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27 Settembre, 2025

L’idea che la conquista non sia mai legittima né accettabile negli affari internazionali è relativamente nuova

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIV • Numero 55 • Settembre 2025

La conquista! Potrebbe tornare?

C’è un cambiamento in atto nell’ordine internazionale che insinua che la conquista potrebbe tornare ad essere legittima, per cui la domanda con cui inizio l’argomentazione, anziché retorica, è assai pertinente al presente. Riguarda tutti, persino la biopolitica del biopotere. In effetti, l’asserzione del titolo della discussione risulta quanto basta realistica, alla luce di quanto accade a livello globale. Realmente, è passato solo un secolo da quando i diplomatici statunitensi avrebbero convinto il mondo che sia sbagliato per i paesi annettere i propri vicini, come ci segnala, puntualmente, Kerry Goettlich, docente di sicurezza internazionale presso il Dipartimento di Politica e Relazioni Internazionali dell’Università di Reading nel Regno Unito, nel suo saggio Could conquest return? apparso su AEON a marzo scorso (2025), come già suggeriva nel suo saggio The Rise of Linear Borders in World Politics nel 2019.

Viviamo in un mondo in cui sempre meno cose sembrano essere universalmente accettate, ma c’è un’importante eccezione sulla quale Kerry Goettlich richiede la nostra attenzione. Praticamente tutti i governi nazionali, implicitamente o esplicitamente, concordano, in linea di principio, sul fatto che il rispetto della “sovranità e integrità territoriale” degli altri Stati nazionali sia un principio fondamentale della comunità internazionale.1 In effetti, secondo la Carta delle Nazioni Unite, ratificata nel 1945, gli Stati si impegnano ad astenersi “dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”.2

Al riguardo, per davvero, è raro trovare qualcuno che sostenga apertamente l’idea che l’annessione di un territorio ad un altro Stato, dopo averlo conquistato con la forza, possa essere legittima. La conquista esiste, certo, ma è quasi sempre mascherata da qualcos’altro, che si tratti della tecnica della Russia di promuovere la secessione delle regioni vicine e poi annetterle dopo aver tenuto un referendum, o della tecnica di Israele di chiamarla occupazione piuttosto che conquista e annessione di Gaza, come ci indica K. Goettlich.3

Come possiamo constatare dalla loro comunicazione, i leader politici odierni si vantano di rifiutare la conquista come illegittima, il che fa apparire il nostro attuale ordine internazionale civile e pacifico. Perché in un mondo civile, come ideologicamente proclamiamo il nostro, cosa potrebbe mai giustificare l’appropriazione con la forza di un territorio non proprio? Ma l’idea che la conquista non sia mai legittima né accettabile negli affari internazionali è relativamente nuova, riepiloga Goettlich.4 Come sosteneva il giurista olandese del XVII secolo Hugo Grotius, riferisce Goettlich,5 i trattati che pongono fine alle guerre dovrebbero essere rispettati, perfino se impongono con la forza condizioni ingiuste, ad esempio, sottraendo parte del territorio di uno Stato. Tali trattati, addirittura se ingiusti, possono talvolta essere l’unico modo per porre fine alle guerre, e rifiutarli per principio non farebbe altro che renderne impossibile la fine del conflitto. Inoltre, come osservò il giurista americano del XIX secolo Henry Wheaton: “Il diritto di quasi tutte le nazioni d’Europa al territorio ora posseduto da loro … derivava, originariamente, dalla conquista, che è stata successivamente confermata e legittimata da un lungo possesso”.6 L’esistenza stessa di quasi ogni Stato, da questa prospettiva, sembra dipendere, inevitabilmente, dalla legittimità della conquista.

Ma al posto del diritto delle nazioni di Grotius, che cerca di limitare la conquista consentendole un percorso regolato verso la legalità, ci segnala Kerry Goettlich, abbiamo un ordine internazionale che dovrebbe garantire, come diritto assoluto, il territorio di ogni Stato così come delineato attualmente.7 Ciò che è vietato non è trarre profitto dalla conquista in quanto tale, ma solo da conquiste avvenute dopo il 1945 circa, o anche più recentemente nel caso di conquiste contro imperi coloniali da parte di stati indipendenti emergenti, come riporta Goettlich.8 A quanto pare, le conquiste avvenute prima di un certo periodo storico sarebbero da essere considerate del tutto legittime, ma oggi la conquista è ritenuta uno dei peggiori crimini immaginabili. Sotto questo aspetto, la domanda di Goettlich è – come siamo arrivati ad avere un ordine internazionale così radicalmente protettivo dello status quo?

