea noi, come avrebbe concluso lo stesso Hawking.

Molte delle persone impegnate nel campo delle scienze biologiche applicate, in particolare quelle legate alle epidemie di malattie zoonotiche e alle relazioni tra la salute degli esseri umani, degli altri animali e degli ecosistemi, hanno da tempo riconosciuto le sfide della gestione degli ecosistemi dall’interno verso l’esterno. Per Waltner-Toews risulta rassicurante, da un punto di vista scientifico, che i fisici stiano arrivando a conclusioni simili.

Se facessimo un passo indietro, non sarebbe uno sforzo di fantasia vedere che ciò che alcune culture chiamano esseri sacri, come boschetti, sorgenti, valli, spiriti o divinità, siano una fusione di forze gravitazionali (invisibili) con le comunicazioni (quorum sensing) rigenerative e personali tra i microbiomi, sostiene Waltner-Toews.

Le forze di gravità, con i loro corrieri elettromagnetici, forti e deboli, collegherebbero tutto, ovunque, sostenendo e dando forma al cosmo in cui dimoriamo. Stando a Waltner-Toews, nell’immaginario imperiale e colonizzatore, non solo quello degli europei e dei loro discendenti post-illuministi, ma anche quello della miriade di altri imperi, quali assiri, babilonesi, egiziani, mongoli, persiani, romani, russi, tedeschi, Maurya, sarebbero state delle forze inspiegabili chiamate dei. L’Essere Organico, emergente dal microcosmo, sarebbe stato a lungo onorato nei luoghi sacri, nelle diete, nelle acque, negli animali spirituali e nelle persone, precisa Waltner-Toews. In questa comprensione dell’Universo, non ci sarebbero leggi tramandate da oltre il mondo che conosciamo, nessuna tavoletta, scritture rivelate, oracoli o teorie finali progettate da matematici, fisici o biologi che possano spiegare tutto.

Se cominciassimo da dove siamo, da cosa osserviamo, cosa pensiamo di sapere, dalle relazioni, comunicazioni e conversazioni non verbali tra mucche, gatti, galline, ratti, agnelli, zecche, batteri, si potrebbe iniziare a creare una scienza non ossessionata dagli oggetti commisurata al compito, una versione ampliata e multi specie della scienza post-normale.

In effetti, per coloro che cercano un significato nel mondo, come Waltner-Toews, non riesco a pensare ad un inizio migliore che osservare che, poiché l’essere e l’universo sarebbero co-creatori e il futuro è, decisamente, incerto, tutto ciò che facciamo conta ed è importante.

Ritornando al paesaggio iniziale di quest’argomentazione, costituito da mucche, zecche, moscerini della frutta, gatti, galline, agnelli e batteri insieme, stiamo cercando modi per preservare le nostre memorie collettive oltre l’estinzione dei nostri corpi e delle nostre specie rattoppati, in un mondo rinnovato e rinnovabile che non possiamo immaginare. Il nostro compito come umani è quello di esplorare, in ogni modo possibile, cosa ciò implichi.

______________Note _________________

1 Il quorum sensing è un sistema di regolazione trascrizionale dipendente dalla densità cellulare, ovvero un meccanismo che molte cellule batteriche della stessa specie utilizzano per comunicare tra di loro.

2 David Waltner-Toews. The Origin of Feces: What Excrement Tells Us About Evolution, Ecology and a Sustainable Society, Essays on Canadian Writing Press, 2013 / Eat the Beetles! ECW, 2017 / Deadly diseases from bubonic plague to Coronavirus. Greystone Books, 2020 / A Conspiracy of Chickens, Wolsak & Wynn, 2022 / The Gravity of Love, The Writers Union of Canada, 2023Edited by

3 Gli artropodi sono un phylum di animali invertebrati protostomi celomati, che comprende circa i 5/6 delle specie finora classificate. Il fatto che siano state descritte oltre un milione di specie di artropodi dimostra come la loro struttura di base sia versatile e adattabile a diversi modi di vita. Gli Artropodi sarebbero i veri dominatori del Pianeta. Da soli rappresenterebbero percentuali elevatissime del regno animale, sia per quanto riguarda il numero di specie (più del 90%) sia come numero di individui che formano le popolazioni. Avrebbero saputo conquistare tutti gli ambienti, dove rappresenterebbero la base delle reti alimentari e svolgerebbero i ‘mestieri’ più disparati. La parola artropode deriverebbe dal greco e significa “che ha zampe articolate”. In realtà, non solo le zampe ma tutto il corpo di questi animali è formato da tanti segmenti che si articolano fra loro. Esisterebbero cinque principali classi di Artropodi: gli Aracnidi, i Crostacei, i Chilopodi, i Diplopodi e gli Insetti.

4 David Waltner-Toews. The Gravity of Love, The Writers Union of Canada, 2023

5 Lullu Miller. Why Fish Don’t Exist. A Story of Loss, Love, and the Hidden Order of Life. Simon & Schuster, April 6, 2021

6 Stephen Hawking. A Brief History of Time Bantam, 1998

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