L’emergere del divieto di annessione tramite conquista

L’argomentazione di Goettlich9 per spiegare un fenomeno così diffuso e profondamente radicato, come l’attuale divieto di annessione tramite conquista sia il prodotto di molti fattori diversi concomitanti. Uno degli aspetti più sconcertanti è che coloro che sembrano più capaci di conquista su larga scala sono tra i maggiori oppositori dell’espansione territoriale forzata. Non sorprende che la conquista sia deplorata dalle vittime della conquista, come palestinesi o ucraini, o da coloro che potrebbero diventare vittime, come estoni o taiwanesi. Considerando questi fattori, la domanda interessante che sorge è perché, ad esempio, gli Stati Uniti di America, ancora di gran lunga la più grande forza militare al mondo, siano tra i principali sostenitori del divieto di annessione tramite conquista. Infatti, sembra un paradosso, gli Stati Uniti mantengono la loro forza militare in ogni continente del mondo e la usano frequentemente, ma da quando hanno annesso le Isole Marianne Settentrionali, conquistate durante la Seconda Guerra Mondiale, non hanno più annesso territori conquistati, riferisce Goettlich.10 Ma, perché, si domanda Goettlich, cercando di spiegare il fenomeno del divieto di annessione tramite conquista, l’unica superpotenza mondiale dovrebbe legarsi le mani in questo modo?

Dalla prospettiva di Goettlich,11 la risposta a questa domanda, in parte, deriva dalle forze trainanti che hanno caratterizzato gli Stati Uniti fin dalle sue origini: una particolare forma di “colonialismo dei coloni”,12 spinta al dominio continentale dalla sete di proprietà terriera, dalla schiavitù nelle piantagioni e dal capitalismo agricolo e, in seguito, industriale. In effetti, fino al 1900 circa, gli Stati Uniti si sono impegnati in una implacabile conquista territoriale.13 Sotto questo aspetto, era simile a molti altri imperi nella storia mondiale, ma, stando a Goettlich, un aspetto che li distingueva dagli altri imperi storici era il grado in cui le loro conquiste erano guidate da gruppi di coloni che si espandevano più o meno di propria iniziativa. Prima che gli Stati Uniti diventassero indipendenti, mentre facevano ancora parte dell’Impero britannico, come racconta Goettlich, gli inglesi avevano cercato di frenare l’espansione dei coloni, che in precedenza aveva provocato guerre costose che minacciavano di instabilità il sistema statale europeo. Quando gli Stati Uniti ottennero l’indipendenza, il nuovo governo federale fu meno impegnato a onorare gli accordi territoriali con le popolazioni indigene rispetto agli inglesi. Ciononostante, il governo federale faticò a regolare la caotica avanzata dei coloni verso ovest. Un numero forse sorprendente di stati (California, Florida, Hawaii, Texas e Vermont) ha vissuto una breve vita di sovranità indipendente, prima di unirsi agli Stati Uniti. E questi sono stati solo quelli di successo: numerose entità simili al Vermont sono sorte negli Appalachi senza mai ricevere un riconoscimento ufficiale, con nomi come Vandalia, Watauga, Transylvania, Westsylvania e così via.

La conquista degli anni Novanta del XIX secolo fu, certamente come afferma Goettlich, in bilico tra l’economia del laissez-faire e l’egualitarismo liberale. Gli americani a cavallo tra il XIX e il XX secolo, come racconta Goettlich, dibattevano su come gestire il loro impero, e molti storici hanno descritto il disaccordo come tra “imperialisti”, come l’ufficiale di marina e storico A. T. Mahan, e “anti-imperialisti”, come il sociologo conservatore William Graham Sumner. Ma “imperialisti” e “anti-imperialisti” avevano molto in comune. Sia per Mahan che per Sumner, le conquiste della Spagna imperiale erano un anatema, in quanto contrarie al tipo di libertà e intraprendenza che, secondo loro, guidava la vita delle nazioni. Per Sumner, la conquista statunitense delle Filippine equivaleva alla “conquista degli Stati Uniti da parte della Spagna”, poiché l’espansionismo coloniale avrebbe ora contaminato le politiche statunitensi. Anche per Mahan, noto, come segnala Goettlich, per la sua campagna per costruire una flotta navale forte ed espandersi alle Hawaii e al Canale di Panama, la Spagna era il simbolo di un imperialismo di tipo sbagliato. La Spagna traeva ricchezza dalle sue colonie “estraendo l’oro dal terreno”, rispedendolo in Spagna e acquistando beni prodotti da altri paesi. Ma a differenza dell’imperialismo spagnolo, retto dallo stato e dall’alto verso il basso, Mahan pensava che “le colonie crescono meglio quando crescono da sole, naturalmente”, grazie al carattere e all’ambizione dei loro coloni. Le idee di Mahan riflettevano la peculiare ideologia dell’espansione degli Stati Uniti, guidata dai coloni, fino al 1900.14

Una volta che gli insediamenti statunitensi si estesero in tutto il Nord America, non ci fu un passo successivo ovvio. La conquista degli anni Novanta del XIX secolo, secondo Sumner, si trovò, come già indicato, in bilico tra l’economia del laissez-faire e l’egualitarismo liberale. Nella sua visione, se i conquistati erano un popolo “civilizzato”, non aveva senso conquistare, poiché i benefici potevano essere ottenuti attraverso un accordo commerciale. Se erano “incivili”, estendere il loro dominio su di essi avrebbe messo a dura prova la dottrina secondo cui “tutti gli uomini sono uguali”.

Come si desume dalle considerazioni puntuali di Goettlich, la conquista fu sempre, quindi, centrale nella storia degli Stati Uniti, sebbene non nel modo tipico degli imperi coloniali europei, contro i quali era stata creata. Ancorché il governo federale statunitense favorisse e incoraggiasse l’insediamento, sostiene Goettlich,15 il vero motore dell’espansione fu l’apparentemente inevitabile marcia dei coloni verso ovest. Ma questo tipo di conquista era davvero così fondamentalmente diverso dalla pratica imperialistica europea che gli Stati Uniti, nella Dottrina Monroe, avevano dichiarato destinata a concludersi nell’emisfero occidentale? In effetti, non lo era. Di fatto, entro gli anni Novanta del XIX secolo, l’espansione dei coloni aveva raggiunto le Hawaii e la creazione di un impero d’oltremare, in stile europeo, iniziò a sembrare una possibilità concreta per gli Stati Uniti. In un tale scenario, la natura dell’impero statunitense divenne un importante argomento di dibattito pubblico.

Le aspirazioni imperialistiche informali degli USA e la Politica della Porta Aperta

Gli Stati Uniti risolsero questa tensione del divieto di annessione tramite conquista, riferisce Goettlich,16 con una peculiare forma di imperialismo, evolvendosi da un modello guidato dagli insediamenti, in cui commercio e affari, in teoria, costituivano l’avanguardia. Questo nuovo tipo di espansione imperiale statunitense si basava, effettivamente, sul vecchio, nel senso che non era gestito esplicitamente da uno stato centralizzato o da una metropoli imperiale. Al contrario, i piccoli agricoltori e i coloni dell’espansione del XIX secolo furono sostituiti, nel XX secolo, da produttori esportatori e costruttori di ferrovie. I leader americani sostenevano che le loro attività economiche all’estero avrebbero portato prosperità in patria e alleviato il conflitto di classe.17

I sostenitori della politica della Porta Aperta18 (Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone) si scontrarono con coloro che vi si opponevano (Russia,Germania e Francia).

Il progetto per questo nuovo tipo di imperialismo era contenuto nelle “Annotazioni alla politica della Porta Aperta” del 1899 e del 1900. La nota statunitense riguardo la politica della “Porta Aperta” era un’offensiva diplomatica contro il vecchio imperialismo europeo in Cina, progettata per spianare la strada alle imprese statunitensi in quel Paese. La nota del 1899, un telegramma circolare che il Segretario di Stato americano John Hay inviò alle capitali di tutte le grandi potenze, affermava il diritto di tutte le nazioni a commerciare a parità di condizioni in Cina. Hay inviò una seconda nota nel 1900, al culmine della Rivolta dei Boxer.19 Forniva una breve interpretazione del disordine e della violenza impliciti in quella ribellione e affermava che, in risposta, la politica statunitense sarebbe stata quella di perseguire la pace in Cina, “preservare l’entità territoriale e amministrativa cinese”, proteggere i diritti legali degli Stati Uniti in Cina e “salvaguardare per il mondo il principio di un commercio equo e imparziale con tutte le parti dell’Impero cinese”.

Come riferisce Goettlich, gli Stati Uniti mantennero e sostennero la politica della porta aperta in Cina per tutto l’inizio del XX secolo. Nel 1915, il Segretario di Stato americano William Jennings Bryan emanò un’altra nota, affermando che gli Stati Uniti non avrebbero riconosciuto alcun accordo “che pregiudichi i diritti derivanti dai trattati degli Stati Uniti e dei suoi cittadini in Cina, l’integrità politica o territoriale della Repubblica di Cina, o la politica internazionale relativa alla Cina comunemente nota come Politica della Porta Aperta”.20 In effetti, dopo la Prima Guerra Mondiale, la Politica della Porta Aperta fu alla base del Trattato delle Nove Potenze del 1922, in cui Stati Uniti, Regno Unito, Belgio, Cina, Francia, Italia, Giappone, Paesi Bassi e Portogallo la sostennero, accettando di “rispettare la sovranità, l’in- dipendenza e l’integrità territoriale e amministrativa della Cina”.21

Quasi subito dopo la guerra ispano-americana del 1898, in cui gli Stati Uniti conquistarono le Filippine, Porto Rico e Guam, i funzionari statunitensi iniziarono a pubblicizzare la loro opposizione alla conquista. Il Corollario Roosevelt alla Dottrina Monroe, che sanciva il diritto degli Stati Uniti a intervenire, ovunque, nell’emisfero occidentale per mantenere la legge e l’ordine, era accompagnato dall’idea che “Non è vero che gli Stati Uniti sentano fame di terra … Tutto ciò che questo paese desidera è vedere i paesi vicini stabili, ordinati e prosperi”. Nel 1906, il Segretario di Stato americano Elihu Root intraprese un viaggio in Sud America, ripetendo frasi come: “Non desideriamo altre vittorie se non quelle della pace; nessun territorio se non il nostro; nessuna sovranità se non quella su noi stessi”. Come espone Goettlich,22 fu a questo punto che gli interventi statunitensi in America Latina subirono una considerevole accelerazione. In particolare, durante l’amministrazione di Theodore Roosevelt (1901-1909), gli Stati Uniti presero il controllo del Canale di Panama (1903), occuparono Cuba (1906-1909) e intervennero nella Repubblica Dominicana (1904) e in Honduras (1903 e 1907). Ma, dopo oltre un secolo di espansione territoriale, sia per acquisto che per conquista, da parte di imperi europei, popolazioni indigene e repubbliche coloniali, gli Stati Uniti rinunciarono formalmente alla conquista territoriale nei termini tradizionali.

La paradossale idea di abolire la conquista non sarebbe sempre associata agli Stati Uniti e alle loro aspirazioni imperialistiche informali. Negli ultimi anni, analisti di importanti think tank di affari internazionali hanno iniziato ad associare il principio di integrità territoriale a quello che Goettlich riferisce come l’ordine internazionale basato sulle regole. Questo viene, in genere, ricondotto al momento fondativo dell’ONU, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando la comunità internazionale applicò le lezioni della guerra per creare un nuovo ordine internazionale meno affetto dalle guerre. Molti studiosi indicano il Patto della Società delle Nazioni, firmato nel 1919, come l’inizio dell’abolizione  della conquista, sostenendo, analogamente, che la motivazione principale fosse il desiderio generale delle nazioni occidentali di prevenire guerre future. Nell’articolo 1023 di quel documento, la Società prometteva di “rispettare e preservare contro le aggressioni esterne l’integrità territoriale e l’attuale indipendenza politica di tutti i membri della Società”. Sotto questo aspetto, Goettlich, si interroga, quindi, circa il ruolo che avrebbe svolto la politica della “Porta Aperta” nell’abolizione della legittimità della conquista in tutto il mondo.

L’Articolo 10 del Patto della Società delle Nazioni

Nell’interpretazione di Goettlich,24 per comprendere questo inizio di divieto di conquista e annessione, si dovrebbe prima capire perché l’Articolo10 sia stato, fin dall’inizio, controverso e ambiguo. In effetti, negli Stati Uniti, l’Articolo 10 fu la ragione principale per cui il Senato respinse l’adesione alla Società delle Nazioni, in quanto sembrava aprire la possibilità che ciò avrebbe richiesto agli Stati Uniti di intervenire in guerre straniere che non erano del loro interesse. Il Canada, dalla sua parte, tentò più volte di cancellare o modificare l’articolo. La posizione del Canada respingeva che l’esercito canadese potesse essere ritenuto responsabile del sostegno di tutti i confini territoriali del mondo, alcuni dei quali avrebbero potuto essere ingiusti e che alcuni avrebbero potuto, giustamente, lottare per modificare.

Nel gennaio del 1923, la Francia invase e occupò la regione tedesca della Ruhr in risposta al mancato pagamento degli indennizzi per la PrimaGuerra Mondiale. Ugualmente, come riferisce Goettlich, nell’agosto dello stesso anno, l’Italia invase e occupò l’isola greca di Corfù dopo l’assassinio di un generale italiano in Grecia ma l’Italia non ottenne la soddisfazione che desiderava. La Francia temeva che un coinvolgimento scorretto della Società delle Nazioni nella vicenda Italia-Grecia potesse portare a un’indagine scomoda sulla sua occupazione della Ruhr. In untale contesto, la domanda che emergeva era ovvia: – cosa avrebbe signifi- cato l’Articolo 10 in queste situazioni?

La Commissione Consultiva Permanente della Società delle Nazioni aveva, senza dubbio, in mente questi problemi quando, nello stesso anno, tentò, senza successo, di raggiungere un accordo su un trattato che potesse dare ulteriore concretezza e specificità al Patto della Società, definendo il concetto di aggressione. I delegati di Francia, insieme a quelli di Belgio, Brasile e Svezia, sostennero che il vecchio modo di concepire l’aggressione come attraversamento di una frontiera avesse perso il suo valore nelle condizioni della guerra moderna e tentarono una comprensione più complessa dell’aggressione basata su una varietà di fattori, puntualizza Goettlich nella sua analisi della questione.

Questo sofisticato accordo avrebbe, naturalmente, protetto la Francia dall’essere automaticamente incriminata per l’occupazione della Ruhr. Nel frattempo, la Gran Bretagna, preoccupata che la sua debole presenza militare globale venisse trascinata in un conflitto con gli Stati Uniti, pose fine a ogni tentativo della Società di definire l’aggressione, con la memorabile argomentazione del primo ministro britannico Ramsay MacDonald secondo cui qualsiasi definizione di aggressione sarebbe servita solo come trappola per gli innocenti e stigma per i colpevoli. In altre parole, gli avvocati cinici l’avrebbero usata per punire gli stati sbagliati, mentre gli stati aggressivi avrebbero trovato il modo di aggirarla. Alla fine degli anni ‘20, il significato dell’articolo 10 non era affatto chiaro.25

Il Giappone in Cina non stava semplicemente proteggendo la proprietà della ferrovia. Stava ugualmente assumendo il controllo politico della Manciuria. Negli anni ‘30, la Lega era passata dalla confusione al panico generale per la situazione mondiale. Il crollo di Wall Street del 1929 diffuse la depressione economica a livello globale, la Gran Bretagna abbandonò il gold standard, il Giappone conquistò la Manciuria, istituendovi il suo stato fantoccio del Manciukuo, e nel 1933 Hitler era al potere in Germania. Di conseguenza, le condizioni mondiali costringevano ora la Lega a dare maggiore chiarezza alla propria missione.

A questo punto, nel modo in cui Goettlich26 descrive la situazione, entrò in scena il Segretario di Stato americano Henry Stimson, un prodotto della Harvard Law School, membro dell’influente società segreta Skull and Bones durante gli studi universitari a Yale, e marito della pronipote di Roger Sherman, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti. Stimson, come molti altri, seguì da vicino l’azione militare giapponese in Manciuria con l’obiettivo di mantenere la politica della Porta Aperta. L’opinione prevalente a Washington su questi sviluppi era, inizialmente, simile a quella britannica: sia il Giappone che la Cina avevano buoni argomenti a loro favore e, comunque, poco si poteva fare, quindi la politica della Porta Aperta poteva essere preservata al meglio da un accordo negoziato tra le principali parti interessate. Secondo Goettlich, le percezioni di Stimson, a posteriori, erano più lungimiranti, spingendolo a rompere i ranghi e a considerare che il Giappone fosse ormai uscito dal regno delle grandi potenze responsabili con cui era possibile negoziare. Il Giappone non stava semplicemente proteggendo la sua già consolidata proprietà della ferrovia della Manciuria Meridionale, come sosteneva. Stava assumendo il controllo politico dell’intera Manciuria e bombardando parti della città di Jinzhou lontane dalla zona ferroviaria.

La dottrina Stimson del non riconoscimento dei territori conquistati

Ma Stimson, riferisce Goettlich,27 non riuscì a trovare sostegno per la sua strategia preferita, quella di minacciare il Giappone affinché facesse marcia indietro. La sua mossa più significativa fu l’invio di una nota diplomatica che sostanzialmente ribadiva la posizione di Bryan, negando il riconoscimento di qualsiasi accordo o situazione raggiunta in violazione dei diritti derivanti dai trattati statunitensi, “compresi quelli relativi all’integrità territoriale e amministrativa della Repubblica di Cina, o alla politica internazionale relativa alla Cina, comunemente nota come Politica della Porta Aperta”. A differenza della nota di Bryan, tuttavia, quella di Stimson divenne la Dottrina Stimson, ovvero la dottrina del non riconoscimento dei territori conquistati. Attraverso le azioni del Consiglio e dell’Assemblea della Società delle Nazioni, il Trattato di non aggressione e conciliazione contro la guerra del 1933 e attraverso accordi più recenti, il non riconoscimento della conquista divenne diritto internazionale, e lo è tuttora. Questo è il motivo, ad esempio, per cui la maggior parte dei governi non riconosce l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014.

Come mai il rifiuto di Stimson di riconoscere i territori conquistati in Cina divenne diritto internazionale generale nel 1932, mentre la nota sostanzialmente simile di Bryan fu ampiamente ignorata nel 1915? Si chiede Goettlich.28 Stando alla sua argomentazione, un fattore che aiutò le potenze europee a iniziare a vedere le cose dalla prospettiva di Stimson fu che, dopo l’invio della sua nota, gli attacchi giapponesi alla Cina non rimasero in Manciuria, ma si estesero a Shanghai, dove le principali potenze coloniali avevano stazionato personale e proprietà ingenti. Ma un altro motivo, stando a Goettlich, fu che nel 1915 gli Stati Uniti erano una potenza periferica, rimasta ai margini della Grande Guerra. Alla fine di quel decennio, quella stessa guerra li aveva trasformati in una potenza, praticamente europea, e aveva devastato i suoi rivali. Gli inglesi non avevano mai amato questo tipo di diplomazia. La consideravano troppo moralista e ritenevano che giocasse azzardati giochi con le innovazioni del diritto internazionale. Sir John Pratt, del Ministero degli Esteri, riteneva che il non riconoscimento fosse una tecnica tipicamente americana, frutto dell’isolazionismo americano, e del tutto in contrasto con la tradizione britannica negli affari internazionali. Ma all’inizio degli anni ‘30, la Gran Bretagna si trovava a capo di un impero in decadenza, vulnerabile a minacce come quella giapponese, il che ne alterò notevolmente la posizione.

Sir John Simon, ministro degli Esteri del Regno Unito, sperava di evitare il disastro, principalmente, stando a Goettlich,29 accontentando tutti: gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni e il Giappone, tutti contemporaneamente. Così, quando Stimson cercò di convincere le parti del Trattato delle Nove Potenze a riaffermare insieme i principi della politica della Porta Aperta, in un’offensiva diplomatica contro il Giappone, Simon trovò il modo di quadrare il cerchio. Invece di scegliere tra Stati Uniti, Giappone e Società delle Nazioni, si sarebbe nascosto dietro la Società delle Nazioni come portavoce per proclamare la dottrina di non riconoscimento di Stimson, evitando così azioni più incisive come le sanzioni economiche. Poiché il Consiglio della Società delle Nazioni aveva già rilasciato una dichiarazione piuttosto blanda al Giappone, Simon, ministro degli Esteri del Regno Unito, riuscì a far inserire un paragrafo che esprimesse la Dottrina di Stimson. La dichiarazione fu approvata il 16 febbraio 1932. Stimson, riferisce Goettlich, fu lieto che la sua dottrina fosse stata approvata dal Consiglio della Società delle Nazioni. Il Consiglio della Società delle Nazioni, in generale, fu molto soddisfatto di accettare il paragrafo sul non riconoscimento della conquista e l’annessione, che sembrava rendere l’intera questione solida e basata su principi. Di fronte ad una questione di principi, il Giappone non poteva lamentarsi perché, di fatto, aveva evitato qualsiasi sanzione o condanna esplicita che Stimson avrebbe potuto cercare.

Nel frattempo, la nuova dottrina del non riconoscimento della conquista e l’annessione, tanto celebrata dagli avvocati dell’ordine internazionale, fece ben poca differenza in Manciuria. A quanto pare, riferisce Goettlich, l’occupazione della Manciuria fu solo un preludio alla Seconda Guerra Mondiale, la più grande guerra di conquista mai vista. Inoltre, negli anni successivi, fece ben poco per impedire all’Italia di conquistare l’Etiopia con una brutalità pressoché ineguagliata, o al Giappone di invadere il resto della Cina e perpetrare il famigerato Massacro di Nanchino.

Divieto di conquista e annessione e imperialismo informale degli USA

Comunque, Goettlich sostiene che sia importante capire perché l’attuale divieto di conquista sia, in larga misura, un prodotto dell’imperialismo informale statunitense.30 Un motivo per cui potrebbe essere rilevante viene suggerito dall’apparente cambio di rotta della politica estera statunitense, segnalato dall’elezione di Donald Trump alla presidenza nel 2016 e nel 2024. Nel 2019, sotto Trump, gli Stati Uniti sono diventati il primo Paese a riconoscere l’annessione de facto da parte di Israele delle alture del Golan, conquistate dalla Siria nel 1967. E subito dopo la seconda elezione di Trump, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha cambiato la sua posizione sulla cessione di territorio alla Russia, indicando che il territorio potrebbe essere ceduto temporaneamente in cambio dell’adesione alla NATO. La posizione degli Stati Uniti contro l’annessione per conquista, in questo nuovo scenario, potrebbe, stando a Goettlich, attenuarsi e, in tal caso, si chiede quali sarebbero le conseguenze per l’ordine globale.

La retorica di Trump è importante e, se accompagnata da ulteriori azioni simili al riconoscimento delle alture del Golan nel 2019, potrebbe compromettere significativamente la percezione che la conquista non sarà riconosciuta come legittima. Ma l’importanza di un simile cambiamento nella politica statunitense dipende anche da molti altri fattori, in particolare dalle azioni di altri stati. L’imperialismo della Porta Aperta statunitense non sarebbe stato perseguito nel vuoto. In ogni caso, si basava sul fatto che le élite di altri stati nazionali percepissero le promesse statunitensi di non impegnarsi in conquiste come un segnale di buone intenzioni.

Secondo la spiegazione di Goettlich, dopo il viaggio di Root in Sud America nel 1906, Root e altri funzionari statunitensi riuscirono a suscitare interesse per un Istituto Americano di Diritto Internazionale, che avrebbe definito il diritto internazionale specifico dell’emisfero occidentale. Alcuni giuristi latinoamericani speravano che, attraverso collaborazioni legali con gli Stati Uniti, avrebbero potuto persuaderli a limitare o porre fine ai frequenti colpi di stato, interventi e occupazioni sponsorizzati dagli Stati Uniti che affliggevano la regione. In effetti, quando la dichiarazione del Consiglio della Società delle Nazioni del 1932, che definiva la politica internazionale della Dottrina Stimson, fu seguita da un’analoga Assemblea della Società delle Nazioni, questa volta fu spinta dal clamore degli stati nazionali più piccoli, compresi quelli europei e latinoamericani, che sfruttarono il momento della conquista della Manciuria da parte del Giappone per prendere posizione contro la conquista in generale. Anche se la Cecoslovacchia aveva poco da temere direttamente dall’imperialismo giapponese, una Società delle Nazioni forte sembrava la migliore protezione dall’imminente tentativo tedesco di ridisegnare la mappa dell’Europa con la forza. Quindi, per Goettlich, dobbiamo capire che il divieto di conquista dipende sia dalla visione delle Grandi Potenze sull’ordine mondiale, sia dagli interessi più ristretti della maggior parte degli stati a non essere invasi, cosa che difficilmente cambierebbe anche se gli Stati Uniti dovessero abdicare alla loro posizione di leader del mondo libero.

Nell’argomentazione di Goettlich circa l’abolizione della conquista,31 il sostegno degli Stati Uniti al principio di non conquista, e il suo futuro incerto, sarebbero importanti perché il principio di non conquista è stato plasmato in modo cruciale dalla preferenza statunitense per l’imperialismo informale piuttosto che formale. Chiedetelo a qualsiasi giurista internazionale: il termine integrità territoriale è complesso. Implica sia la non conquista, sia il divieto di quasi ogni tipo di interferenza nella sovranità di un altro Stato. Ma il presidente statunitense Woodrow Wilson, nel promuovere la Società delle Nazioni, aveva in mente una definizione diversa, che sosteneva, anziché proibire, l’imperialismo statunitense. In effetti, testimoniando davanti al Senato, affermò che “l’integrità territoriale di una nazione non viene distrutta dall’intervento armato; viene distrutta dal mantenimento del territorio, sottraendogli territorio”.32 Secondo quest’interpretazione, il principio di integrità territoriale esclude solo l’annessione tramite conquista. Solo definendo l’integrità territoriale in modo così selettivo, Wilson poteva avere senso come sostenitore di tale principio generale, pur continuando la politica statunitense di considerare l’intervento armato negli affari latinoamericani come uno strumento cruciale di governance.

Questa interpretazione restrittiva del concetto di conquista è stata ripresa molte volte da allora, ma forse più significativamente durante l’invasione dell’Iraq del 2003 da parte degli Stati Uniti e dei suoi partner della coalizione. Nel periodo precedente l’invasione e le sue conseguenze, il presidente americano George W. Bush e il primo ministro britannico Tony Blair hanno sottolineato il loro rispetto per l’integrità territoriale dell’Iraq, intendendo non che non avrebbero usato la conquista per ottenere il controllo del paese, cosa che hanno fatto con una spettacolare dimostrazione di forza, ma che non ne avrebbero alterato i confini. Speravano, specifica Goettlich,33 che il rispetto dell’integrità territoriale e dei confini interstatali avrebbe segnalato un rispetto per l’ordine internazionale che avrebbe compensato il loro rifiuto di agire multi lateralmente e attraverso la consultazione con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nell’invasione dell’Iraq.

L’interpretazione restrittiva dell’integrità territoriale

L’interpretazione restrittiva dell’integrità territoriale, intesa come regola che impedisce l’annessione di territori conquistati, è quella che, segnala Goettlich, rischia di perdere di più dalle recenti annessioni da parte di Russia e Israele. Non è che ogni confine conteso in tutto il mondo sarà, improvvisamente, messo in discussione, con aggressioni militari che scoppiano in ogni angolo del globo. Quasi tutti gli Stati ribadiscono frequentemente il loro sostegno al principio di integrità territoriale in risposta a eventi in cui appare minacciato. Anche se l’Iran e la Cina non hanno partecipato al voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per condannare la Russia per la sua invasione, hanno comunque affermato l’integrità territoriale di tutti gli Stati interessati. Sebbene gli Stati Uniti possano essere stati in prima linea nell’abolizione della conquista, ci sono troppi altri Stati al mondo desiderosi di proteggere i propri confini perché il principio dell’integrità territoriale venga semplicemente dimenticato. Ma secondo l’analista Bonny Lin, che scrive su Foreign Affairs nel 2023: “Alcuni studiosi cinesi hanno suggerito che la sovranità el’integrità territoriale dovrebbero essere considerate solo uno dei 12 principi fondamentali che la Cina deve bilanciare, in altre parole, non il più importante, o un valore che deve essere rispettato completamente”. L’annessione tramite conquista può rimanere illegale, ma può anche perdere la sua gravità percepita, rispetto ad altri tipi di violazioni del territorio di un paese.

Gli ordini internazionali vanno e vengono. Prima del principio di integrità territoriale, esisteva un sistema diverso, negli stati europei e nelle loro colonie, in cui la conquista era regolata da norme e principi, ma non esplicitamente illegale. E il cambiamento arriverà di nuovo nell’ordine internazionale. Gli spostamenti di potere relativo tra le diverse forze sociali e politiche nel mondo, con diverse pratiche culturali e morali, rendono questo cambiamento pressoché inevitabile. Ciò che accadrà in seguito è impossibile da prevedere con certezza, ma sta diventando sempre meno probabile che gli atteggiamenti nei confronti della conquista siano plasmati soltanto dai costrutti ideologici e, frequentemente, demagogici degli Stati Uniti.

Mi auspico che questa breve argomentazione sia uno spunto per meglio interpretare ciò che sta accadendo nell’ordinamento internazionale e i giochi circa la legittimità dell’intervento nella sovranità degli stati.

  1. Ibidem
  2. Si noti che in questa discussione viene usato il termine “Stato” anziché termini più ambigui come “Nazione” o “Paese”.
  3. Kerry Goettlich, op. cit. 13 March 2025.
  4. Ibidem
  5. Ibidem
  6. Ibidem
  7. Kerry Goettlich. op. cit. 2019.
  8. Kerry Goettlich, op. cit. 13 March 2025.
  9. Ibidem
  10. Ibidem
  11. Ibidem
  12. Il colonialismo dei coloni è una logica e una struttura di spostamento da parte dei coloni, utilizzando il dominio coloniale, su un ambiente per sostituire esso e le sue popolazioni indigene con gli insediamenti e la società dei coloni.
  13. Kerry Goettlich. op. cit. 2019.
  14. Kerry Goettlich, op. cit. 13 March 2025.
  15. Ibidem
  16. Ibidem
  17. Ibidem
  18. La Politica della Porta Aperta (Open Door Policy) è un concetto di politica estera. In quanto teoria, la Politica delle Porte Aperte ha avuto origine con il commercio britannico, così come si riflesse sui trattati conclusi con la dinastia Qing in Cina dopo la Prima Guerra dell’Oppio (1839-1842). Sebbene la Politica delle Porte Aperte sia convenzionalmente associata alla Cina, è stata riconosciuta ufficialmente alla Conferenza di Berlino del 1885, in cui veniva dichiarato che nessuna potenza avrebbe potuto imporre dazi preferenziali nel bacino del fiume Congo. In sostanza le grandi potenze si astengono o rinunciano a chiedere speciali privilegi, preferenze commerciali o monopoli.
  19. La ribellione dei Boxer, o rivolta dei Boxer o anche guerra dei Boxer, fu un sollevamento avvenuto in Cina nel 1899, rivolto contro l’influenza colonialista. Fu messo in atto da un grande numero di organizzazioni popolari cinesi, riunite sotto il nome di Yihetuan (cioè Gruppi di autodifesa dei villaggi della giustizia e della concordia). La rivolta ebbe come base sociale molte scuole di kung fu (identificate come «scuole di pugilato»), che inizialmente adottarono il nome di «pugili della giustizia e della concordia», denominazione che, nei racconti dei missionari, fu resa semplicemente come «boxer».
  20. Kerry Goettlich, op. cit. 13 March 2025.
  21. Conosciuto formalmente come la Conferenza navale di Washington fu una conferenza internazionale tenutasi nell’omonima città statunitense dal 12 novembre1921 al 6 febbraio1922. Venne condotta al di fuori dell’egida della Società delle Nazioni. Vi parteciparono nove nazioni (Stati Uniti, Giappone, Cina, Francia, Gran Bretagna, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Portogallo) per quanto riguardava gli interessi nell’Oceano Pacifico ed in Asia orientale. La Germania non venne invitata alla conferenza, poiché era già stata disarmata secondo i termini del trattato di Versailles. Anche la Russia sovietica non venne invitata alla conferenza. È stata la prima conferenza sul controllo degli armamenti nella storia ed è ancora studiata dagli scienziati politici come modello per un movimento di disarmo di successo. Fonte: Wikipedia.
  22. Kerry Goettlich, op. cit. 13 March 2025.
  23. I Membri della Società si impegnano a rispettare, e a proteggere contro ogni aggressione esterna, l’integrità territoriale e l’attuale indipendenza politica di tutti i Membri della Società. In caso di aggressione, minaccia o pericolo di aggressione, il Consiglio avviserà ai modi nei quali quest’obbligo dovrà essere adempito.
  24. Kerry Goettlich, cit. 13 March 2025.
  25. Ibidem
  26. Ibidem
  27. Ibidem
  28. Ibidem
  29. Ibidem
  30. Ibidem
  31. Ibidem
  32. Ibidem
  33. Ibidem

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